Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |      
Autore: Amitiel    01/02/2014    1 recensioni
Siamo fatti di cristallo.
I nostri sogni sono fragili,
come quel cuore che ci batte in petto e ci rende succubi l’uno dell’altro.
Siamo fatti di cristallo e nemmeno c’è ne accorgiamo.
L’amore ci entra nell'anima e la dilania.
L’amore uccide lentamente,
ci ruba goccia dopo goccia del nostro sangue.
L’amore non ha ostacoli.
L’amore morde, canta, ride e ti incanta.
L’amore è promessa.
L’amore è distruzione.
L’amore cammina con passi silenziosi.
L’amore è perdizione.
L’amore sa di eternità....
L’amore ha il colore del sangue!
(Nina Hope)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
{Buon giorno mondo!
Ecco cosa penso  quando apro gli occhi.
Buon giorno mondo io sono ancora qui!
Mi sento viva in quegl'attimi che precedono la fine di un sogno,
giusto qualche secondo prima di aprire gli occhi e fissare  il soffitto spoglio della mia stanza.
Giusto qualche attimo prima di osservare le mie mani e rendermi conto di essere  di nuovo sola.
Sento ancora nella testa il ronzio del motore, lo sportello che si chiude.
Anne accende lo stereo, è felice, ma non ricordo bene di cosa, non si accorge 
che il mio sorriso è confuso e continua a guidare cantando la sua canzone preferita a squarciagola.
Il sole inonda le spiagge della California, la curva è a poco meno di due metri... Anne mi guarda
 -Ti voglio bene Nina... -
 IL suo sorriso si oscura , lascia il posto alle urla.
Mi alzo di scatto  e sono sola; ci sono io, qualche pupazzo, un album e il mio diario.
Della mia gemella nessuna traccia.
L'ultimo giorno di scuola è alle porte e  a me non rimane che abbandonare i miei incubi sul cuscino,
sicura che al mio ritorno saranno ancora li.
Si muovono i miei passi lentamente verso il bagno, convincendomi  che è la fine prima di un nuovo  inizio.}
 

 
 
Mi chiamo Nina Isabel Hope e sono nata nel South Dakota ben diciotto anni fa, sono la secondogenita di una modesta famiglia.
Un tempo avevo una gemella, si chiamava Anne Aria Hope ed era tutto per me, una sorella, un'amica, il mio diario.
Non c'era nulla che non riuscissimo a fare quando eravamo insieme, tutto diventava un gioco e il buio non faceva cosi tanta paura quando lei mi stringeva la mano.
Ma mia sorella è morta quando avevamo appena sedici anni, un incidente d'auto le aveva tolto la parola e pochi  mesi dopo durante uno dei soliti campeggi organizzati da papà un'animale  selvatico la uccise trascinandola nel folto del bosco.
Non dormo più sonni tranquilli da quel giorno, se io non fossi fuggita nel bosco dopo aver litigato con la mamma, lei sarebbe ancora qui con me.
Da quel giorno la mia famiglia morì con lei.
Anne si portò via con se la mia felicità, essendo colpevole agli occhi dei miei genitori della sua morte, fui spedita nella Penisola Olimpica precisamente a Silverdale, in un collegio privato e misto; presto compirò diciotto anni e riavrò la mia libertà, riprenderò a cantare e tutti i miei vecchi incubi spariranno, almeno cosi credo.
Ci ho messo un po’ per abituarmi a questo posto e faccio ancora fatica a ricordarmi quale corridoio conduce all'aula di storia.
Anne me lo diceva sempre che ero una smemorata, è lei che mi ha fatto prendere la brutta abitudine di appuntarmi tutto, il mio diario è pieno di memo colorati senza un ordine preciso.
Non c’era ancora nessuno in giro ma era una cosa normale, Ero io la prima ad arrivare e anche la prima che lasciav al'aula per evitare di incrociare  gli sguardi o i discorsi con gli altri, non volevo legare con nessuno come se ciò potesse ocmportare un mettere radici nel collegio da parte mia. 
Erano appena le sette e il corridoio era popolato solo da Roxy un gatto obeso dedito all'ozio e al cibo con il dannato Hobbie  di graffiare chiunque gli si avvicinasse invadendo cosi il suo spazio vitale.
Una targa d'oro mi avvisava ogni volta di essere arrivata a destinazione -*Aula di Storia **Verba Volant, Scripta  Manent.**-
Non avevo mai capito l'uso da parte dei Latini di cosi tanti aforismi o detti  nella loro giornata quotidiana.In fin dei conti l'uomo non ha mai avuto il diritto di giudicare un suo simile ne di pensare che una semplice frase bastasse a cambiare le cose.
La classe è vuota, il professore Wilson non mi degna di uno sguardo, continua a scrivere sulla sua preziosa lavagna parole incomprensibili per noi menti poco evolute che non poteva considerare sue pari.
Ed ero di nuovo qui, seduta sull'ultima fila di questo finto anfiteatro, dove il sole non batteva mai troppo forte.
Il brusio mi avvisava sempre dell'arrivo degli altri studenti che defluivano al'interno della stanza come una corrente incontrollabile e caotica per prendere i loro posti o rubarli solo per star evicino ad un amico. Fissai Carol Court, la classica ragazza californiana figlia del noto imprenditore Arnold Court. 
Suo padre possedeva mezza città ma non riusciva mai a trovare del tempo da dedicare a sua figlia cosa che la spinse ad avere la brutta nomina di alcolista.
Se frequentava l'istituto era dunque per questo problema ed io la invidiamo perchè  non aveva una morte che penseva sulle sue spalle. 
Non amavo mischiarmi agli altri, al contrario di Anne ero molto timida, troppo per una società che non lo richiedeva.
Nessuno si siedeva mai vicino a me, nemmeno i secchioni, c'era sempre un posto libero nel mio angolino privato.
Il professor Wilson si decise come sempre a richiamarci tutti all'ordine con quella tonalità da baricentro strozzato che faceva sempre la sua impressione. 
Dovette combattere per avere almeno un quarto dell'attenzione su di se, perchè c'era chi si divertiva a mettergli i bastoni tra le ruote come sempre. Il punto è che come sempre da dieci lezioni ora mai lui prese a citare frasi dall'indipendenza americana tornando e ritornando sullo stesso argomento e finendo con il fare addormentare metà della classe. 
«Tu ci vai al ballo??»Sobbalzai dalla sedia  e abbassai gli occhi fino a incrociare quelli di lei di un castano vispo e acceso. 
«No, devo studiare gli esami sono alle porte»
Stavamod i nuovo interagendo,sembrava sempre più propensa a volermi essere amica anche quando si trovava di fronte un muro assoluto di cortesia e fredezza. Il ballo di Primavera, dove ogni studente si sarebbe pavoneggiato come un animale in calore dando sfoggia di se stesso imbellettato e improfumato. 
Non volevo partecipare al ballo, non lo ritenevo giusto per diversi motivvi ed ilprimo era che io non ballavo più da tempo e ne ero cosi brava a farlo. 
Ho smesso di frequentare le feste dopo aver rovesciato il ponch sopra Willy Joy.Poveraccio mi ha odiato profondamente per quel piccolo incidente. Non sono cosi brava con le relazione interpersonali, l'altro sesso mi mette in uno stato d'ansia da cui è difficle uscire. 
«Dovresti venire.Se continuerai ad affondare il naso nei libri lo studio ti ucciderà.» Lisa si era sempre preoccupata per me, ma lei si preoccupava per tutti e mi dispiaceva impormi sempre distaccata nei suoi confronti.
«Non mi piacciono i balli» Sorridevo con ironia scrollando le spalle con leggerezza.RIportai gli occhi verso il professore e il suo monologo.
L'ora passa tra un commento, un appunto e Lisa che insiste con la storia del ballo. Ma qualcosa non andava rubando la mia attenzione e distraendomi.Il brusio nell'aula era aumentato cosi tanto che il professore non riusciva più a farli stare zitti. Sherry Bilson si voltò verso me e Lisa con un enfasi che aveva solo quando si trattava di ragazzi. 
«​Ehi lo hai visto? Lo dicevano che sarebbe arrivato a metà anno.»
Sembrava una bambina euforica, ma in realtà erano le sue parole che mi incuriosivano.Chi doveva arrivare a metà anno?Ma era possibile che fossi sempre l'ultima a rendermi conto dei cambiamenti?
«Si, dicono che non è da solo. Ci sono i suoi fratelli con lui.»
Lisa aveva tutta la mia ammirazione al contrario delle altre rimaneva impassibile e composta ed aveva  il suo solito sorriso, solo leggermente più tirato rispetto a prima; come se fosse preoccupata per qualcosa, accanto ai suoi occhi  delle piccole rughe comparvero dal nulla attirando la mia attenzione per pochi istanti.
Nuovi studenti come se già  non fossimo  in troppi dentro il collegio di pazzi, ma ero l'unica a voler scappare via?
 E  il conto alla rovescia riprendese nella mia testa.. * Uno.. Due.. Tre... Quattro...*
 
 
La campana suonò, sobbalzando alzai la testa, Wilson  si è fermato di botto e si sta occupando di alcune cose, nel mentre il brusio in aula aumentava.
Un brividosi arrampicò dietro la mia schiena rallentando il battito e gelandomi dentro e fuori.Lo stesso brivido che provai nel bosco alla scomparsa di mia sorella.
«Buon giorno»
Un giovane era appena entrato.
Non mi ero accorta  del secondo esatto in cui aveva varcato la soia e non era da solo, accanto a lui altri due ragazzi fissavano Wilson con una vena di superiorità.
Battei le palpebre rimanendo senza fiato, il ragazzo che aveva rivolto il suo saluto al professore era di una bellezza disarmante.
Era un incrocio tra un modello d'intimo e un  ragazzo d'altri tempi, forse perché i suoi gesti erano cosi precisi e fluidi da incantare.
Non ricucivo a distogliere lo sguardo da lui, se volevate una descrizione dettagliata mi è difficile non riuscire a farla.
Aveva un viso fine dal mento poco affilato, le sue labbra erano rosee fine ma non molto, avevano quella morbidezza che eguagliava quella della rosa; i suoi capelli erano d'un castano chiaro, mossi e spumosi ricadevano a lato del suo viso.
I suoi occhi... Non avevo mai visto due occhi cosi, sembravano in grado di esprimere dolcezza, ma rimanevano gelidi e vuoti... Eppure ero consapevole che nelle profondità di quello sguardo c'era un'anima, il loro colore verde era cosi chiaro che non poteva di certo essere reale.
Indossava un paio di jeans scuri e una semplice camicia scarlatta aperta di due  o tre bottoni.
«Professore lo affidiamo a lei allora?»
La voce ironica mi distrasse era molto più cristallina rispetto a quella del giovane aveva un'inclinazione melodica tipica di chi si fa beffa del mondo.
Non seppi il perché ma a primo impatto non mi fu simpatico.
Appariva altezzoso, fin troppo sicuro di se e arrogante quel tanto che basta a far si che lo paragoni a Carol Court. Biondo, occhi ghiaccio e le sue labbra erano cosi fine da far pensare  a quelle di un serpente  pronto ad azzannarti. Ma era anche lui di una bellezza disarmante.
Devo ammettere che anche Carol sminuiva di fronte a lui, lei aveva dei lunghi capelli castani ramati e due occhi  grigi ,rari ma non cosi tanto da risaltare come quelli del giovane.
«Ma certo. La signorina Nelson vi ha già spiegato tutto vero?! Dove sono le aule , i vostri orari, le varie lezioni  insieme alle attività scolastiche a cui dovrete partecipare ??»
Il professore li stava guardando con attenzione; avete presente quello sguardo di superiorità che è al quanto irritante?Che finisce sempre ocn il farci sentire degli scarafaggi? Bene era lo stesso che lui aveva sul viso.
«Professore non si preoccupi è tutto a posto. Ci vediamo dopo.»
Quello che doveva essere il più grande fra i tre e anche il più sicuro si rivolse a Wilson  con un sorriso e poi si voltò verso di me.
Mi stava guardando come se mi conoscesse già, c'era qualcosa di simile al piacere ... un compiacimento intimo e profondo nei suoi occhi; qualunque cosa  ci fosse nel suo sguardo mi incuteva timore.
Un timore cosi inconscio da risvegliare gli incubi più segreti che avevo rinchiuso in un anticamera del cervello gettando via la chiave.
Batté le palpebre leggermente, e le ciglia coprirono per un istante quegli occhi verdi  tempestati da pagliuzze dorate che mi stavano mozzando il fiato.
Il cuore iniziò a battere velocemente un ritmo sull'orlo di un esplosione, il calco aumentò e mi sentii febriciante, la paura mi assaliva Perchè mi stava guasrdando cosi?Io non ero il suo pranzo!
Ed ERA come tornare nel bosco, l’odore del pino, il vento fra i capelli e un urlo  che squarciò i miei pensieri  abbattendo ogni mia barriera mentale.
Sentiii il vuoto sotto di me.La gravidà mi stava risucchiando als uolo e io non potevo impedirglielo. L'aria muore prima ancora di entrare nei polmoni,un suono secco nel mentre si dilatano annaspando.
I suoi occhi rilucevano di una brama oscura e famelica e a me non rimaneva che il gelido impatto ocn il pavimento...Poi il nulla!
Solo Silenzio!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Amitiel