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Autore: hopefull90    04/02/2014    0 recensioni
I proverbi non sono sempre belle frasi in rima, ereditate da nonni e avi.. ma rispecchiano stralci di quotidianità, di episodi reali.
E questo capiterà anche al piccolo Jeremy, contro ogni aspettativa.
Chi l'ha mai detto che debolezza è sinonimo di sconfitta?
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jeremy era una matricola alla sua prima settimana di liceo. All’apparenza il classico stereotipo del ragazzino dall’aspetto fragile e vulnerabile, sottolineato dalla novità di quell’esperienza. Era anche un po’ distratto, di quella distrazione genuina: stava con la testa persa tra le nuvole, immerso in un mondo tutto suo dove la fantasia, quella infantile, faceva ancora la sua parte. La consapevolezza di trovarsi in una realtà nuova, più ‘grande’ e più americana, non l’aveva in alcun modo maturato, benché meno le parole di incoraggiamento usate da suo padre mentre lo accompagnava a scuola, a bordo della loro utilitaria sgangherata. Camminava al centro del corridoio affollato e abbracciandoli contro il petto cullava diversi libri e li teneva stretti a sé quasi fossero il suo tesoro, ma anche uno scudo protettivo contro quell’accozzaglia di ragazzi febbricitanti. Gli occhi celati dietro un paio di occhiali spessi, focalizzavano una e poi l’altra tutte – o quasi – le teste dei ragazzini che si riversava lì, in quel corridoio: una cacofonia di voci e risate e volti tutti nuovi riuscivano a coprire anche i suoi stessi pensieri, annichilendolo ancora di più dentro la sua bolla solitaria.

Ben presto però, un ostacolo gli si piazzò di fronte facendo esplodere con un boato silenzioso quella stessa bolla. Lo sguardo abbassato di Jeremy si costrinse a sollevarsi e il passo a frenarsi pochi centimetri prima di un impatto, altrimenti, inevitabile. ‘Mary’, il nome riportato a mano su un cartoncino spillato sul petto chiariva fin da subito l’identità di quella ragazza, molto più slanciata di lui, chiusa in abiti fin troppo azzardati per una liceale. I seni, appena pronunciati, premevano ribelli contro una camicetta floreale aderente. Erano l’inizio degli anni ’70, un’esplosione di colori. I capelli biondi erano pettinati in maniera ordinata, spostati leggermente all’indietro da un cerchietto. Emanava un profumo provenzale, una lavanda così leggera che Jeremy colse di sfuggita prima che la gente che passava loro accanto la spazzasse via velocemente. La vicinanza tra loro era vicina, Jeremy retrocesse di un solo passo. Tanto bastò a far sorridere Mary e le due amiche che la stavano circondando, formando un coretto di arpie dagli sguardi complici e non troppo benevoli. Mary si compiacque nell’essere riuscita a bloccarlo e farlo retrocedere. Indietreggiare era un segno di debolezza, per lei. Ma non bastava. Scambiandosi l’un l’altra un ennesimo sguardo ambiguo, Mary allungò le mani assestando una spinta decisa sulle sue spalle piccole e scheletriche; un colpo tale che dovette retrocedere di qualche passo sbandando contro un ragazzo, casualmente finito nella sua traiettoria. S-Scusa! miagolò poco convincente, combattendo con se stesso per evitare di cadere. Per fortuna non accadde. “Torna a casa..” il suo sguardo si abbassò sul suo petto cercando di leggere il suo nome spillato, scritto a caratteri cubitali ma mezzo coperto dai libri “…Jeremy. L’asilo è dall’altra parte della città. Non te l’ha detto la tua mammina?” esclamò imitando una voce sottile e sarcastica per poi ridere di gusto, superandolo con noncuranza, dando l’impressione che lì anziché esserci un ragazzino ci fosse l’alone di qualcosa di vivente. Una macchia. Jeremy tacque e rimase stordito e disorientato per un indefinito asso di tempo. Strinse maggiormente a sé quei libri, rendendosi conto solo in quel momento di non aver fatto altro che stringerli a sé con tutta la forza possibile, evitando così di farli scivolare a terra. Non si fece molte domande in merito a quanto appena successo; era ancora un embrione in via di sviluppo, quel mondo era ancora tutto nuovo per lui e i panni del cacciatore di esperienze non li aveva ancora indossati. L’aria era satura di respiri e parole, che rimbombavano come eco nella testa biondiccia di Jeremy. Sul dorso della mano, pericolosamente in vista, si era scritto una serie di numeri: armadietto e combinazione. Lo sguardo ancora ebbro dai postumi di quell’incontro e alterato dalle lenti da vista buffe – perché non lo avevano preso in giro per gli occhiali che portava? – si chinò sulla serie di numeri, leggendone i primi due velocemente. Ripeté tra sé e sé il numero dell’armadietto e cercando tra le file, riuscì finalmente a trovarlo. Un sorriso vittorioso illuminò il suo volto. Raggiunta la meta, inserì la combinazione e aprì. "Evviva!" esclamò compiaciuto, riversando in ordine i libri dentro l’armadietto, non gli sarebbero serviti subito. Appoggiò anche un paio di portafortuna e altre cose, poi richiuse l’anta con educazione continuando a sorridere soddisfatto di quella prima vittoria. Le braccia indolenzite lo riportarono alla realtà. Sollevò le maniche notando i segni dei bordi dei libri impressi come cicatrici momentanee sulla sua pelle. Quanto li aveva stretti quei libri? Sospirò.

Nel bel mezzo del casino di inizio mattina, un urlo proruppe come un fulmine, improvviso. All’inizio sembrava il guaito di un cane riempito di botte, poi quel pianto urlato prese una piega sempre più femminile. Ogni attività, ogni chiacchiericcio si interruppe. Un gruppo di ragazze e di ragazzi ben presto crearono un cerchio attorno alla fonte di tutto quel frastuono. “fate spazio, allontanatevi! Lasciatela respirare!” esordì un uomo adulto, un professore di educazione fisica vista la tuta e il fischietto. Tentò di fare da barriera per quella folla studentesca incuriosita. Curiosità che non risparmiò nemmeno Jeremy, che si trovò a farsi pian piano sempre più largo con la sua piccola figura esile e dinoccolata. Con sua stessa sorpresa si trovò a spingere contro quel muro umano, instaurando una piccola battaglia involontaria contro i titani che gli ostruivano la visuale. Era un lillipuziano con problemi di crescita. Iniziò a cogliere i primi dettagli: capelli biondi disordinati, un cerchietto stretto nella mano come scettro da regina decaduta, sventolato a mezz’aria per rendere ancora più teatrale quel dolore. Ci volle qualche istante a Jeremy per comprendere che quella ragazzina, dal nome riportato su una spilletta ora pericolosamente aperta e vacillante sulla camicia, era la stessa di prima. “Mary” mimò quel nome con le labbra, restando ora incastrato tra due ragazzi dell’ultimo anno sghignazzanti. Mary continuava a piagnucolare, ingigantendo al massimo una storta alla caviglia. “ahaha che principessina moscia, guardala come s'è conciata!” disse uno dei due ragazzi, con tutta l’aria di divertirsi davanti a quello spettacolo. “sì, è patetica. Nemmeno ad Hollywood la vogliono una così!” aggiunge l’altro, che Jeremy riconoscerà solo in ritardo essere lo stesso ragazzo contro cui si era scontrato prima. Non avevano tutti i torti: le lacrime avevano sciolto il mascara e deformato il viso eccessivamente truccato, rendendolo una maschera sinistra, rendendo Mary quasi spettrale. Un mostro. Fiumi di tempera nera spalmata sul volto con i dorsi delle mani, nel vano tentativo di asciugarsi la faccia – peggiorando invece le cose. Le due amiche di prima erano attorno a lei, la sostenevano più a parole che a fatti. Non la toccavano ma come cani fedeli al loro padrone, non smettevano di rabbonirla e di scodinzolarle attorno. Nessuno sembrò accorgersi della presenza di Jeremy.

Con lo stesso silenzio con cui era arrivato, Jeremy fece retromarcia, liberandosi da quella foresta di corpi, liane di braccia e da tutta la folla creatasi attorno a quella pantomima esagerata. Diede le spalle a tutti e sogghignando, si diresse verso l’aula, dove di lì a poco l’avrebbe atteso qualche ora insieme ad una simpatica ma attempata professoressa di letteratura inglese.

  
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