Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: Alley    01/02/2014    3 recensioni
“Dov’è il bus? Dietro l’aereo?”
“È un jet” risponde Coulson – oh, giusto, i jet. Ecco cosa mancava all’elenco.
“Capisco. Non me ne intendo di roba che vola, so distinguere a stento un colombo da un piccione” si giustifica e poi riformula la domanda “Il bus è dietro il jet?”
“Il bus
è il jet, signorina Lewis.”
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Phil Coulson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Darcy's world ~ Diario di una fangirl'
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N.B. Questa storia è il proseguio di Miracles can be happen, appartenente alla stessa serie. La sua comprensione non è subordinata alla lettura della suddetta fan fiction; semplicemente, gli eventi qui narrati si ricollegano alla fine di quella one shot. 




Le ante metalliche si spalancano stridendo e Coulson la invita a precederlo con un cenno. Darcy entra nell’ascensore trascinandosi dietro il proprio trolley. L’impulso sarebbe quello di chiedere perché hanno messo il bus in un palazzo e non in un semplice parcheggio, o per strada, o in un garage, o in un qualsiasi altro posto dove la gente è solita lasciare un mezzo di trasporto, ma ormai ha imparato che a quelli dello S.H.I.E.L.D. le cose normali non piacciono – senza contare che al novantanove per cento delle domande che pone viene risposto “sono informazioni riservate”, quindi tanto vale risparmiare il fiato. 

La cabina sale per un tempo incredibilmente lungo – non bastava infilarlo in un palazzo, dovevano portarlo ai piani alti. Non sarebbe stato abbastanza scenografico, altrimenti –, durante il quale Coulson tiene gli occhi fissi sulla sua valigia. Sembra leggermente perplesso – per quanto un uomo imperturbabile come lui possa sembrare perplesso contemplando un trolley, ovviamente - e Darcy si domanda quale sia il motivo. Insomma, è stato lui a dirle che avrebbero lavorato lontano dalla base per un po’; era logico portarsi dietro, oltre al pc, qualche indumento e gli oggetti personali più essenziali: spazzolino, iPod, Stitch - non può dormire senza Stitch, è fuori discussione. Una borsa non sarebbe stata sufficientemente capiente.

Finalmente le porte si aprono e il panorama che si offre alla vista non è quello che Darcy s’aspettava; non si trovano più all’interno dell’edificio, ma sul tetto, un ampio terrazzo situato così in alto da dare l’illusione di poter toccare il cielo con un dito – Darcy non ama le immagini poetiche, ma quando mette piede fuori dall’ascensore ha proprio quest’impressione.

Malgrado si fosse imposta di non fare domande, non riesce a fare a meno di chiedersi come diavolo abbiano fatto a trascinare un bus lassù (e per quale motivo si siano presi la briga di farlo); sta per rigirare a Coulson il quesito quando qualcosa – qualcosa che fino a quel momento, inspiegabilmente, non aveva visto – attira la sua attenzione.  

Tre sono le cose che Darcy non sopporta: gli insetti, gli aghi (detesta cucire e detesta le iniezioni, quindi non importa di che aghi si tratti. Odia tutti gli aghi indiscriminatamente) e gli aerei. Ci sarà un motivo se Dio ha creato gli uomini senz’ali o se l’evoluzione delle scimmie ha previsto braccia e mani al loro posto, no? Perché sovvertire le disposizioni della natura pretendendo di volare? Darcy ha sempre reputato la tracotanza qualcosa di sbagliato e pericoloso e, per questo, è contraria ad aeroplani, elicotteri, deltaplani, mongolfiere e ad ogni mezzo con cui l’umanità cerca di vincere le leggi della fisica.

(nel caso qualcuno lo stesse pensando: no, non ha paura di volare. Il suo è semplicemente buon senso)

“Dov’è il bus? Dietro l’aereo?”

“È un jet” risponde Coulson – oh, giusto, i jet. Ecco cosa mancava all’elenco.

“Capisco. Non me ne intendo di roba che vola, so distinguere a stento un colombo da un piccione” si giustifica e poi riformula la domanda “Il bus è dietro il jet?”

“Il bus è il jet, signorina Lewis.”

Darcy impiega un po’di tempo – parecchio tempo – ad elaborare la risposta e, dopo aver riflettuto per qualche secondo, giunge alla conclusione che il dizionario di Coulson debba avere qualche problema.

“Non voglio contraddirla – il capo è lei e io ho sempre rispettato i ruoli e le gerarchie – ma…quello non è un bus. Non ha le ruote, né un volante né…”

Darcy s’accorge che Coulson le sta rivolgendo la stessa espressione con cui ha fissato il trolley in ascensore – sono io quella che dovrebbe essere perplessa, accidenti

“È come chiamare un chihuahua ‘gatto’ o un porcellino d’India ‘tartaruga’ o un pappagallo…”

“Il fatto che sia un jet è un problema, per lei?”

Darcy maledice per l’ennesima volta i fratelli Wright e sfoggia il sorriso più conciliante e professionale di cui disponga. “Assolutamente no.”

*

Il bus - sì, certo, come no - è più capiente di quanto sembri dall’esterno ed è molto diverso da tutti i mezzi volanti che ha preso precedentemente – ossia nessuno, ma di sicuro l’interno di aerei e similia non targati S.H.I.E.L.D. non è come quello. Non sembra nemmeno di stare in un jet e Darcy pensa, in un improvviso quanto improbabile slancio di ottimismo, che durante il viaggio potrebbe persino dimenticarsi che si trova a chissà quanti chilometri da terra.

“Signorina Lewis, lei è Lola.”

Darcy – che si stava domandando quanti potessero essere esattamente quei chilometri – si riscuote e si guarda attorno, alla ricerca di una delle tre donne che fanno parte della squadra di Coulson. Non ricordava che tra di loro ci fosse una Lola, ma d’altronde ha sempre avuto una pessima memoria.

“Dov’è?”

Oltre al ferrame dell’intelaiatura vede soltanto una Corvette rossa, per la quale il nome Lola sarebbe perfetto, ma Coulson non è affatto il tipo di persona che assegna un nome alle cose – probabilmente nessuno, a parte lei, è quel tipo di persona.

“Ce l’ha davanti.”

“L’auto?” domanda, incredula, e quando vede Coulson annuire quasi non riesce a credere ai propri occhi.

“So che dare un nome agli oggetti può apparire bizzarro, ma…”

“No, affatto!” lo interrompe e non voleva urlare così forte e con tanto entusiasmo, ma Darcy Lewis e l’autocontrollo sono due rette parallele destinate a non incontrarsi mai “Io lo faccio sempre ma, vede, io sono io. Non credevo fosse una cosa da…lei.”

“Non è proprio un’abitudine, in realtà, ma Lola è speciale. Meritava un nome.”

“Davvero? E cos’ha di tanto speciale?” chiede, curiosa, e Coulson avanza fino a raggiungere l’automobile.  

“Molte cose” risponde, accarezzando la carrozzeria come fosse il viso di una bimba “Non è un’auto come tutte le altre. Le basti pensare che può volare.”

Darcy non sa se scoppiare in una risata isterica o in un pianto dirotto.

*

Coulson le spiega come raggiungere la sua stanza e poi si defila, dicendo d’avere delle pratiche urgenti da sbrigare. A Darcy non sarebbe dispiaciuto essere scortata, essendo il tipo di persona che riesce a perdersi persino a casa sua, ma il suo capo è sparito nei meandri del bus-jet-quello che è senza darle nemmeno il tempo d’aprir bocca.

Avanti Darcy, non è mica un labirinto. Puoi farcela

Ha compiuto solo pochi passi quando la sua attenzione viene attirata da un chiassoso chiacchiericcio. Le voci che dibattono sono due e sembrano appartenere ad un uomo e ad una donna. La direzione da cui provengono non è quella che Coulson le ha indicato, ma una piccola deviazione non cambierà poi molto, no? In fondo tutte le strade portano a Roma – che lei non debba andare a Roma, ma nella stanza che le è stata assegnata, è un altro paio di maniche.

Darcy si avvicina discretamente alla porta socchiusa in fondo al corridoio e si sporge per sbirciare al suo interno. Intravede le sagome di due ragazzi con indosso un camice bianco, intenti a discutere in maniera piuttosto animata.

“Non vale.”

“Perché? Tu hai usato sternocleidomastoideo e io non ho protestato!” ribatte lui e l’altra sbuffa e incrocia le braccia sotto il seno, rivolgendogli l’occhiata esasperata che le madri riservano alla cocciutaggine dei figli.  

 “Lo sternocleidomastoideo, come ti ho già spiegato, è un muscolo bipennato situato nella regione anterolaterale del co-”

“Stiamo giocando a scarabeo, Jemma, non all’allegro chirurgo.”

“Sul regolamento c’è scritto esplicitamente che non sono vietati termini tratti da un qualsiasi linguaggio settoriale, Fitz. L’unica condizione è che la parola sia presente sul dizionario e Sectumsempra non c’è” replica la ragazza – Jemma –, le braccia ancora conserte e il tono sempre più spazientito “Come non c’è nessun altro incantesimo tratto dai libri di Harry Potter.”

“Non sono termini inventati. Vengono dal Latino.”

“Ma non sono sul dizionario. E tu non hai mai studiato il Latino.”

Darcy, ancora nascosta dietro la porta, si decide finalmente ad avanzare e a rivelare la sua presenza. “Ehm, scusate se vi interrompo…”

I due sobbalzano all’unisono e si affrettano a nascondere il tabellone, piazzandosi davanti al tavolo su cui è poggiato, circondato da provette e strani aggeggi a cui Darcy non saprebbe dare un nome. Sulle loro facce campeggia l’espressione colpevole dei bambini colti con le mani nella marmellata. Sono lo spettacolo più adorabile a cui abbia mai assistito - dopo i Minion.

“Noi, ecco…stavamo cercando un nome per quell’antidoto, quello che abbiamo sintetizzato la settimana scorsa” dice Jemma, balbettando leggermente, e Fitz, al suo fianco, annuisce.

“Non stavamo giocando a Scarabeo. Non stavamo assolutamente giocando a Scarabeo.”

La ragazza emette qualcosa di molto simile ad un grugnito, lo colpisce con una gomitata e sibila un taci che farebbe accapponare la pelle persino all’Uomo nero.

Darcy vuole adottarli. Subito.

“Ragazzi, calma. Non sono della Gestapo” li rassicura e il timore sui loro volti muta in curiosità “Mi chiamo Darcy e sono la segretaria dell’agente Coulson. Sono appena arrivata e stavo per andare nella mia stanza – sempre che riesca a trovarla – quando vi ho sentiti discutere, allora sono venuta qui e...Posso giocare con voi?”

Jemma e Fitz si guardano per un istante e Darcy ha l’impressione che in quell’occhiata ci siano un mare di parole che soltanto loro possono capire. Non sa se reputarlo inquietante o magnifico.

“Certo” risponde Fitz, tornando a guardarla e sorridendole.

“Ricorda, puoi usare solo le parole presenti sul dizionario” aggiunge Jemma, e Darcy ha la vaga impressione che si tratti di una frecciatina.  

*

“Oddio, è magnifica!”

Darcy è così concentrata nella ricerca della sua stanza da non accorgersi nemmeno d’esser passata davanti ad una porta aperta. Il grido della ragazza la fa fermare di scatto e trasalire.

“Scusa, non volevo spaventa…Bingo!”

Un piccolo bip riecheggia nel minuscolo cubicolo e la giovane, seduta sul letto con la schiena poggiata contro il muro, si fionda sul portatile che tiene poggiato sulle gambe.

“Finalmente! Questo maledetto sistema  di sicurezza non voleva proprio saperne di essere bypassato” si lamenta, battendo freneticamente le dita sulla tastiera “Ci ho messo sei minuti per eluderlo. L’ultima volta me ne sono bastati tre. Comunque, parlavo della tua valigia. È fantastica.”

“Grazie.”

La ragazza pianta l’indice su ‘Invio’ e, compiaciuta, mette da parte il pc. Evidentemente ha portato a termine il lavoro – di qualunque cosa si trattasse. “Quello che stavi facendo sembrava molto…illegale.”

“Il codice penale preveda cinque anni di reclusione.”

“Wow!” esclama Darcy, impressionata “È addirittura più illegale di quanto sembrasse. Mi insegni?”

“Certo. Cominciamo domani, porta un quaderno per prendere appunti” risponde lei, facendole l’occhiolino, poi si sposta sul lato per farle spazio e la invita ad entrare con un cenno.

“Io sono Skye.”

Darcy si siede sul bordo del letto e le tende la mano. “Darcy. ‘Skye’ è un nome straniero? Non credo d’averlo mai sentito prima.”

“In realtà è un nome inventato. Meglio prendere qualche precauzione quando ci si dedica ad attività illecite.”

“Giusto” replica Darcy, annuendo “Possiamo cominciare da ‘Come hackerare un profilo Facebook’ domani? Fury ha rifiutato la mia richiesta d’amicizia, è evidente che ha qualcosa da nascondere – probabilmente riempie la bacheca della Hill con cuori e link stucchevoli e non vuole che si sappia in giro – e Barton mi ha bloccata – e perché, poi? Perché l’avevo invitato a cliccare ‘Mi piace’ alla pagina ‘Loki’s Army’! Se questo non è essere permalosi, non vedo cosa…”

“Barton? Intendi Occhio di falco?” la interrompe Skye e per poco gli occhi non le schizzano fuori dalle orbite “Conosci i Vendicatori?”

“Beh, non mi piace vantarmi ma sì, li conosco” risponde Darcy, con finta nonchalance “Se vogliamo dirla tutta sono la quasi cognata di Thor.”

Skye la sta fissando come se avesse appena svelato il terzo segreto di Fatima. “È figo come in foto?”

“Assolutamente no” risponde e la delusione sul volto di Skye è tale che Darcy teme possa scoppiare in lacrime da un momento all’altro “È molto meglio.”

Skye si rilassa e tira un sospiro di sollievo. “Dio, per qualche secondo ho visto il mio sogno erotico andare in pezzi. È stato traumatico.”

“Lui è occupato con la mia migliore amica, ma puoi sempre puntare su Capitan America. Te lo presento in cambio delle lezioni di hackeraggio.”

“Affare fatto!” esclama l’altra, sollevando il pollice in segno d’assenso “Ero sicura che la segretaria di A.C. fosse una tipa in gamba.”

“A.C.?” ripete Darcy, perplessa “Perché usi un acronimo per chiamare…No, aspetta, cambio domanda. Come fai a sapere che sono la segretaria di Coulson?” 

È la seconda volta nel giro di dieci minuti che Darcy si trova davanti ad un’espressione colpevole ed è incredibilmente strano, perché di solito è lei a sfoggiarla – con Jane o con sua madre, il più delle volte.

“La mail che ti ha inviato.”

Oh, giusto. Avrebbe dovuto capirlo.

“Leggi la posta di Coulson?”

“Di tanto in tanto.”

Il sopracciglio destro di Darcy si solleva di qualche millimetro.

“Spesso.”

Il sinistro fa lo stesso.

“Un giorno sì e l’altro…pure” ammette Skye, storcendo la bocca in una mezza smorfia “Ti sarei molto grata se non glielo dicessi.”

Darcy non è di certo una spia – adesso lavora per lo S.H.I.E.L.D., ok, ma questo non fa di lei una spia. Non in quel senso, almeno -, ma è una che sa trarre vantaggio dalle situazioni.

“Se la leggiamo insieme, non lo farò.”

*

“Fa’ un altro passo e sei morta.”

Quando, un paio di secondi prima, Darcy aveva sentito quella leggera pressione dietro la nuca si era detta che non era assolutamente possibile che qualcuno le stesse puntando addosso una pistola sul jet del suo capo. Adesso, però, non ne è più così convinta.

“Non muoverti.” 

Deve aver fatto qualcosa di molto brutto nella sua vita precedente.

“Ascolti, dev’esserci un equivoco. Io non…”

“Silenzio!”

Qualcosa di atroce, come uccidere gattini innocenti o guardare le trashate trasmesse da Real Time – va bene, questo lo fa anche nella sua vita attuale, ma solo per divertirsi e per dimostrare a Jane che c’è gente la cui sanità mentale è molto più danneggiata della sua.

“Sta’ zitta e voltati. Lentamente.”

Darcy obbedisce – non ha molte alternative – e, mentre si gira, infila furtivamente una mano nella borsetta che porta a tracolla. Quando le sue dita incontrano il metallo della bomboletta, prega Odino di riuscire ad attuare il piano prima che le venga ficcata una pallottola in testa – no, non è pagana, ma Odino è l’unica divinità ad averle dato prova della sua esistenza, quindi rivolgersi a lui le pare la scelta più saggia.

Com’è che diceva l’istruttore? Agisci in fretta. Non devi lasciargli nemmeno il tempo di pensare

Ancor prima di incrociare lo sguardo del tizio che la tiene sotto tiro allunga il braccio nella sua direzione e spruzza. Quello, colto di sorpresa, non riesce ad opporre resistenza; lascia cadere la pistola e si porta le mani al viso, strofinandosi gli occhi.

Il corso d’autodifesa è servito a qualcosa, pensa con soddisfazione, poi scappa a gambe levate.

*

Quando si ferma, i piedi dolenti e il fiato corto, s’accorge d’esser finita in quella che, a giudicare dalla presenza del ring, dei sacchi da boxe e degli attrezzi sparsi sul pavimento, pare una piccola palestra.

Chissà quanto dista da lì la sua stanza…

Un tonfo improvviso rivela che non è sola – naturalmente. A quanto pare c’è qualcuno in ogni angolo di quel maledetto bus volante – e Darcy, temendo che si tratti di un altro psicopatico armato, si accovaccia dietro il ring. C’è il rischio che il tizio si sia ripreso e la stia cercando, quindi è meglio non uscire e rimanere nascosta per un po’.

Dopo essersi inginocchiata sporge appena la testa e sbircia attraverso le corde. Vede una donna dai tratti orientali in piedi davanti ad una tavoletta rettangolare; la fissa come se volesse farla lievitare con la sola forza del pensiero e Darcy è sicura che se quella fosse la scena di un film o di una serie televisiva la spaccherebbe con un calcio.

Ha appena elaborato questo pensiero quando la donna dà le spalle alla tavoletta, poi si volta con uno scatto e, tesa la gamba, la colpisce con inaudita violenza; il crack con cui si spezza è sonoro e inquietante – soprattutto inquietante – e Darcy deve tapparsi la bocca con entrambe le mani per non emettere versi terrorizzati.

Non finisce lì. La donna sferra un pugno micidiale e spacca a metà una delle due parti. È la cosa più spaventosa dell’universo – più spaventosa dei Nani. Molto più spaventosa dei Nani.

“Non è difficile come sembra. È tutta questione di concentrazione. Vuole provare?”

Darcy si domanda quante possibilità ci siano che qualcuno parli da solo mentre frantuma tavolette di marmo – ovviamente sa che la risposta è ‘nessuna’ e che la domanda è indirizzata a lei. Forse ha fatto rumore senza accorgersene o magari la donna ha un paio d’occhi invisibili dietro la nuca – propende per la seconda.

Non ha nemmeno il tempo di chiedersi quale osso le spezzerà per primo che qualcuno le picchietta la spalla, facendola sobbalzare. Il qualcuno in questione è la donna – come diavolo ha fatto? Era davanti a me un attimo fa, è impossibile che non l’abbia vista spostarsi, è assurdo, è… - e lo sguardo con cui la fissa, pur non essendo affatto risentito, risulta comunque terrificante ai suoi occhi.

“Mi scusi, mi scusi tantissimo. Sono mortificata e…”

…ti prego non uccidermi

“…e mi dispiace. Non volevo distrarla e rompere il suo equilibrio interiore – deve servirne parecchio per riuscire a fare una cosa del genere – e…”

“Non si preoccupi, avevo finito” la interrompe e Darcy tira un sospiro di sollievo. Forse la sua ora non è ancora giunta “Immagino che lei sia la segretaria dell’agente Coulson.”

Darcy dubita che anche lei l'abbia scoperto hackerando la sua casella postale, ma preferisce non porre domande. Meglio non correre il rischio di parere indiscreta con una donna in grado di romperti l’osso del collo con un mignolo.

“Sì, sono io” si limita a dire e si alza in piedi “Mi chiamo…”

“Darcy Lewis. Lo so.”

Darcy s’aspetta che adesso sia lei e presentarsi, invece cala il silenzio. Quando capisce che la donna non dirà altro si decide a riprendere la parola e a porle la domanda che avrebbe dovuto fare fin dal principio.

“Non è che potrebbe aiutarmi a trovare la mia stanza?”

*

Melinda May - questo è il nome della sorella gemella di Jackie Chan - la accompagna nella sua camera e, prima di congedarsi, la invita a rivolgersi a lei senza esitazioni qualora abbia bisogno di qualcosa. Forse, in fondo, non poi così è terrificante come le era parsa.

“Signorina Lewis.”

La voce di Coulson la raggiunge proprio mentre infila la chiave nella toppa. Darcy lo vede rivolgere l’ennesima occhiata perplessa al trolley e poi posizionarsi al suo fianco.

“Prima del decollo vorrei presentarle la mia squadra.”

Forse è il caso che racconti al suo capo un po’di cose.

*

“Lo spray al peperoncino è solo urticante. Non ha alcun effetto collaterale grave.”

Adesso è lei ad avere l’espressione colpevole stampata in faccia. L’ordine cosmico è stato ristabilito.

“L’agente Ward è stato addestrato per affrontare cose ben peggiori, mi creda.”

“Mi dispiace.”

“La sua reazione è stata assolutamente legittima” la rassicura Coulson “Sono io che avrei dovuto avvertirli del suo arrivo.”

“Beh, gli altri non hanno pensato che fossi un’infiltrata potenzialmente pericolosa. Non è colpa sua se il ragazzo soffre di manie di persecuzione. Va bene la prudenza, ma non c’era bisogno di essere così scontrosi. È quasi peggio di Barton – Barton, non so se mi spie-”

Darcy non è una grande osservatrice, ma non fatica a cogliere l’ombra che attraversa lo sguardo di Coulson – ha vissuto con Jane per tutto il tempo in cui Thor è sparito dalla circolazione e Jane è Jane e Coulson è Coulson, ok, ma certe cose sono universali.

“Penso che gli farebbe molto piacere sapere che lei è vivo.”

“I Vendicatori non possono saperlo” ribatte e Darcy è sicura che abbia ingoiato un sospiro.  

“Non possono saperlo?” ripete, incredula “Perché allo S.H.I.E.L.D. tutto dev’essere un segreto? Capisco la riservatezza quando si tratta di affari di stato o questioni in cui sono implicati alieni e/o mostri mutanti, ma questo…Più che discrezione, mi sembra una mania un po’idiota. Anzi, decisamente idiota. Il mio capo è lei, non Fury, quindi sono libera di dire che trovo le sue disposizioni insensate e…”

Esita per qualche istante, dubbiosa.

“…o il fatto che Fury è il suo capo lo rende transitivamente anche il mio capo e quindi quel che ho appena detto mi costerà il posto?” domanda, aggrottando la fronte “Beh, in ogni caso, questo non cambia le cose. È stupido che debba tenerlo nascosto. È stupido, immotivato e…ehi, cosa c’è?”

Sembra che Coulson si stia divertendo un mondo – chissà da quanto. Era così presa dalla sua filippica da non essersi nemmeno accorta che aveva cominciato a ridere.

“Sta straparlando.”

“Davvero?” domanda stupita - come al solito, non se n’era affatto resa conto “Beh, se serve a tirarla su di morale posso farlo più spesso.”

Coulson torna serio e tira fuori una pila di fascicoli dal cassetta della sua scrivania, poi le rivolge nuovamente la sua attenzione.

“Se il direttore non vuole che i Vendicatori lo sappiano avrà i suoi buoni motivi” dice e Darcy è sul punto di chiedere quali potrebbero mai essere questi fantomatici buoni motivi, ma è evidente che Coulson sia già abbastanza dispiaciuto senza che ci si metta anche lei, quindi è meglio tacere “È molto gentile a preoccuparsi.” 

“Questo ed altro, per il mio capo.”

L’uomo tira fuori il suo tipico sorriso affabile e Darcy non può fare a meno di pensare che è l’umanità è davvero fortunata ad avere ancora Phil Coulson.

“Lei mi sopravvaluta.”

“Come?”

“Mi sopravvaluta” ripete Coulson “L’umanità sarebbe vissuta benissimo anche senza di me.”

“L’ho detto a voce alta?”

“Beh, non ho ancora imparato a leggere nel pensiero.”

È la prova definitiva che ha bisogno di un bel bagno caldo. O direttamente di un letto.  

“Vada pure. Le consegnerò la documentazione più tardi.”

“Perfetto.”

Ha quasi raggiunto la porta quando Coulson la richiama.

“Signorina Lewis?”

“Mi dica.”

Coulson tentenna, quasi fosse indeciso se dirle o meno quello che gli passa per la testa.

“Quelli sulla sua valigia sono…unicorni?”

Darcy lo fissa con la fronte aggrottata, cercando di cogliere il significato sotteso di quella domanda.

“Mini Pony.”

Coulson la osserva in silenzio per qualche secondo, quasi avesse bisogno di tempo per metabolizzare la risposta ricevuta. “Capisco. Non me ne intendo di cavalli colorati.”

Darcy pensa che in fondo quel bus, seppur volante, non è poi così male. 











Note
- "Wilbur Wright e Orville Wright sono due ingegneri e inventori statunitensi. Sono considerati i primi ad aver fatto volare con successo una macchina motorizzata più pesante dell'aria con un pilota a bordo." (Wikipedia dixit)
- I Nani a cui si riferisce Darcy sono, naturalmente, gli Elfi oscuri capeggiati da Malekith in TDW 
- La pagina ‘Loki’s Army’esiste veramente 
- Darcy docet (non è una nota? Ecchissene!)

Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che sopportano e supportano la mia idiozia; grazie a chi recensisce, a chi inserisce le mie storie tra le preferite e le ricordate, a chi le legge in silenzio e le apprezza e anche a chi non piacciono. Sono grata a TUTTI *distribuisce cuori e biscotti* 
 
  
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