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Autore: unicornrain    01/02/2014    0 recensioni
- Introduzione.
Avete mai pensato di come la vita potesse concentrarsi in gironi inaspettati ? O quando magari si prende gioco di voi comandando le vostre attenzioni, emozioni, o pur semplicemente il vostro cuore ?
La domanda che pongo a me stesso è: perché non posso controllare io stesso ogni mio meccanismo ?
Si dice di non aver bisogno d'aiuto quando tutto ci sembra solo un inutile ammasso di semplice monotonia, di quando ormai i nuovi giorni nascono e ti sembra tutto uguale, che ti devi per forza alzare da quel caldo letto ed infilarti dentro la doccia per farti un bagno caldo e non c'è altro pensiero che non sia la scuola per il resto della mattinata. Cosa potrebbe fare poi un comune quindicenne oltre tutto questo ? Mi si dice che la mia è una normalità diversa dagli altri, oppure più complessamente un'anormalità: anormalità sul fatto del mio carattere diverso dagli altri.
Mi sono sempre chiesto cosa sia la diversità, e credevo d'esserne io l'esempio vivente. Non sapevo se prenderla come una buona cosa o una cattiva, resta il fatto che tra simili ci si intende e perciò tendevo solamente ad evitare.
Tutto fin quando non incontrai quel lui.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Kai, Kai
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Per quanto una giornata di pioggia non possa dar spinta a nessun essere vivente di questo mondo ad alzarsi dal letto, passarsi una mano fra i capelli arruffati e affacciarsi alla finestra bagnata da piccole gocce d'acqua, fui costretto a far tutto ciò elencato e dirigermi poi dentro la doccia, e una doccia calda in una mattinata d'inverno sembrerebbe l'ideale, almeno per riprendere al meglio una giornata iniziata già col piede sbagliato.

Il mio nome è Baekhyun e sono un'anormale quindicenne come non tutti. Non so di preciso quale sia il mio scopo vitale che dovrebbe reggermi le gambe e portarmi avanti, so solo che sono costretto a sopportare questo girone di monotonia.

Dovetti per forza asciugarmi i capelli prima di uscire di casa, almeno avrei evitato l'influenza della piena stagione gelida e avrei evitato di far infuriare mia madre.
Indossai quella divisa che tanto odiavo, denominato odio incalcolabile, e scesi le scale per un'altra avventura in quella brutta monotonia spoglia e gelida. Monotonia fu quel vento freddo che tirava in controvento scostandomi i capelli che prima pettinai e mi fece imprecare non poco, ma fu cosa d'ogni giorno e non ce n'era da meravigliarsi; monotonia furono le solite macchine grigiastre che con le loro ruote calpestarono continuamente l'asfalto umido e puzzolente dalla pioggia; monotonia furono anche i gruppetti che ogni giorno mi ritrovavo a scuola, gruppetti d'ogni genere, componenti di massima cinque o sei, mentre io preferivo ogni giorno camminare in solitudine.
La monotonia m'annoiava terribilmente, delle volte tentai di stringere le mie ciocche scure di capelli fra le dita e di pensare a come cambiare il tutto, a far sì che quelle luride giornatacce diventassero delle nuove news da poter vivere, ma i miei pensieri cedettero e nulla di ciò che ebbi pensato furono divenuti realtà; i miei occhi ovunque caddero guardavano sempre e solo monotonia.
Monotonia furono le solite parole dei professori, « Sei in ritardo », « Devi studiare di più », « Impegnati, qui non si scherza » e le solite cose che ogni alunno con zero voglia e capacità di fare si sente spesso dire in faccia.
Non mi interessai mai però a tutte quelle parole, né tanto meno m'interessava il fatto di dover ripetere l'anno o venir promosso come tutti gli altri.
Non mi interessai a nulla, nulla di tutto ciò che vivevo mi affascinava in particolar modo.

Le serate a casa mia furono sempre le solite, dove ero io a lavare i piatti con quel sottofondo di parlantine che trasmettevano in televisione provenienti dal soggiorno, dove i miei genitori e mio fratello maggiore se ne stavano sempre appollaiati sul divano, quasi attaccati. Invidiavo il loro rapporto, perché io mi sentivo sempre un caso a parte in famiglia: me ne stavo sempre in camera mia a leggere i fumetti, o semplicemente a navigare in internet alla ricerca di nuove tecnologie interessanti da poter provare, o anche a starmene sdraiato sul letto attaccato alla parete dove al mio fianco c'è la mia bella grande finestra e da lì ogni giorno potevo notare la città in piedi al secondo piano dove di sera si presentava a grandi linee molto illuminata dalle luci delle altre case posizionate un po' qua e la', o anche dai negozi o locali. Insomma ero io il bravo ragazzo che lavava i piatti dopo ogni pasto e che, anche se contro voglia, aiutava a far le faccende di casa, tipo lavare il pavimento e le solite cose.

Ci fu quella serata dal cielo limpido e stellato con i fumetti che se ne stettero buoni fra le mie gambe, e nel mentre me ne stetti seduto sul letto a leggerli, notai che qualcosa di strano c'era e che forse la monotonia non era proprio l'unica a farsi sentire, nella mia vita. Sentii che qualcosa si fosse mosso, perché qualcosa sentii in quella camera. Voltai lo sguardo per poter analizzare con cura ogni dettaglio di camera mia, ogni oggetto che si trovasse all'interno di quelle quattro mura che racchiudevano il tutto; conclusi solo ch'era la vibrazione del mio cellulare, sinonimo che magari avessi ricevuto qualche messaggio o qualche chiamata persa. Così mi alzai dal letto e mi avvicinai alla scrivania e l'ultima cosa che potei notare fu un messaggio con su scritto che domani mi avrebbe aspettato un qualcosa di magico, un qualcosa per cui varrebbe la pena sperarci. I soliti messaggini banali dell'oroscopo & co., il quale mai ci badai, perciò buttai con non curanza il cellulare sul letto e mi sedetti di nuovo su di esso a perdermi fra le pagine disegnate in bianco e nero finché non mi addormentai.

Fu una mattina strana quella, dove quando mi svegliai notai quel raro cielo dove il protagonista era un magnifico sole raggiante che risplendeva in tutta la città, che rifletteva quelle grandi pozzanghere fisse su qualche parte della strada o di un qualsiasi giardino appartenente ad una qualsiasi casa.
Inarcai un sopracciglio non appena affacciato alla finestra, dopo aver stropicciato gli occhi dal fastidioso forte bagliore che li aveva attirati, dato che per tutta la settimana non fece che piovere a dirotto, neanche ci fosse stata la seconda alluvione universale. Feci però presto a scostarmi le coperte di dosso ed alzarmi, farmi la solita doccia calda, vestirmi e tutto il resto per una normale e monotona giornata di scuola, o almeno quello che si prestava ad essere. Presi di mano un toast appena sfornato da mia madre e corsi via con la cartella fra le spalle fuori casa, notando che come al solito ero in ritardo. Mangiai il toast nel mentre fui già distrutto da tutta quella corsa che dovetti fare per arrivare a scuola, ma ci misi dieci minuti abbondanti e la campana era già suonata ben sette minuti fa. Quel pane tostato che ebbi ingerito durante la corsa sembrava volesse uscirmi dallo stomaco tramite la bocca, quel senso di nausea abbondante non faceva che provocarmi espressioni poco carine nel bel mezzo della camminata lungo il corridoio per arrivare in classe.
E come al solito dovetti inventarmi delle spiegazioni convincenti riguardo al ritardo ed abbassare malamente lo sguardo a terra nel sorbirmi tutte quelle solite parole rimbombanti in testa, parole di ogni giorno.  « Sei sempre in ritardo, Byun » incominciò il professore di matematica. « E se continui ancora così, di questo passo finirai col rimanere bocciato », insistette. L'idea di rispondergli mi si accumulava allo stomaco, e alle mani che tra poco sarebbero diventate due bei pugni messi in mostra, ma fortunatamente seppi controllare gli ormoni maligni che volevano solo portarmi a reagire ai peggior modi. Annuii, non avendo altra scelta, e me ne tornai nel solito posto accanto alla finestra, dove per il resto delle mie lezioni rimasi con gli occhi puntati ad osservare quel panorama limpido e poco umido dalla pioggia scesa per il resto della settimana scorsa.

 

Ripensai a quel messaggio arrivato ieri sera, le solite bugie rivelate dai truffatori di desideri e speranze, e non feci altro che scuotere la testa al pensiero che, di questa giornata, nulla di ciò che ebbi passato a scuola fu cambiato: solita e semplice monotonia. Mentre camminai per il corridoio che conduceva all'uscita di scuola, tenendomi stretto lo zaino sulle spalle, sentii un qualcosa simile ad una scossa dentro di me, non appena un ragazzo mi sfiorò il braccio dalla fretta di poter tornare a casa. Alzai lo sguardo e tutto ciò che notai fu solo lui, come se fosse sparito il mondo intero dal nulla. Non seppi cosa fu questa cosa altamente inquietante, a pensarci mi ricordai di quel ragazzo che vidi per la prima volta alle gare scolastiche di atletica, solo che non seppi nulla di lui. « Scusa », mi disse solamente, per poi correre a casa.

Tornai a casa non facendo altro che ripensare a quel momento, quel momento dove tutto sembrava andare in slow - motion e tutto fosse scomparso attorno a me, come se io e lui fossimo rinchiusi in uno spazio bianco senza via d'uscita. Quella sostanza di scossa elettrica nel mio stomaco mi fecero tremare le gambe e sudare le mani, al solo pensiero scossi la testa e cercai di liberarmene dai pensieri.
La cosa continuò per i giorni successivi e non ce n'era uno in cui non incontravo quel misterioso ragazzo dai capelli biondi tinti e carnagione scura, labbra incredibilmente carnose e occhi profondi come la pece. Ogni volta che incontrai i suoi occhi mi ci persi come se fossi caduto dentro un buco nero talmente profondo da non poter più risalire e ritornare indietro, era come uno stregone, uno che fosse in grado ogni volta di far attrarre gli occhi degli altri dentro i propri e mangiarseli. Già, il contatto visivo con lui fu la stessa cosa di come se volesse mangiare i miei occhi e impossessarsene, e non seppi il perché ma ogni volta con me sembrava riuscirci e non fallire mai, ed io provai sempre a oppormi ma ogni mio tentativo fu assurdamente inutile. Aveva un qualcosa che attraeva, come il magnesio.

E sdraiato sul letto, in quel preciso istante in cui i miei occhi caddero sul soffitto
e riuscirono a fissarlo penetrando il buio, mi domandai se fu lui il cambiamento alla mia monotonia giornaliera.

  
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