Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Mitsuki Loveless    04/02/2014    2 recensioni
Voltò il capo all'indietro tuffando le sue ridi rosse, accese come fuoco, nelle mie cerulee, gelide e vuote, quello sguardo che tanto spaventava non solo lui, anche io ne ero terrorizzato. Provavo disperatamente a capire se quella creatura riflessa allo specchio avesse delle emozioni umane, simili a quelle che provavano tutti gli altri, più forti di quelle che sentiva. Finivo sempre col prendere sempre più coscienza che c'era un solo sentimento in me, chiaramente ira. Lui invece, non avevo idea di che cosa pensasse incontrando il mio sguardo, avevo paura di scoprirlo.
-Kuroko. Devi dirmi qualcosa? Mi sembra... come dire.... sento il tuo sguardo addosso. Anche... se in effetti... me lo sarò immaginato?-
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Believe
You should know me better than...
-...by now i'm shattered-

Se qualcuno avesse deciso di fare un paragone fra di noi sicuramente sarei stato accostato ad una inesistente luna piena in pieno giorno. Quella stessa persona mi avrebbe riso in faccia in quella soleggiata mattina scolastica, ritrovandosi a parlare con un fantasma. Un idiota che non mostrava a nessuno cosa sentisse o provasse e che si lasciava andare solo quando era solo e libero da un macigno sulle proprie spalle.
Solita routine per uno che veniva snobbato da qualsiasi essere presente su questa maledetta terra, avevo deciso io, alla fine, di percorrere la strada più difficile e dolorosa per riuscire a diventare qualcuno nel mondo del basket. Conosciuto, probabilmente fu la consapevolezza di voler raggiungere un obbiettivo impossibile a farmi sorridere dentro, chi volevo si ricordasse di me se non facevo altro che stare sempre nell'ombra?  Ero patetico, immerso nella solitudine, mia eterna compagna di vita, seduto all'ultimo banco di un'aula come tante altre, tutte simili, timbrate dalla stessa mano. Il professore non si preoccupava più neanche di chiamarmi all'appello, di notare la mia presenza o meno. Dimenticavano facilmente, non solo gli sconosciuti ma anche chi mi stava intorno e diceva di essere mio amico tendeva a perdermi di vista senza che io dovessi fare chissà quale sforzo. E se all'inizio finivo inevitabilmente con il soffrirne ora non ci facevo più nemmeno caso. Apprezzavo che gli altri si fidassero di me, riponevo in me l'obbligo di non tradirli in alcun modo, sapevano che non l'avrei mai fatto. Il problema era insito altrove, forse nel cuore indolenzito o nelle spalle pesanti e contratte, nella mia testa confusa o nelle mani ora gelide che usavo per supportare, aiutare e sacrificare ogni parte di tutto ciò che ero.
Distrutto, incapace di riporre fiducia, di credere che qualcuno mi avesse salvato dalle tenebre in cui cammino. L'unica cosa che ero riuscito ad ottenere, tentando, ricadendo, lottando con tutta l'anima, urlando silenziosamente per gli spasmi che mi colpivano notte dopo notte, era solo un fievole riflesso, il lontano inesistente miraggio di ciò che volevo diventare.
Derisi quel me che tentava di raggiungere la schiena del suo compagno di squadra, di classe, di banco; così abbagliante da ferirmi gli occhi.
Profondamente, lo odiavo.
Pur allenandomi più di chiunque, consumando i palloni, l'uno dopo l'altro, non ritornando a casa intere notti pensando che magari quella era la volta in cui sarei riuscito a cambiare, a superare quelli che un tempo erano i miei rivali e che ora non vedevano altro che lui. Mi allenavo disperatamente accompagnato dal fioco chiarore lunare in quel campo abbandonato a qualche metro di lontananza da scuola, nel religioso silenzio della sera, invidioso persino della luna che in quel frangente riusciva ad avere il suo angolo speciale nel mondo. A cui io non potevo aspirare.
Perdevo come sempre tempo a guardare fuori dalla finestra, oscurato completamente dal sole seduto un posto prima del mio in penultima fila. Condividevamo lo stesso paesaggio al di fuori di quella finestra, le stesse sensazioni a cavalcare il campo da basket, gli stessi amici e persino qualche ideale ma finivo sempre con l'allontanarlo o semplicemente fuggire lasciandolo spaesato. Nessuno poteva capire come potesse sentirsi la luna in pieno giorno, nessuno avrebbe mai capito quello che provavo nel vivere un'esistenza fievole, tale da portarmi a credere di essere io stesso un'illusione. Fissai la schiena di fronte a me, era enorme e mi impediva la visuale, quasì mi irritai a fissarla con la coda dell'occhio. Volevo intensamente provare a fargli sentire la stessa pressione a cui ero sottoposto attraverso il mio sguardo persistente, ero stanco di venire ignorato, quasi stremato. Il mio viso posato sulle nocche della mano destra, volevo lasciare che il suo cuore fosse penetrato dall'angoscia, che lo divorasse con il quadruplo della violenza a me imposta. Si, io stesso sapevo di essere una cattiva persona e non me ne vergognavo.
Voltò il capo all'indietro tuffando le sue ridi rosse, accese come fuoco, nelle mie cerulee, gelide e vuote, quello sguardo che tanto spaventava non solo lui, anche io ne ero terrorizzato. Provavo disperatamente a capire se quella creatura riflessa allo specchio avesse delle emozioni umane, simili a quelle che provavano tutti gli altri, più forti di quelle che sentiva. Finivo sempre col prendere sempre più coscienza che c'era un solo sentimento in me, chiaramente ira. Lui invece, non avevo idea di che cosa pensasse incontrando il mio sguardo, avevo paura di scoprirlo.
-Kuroko. Devi dirmi qualcosa? Mi sembra... come dire.... sento il tuo sguardo addosso. Anche... se in effetti... me lo sarò immaginato?-
Avrei voluto chiedergli ironicamente scusa se non potevo dirgli che era lui a crearmi disturbo perchè l'unico fra noi ad essere riuscito ad andare avanti e migliorarsi da solo, dovevo chiedere venia perchè io esistevo in quel mondo senza riuscire a distinguermi dagli altri seppur nessuno amasse il basket con la stessa dolorosa densità, inginocchiarmi e pretendere perdono perchè avevo dimenticato chi ero e non capivo cosa diavolo dovessi fare ancora per salvarmi da quel baratro nero petrolio che mi avvolgeva ogni giorno più, sarei stato inghiottito senza alcuna dolcezza e mi stavo lasciando trascinare nel peggiore dei modi.
-No.-
Fredda la risposta come il suono lontano dell'ultima porta di salvezza che mi era stata concessa prima di affogare in quel pozzo di disperazione in cui mi ero gettato. L'altro ritornò a guardare la lavagna dopo avermi fissato per qualche secondo tentando di capire se ci fosse altro dietro a quella risposta ma non lasciavo a nessuno il privilegio di scrutare nel mio cuore.
Gli occhi di nuovo a cercare il cerchio lunare, li chiusi rimembrando tutte le notti passate a contemplare quel bianco tepore, lontano e intangibile. Era così egoistico volerla vedere in quell'istante? Lei, irraggiungibile ma sola a starmi sempre accanto nelle notti gelide e solitarie. Incrociai le braccia sul banco abbassando il viso in un momento di sconforto, abbassandomi velocemente, sentivo di poter crollare da un momento all'altro.
-Dannazione.-
Soffiai fra le labbra tremando in silenzio, i denti adesso affondati nel labbro inferiore, più forte, sempre più in fondo per impedirmi di lasciare spazio alle stupide lacrime. Un senso di devastazione, l'anima dilaniata da troppe certezze indesiderate, non volute, nascoste con tutta la volontà che possedevo in corpo.
-Oi, Kuroko. Davvero non c'è nulla che volessi dirmi?-
Il suono della sua voce roca e invadente raggiunse il mio udito ma non mi mossi da quella posizione, un peso alleggerito dal cuore, laa sensazione sgradevole di essere stato scoperto e una molto più piacevole per non essere stato ignorato e lasciato affondare una volta per tutte. Non osai accertarmi se si fosse girato di nuovo indietro, sapevo che era un impiccione nei momenti meno appropriati. Lo odiavo per molti motivi e poi mi aggrappavo a lui come se fosse l'unica ancora di salvezza. Forse lo amavo.
Stavo per rispondergli quando il professore accortosi della sua posizione, lo riprese arrabbiandosi per tutte le volte che lo aveva beccato durante la lezione a fare qualsiasi bizzarra stranezza tranne l'ottima idea di starlo a sentire. Sbuffò sottovoce e allora alzai gli occhi per poterlo guardare, non osò più prendere parola ne darmi attenzione per far contento l'anziano insegnante e non doversi beccare una nota disciplinare. Sospirai pesantemente.
-Dovresti saper bene quanto ormai....-
Sentì il mio mormorio e si mise a fissarmi di profilo lasciando che il mio sguardo fuggisse al suo per scrutare ancora un pò il cielo alla mia sinistra, azzurro e limpido come poche volte. Per un attimo rimasi sorpreso e socchiusi le labbra nel vederla.
Poi un sorriso.
Il mio sorriso, malinconico e lacerante, sull'espressione neutra si dipinse sul mio volto e lui si accorse di quei cambiamenti e dei sentimenti a loro connessi, appropriandosene. Il mio medesimo dolore, lancinante, simile alla lama di una spada, lo trafisse da parte a parte in pieno petto, all'altezza del cuore, opprimendolo, lasciandolo senza nemmeno il fiato per chiedermi cosa stesse succedendo.
-...io sia in frantumi...-
Un umile, quasi misero lembo di luna si mostrò alto in cielo, lontano ed etereo, ricoperto da chiazze chiare e scure, si fondeva man mano con il celeste accecante fino a scomparire.
Anche se l'avevo cercata così a lungo, aveva deciso solo ora di lasciarsi ammirare.
Una luna dispettosa e timida.
Voleva forse dirmi di smetterla, dirmi che aveva intenzione di accompagnarmi fino alla fine, fino a che non fosse stato più necessario.
La sedia del mio vicino stridette rumorosamente quando scattò in piedi senza riuscire ad esprimere a parole ciò che provava.
Nessuno lo riprese, nessuno fiatò.
Non distolsi lo sguardo dal cielo, sorrisi per un periodo incalcolabile ove anche il tempo aveva smesso di scorrere.
Calò un tiepido silenzio ad accarezzarmi le orecchie assieme alla brezza invernale.
Sorrisi affinchè quell'attimo rimanesse eterno.
Per qualche secondo ancora.
Per la prima volta.
Brillai.



Owari











Alla fine non so se sia chiaro ma Kuroko viene visto sorridere da tutta la classe che, presa dallo stupore e la meraviglia, si limita a guardarlo incantata assieme a Kagami. Personalmente, trovo che il sorriso di Tetsuya debba diventare patrimonio dell'UNESCO. Ho voluto interpretare in maniera molto personale i suoi sentimenti ma spero di non essere stata troppo OOC o mi tiro i capelli. Ringrazio ancora una volta i lettori e spero lasciate un commentino per farmi felice, anche breve.
Un bacio da colei che pubblica sempre alle 4:00 di mattina.
A presto.

Mikki.

   
 
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