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Autore: Nithien    02/02/2014    2 recensioni
Una notte un bimbo rimane intrappolato nel suo incubo e vede le sue peggiori paure diventare realtà. Insieme al suo orsacchiotto Patcha, diventato un gigantesco orso, deve cercare di ritrovare la sua mamma.
"All'improvviso un movimento attirò il suo sguardo in alto, dove il soffitto ricoperto di stelline fosforescenti si stava allontanando vorticosamente, diventando un oscuro cielo con nuvole incombenti. Le lunghe ombre proiettate dal fascio di luce della porta si animarono e lente, inesorabili, cominciarono a strisciare ai limiti del campo visivo di Tim."
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tim era già sotto le coperte, il piccolo orsacchiotto di pezza Patcha stretto tra le braccia, pronto per ricevere la ninna nanna e il bacio della buonanotte dalla sua mamma.
Era sempre stanca, lei. Tornava a casa tardi ogni sera con delle ombre scure sotto gli occhi grandi e gentili. - E' colpa del lavoro.- diceva la nonna. Ma la mamma trovava sempre il tempo per metterlo a letto e cantargli una canzone per farlo addormentare.. Sempre.
Tranne quella sera. Le occhiaie erano ancora più profonde mentre la donna spegneva la luce - Dormi, piccolo mio. Mamma è stanca.-
Una carezza veloce e la porta era tornata a socchiudersi, lasciando entrare un solo e sottile raggio di luce che riempì la stanza di lunghe ombre
Con gli occhi lucidi fissi sul buio pieno di Cose intorno a sé, Timothy si raggomitolò sotto il piumone, cercando di non piangere.
Passarono minuti, che parvero ore, mentre il bimbo cercava di chiudere gli occhi per dormire, senza riuscirci. Il suo sguardo veniva sempre attirato dal buio, alla ricerca delle Ombre che lo terrorizzavano.
All'improvviso un movimento attirò il suo sguardo in alto, dove il soffitto ricoperto di stelline fosforescenti si stava allontanando vorticosamente, diventando  un oscuro cielo con nuvole incombenti. Le lunghe ombre proiettate dal fascio di luce della porta si animarono e lente, inesorabili, cominciarono a strisciare ai limiti del campo visivo di Tim.
Tremante, il piccolo strinse a sé il suo Patcha, serrando gli occhi e premendo il suo volto sulla pezza sotto l'occhio sinistro dell'orsacchiotto in cerca di conforto.
Quando li riaprì la sua stanza era scomparsa, lasciando il posto ad una cupa foresta delirante, i cui unici colori erano il viola e il blu cupo, che vorticavano senza sosta affondando nelle ombre nere degli alberi davanti a lui.
Anche il suo letto era svanito, sostituito da due possenti e pelose zampe dalla stretta delicata. Tim guardò in alto col respiro affannoso, incontrando gli occhi castani e profondi di un orso bruno con una lunga cicatrice che gli deturpava il lato sinistro del muso, partendo dall'arcata sopraccigliare fino alla mandibola.
- Patcha. Dov'è la mamma?-
Con gentilezza il gigantesco orso lo appoggiò a terra per poi indicare con un lungo e temibile artiglio la nera oscurità della foresta.
Il piccolo scosse la testa, abbracciando la grande zampa. Le Ombre lo spaventavano, non voleva entrare là dentro, ma un colpetto del naso di Patcha riuscì a dargli un po' di coraggio. Timothy si voltò e lentamente, un passo dopo l'altro, cominciò a dirigersi verso gli alberi, con l'orso possente che un tempo era stato il suo orsacchiotto di pezza al suo fianco.
Il sentiero si perdeva nell'oscurità piena di bisbigli e di movimenti.
- Dov'è la mamma?- chiese ancora il bimbo con un filo di voce. Nessuna risposta venne dal silenzioso orso, che si limitò a sbuffare il direzione del sentiero dissestato che stavano percorrendo. Un movimento troppo vicino nell'oscurità ai fianchi del sentiero spaventò Tim, che affondò una manina nel pelo folto di Patcha con un urlo soffocato in gola.
Lui voleva la sua mamma. Aveva freddo, aveva paura e voleva la sua mamma. Tutto quello che sapeva era che lei era in fondo a quel sentiero brutto e spaventoso pieno di Ombre che continuavano a seguirli tra gli alberi.
I movimenti tutt'intorno si erano fatti sempre più vicini e frequenti, così come i bisbigli che a volte parevano venire direttamente da dietro di loro, parole sconosciute che facevano venire i brividi lungo la schiena di Timothy e che lo facevano girare pieno di timore alla ricerca dell'origine di quelle voci terribili. Anche Patcha si era fatto più guardingo, gli occhi scuri che rilucevano nel buio mentre scrutava attorno a sé alla ricerca di eventuali pericoli.
Camminarono a lungo e senza pause, anche se a Tim non sembrava di spostarsi affatto. Il paesaggio intorno a loro non mutava mai, mentre il sentiero sembrava uno di quei tappeti che giravano su cui correva sempre il suo papà invece di giocare con lui o di stare con mamma. Girava e girava senza portarli da nessuna parte.
Ogni volta che cercava di fermarsi per riposarsi piagnucolando, Patcha glielo impediva con un piccolo brontolio e con un’altra spinta del naso umido contro la sua schiena.
"Non abbiamo tempo" sembravano dire quegli occhioni scuri tanto diversi da quelli grigio-azzurri del bambino. Così riprendevano a camminare, passo dopo passo, in quel paesaggio sempre uguale. L'unica cosa che sembrava cambiare era la dimensione del sentiero, che si andava a restringere sempre di più dopo ogni curva tortuosa, con la vegetazione morta che invadeva sempre di più lo stretto passaggio.
Non ci volle poi molto prima che fosse impossibile per Tim camminare al fianco del suo orso, così dovette camminare davanti a lui, senza nessuno scudo contro le Ombre che lo aspettavano. Quando esitava il tocco caldo e gentile del muso di Patcha lo aiutava ad andare avanti, ricordandogli che non era solo in quell'incubo.
Il cielo, che gli piaceva tanto guardare quando era con la sua mamma, non lo rassicurava più, invaso da cupe nuvole con riflessi viola e artigliato dalle dita ricurve degli alberi secchi tutt'intorno a loro.
Timothy si costrinse di nuovo a non piangere pensando alla mamma. Doveva essere forte, doveva trovarla. Poi avrebbero trovato il modo per andare via di lì. Sì, ci sarebbe riuscito.
Strinse forte i piccoli pugni, sollevando il mento e stropicciandosi gli occhi per togliere le lacrime che voleva scacciare. Le Ombre non gli avrebbero fatto più paura.
Fece un deciso passo avanti, affrontandole non più a testa bassa, ma guardandole direttamente.
Un urlo soffocato parve venire dall'oscurità viva che permeava la foresta, serpeggiando tra i cespugli di rovi e i tronchi, per poi salire di qualche ottava e interrompersi davanti a loro. Lingue d'ombra strisciarono verso il piccolo e il suo orso, che avanzò fino a coprire Tim con le sue zampe anteriori, mentre un ringhio basso proveniva dalla sua gola. Le ombre si unirono a pochi metri da loro, vorticando ed elevandosi come alla ricerca di una forma precisa, mentre bozzi e protuberanze lottavano per emergere al di sotto della superficie nera come il vuoto. Il passaggio era bloccato da quella forma e tornare indietro era fuori discussione. La sua mamma era alla fine di quel sentiero e qualcosa gli diceva che c'era quasi. Timothy provò a fare un passo avanti verso  l'Ombra, ma una zampa di Patcha lo trattenne. Non era il momento. Doveva aspettare.
Il bimbo alzò lo sguardo alla ricerca degli occhi rassicuranti dell'orso, ma non riuscì ad incontrarli. Patcha scrutava con attenzione ogni movimento dell'Ombra, che sembrava aver deciso che forma assumere. Lentamente, una zampa possente ed enorme si posò sul terreno, lunghi artigli si conficcarono nel terreno secco e arido del sentiero, strappando le radici morte di cespugli scomparsi da tempo. Il corpo di un orso nero come la pece si definì sotto il loro sguardo, fino a completare la testa altrettanto nera e massiccia. Un dettaglio fece salire il cuore in gola a Tim.
Non aveva occhi. Non aveva anima. Era come un involucro vuoto.
Il bambino dagli occhi grigi percepì la stessa tensione in Patcha, che di fronte a quel mostro sembrava essere tornato alle dimensioni dell'orsacchiotto di pezza che era in quella realtà così lontana.
L'orso senz'anima si accucciò in posizione d'attacco, mentre un suono metallico proveniva da quella che sarebbe dovuta essere la sua gola, ma prima che potesse scattare Patcha l'aveva già assalito. Con un lungo balzo aveva sorpassato Tim e aveva diretto le sue lunghe zanne alla gola del mostro, che però aveva intercettato il suo attacco con una potente zampata.
Fra righi e stridii metallici, i due orsi, pelliccia castana e pelliccia nera che si fondevano insieme, si scambiarono colpi talmente terribili da scuotere il terreno e far barcollare Timothy.
Finalmente Patcha riuscì a sfondare la guardia dell'altro orso e ad azzannargli la gola per poi scaraventarlo al di fuori del sentiero, facendolo atterrare tra i rovi.
L'orso bruno rimase solo e ansimante sulla striscia di terra libera dalla vegetazione, una zampa ferita sollevata da terra e altri squarci sul resto del corpo, da dove colava un sangue denso e scuro. Un solo sguardo corse tra i due. "Ci vedremo ancora" sembravano dire quegli occhi velati dal dolore. Tim annuì serio, le lacrime che premevano per uscire.
Patcha chinò il grosso capo per poi gettarsi nella vegetazione e continuare la sua lotta contro l'Ombra.
Rimasto solo contro il buio il piccolo Timothy si fece coraggio. - Arrivo mamma.- in pochi secondi si ritrovò a correre sul terreno sconnesso, percorrendo quel sentiero che finalmente sembrava portare da qualche parte: in fondo, quasi indistinta tra gli artigli dei rovi, si intravedeva una radura.
Aumentò la velocità, tanto quanto le sue piccole gambe gli premettevano, avvicinandosi sempre di più. Una figura sembrava seduta, appoggiata con la schiena contro un grosso masso, ma si accasciava da un lato, come se non avesse la forza di reggersi. Ancora pochi passi e fu all'interno della cupa radura. La sua mamma, le ombre sotto gli occhi talmente scure da renderla quasi uno scheletro, era lì davanti a lui. Un profondo e possente ringhio venne dalle spalle di Tim, segno che la lotta dei due orsi si stava avvicinando. Con il fiato corto Timothy si costrinse a correre verso la donna esausta e distrutta.
- Mamma!!- con le piccole manine il bimbo accarezzò il volto di sua madre, per poi scuoterla dolcemente per le spalle - Mamma, svegliati!!- le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento sgorgarono, inondandogli le guance. Affondò il viso nel'incavo della spalla della sua mamma, piangendo sommessamente.
- Shh... Va tutto bene...- una mano delicata lo accarezzò sulla nuca, mentre due braccia lo strinsero forte. - Sono qui, piccolo mio.-
Tim si tirò a sedere di scatto sul letto, le coperte disfatte tutt'intorno a lui. Era di nuovo nella sua stanza immersa nel buio, ma le ombre non lo spaventavano più. Le cose che vedeva nei suoi incubi erano solo vestiti, giocattoli, oggetti inanimati. Spostò la mano sulle coperte ed incontrò qualcosa di morbido e peloso. Lo prese e riconobbe il suo orsacchiotto Patcha. Nuove pezze erano comparse sul suo corpicino imbottito. Tim sorrise: erano di nuovo assieme.
Un singhiozzo sommesso arrivò alle sue orecchie, seguito da un altro e da un altro ancora.
Timothy scese dal letto e a piedi nudi percorse lo spazio che lo separava dalla porta, mentre i singhiozzi continuavano e provenivano dalla camera da letto della mamma.
Si affacciò lentamente e vide la sua mamma seduta per terra con la schiena appoggiata al letto, la testa tra le mani e le spalle scosse da continui singulti.
- Mamma..?- con esitazione il bimbo fece qualche passo in direzione della donna, tenendo Patcha stretto tra le braccia.
Lei sollevò subito il volto, cercando di asciugarsi gli occhi gonfi e arrossati. - Tim, piccolo, perché sei ancora sveglio?- disse, cercando di sorridere. - E' tardi, dovresti dormire.-
Tim guardò il suo orsacchiotto, pensando a quello che avevano passato quella notte, e poi sollevò lo sguardo su quella donna sempre stanca ma che per lui c'era sempre stata. Mosse gli ultimi passi verso di lei, porgendole il suo Patcha.
-Tienilo, mamma. A te serve di più.-
Lei sgranò gli occhi, alternando lo sguardo dal piccolo orsacchiotto agli occhi seri di suo figlio. Altre lacrime scorsero sulle sue guance, ma le ombre sotto i suoi occhi sembravano diminuite. Allungò le braccia e strinse il suo bimbo al seno, un sorriso sulle labbra.
  
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