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Autore: Emily Doe    28/11/2004    14 recensioni
I tempi di Hogwarts per i nostri eroi sono terminati, la guerra infuria ed un particolare incontro tra Hermione e qualcuno che non vedeva da molto, molto tempo, potrebbe cambiare le sorti di tutti. Perché nessuno ha mai capito... e non potrà mai esserci qualcosa di più difficile.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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NdA: Prima di iniziare, credo sia doveroso specificare una cosa. CIBAH è una vecchia storia. E per 'vecchia storia' non mi riferisco solo alla data che vi compare - anche perché il periodo di 'postatura' è stato successivo a quello della stesura -, non mi riferisco solo al fatto che risalga in pratica ai miei 'esordi' da fanwriter. CIBAH è una vecchia storia, e presenta molteplici difetti, difetti che neppure una riscrittura potrebbe eliminare, perché riscriverla significherebbe semplicemente scrivere un'altra storia, e non 'correggere' questa. Difetti che, vista così, forse non ho il coraggio di provare ad eliminare *che ci volete fare, sono sentimentale :)*.
Sto rileggendo *e non so quando finirò* capitolo per capitolo, rabbrividendo per ogni sciocchezza XD, eliminando refusi, errori di battitura e di punteggiatura, ma fondamentalmente, CIBAH rimane lei. Volevo solo avvisare l'incauto avventore che si trovasse a voler leggere questa storia ^^.
Per il resto, ci tengo a ringraziare chiunque mi abbia lasciato un commento, mi abbia mandato una mail, mi abbia fornito consigli e pareri nel corso di anni, chiunque abbia segnalato questa storia per le Storie Scelte (cosa per cui mi vergogno ancora ^^'), etc etc, dimostrando per questa fanfiction un attaccamento ed un affetto *c'è chi capirà ^^* che mai avrei potuto immaginare, e che reputo del tutto immeritati. Grazie, davvero.
Tutto qui :)





Could it be any harder?








Capitolo 1° “Invincibile ai miei occhi”

You left me with goodbye and open arms
A cut so deep I don’t deserve


Per la settima strada del quartiere chiamato Petersfield regnava pace e calma. Era pomeriggio inoltrato, non c’era nessuno fuori, alcuni uccellini cinguettavano tiepidamente sugli alberi, nei loro nidi, in quei nidi che avrebbero abbandonato tra qualche giorno per migrare verso un paese più caldo. Non si sentivano chiacchiere o rumori molesti, la calma regnava sovrana in quel vicolo fiorito, nulla sembrava poter spezzare l’armonia di quel luogo.
Ma, paradossalmente, tutte le cose belle sono destinate a finire.
Un grido squarciò l’aria carica dei colori ormai autunnali. Il suono proveniva da una villetta di quella strada, piccola e confortevole, circondata da un modesto giardino fiorito.
Un rumore di passi affrettati. Urtando il tavolino con il telefono che si trovava nel corridoio del piano superiore, Harry si lanciò di corsa nella direzione dalla quale sembrava provenire quel grido.
Sembrava…sembrava che arrivasse dal bagno! Corse e si fermò solo quando vide una ragazza castana, dai capelli abbastanza crespi raccolti in una coda sfatta, continuare a gridare qualcosa, molto rossa in viso, premendosi entrambe le mani sugli occhi.
“Accidenti, Ron, ti sembra il modo di andare in giro?!” Strepitò istericamente voltando le spalle alla porta del bagno e facendo un passo incerto in avanti.
Allorché Harry si affacciò incredulo all’interno del bagno e vi trovò un Ron dai capelli completamente zuppi affannarsi per legarsi un asciugamano in vita. Istintivamente non seppe trattenere una risata spontanea.
“Andare in giro?! Hermione, guarda che questo è un bagno! Nel bagno ci si fa la doccia! Ed era quello che anche io stavo facendo, almeno finché non sei entrata tu come una furia!” Replicò Ron ad alta voce, ormai rosso come un peperone in zona orecchie.
Hermione si voltò feroce, ma quando vide che Ron non era ancora riuscito a legarsi in vita il telo, gridò di nuovo correndo alle spalle di Harry.
“Che diamine aspetti a coprirti?”
Ron sgranò gli occhi sempre più imbarazzato tentando, senza grandi successi, di legare l’asciugamano.
“Potevi anche bussare! Se avessi bussato ti saresti risparmiata questo spettacolo!” Urlò Ron armeggiando ora con un accappatoio preso lì accanto. “Ma no! Tu devi sempre fare di testa tua!”
Harry si voltò verso Hermione.
“Puoi aprire gli occhi, il mostro non c’è più…”
Ron gli lanciò un’occhiataccia e la ragazza scostò le mani dal viso facendo timidamente capolino da dietro Harry. Quando vide che Ron era ‘vestito’, scansò bruscamente Harry e gli andò contro a passo di marcia.
“Io faccio quel che mi pare?! Io?!” Esclamò furibonda facendo arretrare il ragazzo dai capelli rossi di due passi. Hermione solitamente era abbastanza calma, ma quando si arrabbiava c’era da aver paura di lei: aveva il viso rossissimo contratto in una smorfia di rabbia pura, i capelli le erano caduti ancora di più dalla coda che non aveva cercato neppure di sistemare, la felpa grigia -- troppo grande per lei - le copriva le mani, che Ron e Harry erano sicuri tenesse strette a pugno, come al suo solito; le gambe tese e leggermente divaricate, ben piantata sul pavimento e ben decisa a non arretrare. La sua voce, di sicuro non stridula, tuonava per tutta casa. Gli occhi sembravano aver assunto la capacità di lanciare lampi. Ron deglutì. “Sarei io quella che fa sempre come cavolo le pare?! E chi è che non ha chiuso la porta a chiave, eh? TU!” Così gridando gli puntò un dito della piccola mano sul petto, facendolo indietreggiare fino a quando il ragazzo non si trovò con le spalle contro lo specchio. “Tu, signor Ronald Weasley!” Non riprese neppure fiato. La capacità di parlare a raffica le era rimasta dall’infanzia. “Non avevamo deciso di chiudere a chiave la porta del bagno per evitare incidenti del genere?”
“Mi sono dimenticato, va bene?”
Hermione vide rosso.
“No che non va bene!” Sbraitò iraconda, brandendo un pugno davanti a sé in modo pericoloso, tanto che Harry le si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla nel tentativo di calmarla. “Non va affatto bene, Ron! Possibile che ti comporti ancora come un ragazzino di diciotto anni?”
“Ma io ho diciotto anni!” replicò Ron ingenuamente
“Ne hai quasi diciannove, razza di…”
La situazione stava degenerando.
“Su, Herm, calmati…” Fece mite Harry lanciando a Ron un’occhiata di intesa che lui, in ogni caso, sembrò non recepire.
“Non mi calmo affatto!” Ribatté la ragazza, liberandosi dalla stretta di Harry. “Il fatto che io conviva con due ragazzi non vuol dire che ne debba vedere nudo uno! Il primo uomo nudo che ho visto in vita mia è stato… è stato il mio migliore amico!” Esclamò esasperata mentre Harry voltava lo sguardo imbarazzato e Ron rimaneva a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Subito dopo lei si coprì la bocca con la mano, pentita di quello che aveva detto.
“Ti odio, Ronald Weasley!” ringhiò lei prima di fare dietro front e dirigersi a grandi passi giù per le scale.
Il ragazzo volse lo sguardo per un secondo verso l’amico che si grattava perplesso una tempia, con fare smarrito. Dopodiché, preso dalla rabbia e dall’offesa, corse dietro alla ragazza, si affacciò dal corrimano delle scale e, mentre lei stava prendendo qualcosa da mangiare come faceva sempre quando era nervosa, gridò a pieni polmoni.
“Nessuno ti obbliga a stare qui con noi due, puoi andartene quando vuoi! Di certo non siamo stati noi a chiederti di venire a vivere qui!”
Harry, che aveva trattenuto il respiro, temendo di udire quella frase, sospirò con gli occhi chiusi, scuotendo rassegnato la testa. La reazione di Hermione fu differente. Decisamente differente. Lì per lì rimase immobile su se stessa, con la fetta di pane ancora in mano, poi, lentamente, sollevò lo sguardo verso il ragazzo, ancora affacciato dal corrimano. Ron si era aspettato di vederla furiosa - e temeva leggermente per quello -, di vederla arrabbiata come non mai, ma si era sbagliato.
Quello che vide fu peggio, molto peggio.
Gli occhi di Hermione erano lucidi e la loro espressione regalava al mondo e a Ron, che si sentì mancare il respiro per qualche secondo, mozzato da una malinconia improvvisa, una tristezza inimmaginabile, senza confini, che solo lei poteva provare e comprendere. Senza dire una parola poggiò la fetta di pane sul tavolino lì accanto, si diresse verso la porta principale, l’aprì ed uscì senza fiatare.
I due ragazzi rimasti in casa stettero in silenzio per qualche secondo. Poi Harry si voltò rabbioso verso l’amico, che se ne stava lì in piedi, sembrava quasi… incerto… colpito…
“Complimenti, Ron, veramente i miei complimenti più vivi!”
Ron allora sembrò riprendersi, e gli rispose con espressione furente.
“Cazzo, Harry, ma hai visto come mi ha trattato?!”
“L’ho visto come l’hai visto tu! E come io so che la paura più grande di Hermione è quella di restare sola, di essere solo un peso per noi, lo sai anche tu! Quando la smetterai, veramente, di comportarti da ragazzino? Hai idea di quello che abbia provato quando le hai detto quello che le hai detto?”
“Io…”
Ma Harry aveva già preso il suo cappotto e quello di Hermione e se ne era uscito di casa sbattendo la porta con molta poca gentilezza. E Ronald Weasley rimase lì in piedi, ancora mezzo nudo, con i capelli rossi zuppi e gocciolanti, un’espressione mista tra rabbia, incredulità e tristezza. Neppure Harry, neppure il suo migliore amico l’aveva appoggiato…
Un sorriso di scherno comparve sul suo viso.
“Che mi aspettavo, dopotutto? Harry ha sempre preso le parti di Hermione…” Disse con amarezza, parlando a se stesso. “Sempre…”
Si sedette lì in terra, con la testa tra le mani, non sapendo più cosa fare.
Aveva sbagliato. Aveva fallito.
Ancora una volta.

*** *** ***

Era uscita ostentando la massima calma e razionalità, cercando - invano, lo sapeva - di non dare a vedere a Ron quanto le sue parole l’avessero ferita. Ci stava male. Tremendamente male. Male da cani. Forse in passato non se la sarebbe presa così, ma con quel clima di pericolo incombente, quel periodo di morti continue e improvvise, attacchi di Mangiamorte, erano tutti tesi, stanchi, nevrotizzati… ma la cosa che faceva più male, la cosa che spezzava letteralmente il cuore della giovane Hermione a metà, era il fatto che Ron sapesse quale fosse la sua debolezza. La paura di essere sola. Di non aver nessuno che la amasse. Di essere un peso, anche per loro, anche per i suoi migliori amici.
E se prima era uscita cercando di mostrarsi calma e decisa, ora stava correndo disperatamente senza una meta precisa, senza un’idea precisa, sentiva solamente l’incredibile impulso di correre, scappare da lui, da loro, di starsene un po’ sola, in qualsiasi posto, l’importante era che potesse sfogarsi in santa pace, versare quelle lacrime che da tanto aveva l’impellente necessità di versare ma che non aveva potuto lasciar scorrere sulle sue guance. Quelle guance che, in quel momento, erano gelate. Gelate dal vento che, a sua volta, gelava un po’ di quelle lacrime erano sgorgate dai suoi grandi occhi color nocciola.
Non le importava dove stesse andando, non le importava cosa pensasse la gente per strada, non capiva nulla, non percepiva nient’altro che il suo immenso dolore, mentre le gambe conducevano i suoi passi verso un parco, un piede davanti all’altro, sempre più velocemente, sempre più rapidamente. La gola cominciava a farle male per la corsa, per il freddo, per tutto; tutto sembrava dolerle in un modo incredibile - le parole di Ron forse non l’avevano ferita solo spiritualmente, pensò ad un tratto -, e corse, corse, corse. Si fermò solo quando i polmoni reclamarono il loro premio: una bella boccata d’aria.
Stremata, dovette appoggiarsi con una mano alla corteccia rugosa di un vecchio pino, ansimando, con una mano posta alla bocca dello stomaco, per calmare gli spasmi causati dalla mancanza prolungata di aria. Ad occhi chiusi e con le lacrime che le andavano a bagnare il collo di quella felpa troppo grande, Hermione Granger tentava di regolarizzare il respiro.
E non si accorse di aver corso talmente tanto da finire in una zona del parco che nessuno mai frequentava, perché si diceva avvenissero cose molto sospette. Solo quando udì distintamente un fruscio sinistro alle sue spalle e sentì una mano afferrarla con forza per una spalla si concesse il lusso di riaprire gli occhi, con una evidente nota di paura che cominciava ad affiorare in quell’oceano di dolore.

*** *** ***

L’aveva persa di vista. Maledizione a lui, a Ron e alla dannatissima velocità di Hermione. Maledizione all’istante in cui si era fermato a rimproverare amaramente Ron, maledizione alla goffaggine di quel ragazzo che, senza rendersene conto, era capace di ferirla più di qualsiasi altra cosa, maledizione alla testardaggine di Hermione, maledizione a tutto!
Una ragazza di diciott’anni non poteva vagare senza una meta precisa, al freddo, sotto un cielo che non preannunciava nulla di buono, in lacrime, senza bacchetta - che, sicuramente, aveva dimenticato a casa nella foga di fuggire -, soprattutto in quel periodo di lotte e di guerra.
Ora che Voldemort lo stava cercando per distruggerlo, Harry non poteva concedersi il lusso di mettere in pericolo i suoi due migliori amici. Di certo Voldemort non avrebbe esitato neppure un secondo prima di rapire Hermione o Ron per poi ricattarlo da bravo verme meschino qual era. E Harry non poteva permetterlo. Erano già successe troppe cose a causa sua, li aveva involontariamente fatti soffrire troppo, non avrebbe permesso che Hermione, Ron, o chiunque altro cui lui teneva soffrisse per la pazzia di un mago il cui unico scopo era uccidere lui, Harry Potter.
Strinse i pugni e si pulì con una manica del maglione gli occhiali appannati dal freddo, poi tornò a guardarsi intorno, stringendo gli occhi in due fessure, tentando di scorgere Hermione in lontananza. Ma di lei, neppure l’ombra.
Una morsa gli attanagliò lo stomaco: e se le fosse successo qualcosa?
Di certo non sarebbe stata la prima volta… non sarebbe stato il primo rapimento organizzato di cui si sentiva parlare in quei tempi; era già successo altre volte che un Mangiamorte, due, tre, si fossero appostati sotto casa di alcuni ‘ricercati’ (ovviamente sulla lista nera di Lord Voldemort) per poi rapirli e farne sparire del tutto le tracce. Di costoro non si era saputo più nulla, nella migliore delle ipotesi.
Riprese a correre dandosi mentalmente dello stupido poiché non sapeva assolutamente quale direzione avesse potuto prendere la ragazza. Perché non le era stato più vicino? Perché non l’aveva ascoltata tutte le volte che scappava di casa, con le lacrime agli occhi, e andava a fare la spesa, ovviamente un pretesto per non vedere Ron? Perché mai era quasi un anno che non la ascoltava veramente?
Con un senso di colpa fuori dal comune, Harry si rese conto di una cosa: lui e Ron non si erano mai occupati di ascoltare realmente Hermione. Mai. Era sempre lei ad ascoltare loro, ad elargire consigli, anche a beccarsi degli insulti da Ron; era sempre lei, e lo era sempre stata, la loro confidente numero uno… ma loro cosa avevano fatto in cambio?
Nulla.
Solo darle della secchiona, della puntigliosa, della precisina, della rompiscatole. Soltanto limitarsi ad un ‘grazie’ strascicato per i suoi consigli.
Forse era colpa della guerra…
… no. Non poteva scrollarsi di dosso questa responsabilità.
Era stata colpa loro.
Hermione non aveva mai aperto completamente il suo animo a nessuno. Ci aveva provato. Quante quelle volte in cui si avvicinava, cercando di parlare, cercando di stabilire un contatto anche minimo e quante quelle volte in cui, puntualmente, Harry finiva per non ascoltarla: troppo preso dai suoi problemi, finiva per confidarglieli, ma non si preoccupava di cosa avesse spinto lei da lui; e quante quelle volte in cui Ron finiva per litigarci a causa dell’approccio impacciato della ragazza?
Scosse la testa con violenza, come per scacciare quei pensieri.
Doveva trovarla. Trovarla e scusarsi con lei. Per tutte le volte che gli era stata d’aiuto. Per tutte le volte in cui non si era tirata indietro. Per tutte le volte che aveva sopportato le sue cosiddette manie adolescenziali e per tutte le volte che aveva seguito lui e Ron ovunque, rischiando la pelle. Per tutto quello… doveva come minimo ringraziarla.
Stava per imboccare la strada principale quando una folata di vento lo fece rabbrividire repentinamente. Stringendosi nella giacca, guardò quella di Hermione, che aveva ancora tra le mani, poi osservò il cielo: il clima stava cambiando rapidamente. Cominciava a fare decisamente freddo. L’aria odorava di umidità, il che voleva dire chiaramente pioggia. No, non pioggia. Temporale. Il cielo nero borbottava sommessamente, un lampo illuminò l’orizzonte e il parco dove si erano recati il primo giorno in cui si erano trasferiti nella nuova casa.
Gli occhi di Harry vennero attraversati da un guizzo di vitalità.
Forse aveva capito dove trovare Hermione.

*** *** ***

Si voltò di scatto, ancora ansimante, infilando subitaneamente la mano nella tasca dei pantaloni di tuta che indossava. La bacchetta non c’era… maledizione! Quale strega ben addestrata usciva di casa senza bacchetta? E tutto per una stupida, infantile lite con una persona ancor più stupida ed infantile?
Si sentì premere sulle labbra una mano fredda e decisa, scalciò per qualche secondo contro l’individuo incappucciato che la stava tenendo bloccata. Un Mangiamorte l’aveva trovata sola, indifesa, in lacrime… l’avrebbe sicuramente portata da Voldemort, lo sapeva, ne era sicura.
Con un sforzo immane riuscì a liberare una delle due mani, tenute ferme dalla salda stretta dell’altra mano dello strano individuo, e gli afferrò il polso, conficcandogli le unghie nella carne. L’uomo - anzi, no, il ragazzo, perché un ragazzo sembrava dalla corporatura - fece il grave errore di allentare di poco la presa. Al che Hermione, con una prontezza di riflessi che mai avrebbe immaginato di avere, si divincolò con una violenza dettata dalla disperazione e gli sferrò un calcio nelle parti basse. Lo vide piegarsi su se stesso imprecando a bassa voce, con quello che sembrava un ringhio furioso. La ragazza indietreggiò di qualche passo, ma si trovava in un vicolo cieco: dietro di lei c’era il laghetto del parco. L’unica via di fuga era intralciata dal Mangiamorte.
Sperando che fosse l’unico, Hermione spiccò una corsa tentando di superarlo quando era ancora inginocchiato a terra, ma lui, ancor più svelto di lei, le puntò contro la bacchetta, tirandosi in piedi non senza un altro ringhio basso, più sommesso.
Si vide costretta a fermarsi.
Il cuore in petto le batteva furiosamente, così tanto da fare male; la gola secca, la voce non voleva uscirle dalla bocca. Chiuse gli occhi, pronta ad udire le fatidiche parole. Ecco, era solo questione di secondi e il Mangiamorte le avrebbe scagliato contro una Maledizione Senza Perdono, era ovvio, scontato… lo sentì avvicinarsi di qualche passo, calpestando delle foglie secche.
Poteva sentirlo vicinissimo a sé. Ecco, stava per…
“Granger?”
Quella voce… la conosceva! Aprì gli occhi sorpresa e lo fissò perplessa.
“Come fai a sapere il mio cognome? Aspetta… io… io conosco la tua voce!”

*** *** ***

Seduto sul parquet del corridoio del piano superiore, il ragazzo dai capelli rosso fiamma se ne stava fermo, immobile, ad osservare le goccioline d’acqua scivolare lungo il suo viso e cadere con un piccolo e dolce suono, reso ovattato dal silenzio della casa, sulle assi di legno. Gli occhi azzurri, però, non sembravano vedere in realtà quella moltitudine di goccioline che dalla sua chioma correvano vivacemente, quasi con impertinenza, lungo i suoi zigomi e librarsi nel vuoto per una frazione di secondo prima di terminare la propria corsa. No, i suoi occhi rielaboravano immagini viste non molto tempo prima.
I suoi occhi… quel suo sguardo…
Gli occhi di Hermione non erano mai stati così tristi in otto anni, da che la conosceva. Mai. Ed ora lo erano, per colpa sua. Ne era pienamente consapevole, e quella consapevolezza era a dir poco straziante. Non avrebbe mai creduto di poter soffrire così per aver offeso anche se non proprio volontariamente qualcuno. Eppure con Hermione era diverso: tante volte negli ultimi anni aveva litigato con Harry, anche di brutto, tante volte si erano picchiati e tante volte si erano detti delle cose terribili… ma in fondo sapevano di poter contare sempre l’uno sull’altro.
Hermione su chi poteva contare se non su se stessa?
Alzò lentamente il capo, lo sguardo vacuo vagava per la casa; Ron, quasi inconsciamente, rivedeva le immagini che gli causavano quel dolore: Hermione al piano di sotto… si volta… e in quei suoi occhi castani, quell’espressione, quella tristezza… quel dolore… Una tristezza che è capace di attanagliare lo stomaco… di mozzare il respiro…
Prima d’ora non aveva mai creduto che un solo, singolo essere umano potesse racchiudere in sé tutta quella tristezza.
Ancora una volta, con Hermione era tutto diverso.
Quando Harry e Ron litigavano, era lei a tentare di rimanere imparziale, era lei a dargli consigli per farli riappacificare, era lei ad aiutarli, era su lei che potevano sempre contare.
E lui cosa aveva fatto? Le aveva in pratica detto che loro non la volevano lì e che, quindi, non avrebbe mai potuto contare sul loro appoggio.
In quell’istante l’immagine di una Hermione sedicenne, seduta sulla staccionata innevata di Hogsmeade, i capelli crespi e gonfi, il viso arrossato e seminascosto in una sciarpa giallo-rossa, apparve nella mente confusa del giovane Ron. Hermione se ne stava lì, a rimirare Hogwarts in lontananza, senza dire una parola, senza fare neppure il più piccolo gesto. Ferma e in totale silenzio. Harry e lui si erano fermati ad osservarla da lontano e Ron ricordò distintamente un pensiero: anche con i capelli crespi, anche con la faccia arrossata dal freddo, era…bella. Quando si erano avvicinati era sembrato ad entrambi che lei si fosse asciugata in fretta e furia gli occhi, giustificando la loro lucidità con il freddo. E loro le avevano creduto. Perché nella loro ottica superficiale Hermione Granger, la studentessa modello di Hogwarts, non piangeva, non soffriva. Era nata per studiare, per aiutare gli altri, per essere sempre pronta ad alzare la mano in classe con molto fastidio di Piton, e per essere loro amica. Senza ricevere mai nulla in cambio.
Si alzò di scatto fissando sempre dritto davanti a sé.
Hermione lo guarda ancora con quegli occhi così tristi ed amareggiati… con calma apre la porta, esce…e sparisce.
“Cosa cazzo sto facendo?” Esclamò Ron ad alta voce passandosi una mano tra i capelli ancora zuppi. “Hermione è lì fuori… devo andare a cercarla!”
Corse come un fulmine nella sua stanza, afferrò il primo paio di jeans che gli capitarono sotto tiro ed una felpa un po’ troppo piccola per lui - probabilmente era di Harry ed era anche troppo leggera per un tempo come quello, ma non ci fece caso. Scese di corsa le scale incespicando e rischiando di cadere, si infilò le scarpe da ginnastica, prese la porta ed uscì in strada. Il buio aveva cominciato a scendere, né Harry né tanto meno Hermione avevano fatto ritorno. Sbatté con noncuranza la porta senza preoccuparsi di chiuderla a chiave e corse giù in strada.
Doveva rimediare, doveva scusarsi, e stavolta l’avrebbe fatto; doveva ringraziarla per tutti quegli anni in cui ai suoi occhi lei era stata invincibile, in cui per lui non aveva mai avuto bisogno d’aiuto. E in tutto quel tempo lui aveva considerato normale l’averla accanto a sé, nel bene e nel male… uno sciocco. Ecco come si sentiva. Avrebbe sfidato il tempo, gli anni trascorsi con lei in cui l’aveva per così dire snobbata, avrebbe fatto di tutto pur di perdonarsi… ma doveva assicurarsi che stesse bene.
Sperando che potesse perdonarlo per tutti quegli anni di errori.

You were always invincible in my eyes
The only thing against us now is time



   
 
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