Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: Clira    04/02/2014    6 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Uploaded with ImageShack.us
Pro  


CAPITOLO 1: SORPRESE INDESIDERATE

 

Dannati insetti.

Era solo inizio aprile e già, a causa di quei maledetti cosi, mi ritrovavo punture di zanzare in posti estremamente fastidiosi, tipo i lati delle mani o le dita dei piedi.

 Sbuffai, continuando a grattarmi come in preda all’orticaria e in quel momento il mio telefono vibrò. Lessi quel nome sul display del telefono e un sorriso mi si aprì sul volto: Chris.

Mi infilai subito nel mio ufficio per rispondere, prima che passasse qualcuno e mi vedesse.

«Pronto?».

«Ehi, Chelsea, pausa pranzo insieme oggi?».

La sua voce allegra mi metteva sempre di buon umore e a quelle parole, il mio cuore iniziò a scalpitare.

«Certo! Ci vediamo a mezzogiorno giù in atrio, ok?».

«Perfetto! A dopo… ».

E attaccai. Avevo un sorriso ebete che mi andava da orecchio a orecchio  e non vedevo l’ora che arrivasse mezzogiorno nonostante fossero appena le nove.

Io e Christian ci eravamo conosciuti quando io, da neo-diplomata che ero, avevo cominciato a lavorare per quella clinica privata, quasi due anni prima.

Non avevo alcuna competenza medica, ma mi occupavo di fissare i vari appuntamenti ai diversi specialisti che lavoravano al mio piano e gestivo alcune basilari funzioni amministrative.

Il liceo che avevo frequentato, mi aveva dato delle ottime basi di economia e diritto, perciò le referenze, oltre ai vari stage che avevo fatto, erano bastate.

La clinica prendeva il terzo ed il quarto piano di un grosso edificio in una zona centrale della città e onestamente, per i miei ventun anni compiuti da poco, pagavano bene; non ero ancora del tutto indipendente, ma in un paio di mesi, se avessi voluto, avrei potuto cercarmi qualcosa per conto mio.

Christian aveva ventiquattro anni e svolgeva il mio stesso compito, ma al piano inferiore; ci eravamo conosciuti nella caffetteria al piano terra, più o meno dopo un mese che avevo iniziato a lavorare lì.

Eravamo subito diventati amici, anche se la prima cosa che mi aveva colpita di lui era stato l’aspetto fisico: alto e slanciato, capelli biondi un po’ lunghi, occhi azzurri. E poi io avevo sempre avuto un debole per gli uomini con i capelli lunghi.

Me ne stavo seduta al bancone con una tazza di caffè in mano, immersa nei miei pensieri, quando lui, vestito costantemente con jeans e T-shirt, mi si era seduto vicino, borbottando tra sé qualcosa a proposito di un’infermiera stronza.

Ci eravamo presentati e, siccome da cosa nasce cosa, entrambi quel giorno eravamo tornati in ritardo dalla pausa perché ci eravamo persi a parlare.

Non so esattamente quando Chris fosse diventato per me qualcosa di più che un semplice amico e confidente, fatto sta che un giorno, non appena lo vidi, il mio cuore cominciò ad accelerare come prima non mi capitava.

Lui ed io ci divertivamo moltissimo insieme; in pratica eravamo i segretari dello studio e sapevamo tutto di tutti. Dai medici alle infermiere, ogni loro più oscuro segreto, per noi non era tale perché tutti ci parlavano. Ormai, Chris era diventato il mio migliore amico.

Quando ero al liceo non avevo mai avuto né amici né un ragazzo perché ero troppo impegnata ad eccellere in tutto ciò che facevo, proprio come mia sorella, che i miei genitori veneravano. Shereen era praticamente perfetta in ogni cosa che faceva e quindi da me, mamma e papà pretendevano altrettanto.

Così, tra i voti esorbitanti, i premi nelle gare di nuoto, il club di scacchi, le lezioni di piano con il nonno e tutto il resto, non avevo mai avuto il tempo di crearmi una vita sociale.

Ma ora sapevo cosa si provava ad avere qualcuno con cui parlare e divertirsi, qualcuno con cui sfogarsi; qualcuno che… non importava cosa potessi dirgli sul mio conto: lui non mi avrebbe giudicata.

L’unico con cui parlavo a ruota libera prima di incontrare Chris era stato mio nonno, il padre di mia madre.

Mia sorella era troppo impegnata con la sua vita e presa dalla nostra competizione silenziosa per potersi interessare a ciò che capitava a me.

Solo in una cosa ero riuscita meglio di lei: la musica.

Il nonno, che era stato il mio unico,  grande maestro ed io gli ero legata come se fosse un padre e al contempo un migliore amico, mi aveva insegnato moltissimo.

A tre anni mi aveva messa sullo sgabello di un pianoforte e mi aveva insegnato a leggere la musica prima ancora che imparassi a leggere l’inglese.

La musica era una parte importantissima della mia vita ed era una cosa che io e nonno Daniel avevamo in comune; era solo nostra. Non era riuscito a trasmetterla alla mamma né a mia sorella e quando vide che mi piaceva, trascorse più tempo con me che con chiunque altro, nonostante mia madre lo rimproverasse spesso perché diceva che così toglievo tempo allo studio.

Col tempo però, anche lei si era arresa al fatto che fosse un peccato sprecare questo mio talento e così, aveva smesso di combattere.

Ad ogni modo, con Chris riuscivo a parlare di ogni cosa ancor più che con mio nonno e anche lui in me vedeva un riferimento.

Una sera, ricevetti un suo sms in cui mi chiedeva se avessi voglia di andare al cinema con lui.

Accettai subito di buon grado, ma una volta che arrivammo lì, scoprimmo che per problemi tecnici, quella sera avrebbero mandato solo un orrendo film splatter.

Alla fine decidemmo di guardarlo ugualmente, anche perché fuori pioveva a dirotto. Beh, senza alcun dubbio quella fu una delle serate più memorabili della mia vita.

Il sangue spruzzava ovunque e c’erano scene davvero raccapriccianti, ma al contempo portate talmente all’esagerazione, che passammo più di metà film a ridere come due idioti, facendo voltare molte teste contrariate verso di noi.

Ad un certo punto del film, Chris posò una mano sulla mia ed io mi irrigidii improvvisamente. Lo guardai; lui mi stava sorridendo e a quel punto ricambiai la stretta.

A fine serata mi riaccompagnò alla macchina; ognuno era venuto con la sua. Tra l’altro non aveva ancora smesso di piovere e nessuno dei due aveva l’ombrello, quindi corremmo, ma arrivammo alla mia auto bagnati da capo a piedi.

«Grazie per la serata, sono stata bene», gli dissi con un gran sorriso, che lui ricambiò.

«Grazie a te; sei l’unica ragazza che abbia mai conosciuto a non essere scappata via quando si parlava di film splatter».

Risi, contenta di quella serata.

Ad un tratto lui si sporse dal mio lato e… mi baciò.

Quello era in assoluto il mio primo bacio.

Non fu come si vede nei film o si legge nei libri. Non fu lento e appassionato, ma neanche veloce. Non era nemmeno un bacio come quello che tutte le ragazze sognano la prima volta: romantico sotto tutti i punti di vista, magari durante una cena al lume di candela o sullo sfondo di una serata piena di stelle e con un panorama da togliere il fiato.

Anzi, eravamo completamente zuppi, l’umidità ci aveva increspato i capelli e reso la pelle appiccicosa, ma a suo modo comunque fu bello. Unico.

Poi Chris si staccò e sussurrò al mio orecchio: «Scusa se ti ho bagnato la macchina».

Detto questo sparì, con ancora sulle labbra un sorriso ed io il suo sapore sulle mie.

Il giorno seguente non andai al lavoro perché era il mio giorno libero e quello successivo fu il suo, quindi non ci vedemmo. Non si fece sentire e quando ci rincontrammo, avevamo lo stesso rapporto amichevole di prima;  nessuno dei due accennò a ciò che era accaduto quella sera nella mia macchina.

Probabilmente entrambi lo stavamo ancora metabolizzando.

Fatto sta che il tempo trascorse ed entrambi continuammo a non parlarne.

Stavamo sempre insieme alla pausa pranzo e alla pausa caffè, tanto che tutti lì in studio ci consideravano una coppia, ma… cosa eravamo in realtà?

Un giorno, tornando nel mio ufficio, mi ritrovai sulla scrivania un bellissimo mazzo di rose bianche, i miei fiori preferiti.

Ero stupita, non mi pareva di aver mai detto a Chris delle rose e quando cercai il mittente, trovai un biglietto scritto con una calligrafia familiare; diceva:

Vorrei averti qui vicina per sentire il tuo respiro, per capire se sei vera o un sogno… un bel sogno…”.

Ma ciò che mi stupì di più fu la firma: “M.”

Chi diavolo era M?

Proprio in quel momento, entrò Chris, jeans e maglietta come al solito.

Guardò prima me, poi le rose, poi di nuovo me, senza capire ed improvvisamente i suoi lineamenti, di solito così distesi, si fecero duri.

Si avvicinò, leggendo il biglietto che avevo in mano.

«Chi è M?».

«Non ne ho idea, onestamente», risposi con assoluta sincerità.

«Ah, davvero? A lui però manca il tuo respiro, a quanto pare», disse con tono sprezzante. «Certo, potevi anche dirmelo se ti vedevi con qualcun altro», continuò poi.

Detto questo si voltò e fece per andarsene.

«Chris!» lo richiamai bloccandolo per un polso.

I muscoli del suo braccio si irrigidirono, ma, con uno strattone, si liberò e uscì dal mio ufficio, lasciandomi solo una gran confusione in testa e un vuoto nel petto.

 

Tre mesi più tardi…

Il caldo nell’ufficio era soffocante; avrei dovuto comprare un ventilatore da mettere lì, altrimenti non sarei arrivata a fine stagione, ma sarei morta asfissiata uno di quei giorni.

La mia scrivania era sommersa da scartoffie e dalle due enormi agende degli appuntamenti, il telefono non la finiva più di squillare ed il sudore mi gocciolava lungo la schiena. Non ero un bello spettacolo in quel momento.

Erano trascorsi  ormai tre mesi da quel giorno nel mio ufficio quando avevo avuto quella discussione con Chris e non lo vedevo più se non durante le pause, ma non ci sedevamo più insieme come facevamo prima.

Una giorno, Emily, un’infermiera del mio piano venne a sedersi con me e mi chiese: «Ehi, ma tu e Christian del piano di sotto vi siete lasciati?».

Sul mio volto si aprì un sorriso amaro.

«Non siamo mai stati insieme. È una cosa un po’ complicata».

Lei parve imbarazzata.

«Oh, ehm, mi dispiace… è che vi vedevo sempre  insieme… ».

«Già… ».

A quel punto, per non lasciare quel silenzio ad aleggiare tra noi due, Emily cominciò a parlare della tale dottoressa che era stata invitata ad un convegno, a Washington, di luminari nel campo della genetica, ed io le fui grata per quello.

Una settimana dopo, finalmente, arrivò il mio turno di andare in ferie. Avrei avuto un mese intero perché a Natale non mi ero presa niente.

Sapevo che anche Chris aveva adottato la mia stessa strategia: lavorando sotto Natale eravamo stati pagati di più ed ora sarei stata in vacanza fino al dieci di agosto.

Una pausa mi sarebbe servita e poi tra una settimana saremmo partiti tutti quanti per andare a Santa Barbara a trovare il nonno, che dopo la morte di nonna Allie, viveva in quella grande casa tutto solo.

Parlare con lui mi avrebbe fatto bene, così come anche non vedere Chris per un po’.

Tornai dal lavoro alle sette di sera e trovai i miei genitori tutti indaffarati a fare avanti e indietro tra la cucina e la sala da pranzo.

Buster, il grosso pastore bernese che mi avevano regalato quando avevo compiuto diciannove anni, se ne andava scodinzolando per tutto il giardino.

«Ehi, che succede?», chiesi a mia madre.

«Tua sorella porta a cena il suo nuovo fidanzato stasera».

«Nuovo? Perché? Si è lasciata con Jared?».

«Jared? Sì, da un pezzo, ormai! Saranno almeno due mesi che vede questo  ragazzo».

«Oh, ok… ».

«È un’occasione particolare? Devo mettermi qualcosa di elegante? Anche perché in tal caso mi servirebbe una doccia».

«Va bene, vai pure allora».

Detto questo, mamma filò nuovamente in cucina ed io al piano di sopra, in bagno.

Ormai non tenevo più il conto dei ragazzi di Shereen.

Ero sfinita, non avevo proprio voglia di prendere parte a quella cena; avrei soltanto voluto buttarmi a letto con Buster sdraiato sul tappeto e dormire fino a domattina.

Invece però, mi infilai nel box doccia, e aprii l’acqua regolandola in modo che diventasse tiepida.

Poi passai tra i capelli shampoo e balsamo al cocco e mi lavai il corpo con un bagnoschiuma all’orchidea.

Ero tutta profumata quando uscii dalla cabina e misi i piedi sul tappeto di erba sintetica, che mi solleticò la pelle.

Adesso ero molto più rilassata.

Mi asciugai i capelli con calma e indossai l’abito blu che avevo preparato su una sedia vicino alla vasca da bagno.

Lasciai i capelli sciolti sulle spalle e li fermai con un cerchietto argentato.

Dal piano inferiore sentivo voci concitate; mia sorella e la sua nuova conquista dovevano essere arrivati.

Scesi le scale a passo leggero e andai in salotto.

Buster, che era entrato in casa, mi fu subito dietro, colpendomi affettuosamente  la coscia nuda con il suo naso umido. Lo accarezzai sulla testa e poi arrivò mia sorella, con un sorriso raggiante.

«Sorellina, c’è qualcuno che ti devo presentare… tesoro!», chiamò con tono mieloso e assolutamente falso.

Sorellina? Tesoro?”, e da quando Shereen si rivolgeva a qualcuno così?

Una sagoma magra e slanciata uscì dalla sala da pranzo e quando me lo ritrovai di fronte, il mio cuore si fermò.

Era Chris.

A quanto pareva però, non ero l’unica ad essere costernata perché anche lui si era raggelato sul posto.

«Chelsea?», sussurrò.

Grazie al cielo in quel momento Buster era proprio dietro di me perché altrimenti sarei caduta per terra.

Mia sorella si staccò da lui e puntò i suoi occhi indagatori verso di me. Proprio allora anche i miei genitori arrivarono dalla cucina.

«Voi due vi conoscete?», chiese Shereen in tono freddo.

«Noi… », ma le parole mi morirono in gola ed io mi sentii un enorme blocco di ghiaccio nel petto.

«Lavoriamo insieme», completò lui per me.

Lei non sembrava particolarmente sorpresa, come invece lo erano mamma e papà.

«Davvero?», chiese mia madre.

L’unica cosa che io riuscii a fare però fu annuire e dirigermi su per le scale, diretta in camera mia.

Dovevo andarmene da lì. Dovevo andarmene subito altrimenti sarei impazzita del tutto.

Dove sarei andata, ancora non lo sapevo, ma ora non potevo di certo restare.

Presi una valigia dal mio armadio ed iniziai a riempirla con vestiti, computer, qualche libro, soldi; tutto gettato alla rinfusa e, quando fu piena da scoppiare, la chiusi di scatto.

«Cosa stai facendo?».

Quella voce mi fece sobbalzare e in quell’istante mi venne da piangere, ma non potevo farlo.

Ricacciai indietro le lacrime e mi voltai, trovandomi faccia a faccia con l’unica persona che non avrei voluto vedere in quel momento.

«Scusa, non volevo spaventarti».

Guardai Chris, dicendomi mentalmente di non scoppiare in lacrime.

«Devo solo… devo andarmene via per un po’».

Parlai con la voce più sicura che riuscii a trovare.

«Chelsea… ». Allungò un braccio verso di me, ma mi ritrassi velocemente.

Qualcosa nei suoi occhi in quel momento mi spezzò il cuore.

«Christian!», dal piano inferiore udimmo la voce di mia sorella.

«Shereen ti sta cercando, penso che sia il caso che tu vada».

«Chelsea», ripeté lui e nella sua voce, il dolore adesso era ben percepibile.

«Vattene e dì ai miei genitori che scendo tra poco».

Il mio tono rabbioso lo fece irrigidire, così mi voltò le spalle ed uscì dalla stanza, sussurrando qualcosa che alle mie orecchie suonò come un “Non mi aveva mai detto di avere una sorella…”

In effetti non c’era da sorprendersi.

Probabilmente se Shereen lo avesse fatto, lui avrebbe intuito che, forse, avendo lo stesso cognome, eravamo imparentate.

Mio Dio, mi sembrava tutto un brutto incubo.

Non poteva essere. No. Non era possibile che il mio Chris ora stesse con quell’arpia di mia sorella.

Un altro trofeo sul suo scaffale.

Il mio respiro iniziò a farsi affannoso, cercai di elaborare ciò che era appena successo, ma proprio non ci riuscivo.

Mi sedetti sul letto ed inspirai a fondo.

In quel momento Buster entrò in camera mia a passo leggero e mi posò la sua testa sulle ginocchia, scodinzolando preoccupato.

Mi guardò con quei suoi occhioni grandi e scuri che ora sembravano incredibilmente tristi.

Capiva che c’era qualcosa che non andava in me.

«Stammi vicino», gli sussurrai.

E detto questo mi alzai e scesi al piano di sotto con il mio fedele amico a vegliare su di me.

«Tesoro, stai bene? Sei pallida», disse mio padre.

«Sì, io… scusate, sono in quel periodo del mese, in realtà non ho molta fame», mentii, almeno in parte. Che non avevo fame era vero, ma non avevo il ciclo; volevo solo andarmene da lì.

«Oh, preferisci andare a sdraiarti in camera?», proseguì la mamma.

«Ma io e Christian siamo appena arrivati!», protestò Shereen.

Come al solito cercava di portare l’attenzione su di sé.

«Lo so, tesoro, ma tua sorella non si sente bene», disse mia madre in tono fermo.

Ero quasi commossa; mamma non prendeva quasi mai le mie difese se c’era di mezzo mia sorella.

Incrociai lo sguardo di Chris, sembrava che mi stesse silenziosamente supplicando di restare.

«Sì, credo sia meglio».

Fu come vederlo accasciarsi sulla sedia, ma lo notai solo io. Lo notai solo io perché ero quella che lo conosceva meglio in quella stanza, probabilmente anche meglio di Shereen.

Buster mi scodinzolava dietro, sempre in pena per me e quando arrivai in camera, mi spogliai, indossai il pigiama, spostai per terra la valigia che avevo frettolosamente preparato poco prima, e mi buttai a letto, facendo salire il mio cane, che si sdraiò vicino a me.

Di solito non lo facevo mai, ma quella sera avevo davvero bisogno di qualcuno.

Mi sembrava di essere come drogata. Sotto shock.

Infilai nelle orecchie le cuffie dell’mp3 per non sentire le voci dal piano di sotto e iniziai ad ascoltare della musica. La musica era il mio rifugio.

 Abbracciai Buster e mi lasciai sfuggire qualche lacrima, che andò a bagnare il pelo morbido e lucente del mio cane.

Poco a poco, scivolai nel sonno.

Venni svegliata da qualcosa che mi scostava i capelli dal viso: era mio padre.

«Scusa tesoro, non volevo svegliarti».

«È finita la cena?».

Lui annuì.

«Christian sembra davvero un bravo ragazzo», disse papà.

Non sapeva che così non faceva altro che accrescere il mio dolore.

«Era preoccupato per te, vorrebbe vederti, ha detto che siete molto amici, mi sorprendo che non ti abbia detto che si vedeva con tua sorella».

«Prima della cena mi ha detto che Shereen non gli aveva nemmeno detto di avere una sorella».

Papà scosse il capo.

«Sai com’è fatta… vuole sempre i riflettori puntati su di sé, non te la prendere, amore».

«Papà?».

«Sì?».

«Posso partire domattina?».

«Cosa?».

«Io… io vorrei andare dal nonno già domattina».

In circostanze normali avrebbe detto di no, o per lo meno avrebbe fatto qualche domanda per approfondire la cosa, ma quelle non erano circostanze normali, perché la disperazione nella mia voce era perfettamente udibile.

«Va bene, tesoro».

«Grazie. Parto appena mi sveglio, non c’è bisogno che voi vi alziate e porto anche Buster, sarete già in quattro e con le valige la settimana prossima e poi Shereen lo odia. E anche a lui, lei non sta molto simpatica».

Lui accennò un piccolo sorriso e si chinò a darmi un bacio sulla fronte. «Adesso dormi, cerca di riposare».

Quando uscì dalla mia stanza notai che non avevo più le cuffie nelle orecchie; era riuscito a togliermele senza svegliarmi.

Avevo la mente confusa, non riuscivo a formulare un pensiero logico e poco dopo, mi addormentai nuovamente.

 

Note dell’Autrice:

Ho provato a scrivere più di una volta questo capitolo perché non mi convinceva, alla fine questo è ciò che è venuto fuori.

Diciamo che è piuttosto introduttivo, la trama viene accennata a grandi linee, ma Chris e Chelsea faranno presto a complicare le cose sempre di più!

Fatemi sapere cosa ne pensate intanto; dal prossimo capitolo cominceranno a delinearsi meglio sia la trama, sia i caratteri dei vari personaggi e verrà introdotto anche un personaggio piuttosto importante.

Un ringraziamento speciale va a Yuko majo per lo splendido banner!

Vi lascio il link del mio profilo Facebook, aggiungetemi se siete interessati!

Clira Efp

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Clira