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Autore: Avion946    03/02/2014    0 recensioni
Un vecchio aviatore, nel pagare uno strano debito, rivive gli episodi più salienti della sua vita, fino alla naturale conclusione della storia.
Genere: Avventura, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giovanni aviatore pubbl2

   Giovanni, aviatore

Oggi, paesino nord Italia, 04 aprile 2009.

Giovanni camminava lungo il ciglio della stradina sconnessa che portava dall'abitato alla rete di recinzione dell'aeroclub in cui lavorava da tempo immemorabile. Immemorabile era la parola giusta perchè nemmeno lui avrebbe saputo dare una risposta. Gli sembrava di farne parte ormai, come i muri e i capannoni. Faceva molto freddo e Giovanni si stringeva addosso il giaccone con cui aveva coperto il leggerissimo abito che aveva deciso di indossare quella mattina di inizio primavera. Il sole non era ancora sorto ma egli sapeva che doveva approfittare di un brevissimo intervallo per fare ciò che si era ripromesso. Il cielo era comunque rischiarato e c'era già una buona luce. Ci aveva pensato e ripensato. Aveva trascorso molte notti insonni, al principio, solo per accettare l'idea di una simile follia. Ora non aveva più tempo per mettere meglio a punto il suo piano. D'altronde aveva cercato di prevedere tutto, di eliminare ogni possibile imprevisto. Tutto, salvo una cosa. La sua non verde età. Si, perchè Giovanni contava la bellezza di 88 anni! La natura era stata benevola con lui, dandogli un fisico agile e robusto che lo aveva assistito egregiamente, specie quando aveva avuto il terribile incidente che aveva segnato per sempre la sua vita. Aveva lavorato sempre, e così si era tenuto costantemente in forma. Non aveva vizi particolari che gli avessero debilitato l'organismo. L'unico suo cruccio, l'unica sua ferita, era dovuta alla perdita della sua amata moglie che lo aveva lasciato  tanto tempo fa. Non si era mai rassegnato completamente alla sua perdita e solo, senza figli, si era dedicato anima e corpo al lavoro nell'aeroclub. Curava la manutenzione dei piccoli aerei dei soci e della scuola di volo. Conosceva quelle macchine bullone per bullone. Era capace di individuare un problema già prima che si presentasse, solo ascoltando il rumore del motore. Riparava di tutto, con soluzioni spesso geniali. Non c'era pezzo di motore o di aereo che egli non sapesse recuperare o addirittura fabbricare, se necessario. Era diventato pian piano insostituibile e alla fine nessuno faceva troppe domande sulla sua vita privata o sull'età. All'inizio, con brevi voli, testava l'efficienza delle macchine in aria ma poi, con l'età era stato messo definitivamente a terra e questo era stato un altro pesante colpo per lui, anche se non l'aveva dato a vedere. Giunse molto infreddolito alla recinzione, nella parte posteriore dell'aeroclub, nella zona dei campi. Aveva le ginocchia indolenzite e anche la schiena dava il suo contributo. A quell'ora, nella struttura era presente solo il guardiano che dormiva in una stanzetta nella parte posteriore degli uffici. Si chiamava Pietro ed era scorbutico con tutti. Non era giovane nemmeno lui ed aveva avuto il posto in quanto raccomandato da un socio importante. Gli avrebbe fatto un brutto scherzo ma non gli importava niente, non era mai stato gentile con lui. C'era uno strappo nella rete che egli aveva scoperto alcuni mesi prima, quando aveva sorpreso dei ragazzini a curiosare attorno agli aerei e aveva indagato su come avessero fatto ad entrare. Giovanni lo aveva riparato alla meglio sapendo che gli sarebbe tornato utile, visto che proprio in quel periodo andava prendendo corpo il suo folle progetto. Ora ci si infilò, leggermente impacciato dal giaccone. Davanti a lui, a destra e a sinistra, a meno di trenta metri correva la pista di atterraggio. Il capannone verso cui era diretto si trovava sul margine della striscia di asfalto, lato nord. Giovanni attraversò la pista e si avvicinò al capannone facendo in modo che esso rimanesse sempre fra lui e la zona degli uffici. Purtroppo il terreno era completamente scoperto ed egli poteva contare solo sul fatto che Pietro a quell'ora dormiva di un sonno proverbiale, propiziato anche dall'aiuto del contenuto di una bottiglia a cui l'uomo faceva ricorso piuttosto spesso, specie la sera. Raggiunse la parete del capannone e rimase appoggiato alla lamiera fredda riprendendo fiato e ripassando tutti il piano a occhi chiusi. Si sentiva tutte le articolazioni rigide e le gambe erano in preda ad un leggero tremito. Era la tensione dovuta all'enormità del suo progetto o al fatto che aveva sottovalutato i limiti della sua età? Comunque dopo circa 10 minuti sentì di essersi riposato a sufficienza e stabilì di proseguire e quindi, senza ripensamenti, iniziò la sua avventura. Si sentiva gelato dalla tensione ma nello stesso tempo esaltato per ciò che nella sua mente aveva provato e vissuto innumerevoli volte da quando il suo piano aveva cominciato a farsi sempre più concreto. Tenendosi aderente alla parete, giunse alla porta della costruzione e la aprì con la sua chiave. Dentro, il silenzio caratteristico dei grandi ambienti. Il rumore degli interruttori sembrò a Giovanni quello di due fucilate. Poi la luce inondò il locale ed ecco, davanti a lui l'oggetto del suo interesse, della sua ossessione. Ciò che gli aveva tolto la pace ed il sonno da innumerevoli notti. Davanti a lui, rimesso totalmente e perfettamente a nuovo, un esemplare di aereo Fiat C.R.42, il 'Falco'!  Il suo aereo, quello con il quale aveva volato tante ore, vivendo gli episodi più salienti della sua vita! O, meglio, non proprio il suo aereo , perchè quello.....

Tratte:

1) Torino Caselle (LIMF) - Roma Ciampino (LIRA) Italia -  330 Mn

2) Roma Ciampino (LIRA) - Catania Fontana Rossa (LICC) Italia - 320 Mn

3) Catania Fontana Rossa (LICC) - Benina Bengasi (HLLB) Libia - 470 Mn

4) Benina (HLLB) - Il Cairo (HECA) Egitto - 670 Mn

5) Il Cairo (HECA) - Marsa Alam (HEMA) Egitto - 370 Mn

6) Marsa Alam (HEMA) - Kartoum (HSSS) Sudan - 700 Mn

7) Kartoum (HSSS) - Asmara (HHAS) Eritrea - 440 Mn      continua..........

Ieri, 14/06/1940, Asmara

 Giovanni Dal Masso, sottufficiale della Regia Aeronautica, giunse ad Asmara nel pomeriggio del 14/06/1940 dopo un viaggio lungo e massacrante a bordo di un aereo Savoia Marchetti SM82, adibito al trasporto degli aerei Fiat CR42 che venivano spediti smontati dall'Italia con quel particolare mezzo, in qualità di passeggero 'occasionale'. Poco prima della partenza era stato raggiunto dalla notizia che due giorni prima, il 12 giugno, gli alleati avevano bombardato Torino ma che i suoi parenti non avevano subito danni. La lunghezza del viaggio lo aveva fatto riflettere su quanto fosse finito lontano da casa, dal suo paese. In aeroporto, l'ufficiale che lo ricevette, gli fornì il biglietto della ferrovia Asmara-Massaua che lo avrebbe condotto, il giorno seguente, alla sua destinazione finale, appunto Massaua, dove sarebbe entrato a far parte di una squadriglia di elìte, la mitica 412^. Uscito dall'aeroporto, mentre si dirigeva verso l'albergo a cui era stato indirizzato, venne letteralmente investito dall'atmosfera dell'ambiente che lo circondava. La temperatura non era molto elevata, Asmara si trova su un altipiano a 2300 metri di altitudine, ma c'era tanta polvere. Durante il viaggio gli avevano detto detto che fino a due giorni prima aveva soffiato il khamsin, il vento caldo del deserto, che soffia fino al tardo inverno e che aveva imperversato per quattro giorni, ostacolando non poco le operazioni di volo. Si sperava che fosse l'ultimo per quell'anno, fino al successivo febbraio, inizio della cattiva stagione. Giovanni percepiva un ambiente totalmente estraneo. Percepiva diversi i colori, gli odori e l'atmosfera caratteristici di quel luogo. Notò invece che i palazzi avevano una struttura che sentiva molto familiare. Effettivamente si costruiva da diversi anni seguendo lo stile 'razionalista', all'epoca usato diffusamente in Italia e specialmente nella capitale. Alcuni colleghi che incontrò in albergo e che erano lì da un  poco, cercarono di tirargli su il morale. Gli dissero che si sarebbe abituato in fretta, che la vita lì non era male come sembrava ma soprattutto che l'attività, da qualche giorno, era talmente frenetica da non lasciare molto tempo per pensare a casa. La sera, dopo una cena con sapori esotici, strani, venne condotto a visitare i punti più interessanti della città, anche per fargli vedere come si era trasformata dopo l'arrivo degli italiani nel 1920. Si notava effettivamente una fortissima influenza italiana. Così gli venne offerto da bere al bar della Vittoria, gli mostrarono il cinema Impero, la Pasticceria Moderna, la Casa del Formaggio e, un poco distante dal centro, la famosa stazione di servizio Fiat Tagliero, costruita nel 1938 a forma di aeroplano. Scoprì quindi che per tutte queste caratteristiche, la città veniva chiamata anche la 'Piccola Roma'. Dopo una notte di sonno profondo ma molto agitato per via della stanchezza accumulata, alle 09.30 salì sul treno che lo avrebbe condotto a Ghinda e successivamente a Massaua con un percorso di 118 Km. Il convoglio era trainato da una locomotiva Ansaldo FS R440 che sbuffando ed eruttando un terribile fumo nero, il quale purtroppo riusciva a farsi strada nello scompartimento malgrado i finestrini chiusi, instancabilmente trascinava i quattro vagoni del convoglio attraverso un territorio sempre diverso. Il giovane sottufficiale vide passare dal finestrino un paesaggio che mutava di continuo, mostrando zone brulle, addirittura bruciate dal sole che si alternavano con spazi verdi  di palme dum, di tamarischi e talvolta, in presenza di acqua, boschetti di acacie. Gli riusciva difficile non fare un paragone fra lo scenario che gli scorreva davanti agli occhi ed il suo paese di origine.......

Era nato il 22/11/1921 a Lurisia, provincia di Cuneo, ai piedi del monte Pigna, nelle Alpi Liguri, un paesino che all'epoca contava circa 200 abitanti. Il padre, minatore, lavorava a quella che è al momento, era, ancora per poco, la maggiore risorsa del luogo ossia all'estrazione di una pietra particolare, la 'iosa', ampiamente utilizzata nella costruzione delle case della zona, in particolare per i tetti. Nel 1917 quattro anni prima, era accaduto un fatto destinato a influire pesantemente sull'economia del luogo. Era stata infatti scoperta per puro caso una sorgente  la cui acqua  risultò possedere speciali caratteristiche terapeutiche. Degli esperti inviati dal governo di Roma per analizzare il fenomeno, individuarono la presenza di un materiale radioattivo, la 'autunite'. Si pensò di sfruttarla in qualche modo e per valutare le varie possibilità di utilizzo venne invitata la persona che in quel momento rappresentava l'autorità indiscussa in merito, ossia madame Curie. Essa giunse nella vallata nel 1921 e' dopo sei mesi di attento studio, arrivò alla conclusione che la percentuale di materiale radioattivo era presente nelle rocce con una percentuale troppo bassa per consentirne qualsiasi uso scientifico. A quel punto si fecero avanti due imprenditori, David Garbarino e Piero Sciaccaluga, che sfruttarono la fonte termale. Questa iniziativa, visto il suo successo, fornì lavoro ad un gran numero di persone sia del luogo che provenienti da fuori, favorendo lo sviluppo della zona. Il padre di Giovanni, uomo tutto d'un pezzo, decise di continuare a fare il minatore rifiutando di diventare un semplice operaio o, peggio ancora un inserviente o un cameriere. Non era però un retrogrado o un ottuso. Anzi. Stabilì che il figlio avrebbe dovuto studiare per avere buone opportunità. Così finite le scuole elementari nella vallata, nel 1932, all'età di 11 anni,  lo inviò dalla sorella a Torino per iscriversi all'avviamento al lavoro presso l'Istituto Avogadro. Il ragazzo si appassionò alla meccanica e quando l'istituto, grazie al grande impegno del suo preside, prof. Plinio Luraschi, organizzò il corso di perito meccanico, lo frequentò con entusiasmo, mantenendosi con dei lavoretti che trovava nelle varie officine della zona. In quel periodo a Torino si respirava un'aria di grande entusiasmo per tutto quello che riguarda il mondo aeronautico. Nel 1911, nella zona sud della città, sorgeva l'aeroporto  Mirafiori. Nel 1912 vi venne istituito il 'Battaglione Aviatori', al comando del tenente colonnello Vittorio Cordero di Montezemolo, che iniziò dei seri e regolari corsi di addestramento al volo allo scopo di fornire un valido brevetto di volo ai partecipanti che così non avrebbero rischiato più di accostarsi ad un aeromobile senza le elementari conoscenze del volo, e quindi con maggiori garanzie di uscire indenni da tali esperienze. Fra i primi allievi ci fu anche Francesco Baracca. Nel 1915 Guglielmo Marconi, dalla torre di controllo condusse i primi esperimenti di comunicazione via etere fra una stazione terrestre  ed un aereo in volo, un Caudron G3, della fabbrica AER di Orbassano. Nel 1926, la Fiat vi costituì la compagnia A.L.I. (Avio Linee Italiane) che poi sarebbe diventata Ala Littoria, e che assicurò il primo collegamento passeggeri, più o meno regolare, fra Torino e Roma, aeroporto di Centocelle. Nel 1916, rispondendo alla necessità di avere un posto adeguato per collaudare i tanti prototipi di aeromobile costruiti dalle varie officine della zona, la società di costruzioni aeronautiche dell'ing. Pomilio,  nella zona a nord di Torino, realizzò un aeroporto destinato a tale attività. Dopo essere passato per vari proprietari, fra cui anche l'Ansaldo, nel 1917 finì in possesso della Fiat che lo chiamò Fiat Aeronautica d'Italia, da cui Aeritalia. Nel maggio dello stesso anno si inaugurò un servizio postale, anche quì più o meno regolare, fra Torino e Roma. Giovanni, in mezzo a tutto questo fervore, questo entusiasmo, non poteva uscirne indenne e così si fece contagiare anche lui dalla passione per gli aerei. Fattosi conoscere nelle varie officine in cui aveva lavorato per la sua precisione, tenacia e affidabilità, trovò un buon lavoro fisso presso la Fiat, in qualità di tecnico collaudatore. Come tale. malgrado la sua giovanissima età potè ottenere, a spese della ditta, il brevetto di volo per cui sembrava naturalmente e incredibilmente portato grazie anche all'incoscienza tipica dei giovani. In qualità di meccanico partecipò alle operazioni di ottimizzazione e messa a punto del Fiat G50 bis che volò per la prima volta sulla pista del Mirafiori il 26/02/1937. Poi, quasi fosse un segno del destino, venne assegnato al collaudo e messa a punto del FIAT CR42, detto anche 'il Falco'. Se ne innamorò, letteralmente. Lo riteneva un aereo fantastico, innovativo, in quanto costruito con diverse parti della fusoliera e delle ali in metallo, e in grado di superare tranquillamente la velocità di 400 K/h. Verso la fine del 1939, quando pensò che fosse giunto il momento, si arruolò nella Regia Aeronautica e dopo un breve corso, visti i suoi precedenti, e una serie di 'spintarelle' da parte di personaggi influenti che egli aveva conosciuto sulle piste di aviazione, con il grado di sergente, venne inviato in un posto ritenuto importante e strategico, dove avrebbe potuto far valere le sue capacità. Ed ora era proprio dove voleva essere. Avrebbe volato di nuovo con il 'Falco' ma stavolta non sarebbe stato  gioco, non sarebbe stato per librarsi nel cielo o per provare l'ebrezza del volo. Ora avrebbe dovuto combattere e bene, perchè l'avversario era in gamba, preparato e determinato......

........ Senza quasi rendersene conto, arrivò in stazione. Quì il caldo si sentiva, e parecchio. Massaua è sul mare e quindi è presente anche una forte umidità. L'aeroporto a cui era destinato si trovava verso l'interno, a un paio di chilometri. Nessuno era andato a prenderlo e quindi raggiunse la sua meta sudato e pieno di polvere. Per fortuna, prima di presentarsi al suo superiore potè rimettersi in ordine. Nell'ufficio del comandante della 412^ egli conobbe il suo superiore, il capitano Antonio Raffi, che lo ricevette in modo molto cordiale e un giovanotto, che se ne stava seduto in disparte, il tenente Mario Visintini, che gli risultò subito antipatico, per l'aria di superbo distacco che manteneva nei confronti di un novellino. Il capitano gli spiegò per sommi capi i compiti che la squadriglia era per ora chiamata a svolgere. Le ostilità erano appena iniziate e ancora il quadro delle operazioni non era chiarissimo, almeno per chi non si trovava ai vertici del comando. Vista la notevole autonomia del CR42, 770 Km, gli era affidato il pattugliamento di una ampia zona che andava da Gadaref a 330 Km ad ovest, al lago Tana a 270 Km a sud e fino all' isola di Hermil dell'arcipelago Dahlak a 80 Km a est. Nel corso di questi tragitti sarebbe stato sempre più probabile incrociare velivoli nemici in compiti di ricognizione e talvolta di bombardamento. Il Tenente Visintini, il giorno prima, aveva abbattuto un aereo inglese, un Wellesley della 14^ squadriglia, diretto appunto a bombardare Massaua. In caso di intercettazione, era previsto l'ingaggio in combattimento, sempre con un occhio al carburante per assicurarsi il ritorno a casa. La sicurezza dell'aereo andava anteposta a tutto per la scarsità di rifornimenti e piloti. Gli aerei che si sarebbero potuti trovare di fronte  erano essenzialmente di tre tipi. Il caccia bombardiere Bristol Blenheim 1F, non molto veloce ma piuttosto manovrabile e soprattutto munito di 5 mitragliatrici. C'era anche il bombardiere leggero Vikers Wellesley, piuttosto superato, non molto veloce. Montava solo due mitragliatrici ma una delle due era manovrata da un mitragliere, fatto che conveniva sempre considerare in un eventuale confronto. Infine venivano utilizzati parecchi aerei Gloster Gladiator, piuttosto lenti ma manovrabilissimi. Le ali di tela erano molto vulnerabili. Pochi colpi potevano abbatterli. I loro piloti erano però veramente abili e capaci di sfruttare l'apparecchio al massimo, cosa da non sottovalutare assolutamente.....

 Oggi, paesino nord Italia, 16 dicembre 2008

Tutto era cominciato quattro mesi prima. Durante il normale lavoro, era giunto al cancello dell'aeroclub un TIR con rimorchio sul quale era trasportato un grosso oggetto con una sagoma particolare, coperto da teloni. Si erano fermati tutti per capire cosa stesse arrivando, o meglio cosa si era inventato il direttore per farli lavorare di più. Non era insolito che questi, si presentasse con qualche carcassa di vecchio aeromobile da rimettere a posto per donarlo al vicino Museo Aeronautico per fare bella figura, e alimentare così le sue ambizioni politiche. Più curioso che altro, Giovanni si avvicinò al TIR per vedere su che pezzo di ruggine avrebbe dovuto lavorare. Ma quando i teloni furono rimossi, egli sentì una scossa elettrica che gli attraversò letteralmente la spina dorsale. Seppure in pessime condizioni e con le ali e l'elica smontati, aveva immediatamente riconosciuto un Fiat CR42 , un 'Falco' o quello che ne rimaneva. Senza rendersene conto, quasi in trance, si avvicinò a quel relitto e delicatamente sfiorò quello che era il profilo di un ala. E sentì.... sentì che quell'aereo non era giunto lì per caso. Era arrivato a lui per consentirgli di pagare un debito, di chiudere un cerchio. E così, praticamente da subito, era nato il suo folle piano.

Oggi, paesino nord Italia, 04 aprile 2009

Giovanni la sera prima aveva pensato a tutto. Con la scusa di voler pulire e lucidare a puntino l'abitacolo, aveva usato una scaletta che poi era rimasta 'casualmente' a terra, vicino all'aereo. Aveva procurato due blocchi d'arresto per le ruote per rendere lo scenario più verosimile e li aveva messi in posizione come per provare l'effetto definitivo. Con noncuranza li aveva collegati uno all'altro con un pezzo di corda e poi a quello di sinistra aveva anche collegato un altro tratto di fune lungo circa sei metri che aveva lasciato al suolo accuratamente ripiegato. Da giorni faceva cautamente sparire piccole quantità di carburante che poi trovava il modo di mettere nel serbatoio di riserva sotto il sedile. Aveva fatto orientare l'apparecchio verso la porta di uscita dicendo che sarebbe stato più agevole portarlo fuori e aveva fatto in modo che davanti non ci fosse parcheggiato nessun mezzo. Ora, sotto la luci che pendevano dal soffitto, il 'Falco' era bellissimo, tutto colorato e verniciato nei colori originali. Non aveva avuto particolari problemi a farlo verniciare e rifinire con i colori e gli stemmi della 412^ squadriglia. Ogni particolare era stato ricreato e messo a punto, ci aveva pensato lui, con una cura maniacale. Nelle ore libere, con un piccolo aiuto, che non gli era stato mai negato da nessuno, aveva letteralmente smontato il motore e lo aveva, per quanto possibile, risistemato. Il suo entusiasmo era diventato contagioso e, alla fine, tutti cooperavano con lui. Perfino il direttore dell'aeroclub, verificato che il lavoro di routine non subisse ritardi, era contento di come andavano le cose. Non poteva fare a meno di pensare alla bella figura che avrebbe fatto, donandolo al museo vicino. Per quel lavoro, in realtà, era stanziata una modestissima cifra ma Giovanni aveva fatto l'impossibile. Per le parti meccaniche aveva pulito, lucidato, scrostato, recuperato. Aveva risistemato, rimontato, calibrato per quanto possibile. Aveva dovuto sostituire tutti i tubi e i condotti ma per quelli si era arrangiato. Tale era la sua foga, che i compagni avevano fatto finta di non vedere quando egli, con mossa meno rapida di quanto pensasse, aveva fatto sparire qualche piccolo pezzo, quà e là,  destinato ad altro. E poi, il gran giorno. Aveva messo nel serbatoio del velivolo un minimo di carburante. Senza molte speranze, all'inizio, aveva dato il contatto, regolato la manetta e poi, appoggiate le mani sulle pale dell'elica, dopo un attimo di esitazione, le aveva dato una spinta, con tutta la forza che aveva, per avviare il motore. Aveva preteso di fare tutto da solo. Veramente i compagni di lavoro avrebbero voluto aiutarlo, se non altro perchè era molto probabile che a quell'età, dopo la spinta di avvio, ammesso che fosse realmente riuscito a darla, si sbilanciasse e cadesse nell'elica in movimento facendo una gran brutta fine. In realtà erano convinti che il motore non avrebbe girato mai più. Inoltre erano molto dubbiosi che un uomo di quell'età, seppure in buone condizioni di salute, sarebbe riuscito in quel compito. Loro non potevano sapere quale energia muoveva le braccia di Giovanni. Non potevano supporre la potenza del sogno o meglio, della lucida follia di quel vecchio. Naturalmente quella prova andò a vuoto. Dopo quattro tentativi, con le braccia a pezzi, Giovanni capì che era inutile insistere. Qualcosa non andava proprio e poi non voleva rischiare di farsi male.  Le candele purtroppo erano quelle originali, pulite, regolate ma.... stesso discorso per le fasce, per i cilindri, per i filtri. Insomma quell'aereo aveva volato e volato parecchio. Inoltre la messa a punto era stata fatta da Giovanni stesso che per quella mansione non era proprio il più esperto. Ma per lui la cosa non poteva finire lì. Semplicemente non lo poteva accettare. Ancora si accanì per due settimane migliorando le regolazioni, la pulizia, la messa a punto. E poi..... Una sera, all' improvviso, una serie di crepitii, un motore che tossiva, ma  che dopo una decina di secondi di incertezza, cominciava ad avere un suono più regolare, poi più forte, più deciso, fino a trasformarsi in un rombo più o meno costante. I tecnici e gli operai presenti accorsero per veder con i propri occhi quel miracolo, quella scena impossibile.  Quell'elica che girava decisa e sicura e Giovanni, che si era subito inerpicato nell'abitacolo e ora regolava  la manetta con i lucciconi agli occhi,  rappresentavano uno scenario irreale, magico, con i presenti che non riuscivano a distogliere gli occhi da quello spettacolo. Poi, qualcosa, un rumore qualsiasi, ruppe l'incanto di quel momento  e a quel punto tutti proruppero in un applauso intenso, lungo, gridando per la gioia e l'entusiasmo. Alla fine, in realtà ci avevano lavorato un pò tutti. La bevuta che seguì fu di quelle memorabili e Giovanni fu ben contento di pagare di tasca sua. Perfino in paese si parlò di questo prodigio e qualcuno volle fare visita all'aereo per raccontare agli amici poi di esserci stato. Nei giorni successivi Giovanni aveva terminato di rimontare per bene la calandra del motore, aveva fissato e regolato con attenzione gli impennaggi. Insomma aveva finito. Come anche il suo tempo. Il direttore dell'aeroclub, che non vedeva l'ora di fare bella figura (e di far fare bella figura) col politico locale, avrebbe fissato, a brevissimo tempo, la consegna al museo vicino. Ed ora Giovanni era in piedi, davanti al suo 'gioiello'. Adesso tutto doveva andare come un orologio. Nella sua mente aveva già pensato e visto la scena innumerevoli volte, eliminando i tempi morti, le azioni inutili e stabilendo la sequenza ideale. Non doveva perdere un secondo di tempo ma soprattutto non doveva sprecare energie, perchè proprio non ne aveva di riserva. Per cui andò alle porte del capannone e con l'apposito comando le spalancò. Per fortuna era stato installato un sistema elettrico abbastanza silenzioso anche se al vecchio pareva di udire il rumore di una cascata. Pietro, il guardiano, non si sarebbe certo svegliato per quello. Il passo successivo, lo portò all'abitacolo dell'aereo. Recuperò la scaletta che aveva lasciato la sera prima nei paraggi, la appoggiò al fianco dell'aereo. Prese il capo della fune di sei metri, attaccata a tutti e due i fermi di legno davanti alle ruote e, tenendolo ben saldo, salì fino ad affacciarsi al bordo dell'abitacolo. Legò la fune ad un anello che aveva montato accanto al bordo. Poi, sporgendosi, dette il contatto e regolò la manetta del carburante a 'un pollice'. Era in gioco e non si poteva più fermare, quasi spaventato dalla sua stessa audacia, dalla sua follia. Era come se i suoi occhi osservassero le sue mani e i suoi piedi che eseguivano una serie operazioni assurde. Appena ridisceso dalla scaletta, fu colpito da un attacco di panico vero e proprio. Un tremito convulso scuoteva tutte le sue membra. Il respiro sempre più corto e il cuore che martellava in petto, gli fecero pensare che questa bravata gli sarebbe costata la vita e che, più tardi, nella mattinata lo avrebbero trovato così, e forse avrebbero capito l'enormità di quello che si era riproposto di fare e avrebbero avuto pietà di lui. Si era accasciato piegandosi riverso in avanti sul bordo dell'ala inferiore del 'suo' Falco. "Un povero vecchio - pensava - ecco quello che sei. Vecchio e pazzo. Ma che ti credevi di fare. Dovresti essere in un ospizio, altro che quì. Stupido!'. Dopo un tempo che gli era sembrato lunghissimo, riprese il controllo. Erano trascorsi solo pochi minuti. 'Vecchio pazzo? Ospizio? Forse, anzi certo, ma dopo!'. Ora, quasi per reazione a ciò che era accaduto poco prima, una lucida rabbia lo spingeva ad andare avanti. Si strappò letteralmente di dosso il giaccone. Sotto aveva indossato la sua uniforme di sottufficiale della Regia Aeronautica che aveva conservato con venerazione assieme a tutte le decorazioni e gli stemmi. Per quanto fosse leggera, a causa della tensione si vedevano quà e là delle chiazze di sudore. Aveva alla cintura il suo caschetto di cuoio e degli occhiali da motociclista con i quali aveva supplito alla perdita dei suoi. Attorno al collo aveva una sciarpa bianca. Si portò davanti all'elica e afferrò il bordo delle pale. Era scosso da un tremito, la tensione era allo spasimo. Con una serie di spinte lievi, fece fare all'elica un giro completo. Con un'occhiata controllò di nuovo che i fermi di legno sotto le ruote fossero a posto e le funi a loro collegate messe nel modo giusto. Da quello dipendeva il successo o il disastro. Con un profondo respiro e un attimo di concentrazione, dette un colpo violento spingendo le pale dell' elica verso il basso. Nulla! Di nuovo. Nulla! Ancora una spinta prima che il motore si ingolfasse e tutto andasse a monte. Raccomandandosi, pregando, diede un'altra spinta con tutta la sua forza residua. Era rimasto con gli occhi chiusi e quindi udì semplicemente che l'elica iniziava a girare, a girare, e non si fermava. Con la velocità di cui ancora disponeva, corse alla scaletta e si inerpicò stavolta all'interno dell'abitacolo pregando, raccomandandosi che le giunture delle ginocchia, già molto provate, non lo tradissero, che i muscoli delle braccia, maltrattati da quelle manovre, non lo abbandonassero proprio ad un passo dal suo successo. Verificato che il motore girasse con regime pressappoco regolare, diminuì di un poco la manetta, ma con attenzione. Al minimo, un colpo di tosse del motore, lo poteva far spegnere. All'interno del capannone il rumore era assordante ma ormai il più era fatto. Indossò il caschetto e gli 'occhialoni'. Sporgendosi, tirò la fune che trascinò via da davanti alle ruote i blocchi di legno. Era fatta, ora l'aereo era libero e in moto. Si assicurò con le cinghie al sedile rendendosi conto di non avere il paracadute. "E allora? Chi lo vuole? E per cosa, poi?". Controllò di nuovo gli impennaggi regolandoli e osservando se le varie parti mobili obbedivano ai suoi comandi. Poi... diede manetta ed il Falco iniziò a muoversi.......

Per seguire con più facilità lo svolgimento del racconto, si consiglia di visitare i seguenti due link:

1) Per vedere quali aerei sono utilizzati dai protagonisti della storia:

http://i57.tinypic.com/oozvbq.jpg

2) Per seguire le varie operazioni descritte durante lo svolgimento del racconto:

http://i62.tinypic.com/2cp52m8.jpg

 

Ieri, 15/06/1940 Massaua.

Alle ore 14.30, dopo il pranzo, il sergente Dal Masso, seguendo gli ordini, si era presentato al capannone dell'officina e aveva cercato il sergente maggiore Alvaro Coniglio, capo meccanico, al quale erano affidati gli aerei per la normale manutenzione, le riparazioni e le messe a punto. Gli doveva mostrare l'aereo sul quale avrebbe volato. Lo avevano avvertito di stare attento. Il sergente maggiore era una persona un pò particolare. Considerava ogni aereo come se fosse una sua creatura. Ne era gelosissimo e se aveva il dubbio che un pilota fosse trascurato o malaccorto nei confronti "del suo velivolo", lo avrebbe affrontato cantandogliene quattro in malo modo, grado o non grado. Era indispensabile e lo sapeva e, forse, prima di tanti altri, aveva capito la serietà della situazione in cui si trovavano. Combatteva ogni giorno con la scarsa quantità dei ricambi di cui disponeva e la difficoltà di riceverne di nuovi, anche in quel momento in cui tutto stava appena cominciando e il logorio delle battaglie non aveva ancora iniziato a farsi sentire. Il sergente maggiore lo squadrò a lungo, valutando se quel ragazzino che aveva di fronte era il solito raccomandato che se la sarebbe fatta addosso alla prima difficoltà. Alla fine invitò il ragazzo a seguirlo e, dopo essere passato davanti ad una fila di aerei in ottime condizioni, alcuni addirittura nuovi, gliene mostrò uno un po' in disparte, dicendo che non essendoci il pilota, non era stato ancora messo in linea ma che ora lo avrebbe pilotato lui. Giovanni non credette ai suoi occhi. Quel 'coso' volava davvero? Non aveva mai visto un simile cumulo di ferraglia, nemmeno fra gli scarti delle officine in cui aveva lavorato. Sembrava un insieme mal assemblato, di parti recuperate da un Ansaldo SVA5 e da alcuni  alcuni pezzi di un Fiat R2 , con inserti quà e là di rottami di un Macchi M9. L'insieme, comunque, aveva un aspetto   grottesco. Non poteva crederci. Fece presente che in quel coso avrebbe potuto rischiare la pelle solo a salirci. Dal prendersi il tetano a causa delle lamiere arrugginite all'andare arrosto perchè quell'affare, una volta messo in moto sarebbe probabilmente esploso. Il sergente maggiore, con aria quasi offesa, rispose che quello era un 'signor' aeroplano, che erano in guerra, che era necessario arrangiarsi e che lui, come ultimo arrivato, era fortunato a trovare un aeromobile subito disponibile. Il giovane sottufficiale, assai poco convinto, indossata la tuta di volo, seppure con molte riserve, alla fine salì sull'aereo. Il suo occhio esperto ed allenato, aveva notato diversi elementi che non sembravano rassicuranti. Se però pensavano di metterlo in difficoltà, gliela avrebbe fatta vedere lui. Il sergente maggiore, a gran voce, chiamò un motorista che, a passo cadenzato, si avvicinò recando in mano una lunga manovella. Scambiò con il superiore un saluto formale e poi, con movimenti precisi e ritmati, inserì la manovella nel foro praticato nel muso dell'apparecchio. Chiese al sergente alla guida di dare il contatto, dopodichè iniziò a girare vigorosamente la manovella. Il motore dette incredibilmente segni di vita e dopo un paio di giri dell'elica, altrettanto incredibilmente, partì. Dai tubi di scarico uscì una tremenda fumea maleodorante che, per fortuna, nel giro di una ventina di secondi, venne spazzata via dal vortice prodotto dall'elica. Giovanni guardò il sergente maggiore che sorridendo faceva segno col pollice alzato che era tutto a posto. Poi gli fece segno di procedere. Giovanni, con molta attenzione, giocando con la manetta che però faceva un po' di 'bizze', riuscì a far muovere l'aereo e ondeggiando a destra e a sinistra, a causa di un timone un po' riottoso, si avviò verso il punto attesa della pista. Procedendo con tutta l'attenzione necessaria per tenere sotto controllo quella macchina pazzesca e imbizzarrita, notò però che mentre avanzava, molti soldati accorrevano a vedere la sua prova. Altri ne venivano chiamati e tutti avevano iniziato....... a ridere! Si ripropose, se fosse sopravvissuto, di indagare sul motivo di tanta ilarità. Aveva inoltre notato che un'ala era addirittura più bassa dell'altra. Questo era veramente troppo. Giunto al punto attesa si fermò in un bagno di sudore. Voleva veramente decollare con quel 'coso'? Nonostante il rumore irregolare del motore, udì  la voce del capitano che stava accorrendo. Il sergente Coniglio in quel momento era piegato in due, con le mani sulle ginocchia che stava ridendo fino alle lacrime, seguito da tutti gli altri, che indicandolo, si scambiavano manate e si tenevano la pancia. Il capitano, con un deciso gesto, gli fece segno di spegnere immediatamente il motore poi, a gran voce, chiamò il sergente maggiore che accorse mettendosi sugli attenti con gli occhi ancora rossi per le lacrime e con una smorfia sul viso che voleva essere seria e rispettosa ma senza molto successo. Il capitano 'strigliò' per bene il sottufficiale dicendogli che dovevano piantarla con quello scherzo stupido a tutti i nuovi arrivati.  Qualcuno, magari meno sveglio degli altri, poteva pensare di poter decollare davvero con quella 'baracca' e lasciarci la pelle. Intanto tutti gli altri, facendo finta di nulla si dileguavano in fretta continuando a ridere convulsamente. Poi, rivolto a Giovanni, vergognoso e impacciato per la figuraccia da babbeo che aveva appena fatto, il capitano gli intimò di scendere, che per quel giorno si era già reso ridicolo abbastanza, quindi se ne tornò verso il suo ufficio, permettendosi di ridere a sua volta ora che non lo poteva vedere nessuno. Che tipo quel sergente, non se ne salvava uno. Avrebbe voluto più persone come lui, capaci, gioviali ed affidabili quando necessario. Il giovane sottufficiale scese da quell'aggeggio e il sergente maggiore, prevenendo le sue parole, gli chiese scusa ma gli disse che si era trattato di una specie di cerimonia di accettazione e che non aveva mai corso reale pericolo. Non gli avrebbero mai permesso di decollare. Gli spiegò che quella macchina così stranamente assemblata serviva per far esercitare i meccanici a montare e rismontare le varie parti, per far acquisire al meglio la manualità necessaria in quel lavoro. Giovanni riconobbe che doveva essere stato proprio buffo a procedere con quel 'coso' cercando di domarlo, seppure con scarso successo. Poi avvicinandosi osservò che effettivamente nelle attuali condizioni non avrebbe potuto volare ed enumerò gli elementi che sconsigliavano un decollo. Il sergente aveva iniziato ad ascoltarlo con grande attenzione e, facendo delle domande, si rese conto che quel ragazzino ne sapeva quasi quanto lui. Rimase addirittura sconvolto quando l'altro iniziò a indicare le modifiche e gli accorgimenti che avrebbero consentito a quella macchina di staccarsi da terra senza ammazzare il pilota nel giro di pochi secondi. Infine il giovane si conquistò definitivamente la stima e il rispetto dell'altro, invitandolo a bere con lui ed estendendo l'invito a tutti quelli che avevano partecipato alla burla. In fin dei conti, da quello che era stato detto, l'avevano accettato nel gruppo! Fu una riunione riuscitissima tant'è che alla fine intervennero gli altri piloti che egli ebbe quindi occasione di conoscere e, alla fine, lo stesso capitano si fece vedere, con la scusa di controllare che non esagerassero. Giovanni notò però che Visentini non era intervenuto. La mattina seguente ebbe finalmente il suo aereo, quello 'buono'. Era un FIAT CR42, in ottime condizione, sebbene non nuovissimo. Messo in moto, il suono del motore era eccellente e tutta la struttura appariva efficientissima. Giovanni aveva ricevuto precedentemente dal capitano le carte di navigazione della zona che avrebbe interessato l'attività della squadriglia.  Ricevette anche alcune informazioni sui luoghi nei quali era probabile che incontrasse il nemico o minacce da terra. Ebbe l'incarico di studiarsele e nel frattempo gli fu ordinato di decollare con il suo aereo per prendere confidenza con lui e per fare un tragitto di routine  in quota,  allo scopo di familiarizzare con il paesaggio dall'alto. Vista la remota possibilità di incontrare qualche ricognitore inglese, gli fu affiancato un compagno, il tenente Rosmini, un giovane simpatico e di bell'aspetto che, prima del decollo gli fornì  ulteriori informazioni circa la conformazione del suolo, i venti e le procedure di decollo e di avvicinamento all'aeroporto. Anche se non era previsto alcun tipo di contatto con il nemico, gli aerei erano comunque armati e pronti al combattimento. La consapevolezza di controllare un aereo che poteva dare la morte, faceva a Giovanni uno strano effetto. Quel potere di distruzione che egli avrebbe dovuto controllare gli dava una sensazione di grande potenza ma nello stesso tempo anche di paura per le conseguenze delle sue azioni. E poi diveniva sempre più consapevole che  da una parte egli era un cacciatore, e contemporaneamente un bersaglio  che accettava consapevolmente la condizione che ad ogni decollo avrebbe potuto morire. Il suo compagno di volo lo rassicurò sul fatto che difficilmente avrebbero potuto avere brutti incontri ma che, comunque, in caso di contatto con il nemico doveva più che altro cercare di rimanere lucido tenendo bene a mente quanto appreso durante l'addestramento. Gli raccomandò comunque di rimanere sempre di fianco a lui, leggermente arretrato per essere in grado di cogliere immediatamente eventuali comunicazioni effettuate  con gesti prestabiliti. Il fatto era che il Falco, malgrado fosse un bell'aereo, e relativamente moderno non disponeva di un apparecchiatura radio il che rendeva lo scambio dei messaggi fra piloti piuttosto problematico. Dopo il decollo, prendendo quota, eseguirono un giro sul campo per osservare come si presentava dall'alto. Quindi, fecero rotta verso l'isola di Nocra dell' arcipelago Dahlak, diretti per la loro meta finale, l'isola Hermil, limite nord-est della zona di competenza assegnata alla squadriglia. Lasciata la costa, salendo a 12000 piedi, si diressero verso l'isola di Nocra. Giovanni che era attentissimo a tutto lo scenario che lo circondava, consapevole che la sua conoscenza poteva, forse, un giorno, rappresentare la differenza fra la vita e la morte, notò sorvolando la piccolissima isola, della costruzioni. Seppe in seguito che in quel luogo era situata una struttura di cui si parlava poco volentieri. Era un carcere italiano in cui erano custoditi oppositori e rappresentati di passati regimi. In realtà da più parti se ne era chiesta la chiusura. Procedendo, la coppia di aerei raggiunse la grande isola di Dalhak, che dava il nome all'arcipelago, e quindi continuarono per la loro meta. La giornata era bellissima e la visuale era perfetta. Il giovane sottufficiale, sentiva il motore della sua macchina che ruggiva in modo fantastico. Raggiunta l'isola di Hermil su cui si trovava un piccolo contingente italiano, per lo più con compiti di vedetta e segnalazione di eventuali traffici aerei e navali, virarono per tornare alla base.

Tratte :

8) Volo VFR Massaua (HMAS) - Arcipelago Dahlak - Isola Hermil - Massaua (HMAS) Eritrea - circa 150 Mn continua...

Era stata veramente una bella gita, un'ottima occasione per prendere dimestichezza con il suo Falco, con il quale ora si sentiva un tutt'uno. Improvvisamente si accorse che Il suo compagno cercava di attirare la sua attenzione con gesti frenetici, indicando un punto alle loro spalle. Girandosi, sentì un brivido gelato attraversargli schiena. Giovanni vide tre puntini che si avvicinavano scendendo, dalla direzione del sole, molto probabilmente aerei nemici. Immediatamente Il suo collega, virò per intercettarli mentre Giovanni rimase incollato alla sua coda. In coppia si diressero verso quegli aerei che non tardarono molto a riconoscere per avversari. Erano tre Gloster Gladiator inglesi che si precipitavano quasi in picchiata verso di loro. Giunti ad una adeguata distanza, Rosmini aprì il fuoco e, forse solo per spirito di emulazione, Giovanni lo imitò, però rendendosi conto con orrore che stava tentando di uccidere un altro uomo, sia pure un nemico. Queste considerazioni scomparvero nell'istante in cui anche dall'altra parte si cominciò a rispondere al fuoco con un numero incredibile di colpi che si incrociavano a mezz'aria. Si rese ben conto della situazione quando alcuni proiettili danneggiarono il bordo di attacco dell'ala inferiore sinistra. Il gelo della paura gli pervase le membra. Non era pronto per il combattimento ed una sola cosa gli martellava nella mente: scappare! Immediatamente virò verso destra, allontanandosi dal suo compagno il quale, notata la manovra, con amarezza e rabbia considerò che non lo avrebbe potuto proteggere e che sarebbe stato inesorabilmente abbattuto. Ora però doveva pensare a difendere se stesso. Rosmini notò con rassegnazione che uno degli aerei inglesi si staccava dalla sua formazione per inseguire il suo collega e con amara sorpresa notò che sulla sua fusoliera era disegnata una strega a cavallo di una scopa, simbolo dell'asso inglese Milo Ward. Dal nome sembrava un attore del cinema ma chi lo aveva incontrato sapeva che forniva ben altro tipo di spettacolo. Un avversario terribile per un pilota esperto, figurarsi per un novellino. Con una stretta al cuore per non poterlo aiutare nell'immediato, si gettò sugli altri due aerei del gruppo deciso a tutto per toglierli di mezzo e soccorrere, se ancora in tempo, il suo collega. Giovanni si rese conto di avere un avversario in coda. Non c'era quartiere nè misericordia. Per un pò dimenticando tutto ciò che gli avevano insegnato, basandosi solo sul suo istinto, cercò solo di fuggire. Il Gloster era più manovrabile del CR42 che avrebbe avuto vantaggio solo procedendo in linea retta. Questo però avrebbe avuto come conseguenza solo quella di farsi abbatter in pochi secondi. Apparentemente le sue  iniziative sembrarono funzionare ma poi, l'inglese, cominciò ad essere più preciso con le raffiche della sua mitragliatrice e il giovane aviatore italiano sentì fischiare i proiettili sempre più vicino. Poi alcuni di essi colpirono l'aereo in punti per fortuna non essenziali. Quanto sarebbe ancora durata la sua fortuna? Aveva anche lui un bell'aereo ed era anche lui ben armato. E allora? Voleva morire così stupidamente, stare lì a farsi fare a pezzi? Tanto valeva allora che fosse rimasto a casa sua, come tanti suoi amici, magari a fare il cameriere alle terme o a imbottigliare la famosa gazzosa! E che avrebbe detto suo padre? Questo gli fece tornare alla mente che lui era non solo un buon pilota, ma anche un buon collaudatore. Quante ne aveva viste e quante volte aveva rischiato la pelle, uscendo dai guai sfruttando al massimo le caratteristiche del suo aereo? Doveva a tutti i costi togliersi l'avversario dalla coda ma per quante manovre facesse lui era sempre lì, a mitragliarlo. Eseguì un rapidissimo looping che per un attimo lo portò in coda all'inglese. Facendo forza su sè stesso per tacitare le sue riserve ad uccidere, immediatamente fece fuoco colpendo, con una breve raffica, un'ala dell'aereo nemico. Questo sobbalzò sotto i colpi ma fu solo questione di un attimo. L'avversario riprese la posizione di coda e non si fece più sorprendere da quella manovra. A questo punto l'unica cosa da fare era di rallentare e farsi sorpassare. Pescando freneticamente nei suoi ricordi di collaudatore ricordò una manovra particolare. Improvvisamente, 'incrociò i comandi', giocando contemporaneamente su timone e alettoni, facendo mettere l'aereo di traverso alla direzione del moto e causando una rapida decelerazione. L'avversario, sorpreso, si trovò a superare suo malgrado l'aereo italiano ed appena fu nella posizione precisa, Giovanni gli scaricò addosso tutta la potenza delle sue due mitragliatrici Breda-Safat da 12 mm, crivellandolo di pallottole per la soddisfazione di tutta la rabbia, la paura, la frustrazione che l'altro gli aveva fatto provare. Il Gladiator iniziò a lasciare una densa scia di fumo, mentre il motore perdeva colpi ed il pilota, forse ferito, tentava disperatamente di controllarlo per evitare di precipitare in mare. Ora avrebbe dovuto infliggere il colpo di grazia ma invece andò a cercare con lo sguardo il suo compagno di volo per vedere cosa gli fosse accaduto e lo vide che si destreggiava contro i suoi due avversari, indubbiamente anche quelli, due ossi duri. Senza pensarci un attimo, fece un gesto, come di saluto, verso il pilota in difficoltà che magari si aspettava una raffica fatale, abbandonandolo al suo destino e si diresse verso gli altri, sorprendendo tutti con delle  raffiche di mitragliatrice che ruppero il cerchio attorno al suo collega che subito colpì ripetutamente un aereo avversario che esplose letteralmente in una palla di fuoco, senza scampo per il pilota. Il superstite inglese immediatamente si dette alla fuga verso est. Rosmini contento e sorpreso per aver rivisto vivo il suo collega, gli fece segno di lasciar perdere e tornare a casa, considerato che dovevano fare i conti con il carburante. Al ritorno al campo, increduli meccanici e piloti ascoltavano il racconto di Rosmini che forse, con qualche leggera esagerazione, raccontava di come il suo compagno aveva praticamente abbattuto 'la strega', ed alla sua prima uscita, e poi di come gli fosse corso in aiuto, consentendogli di abbattere un aereo nemico. Gli altri ascoltavano increduli e affibbiavano di quando in quando grandi pacche sulle spalle del giovane sergente, il quale, solo in quel momento, stava realizzando di come fosse andato vicino alla morte e di come tutto all'improvviso avesse iniziato ad accadere come in un sogno. A quel punto, lo stomaco, decise di farsi sentire, costringendolo a lasciare il gruppo in fretta e furia per trovare un posto appartato dove liberarsi delle brutte sensazioni e non solo di quelle. Solo il sergente Coniglio non partecipava alla festa. Anzi, accanto agli aerei appena atterrati, valutava i danni riportati con un senso di rabbia e disapprovazione per ciò che era accaduto e tremando al pensiero di quello che avrebbe potuto accadere, e protestando a voce alta per il fatto che non si mandavano dei ragazzini a fare lavori da grandi. Anche il capitano, saputo ciò che era accaduto, si era felicitato per come erano andate le cose. Ma poi, subito dopo, non aveva potuto fare a meno di chiedersi cosa ci facesse in quel settore Milo Ward che notoriamente era il braccio destro di un altro asso dell'aviazione inglese. Si trattava di Pattle Marmaduke che però in quel periodo risultava al comando della squadriglia 'B' dell 80^ squadrone di stanza a Sidi Barrani. Che gli Inglesi stessero preparando qualche attacco in quella zona? Avrebbe informato immediatamente i superiori della cosa. Quella notte Giovanni era andato a letto ma non riusciva a prendere sonno. In cosa si era messo? Uccidere o essere ucciso e  in una sola volta era riuscito a ficcarsi in una tale situazione. Chissà, poi, se l'avversario era sopravvissuto. Verso mezzanotte sentì bussare in modo talmente discreto alla porta che,  se fosse stato addormentato, non se ne sarebbe nemmeno accorto. Chiedendosi chi fosse, si alzò ed andò ad aprire. Con vera sorpresa si trovò davanti il tenente Visentini che con un cenno di saluto entrò direttamente in camera e si mise a sedere sull'unica sedia disponibile, posta accanto alla piccola scrivania che, assieme alla branda ed un piccolo armadio costituiva l'arredo della stanzetta. Poi, con le braccia poggiate sulle gambe, le mani intrecciate e lo sguardo chino, come a guardarsi le scarpe, restò in silenzio, di certo per cercare attentamente le parole che avrebbe dovuto dire. Giovanni restò anche lui in silenzio, seduto sul letto, in attesa, curioso di sapere cosa aspettarsi. Poi l'altro incominciò. Iniziò osservando che se, totalmente inesperto di combattimento, era ancora vivo, questo certamente si doveva al fatto che non aveva seguito quanto insegnatogli durante l'addestramento. Gli Inglesi conoscevano perfettamente le manovre consigliate ed addirittura si era visto in qualche caso che le avevano addirittura anticipate. Se poi aveva quasi abbattuto la 'strega', non era stato per fortuna, che in quel caso proprio non c'entrava, ma perchè in qualche modo era bravo, ci sapeva fare, era un tutt'uno con il suo aereo. Gli chiese infatti la sua storia e quando apprese delle abilità acquisite da Giovanni si spiegò perchè lo scontro si era concluso con quell'incredibile esito. Gli disse che da tempo stava aspettando uno come lui, che gli desse una mano in un importante progetto. Poi, come cambiando discorso, iniziò a parlare di sè stesso. Il giovane lo stava a sentire con grande interesse, comprendendo che stava per essere messo a parte di fatti che non erano state narrati a molti altri. Raccontò che nel 1935 era stato rifiutato dall' Accademia Aeronautica Italiana ma tanto era il suo entusiasmo, che aveva conseguito il brevetto di volo privatamente, frequentando un corso a Taliedo, vicino Milano. Con il titolo ricevuto fu ammesso nella Regia Aeronautica Italiana col grado di sottotenente. A quel punto, nel novembre del 1937, si offrì volontario per andare a combattere nella guerra civile spagnola. Fu questa una decisione che aveva influito pesantemente sulla sua vita. Infatti si trovò ad assistere e, purtroppo, anche talvolta a partecipare ad azioni violente. La guerra di Spagna era stata una guerra spesso disumana, combattuta fra fazioni che si odiavano ferocemente. Erano state compiute vere atrocità da tutte e due le parti in conflitto.  Aveva veduto tanto sangue e morte attorno a lui, aveva perduto tanti amici e compagni e questo lo aveva segnato. Tornato a casa, era stato riconosciuto come eroe di guerra e decorato con una medaglia di argento. Fu inserito come effettivo nella Regia Aeronautica con il grado di tenente. Purtroppo egli aveva conosciuto la guerra sotto il profilo peggiore. Lo scopo che si era prefisso era quello di far sì di perdere meno compagni possibile e per quello, occorreva che le scuole militari di volo e le accademie, aggiornassero le tecniche di combattimento che insegnavano agli allievi, adeguandole alle nuove situazioni e in particolare ai nuovi apparecchi, capaci di manovre ben diverse da quelle tradizionali. Non lo avevano ascoltato e anzi, lo avevano spedito a 2500 miglia da casa, dove dissero che avrebbe impegnato meglio le sue risorse. Sapendo che l'aspettativa di vita dei suoi compagni, specie i novellini, sarebbe probabilmente stata brevissima, e proprio Giovanni era il più adatto a testimoniarlo, aveva scelto di non fare amicizia con nessuno, per non dover soffrire in caso di perdita, così come era stato diverse volte in Spagna. Passava quindi per antipatico, superbo, lunatico, scontroso ma era solo un modo di difendersi. Giovanni si sentiva in qualche modo lusingato da quelle confidenze ma ancora non capiva dove l'altro volesse andare a parare. E l'altro glielo disse. Con il permesso del capitano avrebbero fatto vedere agli altri cosa potevano fare due aerei come i loro, in combattimento, simulando nello spazio aereo sopra il campo una scena di combattimento simulato fra di loro, cosicchè gli altri potessero vedere come attaccare e difendersi in modo più moderno efficace e sicuro. Giovanni, con grande entusiasmo accettò e per l'emozione, anche quando l'altro ormai se ne era andato, faticò molto a riprendere sonno. Il mattino seguente alle ore 06.00 precise, Giovanni e il tenente erano seduti negli abitacoli dei loro aerei, pronti per una sfida che si sarebbe svolta nello spazio sovrastante il campo. Tutto il personale interessato era presente ai bordi della pista per non perdersi quello spettacolo. Fra gli altri c'erano il capitano Raffi che, fumando la sua pipa era curioso di vedere cosa sarebbe uscito fuori dallo scontro simulato fra il suo miglior pilota e quel ragazzino. Si era fidato però del giudizio del suo tenente. C'era pure il sergente maggiore Coniglio che si guardava intorno inquieto, come a cercare rassicurazioni circa quello che sarebbe accaduto. Non aveva ben capito lo scopo di quella esibizione ed era sempre molto nervoso quando i 'suoi' aerei venivano coinvolti senza valido motivo in eventi non strettamente necessari. Scambiatisi un cenno convenuto i due piloti decollarono per raggiungere la quota stabilita. Appena questo avvenne, Visentini si mise subito 'in caccia', incollandosi alla coda del compagno. Giovanni rispose immediatamente cercando di invertire le posizioni, Seguì da parte di tutti e due una serie di manovre ritenute incredibili e rese possibili solo dalla approfondita conoscenza del CR42 e anche dalla sua grande robustezza. Il personale a terra non riusciva a staccare lo sguardo da ciò che avveniva nel cielo sopra il campo e tutti erano lì con il naso in aria quasi rapiti da quello spettacolo di indiscussa bravura. I piloti, in particolare, non perdevano nulla di quella scena e addirittura spesso mimavano, senza accorgersene, per quanto possibile, i gesti con cui controllare i comandi per ottenere quegli effetti particolari. Visentini era un asso ma Giovanni stava imparando in fretta e poi aveva conoscenza di alcuni trucchi che potevano tornare utili in simili frangenti. L'importante, e quì aveva ragione il tenente, era che quelle manovre diventassero automatiche per poter essere utilizzate quando necessario senza dover andare a pescare nella memoria scappatoie quando si è sotto il fuoco nemico, alterati dall'ansia e dalla tensione. Dopo una mezz'ora di quelle acrobazie, Giovanni non riusciva più a togliersi l'altro dalla coda e allora a tutta manetta, iniziò a salire repentinamente. Appena raggiunta la posizione verticale, tolse completamente la manetta. L'aereo, dopo aver rallentato, si ribaltò e iniziò a precipitare capovolto. Il tenente sorrise valutando l'ingenuità di quella manovra. Si sarebbe messo immediatamente in posizione per sorprendere il giovane sergente quando si fosse rimesso in linea. Invece con raccapriccio si avvide che l'altro, perso il controllo, forse per aver voluto esagerare, era entrato in una vite incontrollabile. Subito si diresse verso di lui per cercare di capire cosa era successo. Da terra vedevano attoniti quell'aereo che veniva giù come una foglia morta, senza più controllo nè speranza. Il sergente Coniglio, letteralmente paralizzato, osservava quel bell'aereo, quasi nuovo, che stava per essere distrutto stupidamente per un gioco andato storto. Giunto a poco più di un centinaio di metri dal suolo, Giovanni che aveva costantemente tenuto d'occhio sia il terreno che il suo compagno, manovrò in tono deciso i suoi comandi. Tolse manetta, ruotò il timone in senso contrario a quello della vite, picchiò leggermente e poi, quando l'aereo smise di ruotare, richiamò in modo deciso impostando tutta manetta. Si trovò a circa venti metri dal suolo ma soprattutto sotto la 'pancia' del velivolo del collega.  Se fosse stato in combattimento, l'altro aereo non avrebbe avuto scampo. Visentini, più meravigliato che risentito, non aveva capito subito cosa era accaduto, ma presto capì di aver visto qualcosa di incredibile ma che, sopratutto, avrebbe potuto essere usato in battaglia. Fece all'altro un cenno di assenso e poi gli segnalò di rientrare. Appena atterrati, il tenente andò incontro al compagno e gli strinse la mano, complimentandosi per la maestria con cui aveva affrontato la prova. Era proprio quello che cercava per mostrare agli altri, cosa avrebbero potuto fare con quell'aereo oltre alle solite 'striminzite' manovre classiche insegnate nei corsi che non servivano più a nulla. Gli altri che da terra avevano seguito con il fiato sospeso la conclusione di quella prova, ora li circondavano complimentandosi con entrambi e iniziando subito a fare mille domande su ciò che avevano visto. Mise termine a quella particolare atmosfera di entusiasmo il sergente Coniglio che irruppe in mezzo al gruppo urlando come un ossesso, con gli occhi rossi e i pugni stretti, dicendo che non si poteva giocare così con i motori che curava tutti i giorni. Che i 'suoi' aerei non erano fatti per giocare e che se fossero precipitati, gliela avrebbe fatta pagare. Come, poi, non si sa! Giovanni, che si sentiva in qualche modo responsabile e che forse aveva esagerato un po', cercò di placare il sergente, asserendo di avere avuto la situazione sempre sotto controllo. E vista la scarsa convinzione dell'altro gli disse che quando si collaudava un prototipo in grado di giocare qualsiasi scherzo, dalla 'piantata' del motore alla perdita di un'ala, come di parte della fusoliera, si imparava a tirare fuori dalla macchina ogni risorsa per riprendere il controllo o addirittura semplicemente per salvarsi la pelle.  E lui aveva partecipato proprio ai collaudi del CR42. Il sergente però non intendeva ragioni e rivolto al capitano che era intervenuto disse chiaro e tondo che non avrebbe più permesso un  uso tale delle 'sue' macchine. Il capitano con toni bruschi lo congedò e gli disse che loro erano lì per fare il proprio dovere e tutti dovevano fare la propria parte senza storie. Stavolta il sergente aveva esagerato anche se da come erano andate le cose, non gli si potevano dare tutti i torti. Quella manovra aveva spiazzato e affascinato un pò tutti e il capitano temeva seriamente che qualche pilota, magari meno abile di quei due matti che si erano 'esibiti' ci lasciasse realmente la pelle nel tentativo di eseguirla. Fu molto esplicito con i due ragazzi. Allenare e aggiornare i colleghi, andava bene, ma senza elementi estremi che avrebbero potuto mettere in serio pericolo uomini e macchine. Purtroppo egli sapeva bene che, se pure era vero che alcuni dei componenti della squadriglia erano elementi di gran valore, gli ultimi rimpiazzi si erano rivelati piuttosto modesti. Così nei giorni seguenti, con il beneplacito del capitano Raffi e l'assicurazione al sergente Coniglio che non avrebbero più eseguito certe manovre estreme, i piloti si esercitarono con grande entusiasmo e serietà per eseguire le varie manovre in modo quasi automatico. Purtroppo il loro allenamento non potè durare molto a lungo perchè la mattina del 3 luglio, arrivò una pressante richiesta di intervento da Metemma, una località a 270 miglia a est del loro campo, dove gli Inglesi avevano iniziato a sferrare un serio attacco. Partì un gruppo di 5 aerei guidati dallo stesso capitano. Giovanni venne lasciato a Massaua con il compito di continuare ad istruire i piloti che ne avevano più necessità. Era chiaro che di lì a poco, gli impegni sarebbero divenuti sempre più pressanti e tutti avrebbero dovuto dare il meglio. Il ragazzo non fu affatto dispiaciuto di rimanere perchè ancora non riusciva ad entrare nella parte del combattente, non per vigliaccheria, ma ancora l'idea di uccidere, seppure in battaglia, gli procurava seri problemi di coscienza. La sera tutti gli aerei  rientrarono alla base. Per fortuna erano tutti illesi ma avevano esaurito tutte le munizioni ed il carburante era agli sgoccioli. Gli Inglesi erano stati fermati dalle azioni combinate fra terra a e cielo.

 

Oggi, paesino nord Italia, 04 aprile 2009

Uscì dall'hangar a velocità moderata. Doveva fare molta attenzione che l'emozione non gli giocasse brutti tiri. Sarebbe stato grottesco che tutto il suo folle piano fallisse per aver urtato qualcosa al suolo. Osservando le maniche a vento, stabilì che sarebbe dovuto decollare dalla pista 09 e quindi si diresse con l'apparecchio al punto attesa previsto. Ora era completamente scoperto e, peggio ancora, avrebbe dovuto passare proprio davanti alla casa di Pietro, il guardiano. Ma non aveva più paura, sentiva che il suo scopo stava per realizzarsi e tutto il resto poteva andare all'inferno. Passando davanti all'alloggio del custode, vide che questi usciva per vedere chi fosse ad utilizzare un aereo a quell'ora. Giunto sulla porta e realizzato cosa stava osservando, Pietro non sapeva che fare. Più che altro non aveva capito cosa stesse accadendo. Quello che aveva appena veduto era semplicemente impossibile. Aveva appena visto due fantasmi passargli davanti. Giovanni lo vide rientrare nel suo alloggio, di certo per chiamare qualcuno al telefono. Ormai era prossimo al suo ingresso in pista. Data un' occhiata intorno, se non altro per abitudine, visto che a quell'ora certamente non erano previste operazioni di volo, entrò in pista e si fermò un attimo per fare gli ultimi controlli. Non esisteva più nient'altro, solo lui, il suo apparecchio e il cielo che lo aspettava. Non più freddo, stanchezza, vecchiaia. La cloche fra le sue mani, l'odore del motore caldo, il contatto con il sedile che lo fece sentire di nuovo un tutt'uno con il suo aereo. Diede tutta manetta e dopo una breve corsa, tirò a sè la cloche come aveva fatto un numero incalcolabile di volte. L'aereo rispose immediatamente. Le ruote si staccarono dalla pista e Giovanni fu di nuovo libero nel cielo.

Massaua, 05 luglio 1940

Il mattino successivo venne richiesto di nuovo l'intervento della squadriglia. Infatti le colonne celeri corrazzate italiane che avevano difeso Metemma, notando una apparente vulnerabilità nelle forze inglesi in seguito alla sconfitta, decisero di incalzarle nella  loro ritirata e per fare questo avevano bisogno di nuovo di un adeguato aiuto dall'aria. Questa volta il capitano, memore dei problemi che c'erano stati con il carburante, decise che per avere una effetto più incisivo, il gruppo impegnato avrebbe dovuto essere formato almeno da 10 aerei che per l'occasione erano stati muniti ognuno di due bombe da 50 kg montate sotto le ali. Stavolta era stato reclutato anche Giovanni. Le colonne inglesi, ritirandosi si diressero a Cassala col doppio scopo di trovare rifugio e rinforzare le difese di quella base. Il primo obiettivo della squadriglia era proprio intercettare e fermare queste truppe. Le intercettarono nelle immediate vicinanze di Gallabat. Al primo passaggio gli aerei sganciarono le loro bombe producendo gravi problemi nella colonna britannica che si dovette arrestare. L'azione successiva fu quella di mitragliare i superstiti i quali, ripresisi in un tempo incredibilmente breve, frutto della loro notevole preparazione, si erano immediatamente messi al riparo iniziando un terribile fuoco  con le loro mitragliatrici messe velocemente in linea. Giovanni non gradiva quel tipo di combattimento. Una delle sue bombe cadendo con precisione aveva centrato in pieno un piccolo tank che era sparito in una palla di fuoco ed egli si era sentito enormemente dispiaciuto per quell'equipaggio, che non aveva mai visto e che ora, per sua mano, non c'era più. Tornò all'attacco estremamente riluttante a far fuoco su quelle figure a terra. Fu il fischio delle pallottole che gli venivano sparate contro che lo costrinsero a cancellare i suoi scrupoli. Come in un sogno, si vide mitragliare il nemici al suolo. Vide uomini cadere, vide postazioni che venivano distrutte e questo con un distacco che lo sorprese. Alla fine del combattimento, tornando verso casa si rese conto che qualcosa stava cambiando dentro di lui. Stava facendo un lavoro che andava fatto con la massima attenzione e accuratezza, pena la morte. Non poteva avere esitazioni o scrupoli. La parte della sua mente preposta all'istinto di conservazione, lo stava trasformando, gli faceva accettare le loro azioni, come ineluttabili, inevitabili. Ed egli lo capiva, ma non significava che gli piacesse e gli lasciava in bocca un gran senso di amaro. Giunti alla loro base, furono raggiunti da un messaggio che riferiva che le forze inglesi, fortemente decimate, lasciati sul campo numerosi caduti e molto materiale bellico, erano riuscite a raggiungere la base di Cassala. Si ordinava perciò di fare rifornimento di carburante e di bombe e quindi di ripartire senza indugio. Questo era il prezzo da pagare per essere considerati fra i migliori del quadrante e soprattutto quando le forze non erano così numerose da garantire un adeguato ricambio. Quando giunsero a Cassala, videro che le forze italiane di terra, costituite da due colonne di artiglieria leggera e fanteria, sostenute da quattro carri, si erano schierate in posizione ed attendevano solo che gli aerei, bombardando le zone strategiche per la difesa, consentissero loro di attaccare senza subire gravi perdite. Le bombe, sganciate con grande precisione fecero il loro lavoro. I piloti per abbassarsi a sufficienza in modo di avere più possibilità di successo, sfidavano una grandinata di pallottole che dal basso li prendeva di mira. Per fortuna nessun aereo subì gravi danni. Dopo un'ora di aspri combattimenti, fra azioni terrestri ed aerei che, fino a che lo consentì la riserva di carburante, continuarono a dar man forte mitragliando dall'alto, gli inglesi cedettero il campo e trovarono il modo di fuggire , ritirandosi a Gadaref a circa 50 Km a ovest. Tornando verso la base si imbatterono in un ricognitore inglese, un Vikers Wellesley, che sulla zona di Decamerè stava fotografando il territorio. Visintini, uno dei pochi che aveva ancora proiettili nei caricatori facilmente lo abbattè. Atterrati, il capitano Raffi richiamò l'attenzione dei suoi uomini sul fatto che non solo dovevano controllare sempre il carburante, ma che dovevano essere sicuri di avere, per il ritorno, una minima scorta di munizioni per far fronte ad ogni evenienza.

Tratte:

9) Massaua (HHAS) - Cassala (HSKA) Sudan - 270 Mn

10) VFR Cassala (HSKA) - Gadaref (HSGF) Sudan - 120 Mn

11) VFR Gadaref (HSGF) - Metemma (HAMM) Etiopia 120 Mn

12) Metemma (HAMM) - Massaua (HHAS)  Eritrea - 290 Mn

13) VFR Bahar Dar (HABD9 - Sawara - Gorgora - Koga - Baha Dar (HABD) Etiopia - 145 Mn  continua.......

Nei giorni seguenti, mentre la squadriglia riprendeva il suo normale volo di pattugliamento, le forze di terra continuarono la loro avanzata conquistando il forte inglese di Gallabat e poi i villaggi di Kezzan, Gurmur e Dumbode. Le colonne corrazzate celeri italiane, galvanizzate dalle continue vittorie, sembravano inarrestabili. Attaccarono la forte guarnigione inglese di Mojale, conquistandola dopo quattro giorni di aspri combattimenti. Il successivo tentativo degli Inglesi di riconquistarla andò a vuoto e anzi essi furono costretti ad abbandonare anche Debel e Buna. La evidente difficoltà britannica, invitò gli Italiani ad agire per cacciare gli inglesi dalla Somalia e più precisamente dal territori definito 'Somaliland'. Allo scopo vennero  organizzate tre colonne militari, costituite da carri e artiglieria leggeri e numerosa fanteria. La prima si diresse a Zeila, posta circa a 80 Km a sud del golfo di Tadjura. La seconda  verso Adlek, a circa 250 Km a sud/est del primo obiettivo e la terza si diresse verso Aducina a circa 40 Km a sud di Adlek. Come supporto a tutta l'operazione, il comando italiano previde un'efficace azione di intervento aereo. Fra i corpi prescelti, anche considerate le forze disponibili sul territorio, ci fu la 412^ squadriglia, nota per la fama che si era guadagnata nelle precedenti azioni combinate con le forze terrestri.  Per questo tutto il gruppo, con sufficienti dotazioni di munizioni, materiali ed aerei, fu trasferito d'autorità a Balbala, un sobborgo a sud est di Gibuti, presso il fiume Ambouli. La cosa avvenne malgrado le vibrate proteste del capitano Raffi e soprattutto del sergente Coniglio il quale tremava al solo pensiero delle 'sue' macchine e del 'suo' prezioso materiale a spasso nel deserto, per uno spostamento di 400 Km in mezzo al nulla. Malgrado ciò, il 1^ agosto ebbero inizio le operazioni di trasferimento, lasciando a Massaua un piccolo contingente per la difesa e la conduzione dell'aeroporto e si concluse senza particolari incidenti il giorno 3 dello stesso mese.

Tratte:

14) Massaua (HHAS) - Gibuti Chabelley (HDCH) Somalia - 380 Mn Tp

L'aeroporto consisteva  in una polverosa striscia di terra battuta. Per gli alloggi si dovettero allestire in fretta delle tende per proteggere gli uomini e i materiali dai tremendi raggi del sole di giorno e dal gelo della notte. Inoltre poichè le colonne sarebbero partite il giorno 4 agosto, occorse agire con la massima sollecitudine per mettere gli aerei in condizione di combattere. Il  giorno 6 la prima colonna raggiunse e conquistò Zeila senza bisogna di particolare aiuto. Per la seconda colonna le cose si dimostrarono molto più ardue. Infatti per raggiungere la meta prefissata, Adadlek, doveva superare il passo di Kerain che gli Inglesi avevano notevolmente  fortificato, decisi a difendere a tutti i costi l'obiettivo degli Italiani. La squadriglia fu impegnata quasi in continuazione per battere le postazioni nemiche con bombe e mitragliamenti a bassa quota. Erano ogni volta missioni difficili e pericolose perchè a quell'epoca anche un semplice colpo di fucile ben assestato poteva seriamente danneggiare un aereo, specialmente considerando che per avere precisione nelle loro operazioni, i piloti erano costretti a volare a bassissima quota, con velocità relativamente basse. Infatti nel corso delle loro azioni, Giovanni ed i suoi compagni, avevano subito diversi colpi, per fortuna senza serie conseguenze. Il sergente Coniglio era però seriamente preoccupato. Dirigeva la sua squadra di meccanici con puntiglio e ininterrottamente. Amava le 'sue' macchine, ma voleva soprattutto che i 'suoi' ragazzi andassero in missione senza rischiare per un bullone lento o un particolare tralasciato. Il sergente era però in ansia anche per un altro motivo. Egli, meglio degli altri aveva notato infatti che, dopo un iniziale rifornimento di carburante, munizioni e quant'altro, non era arrivato più nulla da Addis Abeba, compresi i ricambi promessi ma mai consegnati. Anche il capitano Raffi si era reso conto della situazione. Aveva cercato di fare pressione sul comando locale e non avendo ricevuto soddisfacenti risposte, sfidò la corte marziale dicendo che se non fossero arrivati rifornimenti, la squadriglia, armi e bagagli, se ne sarebbe tornata alla base con il carburante restante, prima di essere costretta a terra per il suo esaurimento. Alla fine, vista la determinazione del capitano, che non si fece intimidire dalle minacce nè scese a compromessi,  giunsero i sospirati rifornimenti ma in misura estremamente ridotta. Quel tanto per andare avanti alcuni giorni. Durante una riunione molto informale e riservata che Raffi ebbe con i suoi colleghi del posto, venne fuori una realtà sconcertante. Prima dell'inizio della guerra era stato fornito quanto necessario in buona quantità ai depositi posti in corrispondenza delle principali basi italiane  (Massaua, Mogadiscio e Addis Abeba). Iniziate le ostilità era abbastanza evidente che loro erano praticamente tagliati fuori dalla Patria poichè gli Inglesi controllavano le vie di accesso dove avrebbero dovuto passare i rifornimenti, ossia il Canale di Suez e lo stretto di Gibilterra.Ed effettivamente dopo l'inizio delle operazioni, si era capito da vari segnali che ulteriori integrazioni sarebbero state molto difficili e improbabili anche per la grande distanza dalla Patria, per la vastità delle zone di battaglia e infine per la quantità di operazioni in corso. Di conseguenza ogni presidio tentava di salvaguardare le proprie scorte a qualsiasi costo. Il giorno 11/8 il passo venne preso e gli Inglesi si videro costretti a ritirarsi a Berbera, decisi a resistere a tutti i costi.  A quel punto le due colonne italiane, la seconda e la terza, unite insieme, con il determinante contributo dell'aviazione, il 19/8 conquistarono Berbera, raggiungendo il proprio obiettivo.

Tratte:

15) VFR Gibuti Chabelley (HDCH) - Zeila - Adadlek (Adadley Somalia) - Berbera (HCMI) Somalia - 220 Mn  continua...

Due giorni dopo la 412^ squadriglia lasciava il campo per tornare a Massaua. Poco prima di partire furono informati che da un campo di prigionia vicino Addis Abeba era riuscito   a fuggire il pilota inglese Milo Ward il quale, guarito dalle sue ferite, con un gruppetto di colleghi, era riuscito a far perdere le proprie tracce, di certo aiutato dalle popolazioni locali che per vari motivi non vedevano gli Italiani di buon occhio. Durante il lungo viaggio, nella colonna di terra, il sergente Coniglio con i suoi meccanici era abbastanza soddisfatto. Non avevano subito perdite e gli aerei erano usciti piuttosto bene dai combattimenti in cui erano stati impegnati. In aria i piloti, osservando il territorio che scorreva sotto di loro, ripensavano alle varie operazioni che avevano svolto. Non erano particolarmente soddisfatti malgrado l'ottimo lavoro compiuto. Quelle azioni di attacco contro le forze terrestri infatti non li esaltavano particolarmente. Abbattere tutte quelle figure lontane che al loro passaggio cercavano di nascondersi o ripararsi conoscendo l'effetto terribile e letale delle raffiche di mitragliatrice che si abbattevano su di loro, o peggio, delle loro bombe, non era ritenuto da loro particolarmente onorevole, pur considerando che stavano combattendo una guerra e quegli uomini al suolo, appena ne avevano l'occasione, rispondevano agli attacchi con un fuoco micidiale. Giovanni, fra gli altri, osservava con scarso interesse il terreno quasi sempre uguale che sorvolava e rifletteva con grande amarezza sul fatto che ora uccidere non gli faceva lo stesso pesante effetto delle prime volte. Le operazioni di quei giorni che all'inizio gli avevano creato seri problemi, legati alla sua sensibilità, alla fine venivano svolte con una certa indifferenza, stando attenti per lo più a non farsi ammazzare. E intanto il terreno continuava a scorrere sotto di lui, ........

Oggi, paesino nord Italia, 04 aprile 2009

Con le mani strette attorno alla cloche ed i piedi saldi sui controlli del timone, Giovanni osservava con gioia e trepidazione il suolo che passava sotto di lui, il campo, ormai lontano, il corso del fiume che si stava avvicinando e l'abitato, poco distante di cui si distingueva il profilo delle case della periferia. Quando l'altimetro arrivò a segnare 1000 piedi rimise l'aereo in assetto orizzontale faticando non poco perchè quella macchina resisteva a scalciava peggio di un mulo e risultava difficile farla volare mantenendo costanti rotta e quota. Giovanni faceva ricorso a tutta la sua esperienza che gli consigliava di assecondare piuttosto che combattere le bizzarrie di quella assurda macchina resuscitata. Così con oscillazioni larghe e lente, arrivò a sorvolare l'abitato. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo ma la tentazione era troppo forte. Dall'alto notò le strade quasi deserte, vista l'ora, ma chi era fuori non potè fare a meno di alzare il viso per osservare quello strano uccello alto nel cielo. Era chiaro che quell'aereo era solo una vecchia baracca che per qualche miracolo si reggeva in aria, ma Giovanni si sentiva il padrone del mondo ed il vento sul viso, la vibrazione del motore più o meno regolare, gli risvegliarono antichi ricordi.......

Massaua, settembre 1940....

Dopo il loro ritorno alla base, l'attività era ripresa regolare e senza  sorprese. Lungo la linea del fronte non si svolgevano importanti operazioni e l'aviazione inglese, impegnata in quel periodo per lo più in Libia, non dava praticamente segni di attività. Solo durante il pattugliamento era frequente trovare fotoricognitori inglesi, che venivano frequentemente abbattuti o comunque seriamente danneggiati. Il capitano Raffi si chiedeva perchè tanto interesse per quella zona. Anche il comando, che riceveva regolarmente i rapporti dalle varie unità, si era posto quell'interrogativo. Alla fine arrivò alla conclusione che gli Inglesi stessero preparando qualcosa da quella parte e così decise di spostare diverse unità a nord e a sud di Massaua allo scopo di prevenire sorprese. Raffi, temeva invece che tutta quella attività servisse solo per creare un diversivo. Ma ci fu un fatto accaduto il 6 novembre approssimativamente sopra Agordat che rafforzò i suoi dubbi. Mentre Raffi con un gruppo di 8 aerei era di scorta  a sei bombardieri Caproni CA 133, appartenenti alla 65^ squdriglia, momentaneamente distaccata a Massaua, venne improvvisamente attaccato da 8 aerei inglesi Gloster Gladiator spuntati dal nulla. La sorpresa produsse diversi danni agli aerei italiani ma non gravi. La reazione fu immediata e tremenda. Fra l'azione dei caccia, fra cui si distinguevano Giovanni e Visintini, e le difese dei bombardieri, forniti di quattro mitragliatrici Lewis da 7.7 mm ciascuno, furono colpiti 5 aerei nemici. Due, li abbattè da solo il tenente Visintini ed uno lo danneggiò gravemente Giovanni che lo vide precipitare distruggendosi completamente al suolo. Il tenente Rosmini, che poteva vantare anche lui una vittoria e che, come al solito, era sempre al centro dello scontro, anche stavolta, a causa dei danni subiti,  riuscì a malapena a raggiungere la base. C'è da dire che se era vero che spesso 'le prendeva' era anche vero che  restituiva colpo su colpo i proiettili con gli interessi e gli avversari avevano imparato a temere il suo aereo. Considerata la comparsa di quella squadriglia, era ora evidente che gli Inglesi si apprestavano a preparare qualcosa a occidente del lago Tana e che quindi, da qualche parte, avevano stabilito delle basi di cui nessuno sospettava l'esistenza. A riprova di questa ipotesi, il 30 settembre cinque Blenheim I attaccarono i depositi Italiani a Gura. Produssero diversi danni ma dalle difese antiaeree ne vennero abbattuti tre perciò gli altri decisero di interrompere l'azione scomparendo verso ovest. Il giorno 16 ottobre, in seguito a segnalazioni, in parte fornite da gente del posto, la squadriglia ricevette l'ordine di partire al completo entro 24 ore, armata di bombe, alla volta di Gadaref, dove erano stati segnalati grossi movimenti di truppe inglesi. L'obiettivo si trovava quasi al limite dell'autonomia degli aerei. Una vera follia! Se fosse andato tutto bene, giunti sull'obiettivo, avrebbero avuto dieci o quindici minuti al massimo per agire. Bastava un vento contrario, un minimo di resistenza da terra o peggio, un duello in aria con qualche aereo nemico, e sarebbe stato impossibile tornare a casa. Purtroppo le bombe avrebbero dovuto prendere il posto di eventuali serbatoi supplementari. Per sfruttare al massimo la sorpresa avrebbero dovuto avvicinarsi a bassissima quota e iniziare immediatamente a mitragliare eventuali obiettivi. In seguito, vista la situazione, prendere quota e bombardare gli obiettivi principali. Praticamente una tattica suicida. Giovanni si propose al capitano Raffi per andare in avanscoperta ed effettuare una ricognizione dei luoghi.  Si fecero avanti anche altri piloti dicendo di volerlo accompagnare. Il capitano in realtà non gradiva molto l'idea. Il volo in solitaria sarebbe stato pericoloso. Per un lungo tratto in territorio nemico e senza possibilità di aiuto da parte di nessuno. Si faceva sentire sempre più pesantemente l'assenza della radio. D'altronde un solo aereo avrebbe potuto avere maggiori possibilità di passare inosservato. Alla fine Giovanni la spuntò. Era giovane, abile e pieno di risorse. Il sergente Coniglio gli montò un serbatoio supplementare da 500 Kg che sarebbe stato sganciato appena vuoto. Partì nel tardo pomeriggio calcolando di giungere in serata sull'obiettivo con luce sufficiente per prendere visione dei particolari. Le tenebre che sarebbero poi calate all'improvviso, come accade nel deserto, avrebbero nascosto la sua fuga perchè una volta scoperto, se non abbattuto dalla contraerea sarebbe di certo stato inseguito. Il sergente Coniglio per dargli maggiori possibilità aveva modificato gli scarichi dei motori, allungandoli, per renderlo invisibile al buio. Partito, si diresse ad ovest salendo alla quota di 12000 piedi. Non avrebbe seguito la rotta più breve, almeno all'andata ma quella che più facilmente l'avrebbe condotto alla sua meta considerato che, da solo, avrebbe avuto maggiori facilità a perdersi. Dopo trenta minuti di volo, discese a 5000 piedi, una altezza sufficiente a intercettare il suo riferimento, il fiume Atbarah. Quando lo ebbe raggiunto, seguì il suo corso verso sud finchè il grande corso d'acqua si divise formando anche il fiume Tekezè. A quel punto il suo obiettivo si trovava a circa 30 miglia per rotta 246°. Allo scopo di vedere meglio il terreno sottostante, si era abbassò ulteriormente e individuò la sua meta già da una discreta distanza. Gli Inglesi probabilmente si sentivano al sicuro e non  lesinavano l'illuminazione. Prima di partire gli avevano descritto approssimativamente la pianta del luogo. Si trattava di una cittadina di circa quindicimila abitanti, per la maggioranza arabi. Le case per la maggior parte erano poco più che capanne. Era una zona ricca grazie al commercio di sorgo, sesamo e arachidi. Nel periodo delle piogge la popolazione aumentava per i molti allevatori che giungevano con il bestiame per sfruttare i verdissimi ed estesi pascoli che si trovano sulle colline circostanti. La popolazione locale subiva la guerra cercando di non farsi coinvolgere più di tanto e per questo non parteggiava apertamente nè per una fazione nè per l'altra. Proprio a causa di ciò, in caso di necessità,  non sarebbe stato prudente prendere contatto con loro perchè la loro condotta era imprevedibile.  La zona che gli interessava era posta a sud-ovest dell'insediamento. Pareva che gli Inglesi avessero stabilito lì il loro quartier generale e le loro principali installazioni, compreso un aeroporto. Ciò non significava che non avessero disposto altrove difese di vario tipo, oltre a  quelle antiaeree. Si avvicinò da est salendo di quota per avere una visione d'insieme. Il suo aereo, ora che era sceso il buio della notte, non si poteva scorgere essendo anche stato dipinto di nero nella parte inferiore. Si sarebbe però udito il rumore se non fosse stato abbastanza in alto. Ciò che vide, confermò in parte le sue informazioni. Ma la presenza inglese era maggiore alle aspettative. Notò un gran numero di automezzi e di baraccamenti nella parte sud della cittadina. Di certo sarebbero stati ben difesi e l'aeroporto era stato realizzato ad est dell'abitato, ad una distanza di circa due km. Era di adeguate dimensioni e si notavano tre grossi hangar con molti aerei di vario tipo, parcheggiati all'esterno. Notò in varie zone dell'abitato ed anche intorno, alcune strutture recenti che spiccavano rispetto alle altre, probabilmente torrette o quant'altro destinato alla difesa. L'architettura delle capanne non si prestava certo ad ospitare unità antiaeree. All'improvviso il cielo si riempì di fasci di luce provenienti da molti riflettori puntati verso l'alto. Per ora non lo avevano individuato ma di certo lo avevano scoperto e lo stavano cercando. Si meravigliò che i riflettori restassero immobili nelle loro posizioni. Poi capì che erano stati accesi per guidare l'arrivo di un certo numero di aerei che giungevano da ovest a rinforzare il contingente. Era stata una fortuna perchè se anche qualcuno da terra aveva avvertito il rombo del suo motore, magari lo aveva considerato come emesso dagli aerei in arrivo. Giovanni che aveva scrupolosamente annotato tutto ciò che era riuscito a notare, stabilì che era ora di tornare a casa anche perchè avrebbe potuto incontrare  qualche avversario in aria. Il ritorno, eseguito alla quota costante di 12000 piedi fu abbastanza tranquillo e gli diede il modo di ragionare su quali fossero le migliori strategie per intervenire in una situazione come quella. Prima che se lo aspettasse, aveva raggiunto la costa appena a nord di Massaua e dopo poco atterrava indenne, atteso con ansia da tutti i suoi compagni. La soddisfazione per la missione fu grande quando egli espose al capitano ed ai suoi compagni la situazione, soffermandosi sui particolari più importanti e rispondendo a quasi tutte le domande dei suoi colleghi. Alla fine, stanco e provato dalla fatica e dal freddo della notte, se ne andò a dormire lasciando agli altri il difficile compito di mettere a punto una valida strategia. Il mattino del 18 ottobre, alle ore 05.00 gli aerei, riempiti i completamente i serbatoi, decollarono alla volta di Gadaref. Sarebbero giunti da sud, avrebbero bombardato i baraccamenti allo scopo di eliminare più inglesi possibile, magari i piloti, e la stazione radio, per poi concentrare il massimo sforzo sull'aeroporto cercando di evitare che gli aerei inglesi decollassero. Il tragitto per l'avvicinamento era stato studiato per evitare al massimo le difese di cui conoscevano l'esistenza. Purtroppo la deviazione a sud avrebbe ulteriormente accorciato il tempo a disposizione per l'intervento ma sorvolare la cittadina avrebbe significato rischiare di essere abbattuti, dando inoltre il tempo alle difese dell'aeroporto di organizzarsi. Spuntarono praticamente dal nulla, all'alba, a bassa quota, per ottenere la massima precisione dei bombardamenti. I primi aerei sganciarono i loro ordigni sui baraccamenti la cui posizione era ben nota. Poi proseguirono verso l'aeroporto mitragliando gli aerei a terra e cercando di fare il massimo danno possibile con le bombe rimaste a disposizione. Mentre compivano la loro missione erano rimasti meravigliati per la grande quantità di materiale che era stata ammassata in quel posto. I piani degli Inglesi dovevano essere di certo molto ambiziosi e senz'altro si trattava di qualcosa di grosso. La pioggia di bombe che colpì l'aeroporto provocò danni tremendi. Gli hangar vennero distrutti, così come il deposito di carburante. Sulla pista, danneggiata, ventuno aerei nemici bruciavano e altri erano comunque inutilizzabili. Il tutto in circa dieci minuti. Purtroppo le difese antiaeree in quel lasso di tempo avevano avuto modo di reagire ed avevano colpito seriamente uno degli aerei italiani che bruciando iniziò a precipitare. Il pilota, un giovane sergente, gravemente ferito, diresse, in qualche modo, il suo aereo su un deposito di automezzi che scomparve in una palla di fuoco quando l'aereo italiano ci si schiantò sopra. Anche altri aerei furono colpiti ma in modo non grave e tutti i superstiti iniziarono la fase di ritorno. Giunsero alla base con il carburante agli sgoccioli. Erano soddisfatti ma rattristati dalla perdita del loro compagno che però almeno si era tirato appresso un bel pò di nemici. L'efficacia della missione era dovuta anche alle informazioni che aveva fornito Giovanni. Purtroppo ciò che avevano trovato a Gadaref avvalorava le voci di una grossa offensiva da parte degli Inglesi che, partendo dalle loro basi ad ovest, avevano intenzione di riconquistare i territori perduti e poi continuare ad avanzare verso est. L' 11 novembre un pesante attacco aereo e terrestre venne sferrato dagli Inglesi alle cittadine di Garabat e Metemma, più che altro per saggiarne le difese. Gli Italiani presi alla sprovvista, furono costretti a ritirarsi ma il giorno seguente, dopo essersi riorganizzati, riconquistarono le loro posizioni costringendo il nemico a ritirasi con gravi perdite. A questa battaglia partecipò anche la 412^ con 10 aerei. Furono abbattuti 5 Gloster Gladiator senza subire perdite se si può trascurare il fatto che il solito Rosmini, sempre più audace, tornò alla base con l'aereo ridotto quasi a un colabrodo fra le ire del sergente Coniglio che in realtà era più preoccupato per il pilota che per l'aereo. All'inizio di dicembre giunsero le solite voci non confermate che gli Inglesi stessero organizzando qualcosa di grosso nella zona di Gaz Regeb. Il 10 dicembre giunse conferma che il 237^ squadrone dell'aeronautica inglese aveva stabilito in quel luogo la propria base con l'intento di effettuare incursioni o appoggiare azioni terrestri ai danni delle basi Italiane. Due giorni dopo la 412^ decollò alla volta della base nemica con l'intento di distruggerla. Fu uno scontro cruento a causa della forza e dell'abilità degli Inglesi. Pur gravemente danneggiati riuscirono a resistere riuscendo a far decollare alcuni aerei che inseguirono gli Italiani i quali, terminata con successo la loro missione, iniziavano il lungo viaggio d ritorno verso casa con il carburante appena sufficiente. Raffi era indietro per coprire tre aerei che, colpiti e con le ali danneggiate, erano un poco più lenti degli altri. Prima che gli altri Italiani se ne rendessero conto, tre aerei Inglesi furono loro addosso mitragliandoli desiderosi di vendetta. Infatti nel bombardamento erano rimasti completamente distrutti quattro aerei Maurer Heart e 3 Gladiator per non parlare di quelli danneggiati. Dal motore di Raffi immediatamente cominciò ad uscire fumo e l'aereo prese a precipitare controllato disperatamente dal pilota, per fortuna incolume. Visintini si accorse subito di quanto accadeva e, fatto segno a Giovanni di seguirlo, si gettò in aiuto del loro sfortunato compagno. Mentre in cielo si combatteva, l'aereo del capitano si schiantò al suolo lasciando però il pilota quasi incolume e in grado di allontanarsi dalla carcassa prima che esplodesse. Visintini fece capire a gesti a Giovanni cosa intendeva fare. Non avrebbe mai lasciato il suo capitano prigioniero, nelle mani degli Inglesi. Così, lasciato Giovanni a cavarsela contro tre avversari, iniziò le manovre per atterrare più vicino possibile al pilota caduto. Il giovane sergente si gettò nella mischia come un leone con le mitragliatrici fiammeggianti, tranciando di netto un'ala ad uno degli avversari. Doveva tenere impegnati gli altri due per evitare che colpissero il facile bersaglio dell'aereo fermo a terra. Visintini si fermò a pochi metri dal capitano. Si slacciò il paracadute e lo gettò fuori bordo per fare posto all'altro nell'abitacolo, sopra le sue ginocchia. Appena possibile decollò per dare manforte al loro compagno ma non ce ne fu necessità perchè gli avversari, forse non molto esperti, avevano deciso di ritirarsi. Erano rimasti indietro da soli e non volevano forzare i motori per non consumare inutilmente carburante e utilizzandone anche l'ultima goccia, riuscirono a tornare alla base. Gli altri, che li credevano perduti, li salutarono con grida entusiastiche. La missione era stata un successo ed il loro capitano era salvo. Raffi, sceso a terra ringraziò a lungo i due uomini che l'avevano salvato da una ingrata prigionia. I successivi rapporti riportarono sia l'esito della missione sia l'azione di Visintini e quella di Giovanni il quale era stato anche citato per la ricognizione solitaria su Gadaref. In quel periodo in cui le cose al fronte non andavano poi così bene, i 'pezzi grossi' a Roma capirono che in Italia c'era bisogno di eroi e così, dopo la promozione rapidissima, praticamente sul campo, di Visintini al grado di capitano e di Giovanni al grado di sergente maggiore, disposero per loro un trasferimento immediato in Patria per mostrarli alla stampa, che ne tirasse fuori articoli patriottici e inneggianti alla vittoria. Il 18 dicembre giunsero a Roma e da lì iniziò per loro un giro di conferenze e festeggiamenti.

Tratte:

16) Massaua (HHAS) - Porto Sudan (HSPN) Sudan - 320 Mn

17) Porto Sudan (HSPN) - Aswan Intl (HESN) Egitto- 420 Mn

18) Aswan Intl (HESN) - Alessandria (HEAX)  Egitto- 520Mn

19) Alessandria (HEAX) - Atene Hellinicon (LGAT) Grecia- 590 Mn

20) Atene Hellinicon (LGAT) - Roma Ciampino (LIRA) Italia- 600 Mn

21) Roma Ciampino (LIRA)  - Torino Caselle (LIMF) Italia - 350 Mn

22) VFR Torino Caselle (LIMF) - Asti - Acqui Terme - Cuneo - Lurisia - Savona - Genova (LIMJ) Italia - 170 Mn continua......

Con l'occasione venne presentato un libro che narrava le avventure del neo-capitano, al quale era stato attribuito l'appellativo di 'cacciatore scientifico' per la freddezza con cui sceglieva ed abbatteva le sue 'prede'. Riservato e schivo per natura, con il carico delle sue dolorose esperienze, Visintini mal sopportava tutta questa pubblicità e vi si assoggettava assai malvolentieri. Giovanni, dello stesso avviso, chiese, appena possibile, il permesso di andare a visitare suo padre. Qualcuno ritenne che il messaggio propagandistico sarebbe stato più incisivo se il protagonista fosse stato solo il giovane capitano, il coraggioso e fulgido ufficiale, il quale, per la Patria, compie gesta eroiche e affronta impavido i suoi nemici. Così Giovanni fu messo in fretta su un treno che dopo molte, troppe, ore di viaggio finalmente raggiunse Torino. Purtroppo la notizia del suo viaggio era trapelata e al suo arrivo in stazione trovò una delegazione di Lurisia, composta dal sindaco, alcuni funzionari del comune e dei giornalisti venuti per qualche foto ed un'intervista. Fatto buon viso a cattivo gioco, alla fine  fu portato con un macchinone al suo paese e accompagnato davanti alla porta di casa sua. Casa sua! Gli sembrava quasi impossibile da credere. Da quanto tempo se ne era andato, tornando appena qualche giorno all'anno, se non altro per incontrare suo padre. Preso commiato dalla folla e dopo aver assicurato che sarebbe stato presente al grande cenone di Natale che si sarebbe tenuto presso le terme a tarda serata, trovò il padre ad aspettarlo dentro casa. Purtroppo non era più in salute come lo aveva lasciato ed appariva vecchio e stanco. Il paese era molto cambiato da come lo ricordava. I soldi affluiti con l'attività termale e turistica lo avevano molto trasformato. Anche i suoi amici ormai erano altrove. La sera del 24 dicembre si trovò ad essere uno degli ospiti di onore del cenone di Natale che si tenne presso il lussuoso ristorante delle terme con la partecipazione del 'bel mondo' e delle personalità locali. Tutti vollero conoscerlo e farsi fotografare assieme a lui per poi, semplicemente, dimenticarsene. Giovanni guardava con distacco tutto quello sfarzo, quel lusso, quell'abbondanza. Sembrava che la guerra non fosse mai esistita. Nessuno ne voleva nemmeno sentire parlare. Vide molti giovani che avevano trovato il modo di sottrarsi in qualche modo alla leva, intenti solo a divertirsi. Dai loro discorsi, si rese conto che sembravano vivere su un altro pianeta. La musica, la festa, facevano un contrasto stridente con le sue esperienze di battaglia, i suoi amici caduti. Gli tornano in mente le scene di distruzione dei bombardamenti, i morti scompostamente abbandonati al suolo. Certe scene non si potevano dimenticare facilmente e stonavano in modo grottesco e amaro con lo scenario che lo circondava in quel momento e con quei damerini che mettevano in mostra i loro abiti alla moda, parlando dell'auto nuova che avevano appena comprato e gli sembrò che le ragazze presenti non fossero da meno. Profondamente amareggiato, lasciò la festa senza che nessuno se ne accorgesse. A casa il padre gli disse di capirlo totalmente. Purtroppo il denaro che aveva cominciato a scorrere non aveva cambiato in meglio nè le persone nè i luoghi. Così la mattina dopo, il 25 dicembre, con un colpo di testa, riuscì a raggiungere telefonicamente a Roma il suo amico e sentì che si trovava esattamente nella stessa situazione. Ormai, per loro, la vera famiglia era la  squadriglia, i loro compagni ed i meccanici con i quali si trovavano a condividere i pesanti eventi di quei drammatici giorni. Decisero di incontrarsi a mezza strada, a Firenze, per decidere sul da farsi.  Si ritrovarono in un modesto albergo del centro storico e poterono finalmente passare una giornata in pace, brindando ai loro compagni e risollevandosi il morale con un paio di ragazze semplici e simpatiche che avevano conosciuto casualmente. La mattina successiva, con il permesso dai loro superiori locali, ottennero un passaggio su un aereo postale per tornare alla loro unità. Quando arrivarono, carichi di doni acquistati prima di partire, poterono finalmente festeggiare come si deve il Natale. Purtroppo la tregua durò molto poco. La pressione degli Inglesi riprese a farsi sentire dopo poco tempo. Il nemico era deciso a riconquistare tutti i territori che aveva dovuto cedere. Ai primi di gennaio del 1941 Iniziano le operazioni inglesi per riconquistare la base di Cassala che sotto i colpi dell'artiglieria nemica alla fine cadde. Le truppe italiane, in ritirata verso Agordat venivano incalzate continuamente dal nemico. La 412^, fra gli altri corpi combattenti, faceva il possibile per diminuire la pressione sulle forze terrestri ma gli Inglesi che ricevevano continuamente rinforzi, reagivano in modo sempre più violento ai vari attacchi. Il 28 gennaio, a sorpresa, l'aviazione sudafricana bombardò pesantemente gli aeroporti di Asmara e Gura causando gravi danni ai depositi italiani e distruggendo al suolo 47 apparecchi. Il giorno seguente, con un deciso sforzo, gli Inglesi conquistarono il monte Cochen  e subito dopo la base di Agordat. Gli Italiani furono costretti a ripiegare ancora su Cheren. Nel corso degli scontri aerei che si erano fatti sempre più cruenti, quattro piloti della 412^ furono  abbattuti e lo stesso capitano Raffi era stato ferito, anche se in modo non grave. Visintini si prese sulle spalle tutta la responsabilità del comando in quel momento difficilissimo e scelse Giovanni come suo aiutante. Il 2 febbraio gli Inglesi attaccarono il passo di Rongulars per aprire la strada alla conquista di Cheren. Le forze residue italiane presenti in zona, furono lanciate nella mischia per difendere quel punto strategico. Il giorno 10 febbraio, nella tarda mattinata, sembrò che gli Inglesi stessero per avere la meglio ma la 412^ con tre attacchi successivi di bombardamento e mitragliamento riuscì a dare alle forze di terra il tempo ed il modo di riorganizzarsi. Purtroppo non c'era modo di avere delle pause. A peggiorare le cose, ci si mise il famigerato khamsin che non dava tregua, empiendo tutto di polvere e riducendo la visibilità. Con gli aerei superstiti, rappezzati alla meglio, e con la conseguente rabbia e disperazione del sergente Coniglio, l' 11 febbraio ripresero il volo con l'obiettivo di continuare a difendere il passo. Il tempo era tremendo, con un vento fortissimo ed una visibilità molto ridotta. Malgrado ciò riuscirono tutti a raggiungere il loro obiettivo ricominciando i bombardamenti delle forze di terra inglesi. Purtroppo, causa la scarsa visibilità, erano costretti ad abbassarsi parecchio, così da esporsi al tiro delle armi automatiche del nemico. Riportarono danni quasi tutti gli aerei e quando, esaurito il carburante a disposizione, ripresero la via del ritorno, fu chiaro che alcuni, più danneggiati di altri, con quelle condizioni meteorologiche, non ce l'avrebbero fatta a raggiungere la base. Notata una radura in località Sabar Guma, non molto distante da Asmara, i due aerei in condizioni peggiori atterrarono alla bell'e meglio. Gli altri, verificato che i compagni erano al suolo sani e salvi, annotata la posizione, proseguirono verso la base. Appena atterrati, Visintini, che si sentiva responsabile per i suoi uomini, chiese di rifornire subito il suo apparecchio con l'intento di tornare indietro  e cercare di aiutare i suoi compagni in qualche modo. A nulla valsero le preghiere degli altri piloti per farlo desistere da quel progetto pazzesco, visto che il tempo era addirittura peggiorato, riducendo ulteriormente la visibilità. Giovanni, che lo voleva assolutamente accompagnare, aveva però il carrello dell'aereo seriamente danneggiato ed era riuscito ad atterrare incolume per miracolo. Visintini rifiutò di attendere, così come l'aiuto degli altri piloti. Decollò appena possibile, diretto verso il luogo che aveva segnato sulla carta. Giunse la sera senza che ci fossero sue notizie. Quando arrivò l'alba del 13 febbraio fu chiaro che doveva essere successo qualcosa di brutto. Con gli aerei disponibili, quattro piloti presero il volo per cercare i loro compagni. Sorvolarono la zona intorno a quella dove erano atterrati i compagni la sera prima, ma non riuscirono a trovarli. Poi si seppe che i due, trovatisi in un inferno di polvere, avevano cercato di raggiungere Asmara a piedi ed erano stati rinvenuti quasi soffocati ed esausti da una pattuglia di terra che tornava alla base. Purtroppo, alla fine, trovarono i rottami dell'aereo di Visintini. Si era schiantato su un versante del monte Nefasit ad appena 30 miglia dalla base, in direzione ovest-sud-ovest. Il terribile vento doveva averlo letteralmente travolto, facendogli sbagliare rotta e sbattendolo contro la parete di quella montagna ad un'altezza di 1500 m. Il convoglio che raggiunse via terra la zona dell'incidente, risolse ogni dubbio. Il giovane capitano Mario Visintini, l'eroe di guerra, con le sue 16 vittorie, in un'azione intesa a soccorrere i suoi uomini, se ne era andato, a 28 anni di età, vinto dalle forze della natura ma non dal nemico. Fu un colpo terribile. Giovanni aveva perduto non solo un superiore corretto ed esperto, ma anche un buon amico. La squadriglia non era più la stessa. Il giorno 14 febbraio, con in mente la sorte del loro compagno e in nome del suo ricordo, i piloti, sul campo di battaglia fecero delle cose eccezionali e gli Inglesi subirono una batosta tremenda da parte di quegli uomini che quel giorno sembravano capaci di qualsiasi impresa, incuranti del fuoco nemico e micidiali in tutte le loro azioni. L'atmosfera però era cambiata per sempre, sia per gli eventi tragici che l'avevano colpita, sia per l'andamento della guerra. Quello speciale spirito combattivo non poteva durare a lungo. Nella mensa, nel circolo, non si rideva più, non si sentiva il baccano caratteristico che di solito produce un gruppo di giovani che si diverte e scaccia le paure con canti, risate e scherzi. Cominciava a pesare la mole di missioni sempre più frequenti, l'alto numero di perdite che si aveva, sia da una parte che dall'altra. La mattina si saliva sugli aerei, si decollava e si raggiungevano gli obiettivi. Poi si tornava alla base. Tutto con una sorta di fatalismo che portava ad eseguire le varie incombenze in modo quasi automatico. Ognuno faceva fronte al proprio dovere ma senza quell'entusiasmo che aveva connotato la squadriglia fino ai primi giorni del 1941. Per Giovanni il colpo di grazia fu provocato dalla notizia, recapitatagli il 3 marzo, della morte del padre. Era stanco, decisamente. Solo in aria entrava in una condizione in cui non provava fatica nè dolore. Si concentrava sul suo incarico e lo svolgeva al meglio. Durante i periodi liberi aveva preso l'abitudine di lavorare sull'aereo che avevano provato a fargli pilotare quando era arrivato, isolandosi da tutto e concentrandosi su quel lavoro apparentemente inutile e senza fine, ma così riusciva a non pensare e questo lo aiutava a recuperare l'energia necessaria a svolgere il proprio lavoro. Intanto dall'inizio di marzo le forze inglesi avevano diretto i loro sforzi alla riconquista del territorio definito in origine Somaliland che gli Italiani avevano conquistato pochi mesi prima. In quello stesso periodo era giunta la notizia, confermata, che un consistente contingente dell'aeronautica inglese aveva stabilito una base nei pressi di Addis Zemen vicino alla riva destra del lago Tana. Purtroppo non si era riusciti ad ottenere notizie particolareggiate sia sulla eventuale consistenza delle forze del nemico, sia sulla posizione. Un ricognitore spedito in avanscoperta non aveva fatto ritorno. Brutto segno. Il giorno 15 marzo, Giovanni partì assieme agli altri, incontro al proprio destino senza nemmeno protestare per la grande distanza e l'impresa quasi disperata. Erano decollati in 8, e sarebbero andati su una una piazzaforte nemica di cui non si conosceva praticamente nulla. Magari speravano nella sorpresa. Giunti in prossimità dell'obiettivo, si abbassarono di quota, come al solito, per arrivare sul posto all'improvviso. Avrebbero fatto un passaggio veloce mitragliando tutto ciò che ritenevano pericoloso o interessante mentre prendevano atto degli obiettivi principali. Poi con un secondo veloce passaggio, avrebbero bombardato con criterio e precisione quanto rilevato. Era in questo tipo di operazioni che si sentiva molto la mancanza di apparecchiature radio. Sbucando dalle dune all'improvviso sulla base nemica, si resero conto subito che si erano andati a infilare letteralmente in un nido di vespe. Per cominciare, era stata realizzata un'aviosuperficie costituita da due piste parallele. Due soli hangar ma almeno quaranta aerei di vario tipo, fra cui molti caccia, parcheggiati in un'aerea piuttosto ampia che rendeva difficile bombardare con efficacia. Un numero imprecisato di punti di difesa posti sia ai margini dell'istallazione sia al suo interno. Fortunatamente il primo passaggio fu effettuato senza perdite, per la sorpresa. Il mitragliamento fu diretto più che altro verso gli aerei a terra con la speranza che non riuscissero a decollare. Per il secondo passaggio, fu tutta un'altra storia. Messe all'erta, le postazioni antiaeree facevano fuoco da tutte le direzioni. Alcune bombe colpirono il deposito carburanti ma le altre produssero solo dei danni relativi. Già il secondo passaggio costò agli Italiani la metà della squadriglia. I superstiti ripresero la strada di casa ancora in parte stravolti dall'esperienza appena fatta. Erano passati attraverso un inferno di fuoco nemico così intenso da chiedersi come era possibile che qualcuno potesse esserne uscito indenne. Dopo 10 minuti fu chiaro che gli Inglesi non avevano alcuna intenzione di lasciarli andare in pace. Si videro distintamente quattro aerei nemici che li inseguivano. In teoria i Falchi erano più veloci ma alcuni avevano riportato danni e per non lasciarli indietro tutti si erano adattati ad una velocità inferiore. Pochi minuti dopo il sergente Palumbo, un ragazzo che aveva fatto parte della squadriglia fin dalla sua formazione, preso atto che il suo aereo era il più danneggiato e che imponeva agli altri una velocità ridotta, invertì la rotta per intercettare i nemici e dare così tempo agli altri di allontanarsi e mettersi al sicuro. Era una iniziativa suicida e da solo non sarebbe durato nemmeno un minuto. Giovanni, che dopo l'episodio di Visintini, aveva giurato che mai più avrebbe abbandonato un compagno, dopo aver segnalato agli altri due aerei superstiti, ma comunque danneggiati, di proseguire, invertì a sua volta la direzione per dare man forte al suo coraggioso collega. Piombarono sul gruppo nemico sparando come ossessi, centrando in pieno uno degli aerei inglesi. Gli altri tre però reagirono all'istante, mettendosi in coda ai due Italiani. Giovanni più che a sè stesso pensava al suo compagno. All'improvviso notò sulla prua di uno degli aerei nemici il disegno di una strega. Era Milo Ward! Il destino alla fine li aveva fatti rincontrare. Chissà come sarebbe andata a finire questa volta. intanto mentre sparava verso gli aerei che minacciavano l'altro pilota, sentiva chiaramente e distintamente il suo apparecchio sussultare sotto i colpi che gli giungevano in gran numero dagli avversari che lo inseguivano......

Oggi, paesino nord Italia, 04 aprile 2009

Giovanni, aveva percorso le ultime miglia, come perso in un sogno, in trance, smarrito nel mare di ricordi che lo aveva letteralmente travolto e ora era stato richiamato bruscamente alla realtà da un violentissimo scossone. Gli risultava sempre più difficile mantenere la quota a causa del beccheggio che si era fatto sempre più incontrollabile. Era tempo di tornare, sempre che ce l'avesse fatta. Quando andò a virare, si accorse che l'aereo non rispondeva quasi per nulla. Le sue braccia, messe a dura prova dal controllo della cloche in quelle condizioni, cominciavano ad essere pesantissime. Dette uno strattone deciso alla cloche e l'aereo finalmente si decise ad iniziare la virata per tornare indietro. Giovanni, guardando verso gli impennaggi si rese conto che l'alettone alloggiato sul bordo dell'ala destra superiore aveva assunto una posizione insolita. Indubbiamente qualche tirante doveva aver ceduto ed ora l'alettone non avvertiva quasi più l'effetto dei comandi. Dai riferimenti al suolo si rese conto che aveva percorso circa 12 miglia. Forse poteva ancora farcela con un pò di fortuna, e di fortuna, fino a quel momento ne aveva avuta certamente tanta. L'altimetro gli indicò che era sceso di quota a circa 700 piedi. Poco male, non c'erano alture in zona che lo potessero ostacolare. Il problema era costituito dalla difficile manovrabilità di quell'aereo che stava velocemente consumando le sue ultime forze e dal fatto che la temperatura del motore stava salendo piuttosto in fretta. A otto miglia dal campo, una perdita di olio provocò una macchia che coprì in parte il  parabrezza. Sembrava che quell'aereo, stabilito di averne abbastanza, avesse deciso di mettere fine a quel volo così pazzesco, assurdo. Il vecchio pilota tentava in qualche modo di controllare disperatamente la situazione ma era chiaro che la battaglia era impari. Veniva sballottato da tutte le parti sempre più debole, con la consapevolezza che il motore surriscaldato lo avrebbe abbandonato all'improvviso e magari prendendo fuoco. Ma non si voleva arrendere e, con le poche energie che gli restavano, resisteva, fosse anche l'ultima cosa che avrebbe fatto nella sua vita, avrebbe lottato per portare a terra il suo aereo.

 

Dintorni di Addis Zemen, 15/03/1941

L'aereo di Giovanni, ridotto ad un colabrodo per i colpi ricevuti, continuava a combattere. Un Inglese era stati abbattuto ma poi era toccato anche al sergente Palumbo il cui aereo era letteralmente esploso in aria ed ora Giovanni, senza speranze di cavarsela, faceva quello che poteva, almeno per dare agli altri più tempo per mettersi in salvo. Purtroppo l'ultima raffica di colpi lo aveva centrato ad una spalla e a parte la copiosa conseguente perdita di sangue, non aveva più il controllo del braccio destro. Un'altra raffica lo centrò e questa volta ricevette un colpo di striscio alla testa, e poi altri due nella coscia destra. Ora era veramente finita. Che aspettavano? Invece si accorse che l' aereo inglese con una strega dipinta sulla prua lo aveva affiancato. Era Milo che  indubbiamente lo aveva riconosciuto e, dopo un cenno di saluto, si scostò e riprese la rotta verso la sua base seguito dai suoi compagni. Ma c'era poco da fare. Indebolito e debilitato dalle numerose ferite, con l'aereo che stava in aria per miracolo, si sarebbe di certo schiantato nel deserto da un momento all'altro. In un momento di lucidità si accorse che la sua rotta attuale lo stava portando verso le rive del lago Tana. Non voleva finire in acqua. Così, preso atto che nelle sue condizioni non sarebbe mai riuscito ad uscire con le sue forza dall'abitacolo, si slacciò le cinture di sicurezza e fece lentamente capovolgere il suo aereo. Cadde nel vuoto, separandosi dal suo aeroplano che continuò la sua corsa, capovolto, verso la superficie del lago. Gli dispiaceva immensamente abbandonare il suo aereo, il suo compagno in tutta quella pazza avventura, che non lo aveva mai abbandonato e non l'aveva mai tradito. Ma ora, forse, uno si poteva salvare e non era l'aereo. Lo vide proseguire nel suo ultimo viaggio con l'angoscia di chi perde un caro, insostituibile amico e con la certezza di aver contratto con lui un serio debito. In qualche modo riuscì ad azionare il suo paracadute ma poi tutto scomparve nel nulla. Ebbe delle fugaci visioni di persone che si  parlavano attorno a lui in una lingua che non capiva. Vide i volti di persone di colore che lo osservavano, il viso di un uomo bianco anziano ma soprattutto fu colpito dal viso bellissimo scuro di una ragazza che gli parlava in una lingua sconosciuta ma con un tono rassicurante, quasi come una carezza. E poi, una mattina, all'improvviso, riprese pienamente coscienza. Si sentiva debolissimo. Capì di trovarsi al chiuso, dentro una capanna con il tetto di legno e frasche. Dalla porta aperta entrava la luce del sole in modo violento. All'interno della piccola costruzione, le poche cose relative alla vita semplice  di persone del posto. Dalle caratteristiche di quell'ambiente era chiaro che non si trovava in un ospedale. Seduta accanto a lui, con la schiena appoggiata ad un palo di sostegno del soffitto, una bellissima ragazza, quella che aveva veduto per ultima prima di perdere conoscenza, assopita. Come avesse avvertito un cambiamento la ragazza aprì gli occhi e, avvedutasi che il ferito aveva ripreso i sensi e la stava osservando, colpito dalla sua bellezza, mormorando alcune parole concitate in una lingua incomprensibile, un pò ridendo un pò piangendo, gli si avvicinò piegandosi su di lui e facendogli una carezza sulla testa mentre gli occhi meravigliati di Giovanni non perdevano un solo movimento. Poi la ragazza gli disse qualche altra cosa, nel tono di chi fa una raccomandazione, e alzatasi uscì di corsa dalla capanna. Giovanni provò a muoversi ma non ci riusciva proprio, Si accorse di una serie di pesanti fasciature che praticamente lo immobilizzavano  ma non avvertiva nessun dolore, cosa assai strana. Cominciò inevitabilmente a chiedersi che tipo di lesioni potesse aver riportato sperando in cuor suo di non essere diventato un invalido. Entrarono nella capanna due uomini, ambedue di colore, di media statura. Uno molto vecchio, l'altro di mezza età. Il vecchio si fece avanti e si accosciò accanto a lui. Toccandogli delicatamente una spalla, cominciò a parlargli nel solito dialetto incomprensibile. Le parole avevano comunque un tone rassicurante, quasi dolce. Accortosi che il ragazzo non lo capiva, con un sorriso si alzò e lasciò che si avvicinasse l'altro uomo. Questi si mise seduto accanto al ferito e in un italiano molto stentato, iniziò a parlare. Si chiamava Obasi, pescatore, e l'altro era il capo del villaggio, di nome Themba. Il piccolo insediamento di pescatori si chiamava K'Ero e si trovava  sulla sponda orientale del lago Tana. Lo avevano visto cadere e lo avevano soccorso. Avevano capito subito che era gravemente ferito e avevano iniziato a curarlo ma intanto avevano chiamato il dottore bianco che da un pò aveva iniziato ad interessarsi del villaggio. Il suo aereo si era inabissato nelle acque del lago e non ne restava traccia. In tutti i giorni in cui era rimasto senza conoscenza, circa due settimane, lo aveva curato e vegliato la figlia di Obasi, di nome Yatima, che si era proposta per questo compito e non aveva inteso ragioni. Giovanni assorbì tutte quelle informazioni con una certa fatica, a causa dello stentato Italiano del suo ospite. Una cosa però lo aveva colpito. Chi poteva essere quel dottore bianco che si era occupato di lui. Un Italiano, molto difficilmente. Se era un Inglese, il suo destino era segnato. Sarebbe finito in prigionia, magari in qualche ospedale da campo. Ripensò al volto dell'uomo anziano che era a volte comparso nel suo delirio ma quel viso non gli disse nulla. Ritornò la ragazza e  fece segno ai due uomini di andarsene e questi, senza discutere, si allontanarono. Aveva indossato una tunica di cotone marrone che le arrivava al ginocchio e l'aveva fissata con una fascia turchina. Era turchino anche il turbante che si era fatta e con cui aveva nascosto una gran massa di capelli crespi e piuttosto lunghi. Aveva portato con sè una ciotola di una zuppa molto densa e praticamente lo costrinse a mangiarla. Intanto gli parlava con una voce molto dolce nel suo particolare dialetto che Giovanni non capiva. Finito di mangiare bevve qualche sorso d'acqua che la ragazza gli aveva offerto e poi, esausto, ricadde in un sonno profondissimo. Al suo risveglio una sua curiosità fu immediatamente esaudita. Il dottore bianco era davanti a lui e gli stava finendo di medicare la spalla. Era un Inglese di stanza alla base di Addis Zemen. Gli abitanti del villaggio lo avevano chiamato senza spiegare cosa fosse successo. Così alla base nessuno sapeva di lui. Gli disse di stare tranquillo. Egli era convinto che nelle sue attuali condizioni, difficilmente avrebbe potuto costituire un pericolo per l'esercito inglese. Non lo avrebbe denunciato anche perchè non avrebbe fatto probabilmente nessuna differenza. Le cose per gli Italiani stavano andando piuttosto male. Nelle 2 settimane che il ferito era rimasto lì, Keren, il 27 marzo, era caduta ed ora, ai primi di aprile, gli Italiani erano stati respinti verso l'interno dell'Etiopia dove, privi di aiuti e rifornimenti non avrebbero potuto resistere a lungo. Inoltre in un ospedale da campo non avrebbe potuto ricevere cure più attente di quelle che aveva ricevuto nel luogo dove si trovava. Gli disse che era stato fortunato perchè il capo del villaggio, attingendo alla medicina dei suoi avi, gli aveva propinato delle sostanze strane e misteriose che avevano fatto miracoli per le sue ferite e per il dolore. Il dottore aveva inoltre subito notato l'interesse che la ragazza nutriva per l'aviatore italiano e dentro di sè sorrise pensando che  guerra o non guerra certe cose non cambiano mai. Poi si appartò con la ragazza e le diede lunghe e dettagliate spiegazioni su ciò che avrebbe dovuto fare. Le consegnò bende e medicine e quindi si accomiatò dicendo che per parecchio tempo non sarebbe potuto passare. Giovanni lo ringraziò di cuore e quindi rimase nelle mani della sua custode ed infermiera. La popolazione del villaggio, di razza Amara, lo aveva accettato semplicemente, senza problemi e avevano stabilito di proteggerlo non parlandone con nessuno. La loro religione, il Cristianesimo li portava ad aiutare gli altri senza problemi. D'altronde non erano mai stati toccati direttamente dalla guerra e al massimo se la erano vista passare sulla testa, sotto forma di quei puntini lontani che di quando in quando solcavano il cielo. La loro lingua era l'amarico che Giovanni nel periodo in cui restò lì, imparò a capire e a parlare piuttosto bene, grazie anche alle cure assidue di Yatima. Gli fu riferito che  l' 8 aprile Massaua si era arresa ed egli pensò ai suoi compagni che, se non avevano fatto a tempo a fuggire, ora erano prigionieri di guerra. Il 5 maggio il Negus Hailè Selassiè rientrò da imperatore in Addis Abeba preceduto però dal colonnello inglese Wingate, comandante delle forze militari che avevano costretto alla resa le truppe Italiane alle quali, visto il valore mostrato, era stato concesso l'onore delle armi. Magra consolazione! Mentre altrove le truppe inglesi procedevano, seppure con difficoltà, a Gondar si resisteva ad oltranza. Il generale Nasi che era al comando della piazzaforte non intendeva cedere a nessun costo. Riuscì ad organizzare le cose per resistere fino allo stremo. Alcuni pescatori riportarono al villaggio la notizia che degli Italiani pescavano sulle coste settentrionali del lago per integrare le scarse provviste a disposizione della guarnigione. Gondar era circondata da cinque potenti capisaldi che garantivano una difesa molto efficace dagli attacchi degli Inglesi. La battaglia vera e propria iniziò il 10 maggio e proseguì ad oltranza per diversi mesi. La tattica degli Inglesi fu quella di concentrare tutte le forze disponibili su un caposaldo alla volta e fu così che, malgrado grandi atti di valore, alla fine la piazzaforte, il 30 novembre, dovette cedere all'impeto del nemico. Fu un giorno tristissimo per Giovanni il quale pur non essendo ancora in condizione di combattere, si sentiva però legato a quei soldati che avevano deciso di battersi ad oltranza. Aveva saputo che nella piazzaforte c'erano solo due aerei: un Falco ed un Caproni Ca133 che fecero del loro meglio finchè vennero inevitabilmente distrutti. Giovanni, con le cure assidue della sua infermiera personale e la vita sana e semplice continuava a migliorare. Aveva riacquistato l'uso del braccio e della gamba e aveva cominciato ad aiutare  i pescatori del villaggio. Non si videro mai Inglesi e alla fine si integrò con la comunità che lo aveva accolto. Si decise anche a sposare Yatima e entrò a fare parte pienamente ed ufficialmente  del villaggio. Con tutti i rottami dei campi di battaglia circostanti, recuperando un pò quà e un pò là, con le sue competenze tecniche e meccaniche, dotò il villaggio di un generatore di luce elettrica che poteva essere alimentato a legna, delle pompe per portare l'acqua al villaggio e anche due piccoli autocarri che però erano usati solo per le emergenze vista l' enorme difficoltà di trovare del carburante. Intanto era venuto a sapere che i prigionieri di guerra italiani, anche a causa del loro altissimo numero, venivano inviati in un sito lontano circa 2500 miglia, in sud Africa in un posto chiamato Zonderwather. Praticamente con la caduta di Gondar la guerra nell'Africa Orientale Italiana era terminata ma altrove le cose andavano avanti. E dopo l' 8 settembre non sarebbero di certo migliorate. Giovanni a quel punto decise che non avrebbe avuto nessun significato tentare di tornare dai suoi connazionali. Continuò quindi con la sua vita, monotona si, ma serena e utile a quelli che gli stavano intorno. Aveva conosciuto tutti i membri di quella comunità rimanendo conquistato dalla semplicità e la correttezza con cui vivevano. Passava molto tempo con il capo villaggio, il vecchio Themba, sempre più sorpreso dalla quantità di cose che conosceva e soprattutto dalla profondità della sua saggezza. Così lontano dalla sua gente, vivendo con quelle persone quasi fuori della realtà gli sembrò di aver perso la cognizione del tempo. Poi qualcuno gli portò la notizia che la guerra era terminata su tutti i fronti. Si rese conto che era nel mese di dicembre del 1945. Effettivamente in Europa le operazioni belliche si erano concluse ai primi di maggio ed in Asia a settembre. Ora era sperabile che le cose, in qualche modo, sarebbero tornate lentamente a posto. Prima o poi avrebbero cominciato a rilasciare i prigionieri di guerra che avrebbero potuto tornare a casa. Dalle notizie che gli pervennero seppe però che per gli Italiani di Zonderwather il rimpatrio andava molto a rilento. Parecchi Italiani inoltre avevano chiesto di rimanere addirittura in Sudafrica, dove in tutti quegli anni si erano ricreati un'esistenza che non volevano lasciare.

Tratte:

23) Pretoria (FAWB) Sudafrica - Keetmanshop (FYKT) Namibia - 620 Mn

24) Keetmanshop (FYKT) - Groot Fontain (FYGF) Namibia - 490 Mn

25) Groot Fontain (FYGF) - 4th of February Luanda (FNLU) Luanda - 800 Mn

26) Luanda 4th of February (FNLU) - Libreville (FOOL) Gabon - 690 Mn

27) Libreville (FOOL) - Murtala Muhammad Lagos (DNMM) Nigeria- 580 Mn

28) Lagos (DNMH) - Niamey Diori Hamani (DRRN) Niger- 490 Mn

29) Niamey (DRRN) - Tombouctou (GATB) Mali - 390 Mn

30) Tombouctou (GATB) - Aguanar (DAAT) Algeria - 750 Mn

31) Aguenar (DAAT)  - In Amenas (DAUZ) Algeria- 470 Mn

32) In Amenas ( DAUZ) - Tripoli (HLLT) Libia- 414 Mn

33) Tripoli (HLLT) - Napoli Capodichino (LIRN) Italia- 560 Mn     continua......

La possibilità di tornare a casa lo inquietò riportandogli alla mente il mondo a cui apparteneva, la sua casa, i suoi amici. Non voleva apparire un ingrato nei confronti di quelle persone che lo avevano salvato ed accolto nella loro comunità. Soprattutto non voleva far soffrire Yatima della quale era sempre più innamorato. Ma lei aveva capito e fu lei stessa ad affrontare il discorso. Giovanni dapprima rifiutò di parlarne ma poi ammise di sentire fortemente il richiamo dell'Italia. La donna lo portò da Themba il quale gli disse che non c'era nulla di male nel suo atteggiamento Egli apparteneva effettivamente ad un altro popolo, ad un'altra terra. Se era destino che il suo cammino si compisse in quel villaggio, avrebbe in ogni caso trovato il modo di tornare. Con il passare del tempo, verso la fine del 1946, Giovanni decise che voleva tornare a casa, se non altro per vedere cosa era  successo. Così salutò la sua cara moglie e tutti gli altri e partì diretto a nord accompagnato da due uomini che, pratici dei territori da attraversare, lo avrebbero consigliato e protetto nel suo lunghissimo viaggio. Navigarono, ove possibile, nelle acque del fiume Nilo. fino a giungere in prossimità del Cairo. Da quì fortunosamente Giovanni trovò un passaggio in qualità di mozzo, fuochista e tuttofare a bordo di un mercantile sul quale non gli posero delle domande. Giunse finalmente a Napoli nel marzo del 1947. Confuso nella massa dei reduci che da tutte le zone di guerra lentamente tornavano a casa, in qualche modo sistemò la sua posizione. Era stato dato per morto e quindi ci furono alcune difficoltà. Intanto tornò a casa sua. Non riusciva a riconoscere i posti che aveva lasciato tanti anni prima. La casa dove era cresciuto, ora che suo padre era morto, gli sembrava estranea, indifferente. Andò a Torino per rivisitare i luoghi dove era stato ragazzo ed aveva iniziato la sua avventura di aviatore. Aveva bisogno di qualche appiglio, di qualche riferimento per rientrare in contatto con la sua consueta vita passata. Della casa di sua zia e dei parenti che lo avevano ospitato, non c'era più traccia. Il bombardamento del 20 novembre 1942, aveva spazzato via tutto. Il quartiere semplicemente non esisteva più. L'aeroporto MIrafiori, più volte colpito dalle bombe, era stato completamente abbandonato e restituito al comune. Restavano come segni, per identificarne l'ubicazione, solo pochi ruderi della torre di controllo. L'aeroporto Aeritalia invece, colpito da più di 250 bombe usate allo scopo di distruggere non solo le piste ma anche il vicino stabilimento della Fiat, era stato ripristinato in fretta. Dal 5 maggio erano addirittura ripresi i voli più o meno regolari per Roma. Giovanni passava lunghe ore ai bordi della pista osservando gli aerei che decollavano e atterravano per ritrovare un minimo di entusiasmo, di voglia di ripartire, di tornare a far parte di quell'attività che aveva rappresentato la sua vita. Ma osservava anche la gente. Indaffarata, indifferente, egocentrica. Non ci si riconosceva più. Aveva grossi dubbi su cosa fosse meglio per lui. Cosa gli aveva detto Temba? Se era destino che tornasse sarebbe ritornato. Sentì che quel pensiero stava prendendo il sopravvento. E poi gli mancava da morire la sua Yatima. E alla fine decise. Vendette con buon profitto la casa del padre e riprese il viaggio che lo avrebbe riportato fra quella gente semplice che lo aveva accolto e gli aveva insegnato tante cose. Stavolta il viaggio fu più agevole. Alla fine, giunto con una camionetta, residuato bellico, a pochi km dal villaggio, decise di fare a piedi l'ultimo tratto per poter avere il tempo di riprendere contatto lentamente con quella comunità. Il villaggio era sempre lì, come l'aveva lasciato. Arrivato alla porta di casa sua, lentamente l'aprì e trovò la sua cara moglie, con il vestito buono, che gli aveva preparato un ottimo pranzo. Altro che sorpresa, lo sapevano tutti che stava tornando. Avevano lasciato che prendesse da solo le sue decisioni con i suoi tempi e i suoi desideri. Abbracciando Yatima, capì perchè era tornato. Quell'abbraccio valeva per lui tutto il progresso, la cosiddetta civiltà che si era lasciato dietro le spalle. Il giorno successivo al suo ritorno, lo venne a trovare il vecchio Obasi, assieme al capo Temba. Lo salutarono cordialmente e poi gli chiesero notizie del suo viaggio. Dopo averlo ascoltato si dichiararono felici per la decisione presa. Loro apparentemente lo avevano sempre saputo che sarebbe tornato, ma la decisione doveva essere la sua, doveva avere un'alternativa altrimenti gli sarebbe rimasto sempre il dubbio e non sarebbe mai stato felice. Alla fine, sorridendo e con aria di grande mistero gli chiesero di seguirlo in un posto vicino al villaggio. Gli dissero di avere una sorpresa per lui, un regalo. Giovanni li seguiva sempre più curioso. Giunti ad una distanza di circa 3 km da K'Ero, quasi sulla riva del lago, vide una grossa massa informe, completamente ricoperta di canne e frasche. Se non ce lo avessero portato espressamente, non avrebbe mai notato che sotto c'era nascosta qualcosa. Sorridendo i suoi due accompagnatori gli fecero segno di cominciare a togliere la copertura, rimanendo in disparte, come se fosse un regalo che doveva scartare da solo. Giovanni, per non deluderli, ma per nulla entusiasta, cominciò a togliere le prime frasche  e poi proseguì cercando di farsi strada fra quell'intrico vegetale. Poi quasi non credette ai suoi occhi per ciò che stava emergendo. Che diavolo avevano nascosto lì sotto quei due matti che ora ridevano apertamente? Gli tornò in mente la scena con il sergente Coniglio. Per un attimo il ricordo lo fece rallentare, quasi risvegliasse in lui antichi dolori, ma poi superò la cosa e proseguì velocemente, sempre più eccitato. Era di sicuro un aereo. Era inglese. Un monoelica biposto. Non era armato ed era stato riconvertito come ricognitore. Ma quello che maggiormente stupì Giovanni era che l'apparecchio, a parte un evidente guasto al carrello, era praticamente intatto. Coperto di polvere e terra, certo. Chissà da quanto era lì. Si inerpicò ad osservare l'abitacolo. Era sorprendentemente a posto. Di certo obbligato ad un atterraggio di fortuna, non avevano reputato di impiegare risorse per recuperalo oppure, come succedeva nei paradossi della guerra, semplicemente se lo erano dimenticato. I due suoi accompagnatori gli dissero di averlo travato poco tempo dopo che lui era partito. Lo avevano protetto e nascosto, sapendo che prima o poi sarebbe ritornato. Giovanni scoprì che si trattava di un vecchio Miles M14A Magister, di nascita un aereo da addestramento. Se ne erano visti alcuni esemplari nella base inglese di Addis Zemen, appunto riconvertiti in qualità di ricognitori. Chissà perchè quello era stato lasciato lì. Ma ora, apparentemente, era suo. Aveva un aereo, certo non un granchè e a patto che riuscisse a rimetterlo in sesto, ma aveva un aereo. O meglio, per come andavano le cose lì, il villaggio aveva un aereo. Malgrado fosse interamente in legno e compensato, la macchina aveva superato benissimo le sue vicissitudini ed il carrello era stato messo a posto. Per il motore il discorso era diverso, ma sembrava abbastanza in ordine e pareva che fosse stato obbligato ad un atterraggio forzato solo per mancanza di carburante. L'impegno fu di trascinarlo fuori dal luogo in cui era finito, anche se questo era l'elemento che aveva consentito di nasconderlo. Provvidero poi in fretta a riverniciarlo, per nascondere sia la attuale livrea mimetica sia i colori della Royal Air Force. Con quello che avevano a disposizione, divenne di un anonimo color marrone. Meglio così. Un gruppo di pescatori poi portò indietro da Addis Zemen un fusto di carburante, ottenuto con il baratto di una grossa quantità di pesce. L'aereo posto su una pista preparata dagli abitanti del villaggio, decollò riportando Giovanni in cielo dopo tanto tempo. Fu una bella esperienza e per un attimo sembrò dimenticare tutto, come se tutti quegli anni non fossero trascorsi. Durò solo pochi istanti. Purtroppo le ferite erano state troppo profonde per cancellare tutto con facilità. Assicuratosi che il velivolo fosse affidabile, volle portare 'su'prima il vecchio capo che accettò con semplicità e fu contentissimo e poi la moglie e via via tutti gli altri, bambini compresi finchè non si rese conto che stava consumando tutto il carburante. Fu costruito un capanno per proteggere l'aereo e da quel momento lo utilizzò per trasporti utili al villaggio. Passarono molti anni sereni e tranquilli, Giovanni e sua moglie non avevano avuto bambini ma avevano cominciato ad occuparsi di comune accordo degli orfani del villaggio. E poi, nel 1965 venne l'inferno. Una epidemia di colera giunse dalla Persia e contagiò Alessadria d'Egitto. Da lì si divise in due canali. Una parte proseguì per l'Europa, infettando il sud dell'Italia, la Francia e la Spagna. L'altro si diffuse come un fulmine verso sud, raggiungendo anche i villaggi prossimi al lago Tana. Giovanni, ai primi segnali decollò con il suo aereo per cercare i vaccini. Purtroppo erano rari e costosissimi e non venivano accettati baratti con merce che poteva essere infetta. Nell'ospedale di Bahar Dar dove si era recato per cercare soccorso, gli fu proposto di aiutare i medici a spostarsi per il territorio con il suo aereo. In cambio avrebbero vaccinato lui e gli avrebbero dato una scatola con cinquanta dosi. Portò subito le dosi al suo villaggio per far vaccinare la moglie e pochi altri e poi partì per il suo giro. Quando tornò dopo una settimana, trovò Yatima malata e febbricitante. Scoprì che aveva ceduto il suo vaccino a uno dei bambini e così avevano fatto tutti gli anziani. La malattia li portò via quasi tutti. Compresa Yatima. Per la seconda volta il destino lo aveva voluto colpire duramente. Non poteva più restare lì dove pure era stato felice per tanto tempo. Senza la donna che lo aveva accompagnato per lunghi anni nulla aveva più un senso in quel luogo. Solo in quel momento si rese conto dell'importanza del loro legame. Così, agli inizi del 1969, sistemate le cose al villaggio, compreso lasciare l'aereo ad un ragazzo a cui aveva insegnato a pilotarlo, tornò in Italia. Riuscì a rintracciare vecchie conoscenze che lo videro ricomparire come fosse tornato da un altro mondo. Alla fine, considerato che Giovanni era rimasto naturalmente indietro sulle nuove tecnologie e sui progressi nel campo aeronautico, qualcuno gli propose di accettare un lavoro da meccanico in un piccolo aeroclub della sua zona. La paga non sarebbe stata un granchè ma gli avrebbe consentito di vivere più che decorosamente. Egli, che desiderava solo un pò di pace, accettò e seppe subito farsi apprezzare e alla fine anche voler bene dai suoi compagni di lavoro.

Oggi...

Il campo era in vista. L'aereo stava ancora su per miracolo e per la volontà di Giovanni che stava consumando le ultime stille di energia che gli erano rimaste, recuperandole da riserve inaspettate. Il corpo era tutto dolorante, mezzo soffocato dal fumo che aveva cominciato ad uscire copiosamente dal motore e quasi accecato dalla perdita d'olio, ma non mollava. Succedesse quel che poteva succedere, ma stavolta avrebbe condiviso la sorte del suo apparecchio fino alla fine. Così finalmente avrebbe pagato il suo debito con il Falco ed il cerchio si sarebbe chiuso. In aeroporto intanto si era riunita una piccola folla. Nel giro di un quarto d'ora la notizia trasmessa da Pietro, il custode, era rimbalzata per le case del piccolo centro ed ora i suoi colleghi, il direttore e addirittura tre giornalisti del piccolo giornale locale e la troupe di una TV del luogo, erano lì, con il naso in aria ad osservare quel fantasma del passato che, lasciandosi dietro un lunga scia di fumo nero, avanzava con difficoltà verso il campo. Dapprima tutti avevano pensato ad uno scherzo ma poi, ricollegando i fatti a cui avevano assistito, avevano capito che era una cosa seria. Erano stati chiamati anche i vigili del fuoco ed il personale preposto alla sicurezza dell'aeroclub si era preparato con i vari dispositivi di soccorso, nell'eventuale, remota possibilità che l'aereo fosse riuscito a raggiungere la pista. Giovanni lottando per mantenere un minimo di controllo, mentre l'alettone di destra si stava letteralmente staccando e il timone rispondeva male, entrò nel braccio di sottovento della pista. Voleva fare le cose per bene, chiudere in bellezza, far vedere cosa poteva fare un vecchio pilota. Ebbe occasione di notare tutto quel movimento in basso e decise che avrebbe dovuto fare bella figura per non deludere nessuno. Tenne duro fino a quando, agendo ripetutamente e disperatamente  sulla cloche, riuscì ad inserirsi nel braccio di base della pista. Sentiva l'incitamento di voci che appartenevano al passato e riuscì ad una ad una ad indentificarle. Al momento di inserirsi nel finale della pista fu chiaro che era troppo basso e non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivarci. Giovanni tentava in tutti i modi di resistere ma il terreno si avvicinava con velocità impressionante. Era disperato perchè era quasi riuscito ad atterrare, atterrare........

Ma perchè atterrare proprio lì? La mano salda e sicura di un giovane sergente maggiore, Giovanni Dal Masso con una manovra  decisa fece virare il fiammante Falco Fiat CR42 per vedere meglio le sponde del lago Tana poco sotto di lui. In basso, appena sulla riva, una bellissima ragazza stava prendendo l'acqua con un recipiente. Sollevò lo sguardo e vide quel fantastico aereo che sorvolava il villaggio a bassissima quota. Vide distintamente il pilota che sbracciandosi la salutava. Lei sorridendo, rispose al saluto e lasciando la sua brocca , in fretta si diresse verso il luogo dove sapeva che l'aereo sarebbe sceso. Voleva essere lì a ricevere il pilota prima che questi atterrasse. L'aveva aspettato per tanto tempo..... Giovanni sorvolando il villaggio vide i suoi abitanti che con i vestiti della festa, dagli usci delle loro abitazioni, lieti, lo salutavano. Giunse nello spiazzo dove era diretto, e l'aereo  toccò terra. Su un lato della radura alcuni giovani in una perfetta uniforme da aviatore lo attendevano felici e sorridenti. Quella sera ci sarebbe stata una bellissima festa al villaggio. E domani...... domani sarebbe stato un altro magnifico giorno.

Tratte:

34) VFR Torino Aeritalia (LIMA) - Settimo Torinese - Chivasso - Casale Monferrato - Nizza Monferrato - Saluzzo - Torino Caselle (LIMF) Italia - circa 145 Mn

35)VFR Cuneo Levaldigi (LIMZ) - Canelli - Arenzano - Cairo Montenotte - Ormea - Albenga (LIMG) Italia - circa 125 Mn - Fine

 

 

 

 

 

  
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