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Autore: Sereously    01/02/2014    1 recensioni
Storia nata per un contest: "La ragazza e.. la spada" di DARLLENWR.
Lilium è da sempre una ragazza vivace e allegra, energica, tanto che la madre teme non troverà mai posto in un'epoca così restrittiva per le donne come il XII secolo: corre, salta di qua e di là, cavalca Cisto più quanto spenda sui libri e si veste da maschio. Quando il padre torna dalla Settima Crociata, la piccola Lilì lo implora affinchè le insegni a combattere e così scopre la sua passione per il lancio dei pugnali. A 17 anni, gli unici uomini che Lilì frequenta sono i cavalieri del padre. La madre è preoccupata: a quell'età avrebbe dovuto già essere sposata. Così organizza una grossa festa per il suo diciassettesimo compleanno. Sarà l'occasione giusta per fare breccia nel cuore di qualche giovane?
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Giglio dalle spine di metallo
 



Lilium era sempre stata una bambina irrequieta. Da quando aveva imparato a camminare – aveva solo 9 mesi – non aveva più smesso. Era instancabile. Correva per il giardino, inseguita dall’enorme alano nero di nome Hans e non smetteva finché non le veniva fame. Allora si buttava a terra e faceva tremare il labbro inferiore, uggiolando come un cucciolo, e come per magia, Hans la raggiungeva, si sdraiava a terra per farla montare sulla schiena – l’alano misurava almeno 110 cm al garrese – e poi la scortava docilmente tra le gonne della madre, sempre molto indaffarata a dare ordini ai domestici affinché fosse tutto impeccabilmente pulito nel grande palazzo.

Quando la bambina arrivava in lacrime, in groppa di quel bestione, Marie, la madre, chiamava a gran voce la balia incaricata di badare alla piccola, Dalia, che giungeva di corsa e senza fare domande: prendeva in braccio Lilium, la quale smetteva all’istante di piangere, chiamava con sé Hans e spariva nelle cucine, dove provvedeva a sfamare la piccola.

La dolce Dalia era la sola che si occupava di Lilium: la svegliava, la lavava, la vestiva e la rimetteva a dormire. Quando era ancora in fasce l’allattava – lady Marie non aveva mai avuto latte da offrire alla figlioletta – la cambiava e la faceva giocare. Agli occhi di Lilium, era lei la sua mamma.

All’età di due anni, Lilium era alta 85 centimetri scarsi e pesava 12kg. La madre si era interessata solo un paio di volte alla salute della bimba, e cioè quando aveva preso il morbillo e quando una strana e incurabile febbre l’aveva avvolta nella sua stretta pericolosa, all’età di un anno. A quei tempi entrambe le malattie avrebbero stroncato la vita della maggior parte dei bambini, ma non Lilium. Lei ne uscì illesa, una sola cicatrice sul fianco sinistro, dov’era solita grattarsi durante il sonno.

I capelli mossi e biondi crescevano a dismisura e quando la bambina compì 7 anni, Dalia non sapeva più come acconciarglieli. Le cadevano lunghi e sbarazzini fino al sedere, a volte sciolti, a volte in una treccia altre volte in una semplice coda di cavallo.

E, a proposito di cavalli, pochi mesi dopo il suo ottavo compleanno, chiese alla madre che gliene facesse avere uno. La donna, sempre volta alla perfezione, le regalò un puledro maschio di razza Hannover, nero come la pece a cui la bambina diede nome Cisto.

Inutile dire che quando il giovane cavallo fece il suo ingresso dal cancello principale, selvaggio e strepitante, Lilium lanciò un urlo stridulo e gli corse incontro come avrebbe fatto con Dalia o con Hans.

“Oddio è stupendo!”, esclamò fermandosi a meno di un metro dall’animale.

“Lilì cara, non invocare il nome di nostro Signore, non ce n’è motivo, lo sapete..”, la riprese la balia con dolcezza.

“Scusate Dalia!”, annuì la bambina volgendo lo sguardo a terra. “Ma questo splendido cavallo è qui ed è tutto mio e.. posso toccarlo?”, chiese al giovane stalliere che lo manteneva quieto.

“Con molta calma, fategli vedere che non avete paura ma che ne avete rispetto.. milady”, aggiunse alla fine dopo un’occhiataccia da parte di Dalia.

La bambina allungò una mano decisa ma prudente, e quando finalmente toccò il muso dello splendido Hannover, quello sbuffò.

“Gli piaccio?”, chiese timorosa allo stalliere senza togliere gli occhi verdi da quelli neri del cavallo.

“Io credo proprio di sì, eh bello?”, sorrise il giovane dando una pacca sul collo all’animale.

Da quel momento, la bimba e Cisto diventarono una cosa sola. Lilium cavalcava al mattino, dopo colazione e prima delle lezioni di portamento, e al pomeriggio, prima e dopo le tre interminabili ore di istruzione generale tenute dall’incorruttibile madre Camille. Cavalcava anche di sera, ogni tanto, dopo cena, soprattutto d’estate, quando le giornate erano lunghe e calde.

All’età di 12 anni, la bambina dovette cominciare ad applicare i tanti insegnamenti di portamento impartitegli dalla madre. Infatti, durante il rigido inverno che seguì il suo compleanno, nel 1254, il padre tornò dalla settima crociata e tale ritorno fu motivo di grandi festeggiamenti. Egli era, infatti, uno dei soli 200 soldati che Enrico III d’Inghilterra aveva autorizzato a partecipare al fianco di Luigi IX di Francia ed erano quasi sette anni che non lo vedeva a causa di quelle battaglie. Quella sera, il cuore di Lilì – nomignolo usato spesso dalla balia – fece mille capriole.

Stava trottando con Cisto nei campi adiacenti alla corte quando si accorse di movimento sospetto sulla via principale che spuntava dalla città. Aveva spronato Cisto al galoppo e aveva raggiunto i limiti imposti dalla madre quando aveva scoperto fin dove si spingeva quando era a cavallo.

Vedendo le casacche dall’inconfondibile croce rossa, Lilì aveva galoppato contro vento fino alla corte, dove aveva lasciato Cisto incustodito per correre all’interno, nella sala Grande dove la madre spendeva la maggior parte del suo tempo, le gonne raccolte quasi fino al ginocchio, urlando che dei soldati stavano arrivando dalla strada principale.

La madre l’aveva guardata davvero per la prima volta, da che si ricordava. Quegli occhi azzurri, chiari e freddi come il ghiaccio, si erano sciolti appena nel sentire quelle parole.

“Sei sicura?”, aveva chiesto alzandosi e raggiungendola.

Lilium, i capelli che sfuggivano ad una crocchia improvvisata, il fiato corto e le gonne tutte sporche, aveva annuito vigorosamente. E a quel punto, la madre l’aveva lasciata senza parole. L’aveva stretta a sé, le braccia esili, ma indescrivibilmente forti.

“Oh, figlia mia..”, aveva mormorato accarezzandole i capelli.

Poi l’aveva lasciata, cominciando a dare ordini a destra e a sinistra, e uscendo di corsa dallo stanzone. Lilium rimase lì in piedi, ferma, scioccata da quella reazione. Il grosso alano la raggiunse qualche minuto dopo, leccandole la mano.

“Hans.. mia madre.. mi ha abbracciata”, mormorò pur sapendo che non l’avrebbe capita.

Poi sentì delle voci.

“… sei mancato a tutti marito mio. Ti ho aspettato per tanto tempo che ho quasi.. io ho quasi..”.

“Sono qui adesso Marie. Le guerre sono finite, non me ne andrò più”, rispose un vocione profondo, colmo di una dolcezza che Lilium si ricordava aver sentito troppe poche volte.

“Padre”, sussurrò quando lo vide affacciarsi al salone.

Era alto, ma meno di quanto si ricordasse. Aveva la barba più lunga di come se l’era immaginata e parecchie rughe inaspettate, ma gli occhi erano rimasti gli stessi: i suoi stessi occhi. Se c’era una cosa che aveva preso dal padre erano proprio quelli.

Quando s’incrociarono, li vide sgranarsi e appannarsi.

“Marie, quella è..”.

“È la nostra piccola Lilium”.

“Lilium..”.

“Padre!”, aveva singhiozzato lei prima di correre tra le sue braccia.

Quella stretta vigorosa, il calore benevolo che emanava e quell’odore che le era rimasto impresso per anni le fecero scendere parecchie lacrime.

Fu una serata di festa, come molte di quelle che seguirono.

A 14 anni, il padre le insegnò, su sua richiesta, a maneggiare la spada, ma nonostante fosse piuttosto abile, Lilium non poté ostentare fierezza nell’impugnarla. Si sentiva goffa e impacciata, una specie di impiastro buono a nulla. Un giorno buttò a terra la spada, una di quelle vecchie che il padre le dava per esercitarsi, e con un colpo secco spezzò in due la lama per la rabbia.

Quando la riprese in mano, l’arma spaccata le sembrò molto più facile da usare. La fece girare e rigirare tra le dita, ridacchiando mentre la faceva passare da una mano all’altra con una nonchalance da far venire i brividi.

“Allora la mia bambina è portata per i pugnali!”, ridacchiò il padre guardandola dalla balconata.

Marie lo raggiunse sorridendo, le mani posate con amore sulla pancia leggermente rigonfia. Eh sì, Lilium avrebbe presto avuto un fratellino o una sorellina.

Nei giorni che seguirono, il padre le spiegò come mirare e centrare un bersaglio con i pugnali. Poi fu il turno dell’arco, e Lilium se la cavò egregiamente. Batteva perfino lui. Derek era molto orgoglioso della sua Lilì, tanto che per il suo quindicesimo compleanno, le regalò due bellissime fondine dove riporre e nascondere i pugnali.

Poco dopo nacque la sorellina, Louise. La gioia dei propri genitori. Aveva grandi occhi blu, lo stesso colore confuso di tutti i neonati. Ma Lilium capì subito che quel blu sarebbe rimasto tale, scuro e intenso, e che la bambina, una volta grande, sarebbe stata molto simile al padr. E così fu, la piccola Louise arrivò a tre anni che già mostrava i segni distintivi dell’uomo: ricci capelli rosso scuro, labbra sottili e rosee e un corpicino robusto alto già un metro abbondante.

Intanto anche Lilium era cresciuta, bella e fiorente come poche ragazze potevano vantare. I lunghi capelli biondi avevano raggiunto le cosce e i grossi occhi verdi brillavano di una luce propria, un corpo minuto, poco meno di un metro e sessanta, ma formoso. I corpetti dell’anno precedente cominciavano ad andarle stretti, soprattutto sul seno. Era snella e agile, i suoi movimenti calcolati e sensuali e il suo animo combattivo e romantico.

Passava le serate a leggere, allenarsi o cavalcare e quando si prendeva una serata libera, andava in città a bere con i sottoposti del padre: Miguel, Christoph, Nickolas e Henry.

Quella sera, quando uscirono insieme a cavallo – Lilì odiava profondamente le carrozze – Miguel si azzardò a fare una battutina.

“Pensate a quando la nostra piccola Lilium sarà promessa in sposa a un panciuto duca o a un conte schizzinoso. Altro che cavallo, quelli ti faranno indossare le gonne dal mattino alla sera e te le faranno togliere solo per.. ouch!”, boccheggiò dopo aver ricevuto un violento calcio ad altezza costole.

“Io non andrò mai in sposa a bifolchi di quel calibro! Mio padre non lo permetterà”, disse lei cavalcando impettita.

“Christoph tu che ne dici? Ce la vedi a portare gonne e gonnelle e ad acconciarsi i capelli tutti i giorni?”, chiese Miguel al più giovane dei cavalieri.

Christoph la squadrò e scosse la testa. “Assolutamente no!”.

“Oh piantatela! Nessuno mi obbligherà a sposarmi, tantomeno mio padre! Sa benissimo quanto sia importante per me la libera scelta, non lo farebbe mai!”.

“Suvvia milady, non accettereste nemmeno se il promesso sposo fosse un aitante giovanotto? Dopotutto siete già in ritardo sulla tabella di marcia, in quel senso”, domandò Nickolas con il suo accento tedesco.

Lilium scosse il capo. “Per niente al mondo”, disse affidando il cavallo al solito ragazzino sveglio che li aspettava. “Mi raccomando Jack”, lo avvisò prima che scappasse nella stalla con Cisto al seguito.

“Ah meine lieber, ancora non avete capito come gira il mondo di voi nobili, eh?”, ridacchiò entrando nella locanda.

La musica e il chiasso della gente erano assordanti, ma Lilium si sentiva più a suo agio in quei luoghi, piuttosto che a corte, vestita di tutto punto e quasi imbalsamata.

Mentre il casino aumentava di minuto in minuto, pensò a sé stessa come promessa sposa di qualcuno. Di certo non era la vita che sperava, quella al fianco di un nobile ciccione e presuntuoso. Prese le birre che aveva ordinato e si diresse al tavolo, quando un uomo pesante e massiccio la urtò violentemente, facendogliele rovesciare.

“Ma dico io che modi!”, esclamò vedendo la chiazza di birra allargarsi sulle brache.

“Come scusa? Sono io che dovrei incazzarmi! Mi sei venuta addosso!”, esclamò il ragazzone voltandosi alterato.

Lilì era indispettita. Non era solita inviperirsi per risposte del genere, giù in paese parlavano tutti così, ma l’arroganza con la quale le si era rivolto era incredibile, degna di un nobile.

“Ma come vi permettete?”, chiese fulminandolo con lo sguardo e stringendo i manici dei boccali.

Quello però si era già girato e si stava dileguando tra la folla.

“Lilì tutto bene?”, le chiese Henry.

“No! Cristo! Che cafone, maleducato, ignobile!”.

“Ti sei accorta di com’è realmente Henry, Lilium?”, sghignazzò Miguel sentendola imprecare.

“Quel maledetto cafone! Dio sa se non gli spacco la faccia la prossima volta che lo vedo!”.

I quattro cavalieri risero. “Ed ecco a voi, signore e signori, la finissima lady Lilium Finnigan!”.

“E come direbbe Dalia: signorina, non chiamate in causa il Signore, non ha nessuna colpa per ciò che è vi successo”.

Scoppiarono a ridere tutti e cinque.

Mentre tornavano a casa, tutti quanti piuttosto ubriachi, Lilium rigirava i pugnali tra le dita come fossero stuzzicadenti. Era nervosa, incavolata nera con il maleducato che l’aveva travolta – e no, non aveva considerato nemmeno per un secondo che potesse essere il contrario.

Riportò Cisto nella stalla, strigliandolo e coccolandolo come faceva tutte le volte che gli dava la buonanotte. Quindi, barcollante, percorse il lungo corridoio che costeggiava i saloni principali e salì le lunghe scale fino a raggiungere le sue stanze.

Lì, chiuse a chiave la porta e si buttò a capofitto nel letto. Con il viso avvolto nelle coperte morbide e calde, allungò le braccia per slacciarsi i pantaloni e le scarpe. Impiegò un’eternità per spogliarsi, ma alla fine riuscì ad infilarsi sotto le coperte, quasi completamente nuda.

Il giorno dopo si risvegliò di soprassalto, sentendo qualcuno che sbatteva forte le mani contro la porta. Si trascinò fuori dal letto, portando con sé un cuscino per coprirsi il seno nudo.

“Louise..”.

“Lillum! Lillum! Devi pepa-atti!”, le urlò contro la bambina storpiando il suo nome.

“Louise, se non riesci a chiamarmi Lilium chiamami Lilì. O Lilli. Non Lillum”, borbottò ignorando la seconda parte della frase.

Si girò e tornò nel letto.

“LILLUM!”, gridò ancora a un metro dal letto.

“Che c’è?!”, sbottò la bionda, che aveva scoperto di avere un mal di testa post sbornia con i fiocchi.

“Devi pepa-atti! ‘tasea c’è a fetta!!”.

“Ma di che.. o diavolo!”.

“Milady! Ora ci mettiamo ad invocare anche il demonio? E di fronte ad una bambina?”, la rimproverò Dalia.

“E chi ti dice che il demonio non dimori in mia sorella?”, disse lei stuzzicandola e girandosi nel letto.

“Non dica assurdità signorina! E si copra, per l’amor del cielo, non siamo mica in un bordello!”, disse la donna prendendo in braccio Louise e uscendo.

Lilium sbuffò e rotolò giù dal letto, dall’altra parte rispetto alla porta. Gattonò fino al bagno e ci si chiuse dentro per un’ora. Era pur sempre una ragazza.

Quando ne uscì, i capelli raccolti in una coda – benché ancora in disordine –, un paio di mutande nuove e il corpo profumato, si stiracchiò, frugando nel cassettone per trovare i pezzi mancanti dell’intimo. Era ancora tanto addormentata che non si accorse delle due damigelle finché una di loro non parlo.

“Miss?”.

Lilium saltò per aria con un urlo. “Ma che diavolo..? Oh siete voi! Scusate, non vi avevo viste”, disse infilandosi il sotano, sottoveste bianca lunga fino alle caviglie.

“Oh, no lady Lilium, oggi dovete mettervi questi”, disse Hyacinte, la damigella dalla splendida capigliatura ramata, porgendole un sotano color panna dai bordi intrecciati con fili dorati.

“E perché?”, chiese poggiando le mani sui fianchi.

“Perché così ha disposto vostra madre milady”, disse Odette, la più vecchia delle tre.

“Bene, allora scusatemi, ma devo disquisire con mia madre”.

“Per favore..”.

“Spostatevi per favore”.

“Signorina, vogliate perdonarmi per la mia insolenza, ma non credo che disturbare vostra madre per codesto motivo a dir poco infantile sia una buona idea”, disse Odette.

Lilì s’infiammò. “Non credo che tu abbia ben presente la tua situazione Odette”, disse avvicinandosi. Era più bassa della damigella, ma non per questo incuteva meno timore. “Dopo che ti ho beccata a intrattenere rapporti non troppo consoni alla tua posizione in questa casa con tu sai chi, non penso che dovresti neanche lontanamente permetterti di pensare a correggermi chiedendo di perdonare la tua insolenza. Capito bene? E ora, se permetti, voglio parlare con mia madre, quindi o ti sposti tu o ti sposto io”.

Odette emise uno strano suono che sembrava un grugnito di disappunto, ma alla fine si scostò.

Percorrendo il corridoio per raggiungere la stanza da letto dei genitori, Lilium pensò che forse – solo forse – aveva esagerato un po’ con Odette. Una volta di fronte alla porta però, si convinse che aveva fatto solo bene.

Bussò. “Madre, sono Lilium. Posso entrare?”.

“Certo, entra pure tesoro”.

“Madre..”.

“Sei qui per l’abito, vero?”, le chiese la donna seduta davanti allo specchio mentre si incipriava il viso.

“Madre, sapete cosa ne penso”.

“Certo, ma tu sai cosa penso io, della tua femminilità”.

“Sì..”, mugugnò incrociando le braccia. Sua madre diceva che “la sua femminilità era come una rosa rossa: da sola era bella, ma in mezzo a tante altre rose bianche era stupenda.

“E allora perché non vuoi darmi questa magra consolazione Lilium?”.

“Madre.. non sono a mio agio agghindata in quella maniera! Mi sento oltremodo impacciata!”.

“Tesoro mio, non ti sei mai vestita così, perciò non lo puoi sapere. Per favore, fammi questo piccolo favore”, le disse prendendole le mani e guardandola negli occhi.

“Lo sai che non posso dirti di no quando mi guardi così”, mormorò la ragazza accennando a un sorriso.

Marie annuì. “La gioia di una madre nel vedere sua figlia compiere 17 anni è una delle poche soddisfazioni della vita. Te ne prego, figlia mia”.

“Va bene.. per oggi sarò la tua figlia femminile e posata, lo prometto”.

Marie le scoccò un bacio sulla fronte e sorrise. “Ora vai a prepararti, tra qualche ora arriveranno gli ospiti e io devo spiegarti un paio di cose”.

Lilium si congedò con un mezzo inchino, districandosi i capelli con le dita. Massì, in fin dei conti cosa poteva costarle comportarsi da donna per una volta?

--

Era pomeriggio inoltrato e gli ospiti stavano pian piano arrivando. Marie e Louise erano già al piano di sotto con i domestici, ad accogliere gli invitati, mentre Lilium era ancora di sopra, in camera sua.

Si guardava allo specchio, perplessa. In fin dei conti il vestito non le stava male: la sottoveste perlacea con decori dorati, la tunica di un bellissimo broccato rosso tiziano, decorato con arabeschi quasi iridescenti, dalle maniche lunghe e larghe, lo spacco su una gamba sola che mostrava il sotano lucido e leggero. Entrambe le vesti avevano uno scollo largo che lasciava intravedere le spalle e il collo lungo e flessuoso della ragazza. Ai piedi portava delle comodissime scarpette di cuoio, legate alla caviglia con un laccio di tessuto. La vita sottile era stretta da una corda di tessuto intrecciato e abbellito da laminette dorate.

Si era rifiutata di farsi incipriare com’era consono e sua madre aveva acconsentito: il suo incarnato già chiaro era stato solo spolverato di polvere rosa pallido e le gote appena sfiorate dall’usuale polvere rosa scuro. Sulle labbra un rossetto leggero – anch’esso rosa – che le faceva risaltare in tutta la loro perfezione.

I capelli erano stati raccolti in quattro trecce, due delle quali le giravano attorno al capo, andando a congiungersi con le altre due sul retro della testa, dove erano state fermate con delle grosse perle bianche, dello stesso colore del sotano. Alcune ciocche erano state lasciate cadere strategicamente ai lati del viso in semplici boccoli dorati. Dovette ammette che, nonostante non fosse il suo stile, la madre l’aveva fatta diventare una visione pur mantenendola semplice.

Qualcuno bussò alla porta.

“Sì?”, chiese lisciandosi la tunica.

“Lilium? Sono papà..”.

“Entra pure”.

L’uomo entrò, rimanendo abbagliato dalla bellezza della figlia. Le rughe dell’età si evidenziarono maggiormente quando sorrise. Si avvicinò e le prese le mani.

“Sei stupenda figlia mia. E profumi di..”.

“Giglio. Esatto”, sorrise lei. Portava il fiore nel nome e nel profumo.

“La mia bambina che giocava con le armi è diventata una donna”.

Lilium sorrise e scostò tunica e sottoveste, scoprendo la gamba snella e chiara. Attorno alla coscia era legata una giarrettiera di pelle alla quale erano fissati i suoi pugnali.

Il padre rise.

“Non me ne libererò mai”, mormorò facendo ricadere le gonne.

Il padre le lasciò un bacio sui capelli. “Mi raccomando, non farli vedere a tua madre”.

Lei scosse la testa sorridendo. “Non sia mai, le verrebbe un colpo. Devo già scendere?”.

“Sono arrivati parecchi ospiti, dovresti venire a salutarli”.

Lilì sbuffò. “Va bene, va bene arrivo subito”, disse tastando un’altra volta i pugnali sotto la sottoveste. “Ci sono, andiamo?”, chiese porgendo il braccio al padre, che l’avvolse con il suo.

Il grosso salone era affollato e il chiacchiericcio era assordante, ma Lilium sorrise, notando il raggiante sorriso della madre che mostrava agli altri la sua figlioletta elegante e dal portamento impeccabile. Non era mai stata gelosa della palese femminilità e compostezza di Louise, anzi, era contenta che le loro personalità fossero tanto diverse. E sapeva che la madre la considerava una seconda possibilità, ma non le importava. Lei aveva suo padre: le aveva insegnato a combattere mentre prendeva lezioni di portamento e adesso, all’occorrenza, poteva essere una moglie perfetta e una valorosa combattente.

I giullari di corte si stavano preparando per intrattenere gli ospiti, a un cenno della padrona di casa. Mancavano ancora parecchi ospiti stando a quanto aveva capito. Si avvicinò alla madre.

“Madre..”.

“Oh, figliola, voglio presentarti Lord FitzWalter e sua moglie Lady Marianne FitzWalter. Lei è mia figlia Lilium”, disse poggiandole una mano alla base della schiena.

“Milady Finnigan, è un onore conoscervi, siete incantevole”, disse l’uomo panciuto e baffuto baciandole il dorso della mano.

Lilium si limitò a chinare il capo e piegarsi leggermente sulle ginocchia. “Lady Marianne è un onore fare la vostra conoscenza”, disse inchinandosi.

“Marie cara, che figlia deliziosa che avete”, disse svelando un sorriso un po’ storto. Era bassa e decisamente tozza, ma sembrava sincera e simpatica.

“Lilium cara, vai pure a fare conoscenza, ti raggiungo a breve”.

“Certo madre. Lord FitzWalter, Lady FitzWalter”, si congedò tirando un sospiro di sollievo.

Nell’ora che passò, la madre la esibì come un gioiello prezioso – non che la cosa le desse fastidio – a parecchie famiglie rilevanti, tra cui gli Strabolgi, i Camoys, i Wharton e i Cromwell. Tutti bene o male gentili ed educati, a modo loro. Soprattutto il figlio dei Cromwell. La zazzera bionda di capelli lisci cadeva sulla fronte appena sopra gli occhi neri e le sopracciglia folte. Le due labbra sottili e rosate erano sempre tese in un sorriso.

“Milady Finnigan, spero non mi giudichiate troppo sfrontato a elogiare la vostra bellezza, poiché siete una delle più belle fanciulle che abbia mai visto”.

Inutile dire che, nonostante la sua compostezza, Lilium arrossì violentemente.

“Non vi preoccupate Lord Cromwell..”.

“Oh, vi prego, chiamatemi Luke”.

“Luke.. nessuna sfrontatezza, non temete”.

Quello sospirò. “Oh, milady, beato colui che della vostra bellezza potrà bearsi per il resto della sua umile vita. Il promesso è qui, milady? Non vorrei creare disagi”.

“No, no lord.. Luke. Non sono ancora stata promessa in sposa a nessuno”.

Il viso di lui s’illuminò.

“E, di grazia, voi avete preso di mira qualcuno qua dentro?”.

Alle audaci parole del ragazzo, Lilium sorrise. “Non ancora, no”.

“Allora permettetemi di provare a entrare nelle vostre grazie, lady Finnigan”.

“Lilium, chiamatemi Lilium”.

“Lilium, non è per caso il nome latino usato per indicare quel bellissimo fiore che è il giglio?”.

“Corretto. Vi intendete di botanica per caso?”.

“Oh, Lilium, io mi intendo di pa..”.

“Cugino!”.

Una voce già sentita punzecchiò le orecchie di Lilium.

“Lady Lilium, permettetemi di introdurvi mio cugino, sir Damien Ward. Cugino, la signorina è la figlia della castellana, Lilium Finnigan”.

La giovane impietrì al riconoscere i lineamenti del giovane sopraggiunto.

“Voi.. voi siete..”.

“Onorato di fare la vostra conoscenza, milady”, disse quello inchinandosi e profondendosi in un delicato baciamano.

Poi le scoccò un’occhiata più che eloquente.

“L’onore è mio, sir Ward”.

“Io e lady..”.

“Luke! Luke, caro, tua madre ti da per disperso. Vorrebbe presentarti una persona”, disse il padre del ragazzo. “Oh, salve Damien, ho visto tuo padre poco fa, ha già fatto incetta di vino e stuzzichini, eh?”.

Quando Luke si schiarì la voce, il barone si accorse di Lilium. “Oh, milady, mi scusi, non l’avevo vista”.

Lei scosse la testa poi congedò i due Cromwell con un cenno della testa.

Ora veniamo a noi, sir Ward, pensò girandosi.

“Lady Lilium”, l’anticipò lui prendendola a braccetto. “Devo ammettere che vestita come si confà ad una donna del vostro rango siete molto più attraente. Quelle braghe non vi donavano per niente”, sghignazzò con eleganza.

“Sir Ward, credo che mi stiate confondendo con qualcuna delle paesane che deduco abbiate visto per il paese”, negò con naturalezza.

“Certo che no milady, ho una memoria perfetta. Soprattutto se si parla di ammalianti donzelle quale siete voi”, le sussurrò mentre camminavano a braccetto.

Lilium arrossì, suo malgrado, ma non si sentì per niente lusingata per tale complimento.

“Anch’io ho sempre vantato un’ottima memoria, e mi ricorderei del vostro viso se l’avessi già visto”.

Eccome se se lo ricordava: gli zigomi pronunciati che spiccavano sul viso fievolmente ambrato, gli occhi azzurri dalle lunghe ciglia che quella sera si erano posati su di lei con fervore. I capelli ricci e scuri che scendevano sulla fronte e solleticavano le tempie. Non poteva certo dimenticarsi di un volto del genere.

E la corporatura solida e muscolosa contro cui era andata a sbattere non era roba da tutti i giorni. Le gambe lunghe e robuste, le braccia spesse e forti che l’avevano afferrata con un movimento automatico. No, decisamente non si sarebbe potuta scordare un’esperienza del genere.

Voi.. voi siete..”, le fece il verso. “Lady Finnigan, perdonate la mia insolenza, ma l’ho visto nei vostri occhi che mi avete riconosciuto. Perché vi ostinate a negarlo?”.

“E va bene, vi ho riconosciuto. Con ciò? Dovete ancora chiedermi scusa per la birra che mi avete fatto rovesciare!”.

“Che ardire avete, milady, nel sostenere che sia stata colpa mia”.

“Perché sir Ward? Avete una diversa teoria?”.

“Certo. Voi eravate con la testa per aria e mi siete venuta addosso”.

“Come sarebbe a dire?”, esclamò lei indignata.

Non ci fu il tempo per continuare la conversazione, perché lady Finnigan richiamò l’attenzione di tutti.

“Signori e signore, vi prego di accomodarvi alla nostra umile tavola. Il pasto verrà presto servito”.

La grossa, immensa tavolata era disposta a U e, al fianco del padre, Lilium poteva benissimo vedere sir Ward e lord Cromwell.

La carne che arrivò placò la sua ira e la sua fame contemporaneamente. Il vino era delizioso, ma Lilium si fermò al terzo bicchiere. Il padre interloquiva animatamente con i suoi ospiti e mangiava come non aveva mai fatto prima.

I giullari ballavano, cantavano e suonavano per intrattenere grandi e piccini. Lilium notò che gli sguardi dei più giovani – e quelli ancora celibi – la sfioravano a tratti. Non era stupida, sapeva che i genitori avevano organizzato quella festa affinché potesse scegliere un consorte, eppure si sentì leggermente tradita dal padre.

Quando i buffoni tirarono fuori la ruota, Lilium si rianimò. Era la ruota della dea bendata: uno dei buffoni veniva legato sulla superficie mediante appositi lacci di cuoio e la ruota veniva fatta girare. Quindi, gli altri due buffoni si sfidavano a chi riusciva a non colpirlo.

Lilium si alzò, facendo quasi cadere la sedia all’indietro, e si rese conto di avere l’attenzione di tutti. Sapeva che ciò che stava per fare non le avrebbe giovato, ma si sentiva un’inutile pedina.

“Lilium, tesoro, qualcosa non va?”, le chiese la madre.

“ Tutto bene, madre cara”, disse dirigendosi verso la ruota, girando attorno al tavolo. “Voglio solo giocare”, mormorò una volta raggiunti i saltimbanchi.

“Messeri, mi concedete l’onore di questo giro?”, chiese cordiale.

Quelli si guardarono tra di loro perplessi. Poi quello che sembrava il “capo” annuì e le porse il suo cesto di pomodori.

Lilium lo afferrò e si girò verso la sala. “Qualche gentilissimo ospite vuole fare da cavia?”, chiese con un enorme sorriso.

I presenti la guardavano sorpresi, chi in bene, chi in male. La madre era scioccata, Louise rideva battendo le mani e il padre aveva un’espressione tutt’altro che contrariata.

“Se milady vorrà accettare la mia offerta, vorrei accogliere questa sfida”, disse Damien Ward alzandosi.

“Non disdegnerò certo il vostro coraggio sir Ward, ma siete pronto a stare alle mie condizioni?”.

“Lilium!”, esclamò la madre ormai bianca come un lenzuolo – e non per la cipria.

Damien sorrise, anzi ghignò. “Starò alle vostre condizioni lady Finnigan”, disse appoggiandosi alla ruota.

“Legatelo”, ordinò la ragazza.

Mentre i giullari assicuravano polsi e caviglie del ragazzo, Lilium si voltò verso la tavolata.

“Come avete sentito, sir Damien Ward ha accettato la mia sfida, alle mie condizioni. Perciò, miei amabili ospiti, vi chiederei l’onore di usufruire di 10 dei vostri migliori pugnali”.

Dalla sala si levò un verso di sorpresa e sir Damien sussultò visibilmente.

“Oh Signore Santissimo!”, esclamò Marie sentendosi svenire.

Le dame guardavano un po’ la castellana e un po’ la figlia, mentre i signorotti borbottavano tra loro.

“Sarò ben lieto di offrirvi il mio pugnale, milady”, disse lord Strange, un uomo basso e grasso dai lunghi capelli grigi, poggiando la sua arma sul tavolo di fronte a sé.

Lilium si spostò leggiadra e lo prese in mano. “E siamo a uno. Chi altri vorrebbe onorarmi di questo dono?”.

I genitori di Damien avevano il terrore negli occhi, e così anche la famiglia del cugino, e imploravano i presenti con lo sguardo di non cedere, ma alla fine saltarono fuori altri nove pugnali.

Damien era piuttosto inquieto. Una donna con in mano un’arma? Di certo non era un’immagine nota.

“Sir Damien, ve la sentite di portare avanti la sfida?”, chiese fissandolo dritto negli occhi.

Lui deglutì più volte prima di annuire.

“Bene!”, esclamò lei. “Allora si comincia!”.

Tutti i presenti avevano il fiato sospeso, perfino Louise stava zitta.

Lilium si posizionò a 5 metri dalla ruota, alzò il primo pugnale e fece cenno ai giullari di far girare la ruota.

Mentalmente, Damien si fece il segno della croce.

La ragazza mirò e lanciò. Il primo pugnale rischiò di infilzare il piede di un giullare. “Ops!”, esclamò ridendo.

La madre di Damien impallidì. Il secondo pugnale, lungo e sottile, volò sopra la ruota.

“Accidenti”, mormorò Lilium imbronciandosi egregiamente.

Il terzo e il quarto si conficcarono rispettivamente sulla base della ruota, la parte ferma, e sulla parte superiore.

Mentre la tavolata rischiava di morire asfissiata per l’ansia, Lilium tirò anche il quinto, il sesto e il settimo pugnale. Uno rimbalzò sul pavimento a un metro dalla ruota, uno scheggiò la ruota a qualche centimetro dalla mano di Damien e l’altro si piantò per terra, in mezzo alle gambe di un giullare che, realizzando, svenne.

L’ottavo pugnale trovò spazio nel muro, mentre il nono andò a finire ai piedi di una tenda.

Lilium alzò l’ultimo pugnale. Vide che Damien aveva perso il suo bel colorito e sembrava quasi verde. Lo guardò negli occhi mentre scagliava l’ultimo pugnale.

Damien rischiò seriamente di farsela sotto quando una violenta vibrazione gli sfiorò l’interno coscia, davvero troppo vicino ai gioielli. Lilium sorrise. Forse avrebbe finalmente abbassato la cresta.

Si girò per recitare un copione che si era appena inventata, ma la voce di Damien, appeso alla ruota che girava ancora, la richiamò.

“Beh, non male per una donna. La fortuna stavolta era dalla vostra parte, milady..”.

Non fece in tempo a finire la frase che due stiletti lucidi e affilati gli saettarono contro, conficcandosi nel legno a destra e a sinistra della sua testa, all’altezza delle orecchie.

La madre di Damien ebbe un mancamento e l’intera sala reagì con un grido strozzato.

Lilium aveva le gambe divaricate, la sinistra che sporgeva dalla sottoveste, svelando la giarrettiera di cuoio, il busto girato verso il signorino e le braccia tese nella sua direzione, i muscoli ancora febbricitanti per l’adrenalina del tiro.

Louise cominciò a battere le manine, ma la madre la fermò.

I giullari slegarono Damien timorosi. Il ragazzo scese e sfilò i due pugnali di Lilium dal legno duro della ruota.

Si voltò, lo sguardo duro e agghiacciante, e camminò lentamente verso la bionda ora volta completamente nella sua direzione.

Il padre di Lilium si alzò, temendo una violenta reazione da parte del signorino dalla irascibile fama.

Invece lui si fermò, s’inginocchiò ai piedi della ragazza e la guardò negli occhi. “Posso?”, chiese mostrando i pugnali.

Lilium, dopo un attimo di tentennamento, scoprì la gamba per lasciare che il moro rinfilasse i pugnali nella giarrettiera.

Una volta in piedi, Damien si rivolse al padrone.

“Signore, vorrete scusare la mia improvvisa e quantomeno importuna richiesta. Permettetemi di chiedere la vostra benedizione..”.

“A quale titolo sir Ward?”, domandò sorpreso Derek.

“Vorrei chiedere la mano di vostra figlia, mio signore”.

Oh, quello di certo Lilium non se l’aspettava, né tantomeno il resto della sala.

“Figliolo caro.. quella ragazza ha appena cercato di infilzarti!”, disse la madre che aveva ripreso colore.

“Madre cara, in tutti questi anni ancora non avete compreso il mio animo?”, chiese per poi voltarsi verso una Lilium senza parole. “Qual è il fascino di una rosa, se non le spine? Qual è il fascino di una donna, se non il carattere, l’anima che porta dentro, costretta ad essere celata al mondo per rispettare stupide regole? Costretta ad essere celata come le lame che porta sotto le gonne”, mormorò avvicinandosi a Lilium che, nel frattempo, era arrossita tremendamente. “Sei voi, madre, non ne capite il fascino, non vi corrucciate poiché non è vostro compito farlo. Vi chiedo solo di approvare questa mia decisione, sapendo che il mio cuore non potrebbe resistere ad una vostra opposizione”.

La donna lo guardò seria, poi sfiorò l’erede Finnigan con lo sguardo più intenso che avesse mai usato.

“Così sia, figlio mio adorato. Dopotutto, una rosa ha le spine per essere maneggiata con maggiore cura. Cosa impedisce a questo splendido giglio di procurarsi delle spine proprie?”, disse con un sorriso.

Fu nuovamente Damien a parlare. “Lady Lilium Finnigan, mi fareste l’onore di diventare la mia sposa?”.

A Lilium ci volle un minuto per carpire le parole e interpretarle. Quindi incatenò il suo sguardo smeraldino a quello ceruleo del ragazzo e annuì. “Certo, purché mi promettiate di non rovinarmi alcun abito con la vostra birra, signore”.

Damien sorrise, un sorriso a 32 denti, e si chinò per sollevare la ragazza dal suolo e baciarla. Lilium ricambiò il bacio con ardore, mentre tutto intorno tornava ad aleggiare un’atmosfera di festa.

Quando si girò a guardare la madre, la vide in lacrime e le si avvicinò velocemente.

“Mi ero sbagliata figlia mia”, disse la donna carezzandole una guancia.

“Come dite madre?”.

“Sei la donna più bella e femminile del mondo, con o senza gonne, con o senza trucco. Ti basta essere te stessa”.

--

Il giorno del matrimonio fu indimenticabile.

Lilium indossava un vestito bianco, stretto in vita da una corda dorata, le spalle scoperte e la sottoveste color avorio che spuntava dagli orli ricamati con fili d’oro. I capelli le erano stati raccolti in una morbida pettinatura che si chiudeva dietro la testa grazie a fermagli fatti con fiori di giglio e sottili nastri di seta bianca che si districavano tra le ciocche bionde come il grano. Dalla parte sinistra del capo scendeva un lungo ciuffo ondulato che andava ad appoggiarsi sulla spalla in morbidi riccioli. Un leggero velo bianco le ricadeva sul viso, celando il suo naturale splendore, lasciato libero da sciocchi ideali di bellezza come cipria e rossetto.

All’altare, Damien si commosse quasi nel vederla avanzare nella navata, così raggiante e sensuale nel suo vestito bianco. Il bouquet, neanche a parlarne, era composto da rigogliosi gigli bianchi colti da poco.

Quando fu il momento di scambiarsi gli anelli, Damien afferrò la sua spada e la porse a Lilium, la quale a sua volta gli consegnò uno dei suoi pugnali. Una leggera risata scosse la chiesa quando Lilium incontrò qualche difficoltà ad infilare l’anello al dito di Damien.

Il bacio di fine rito fu il più bello e romantico che Lilium avesse mai ricevuto. Dopo le congratulazioni e i baci e le lacrime, fu il momento per i due ragazzi di ritirarsi. Mentre Damien la conduceva nelle proprie stanze tenendola tra le braccia con fare cavalleresco, Lilium realizzò davvero per la prima volta che da quel momento avrebbe potuto essere sé stessa per tutta la vita.

E tutto questo grazie alla sua abilità nel maneggiare un’arma. Anzi due. Si rese conto che i due pugnali dalla lama finemente lucidata e perfettamente affilata che portava nella giarrettiera di cuoio anche in quel momento, le avevano appena salvato la vita.

E l’avrebbero fatto ancora.

   
 
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