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Autore: mikchan    05/02/2014    6 recensioni
[Questa storia è una specie di sequel dell'altra one-shot "Di guardoni, papere e fumetti", che va letta per poter comprendere cosa succede qui]
Il rapporto tra Marianna e Daniele non è cambiato. Tra infiniti battibecchi e discussioni, tra i due comincerà a nascere qualcosa di più profondo della semplice amicizia. Cosa succederebbe se si dichiarassero?
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di guardoni, papere e fumetti'
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UN PRIMO, DISASTROSO APPUNTAMENTO... O FORSE NO?


"Dovresti uscire con Daniele".
Uno sguardo alla mia migliore amica, appoggiata alla finestra come ogni giorno.
Era seria. Maledettamente seria.
Ma scherziamo? Le scoppiai a ridere in faccia, piegandomi in due e tenendomi teatralmente la pancia e attirando l'attenzione della gente che camminava in corridoio. "Tu... tu sei... tu sei fuori", mormorai, asciugandomi le lacrime.
Alessia alzò un sopracciglio. "Non mi sembra di essere io quella che ha appena fatto una scenata degna di un Oscar".
"Non è colpa mia se sei simpatica".
"Marianna, ero seria", mi riprese, sbuffando.
"Appunto!", esclamai, scoppiando di nuovo a ridere.
Insomma, era una cosa surreale quella che mi aveva appena proposto. Conoscevo Daniele da settembre, da quando ci eravamo ritrovati in classe assieme e avevamo scoperto di abitare vicini. Con lui era un'eterna discussione: bisticciavamo su ogni cosa, dalla merenda da comprare all'intervallo, ai compiti per il pomeriggio. Ogni pretesto era utile per battibeccare ma la cosa non mi pesava, anzi, mi divertivo anche. Perché Daniele, nonostante la sua stupidità cronica, era anche molto simpatico e, soprattutto, era un amante di fumetti, proprio come me.
In quei cinque mesi avevamo imparato a conoscerci e a sopportarci, ma proprio non riuscivo a vederlo come un ragazzo in quel senso. Certo, era bello. Anzi, bellissimo. Ogni ragazza della scuola aveva fatto apprezzamenti sul suo sedere almeno una volta e alcune si erano anche avvicinate a parlarci. Peccato che a Mr Perfettino non ne andasse bene una e le rimandava indietro a suon di battutacce ogni volta. Io mi divertivo come una matta a vedere le loro facce deluse e tristi, ma non mi ero mai veramente fermata a pensare perché Daniele si comportasse così. In ogni caso non avevo mai pensato a lui come un possibile fidanzato.
E poi era uscita Alessia con quella proposta. Dai, sinceramente parlando, come avrei potuto competere con tutte quelle più belle di me che lui aveva rifiutato senza nemmeno pensarci? Era assurdo e non capivo come Alessia avesse potuto avere un'idea simile.
"Piantala di ridere, idiota", mi riprese dandomi uno spintone.
"E tu piantala di dire scemenze".
Alessia sospirò. "Sei proprio cieca, vero?", disse scuotendo la testa.
"Perché?".
"Intanto dimmi perché sarebbe un'idea così divertente uscire con Daniele".
"Beh", mormorai, fermandomi a pensare. "È un amico. Mi diverto con lui, ma non c'è niente tra di noi".
"C'è feeling, invece", ribatté.
"Ma non dire scemenze".
"Tu non vi vedi quando discutete. Sembra che vi conosciate da anni, che sappiate cosa dire in quell'esatto momento per attirare la battuta dell'altro. Due persone che non si sopportano non si comportano così".
"Non ho detto che non lo sopporto, infatti".
"State bene insieme. Passi la maggior parte del tuo tempo con lui e, ammettilo, non è così male".
"Hai finito di psicanalizzarmi?".
"Non ti sto psicanalizzando, ti sto dando dei consigli".
"Consigli inutili visto che nemmeno piaccio a Daniele. Che figura ci farei se gli chiedessi di uscire?".
Alessia sbuffò. "Altro che fette di salame sugli occhi, questa qui ha un'intera macelleria", borbottò scuotendo la testa.
"Ehi, che significa?".
"Lascia perdere", sbottò, sentendo suonare la campanella. Fine dell'intervallo, fine di quella discussione senza senso. "Senti, tu pensaci, eh".
"Ma a cosa dovrei pensare?", esclamai esasperata.
"Perché, tu pensi?".
Mi girai verso la voce che aveva parlato e fulminai Daniele con lo sguardo. Brutto momento. "Come ogni essere umano su questa terra", sbottai entrando in classe.
Daniele mi seguì con il sorriso sulle labbra. "Sicura di farne parte?".
"Che cosa stai insinuando?".
"Io? Ma nulla".
"A me non sembrava".
Lui mi guardò divertito. "Oggi sembri più scema del solito".
"Senti da che pulpito. Chi dei due ha fatto una penosa interrogazione di storia?".
"Non avevo nemmeno aperto il libro, non è stupidità".
"Certo che è stupidità non aprire il libro pur sapendo di avere in programma una verifica".
"Avevo di meglio da fare ieri", sbottò.
"Ti avviso che giocare a League of Leggend non rientra in questa categoria".
"E chi ti dice che stavo giocando a quello?".
"Nessuno, solo che ti conosco".
"Non mi conosci affatto. Se mi conoscessi, sapresti che...".
"Che cosa?", chiesi. "Finisci la frase".
"Niente, laciamo stare", borbottò.
Ma che gli era preso? Daniele aveva una faccia strana, non lo avevo mai visto così pensieroso.
L'insegnante di italiano entrò in classe e ci sedemmo, ma non riuscii ad ascoltare una parola di quello che stava dicendo perché il mio cervello aveva incominciato a ripensare a quello che era successo in quei miseri quindici minuti. Prima Alessia con le sue uscite folli, poi Daniele con la testa tra le nuvole.
Cercai di concentrarmi su un problema alla volta.
Provai a rispondere alla domanda di Alessia. Mi piaceva Daniele? Beh, dovevo ammettere a me stessa che non mi dispiaceva la sua compagnia. Era un buon amico, sempre disponibile per ogni occasione e per giunta anche carino. Il fidanzato perfetto, no? Ed era il quello il problema. Per quanto stessi bene con lui, non riuscivo a vederlo come il mio fidanzato... oppure sì.
Oddio che confusione!
E poi rimaneva il problema di Daniele. Decisi che gli avrei parlato dopo le lezioni, mentre tornavamo a casa insieme. Lui mi era stato vicino quando avevo scoperto che i miei genitori volevano divorziare. Mi aveva consolata, aveva ascoltato le mie paturnie e sopportato le mie lacrime. Era stato mio amico, malgrado ci conoscessimo da poco. E io volevo fare lo stesso con lui. Lo avrei aiutato, sempre se lui avesse voluto confidarsi con me.
Passai le tre ore seguenti a pensarci senza sosta, ad entrambe le questioni. Sulla prima non ero arriavata a una soluzione o, almeno, ero arrivata ad un compromesso: Daniele mi piaceva, ma io piacevo a lui? Ecco, quella questione mi spaventava. Gli volevo bene e non avrei voluto perdere la sua amicizia.
Peccato che, con il passare dei giorni, mi accorsi di quanto Daniele mi piacesse veramente. Alessia mi aveva aperto gli occhi e spesso mi perdevo a fissarlo come un'idiota, cercavo di portare le nostre discussioni al limite, solo per il gusto di litigare con lui e sempre più spesso mi chiedevo come sarebbe stato essere la sua ragazza. Ma di una cosa ero certa: non avrei rovinato la nostra amicizia per una cotta.
Tra l'altro, ero anche certa di non piacere a Daniele. Mi trattava come un'amica e me l'aveva detto espressamente anche quando avevamo parlato, quel famoso pomeriggio. Non mi aveva rivelato cosa lo affliggeva, ma mi aveva ringraziato, definendomi la "migliore amica che avesse mai avuto". Ero solo un'amica.
Cosa avrei dovuto fare?
La risposta arrivò prima che me l'aspettassi, durante un piovoso pomeriggio di inizio febbraio. Io e Daniele ci trovavamo a casa mia, come quasi ogni giorno, ed eravamo intenti a ripetere la lezione di fisica per la verifica che ci sarebbe stata il giorno seguente.
"Siamo dei geni", disse Daniele stiracchiandosi.
Alzai un sopracciglio. "Non allargarti troppo con i complimenti", lo ripresi.
"Hai ragione: io sono un genio".
"Veramente intendevo il contrario, Mr Genio".
"Ma non dire scemenze. Cosa ti costa ammettere che sono il migliore?", mi provocò con un sorrisetto.
"Il fatto che non lo sei, per esempio", ribattei.
"Dai, Paperina. Non puoi compete con me".
"Nemmeno un gatto vuole competere con te. E non chiamarmi Paperina".
"Perché no, Paperina?".
Sospirai. Era la millesima volta che mi rivogeva quella domanda e ogni volta che rispondevo mi sentivo sempre più stupida. "Ne riparliamo domani, durante la verifica, quando mi chiederai aiuto per risolvere un esercizio", commentai tranquilla.
"Non succederà".
"Sì, certo".
"Non mi sembra di essere io quello che mi ha chiesto disperatamente aiuto durante l'ultima verifica di matematica".
"Non ti ho chiesto disperatamente aiuto".
"Sì, certo", mi imitò. "Conservo ancora il bigliettino che mi hai lanciato".
"E cosa te ne fai? Lo veneri?".
"No, aspetto il momento giusto per usarlo contro di te".
"Bastardo".
"Genio".
"Imbecille".
"Genio".
"Cretino".
"Genio".
"E piantala, genio dei miei stivali!", sbottai. "Puoi anche andartene se non vuoi il mio aiuto".
Daniele scosse la testa, sorridendo sardonico. "No, credo proprio che starò a farti compagia".
"Non sei desiderato".
"Capita".
"Ti devo buttare fuori di casa a calci?".
"Provaci", mi provocò.
Assottigliai le labbra. Era una sfida? Mi alzai dal divano dove eravamo seduti e lo presi per un braccio, trascinandolo verso di me con tutta la forza che avevo. Daniele scoppiò a ridere, puntellandosi con i piedi a terra. Non smisi di tirare, premurandomi anche di infilare le unghie nella carne del suo polso. A mali estremi, estremi rimedi, no?
"Non mi sposterai mai, Paperina".
"Non sottovalutarmi, idiota".
Mi fermai un attimo, lasciandogli il tempo di rilassare i muscoli e, a sorpresa, lo tirai di nuovo verso di me. Daniele spalancò gli occhi, sorpreso nel sentirsi alzare di forza dal divano. Peccato che perse l'equilibrio e cadde su di me, trascinandomi per terra.
"Alzati, stupido", urlai fulminandolo con lo sguardo.
"Hai fatto tutto tu, deficente", mi sgridò, spostandosi dal mio corpo e sedendosi sul pavimento, al mio fianco.
"Solo perché tu non volevi andartene di tua spontanea volontà", dissi alzandomi e sedendomi davanti a lui.
"Come sei permalosa, stavo scherzando. È per caso il tuo periodo del mese?".
Presi un cuscino dal divano e glielo tirai addosso con forza. "Idiota, che domande sono?".
"È una semplice domanda", ribatté.
"Maniaco", sbottai tirandogli un'altra cuscinata.
"Non ho fatto niente", si difese. "Ti ho solo chiesto se sei così isterica per un motivo particolare o solo perché ci sono io".
"Non farti tante pretese", dissi sbuffando. "E non sono isterica", precisai, sbattendo di nuovo il cuscino sul suo braccio.
"E allora piantala di picchiarmi".
"Vuoi dirmi che un cuscino ti fa male?", lo provocai, tirandolo ancora.
"Non dire scemenze. È un cuscino".
"Povero cucciolo. Il cuscino gli fa la bua", dissi con voce acuta, spostando la mano per colpirlo di nuovo.
Daniele mi afferrò il polso prima che arrivassi a prenderlo e mi guardò serio. "Ti odio quando ti comporti da bambina".
"Nessuno ti dice di parlarmi", ribattei, lasciando cadere il cuscino a terra.
Lui fece una mezza risata. "Sarebbe un'idea".
"Bene, la porta è quella", sbottai, cercando di divincolarmi dalla sua presa forte.
"Peccato, però", continuò senza lasciarmi il polso e alzandosi sulle ginocchia, avvicinandosi a me. "Che allo stesso tempo mi diverte un sacco".
Il cuore iniziò a battermi furioso, mentre non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello di Daniele, scuro e profondo. Che cosa stava dicendo? "Ti diverte che io sia una bambina?", sussurrai.
Daniele non rispose, limitandosi ad avvicinarsi ancora di più e a chiudere gli occhi, prima di abbassarsi sulle mie labbra con le sue. Io rimasi con gli occhi spalancati dalla sorpresa, immobile, mentre la sua mano si avvicinava alla mia guancia.
"Che... che stai facendo?", mormorai allontanandomi di poco.
Lui aprì le palpebre per un solo attimo, che bastò a zittirmi e poi tornò sulle mie labbra. Sentii la sua lingua accarezzarmi i denti e, d'istinto, dischiusi la bocca, iniziando a partecipare a quel bacio del tutto inaspettato.
Ormai avevo chiarito con me stessa sul fatto che mi piacesse Daniele, ma mai avrei immaginato che lui potesse ricambiare. Eravamo così uguali, entrambi testardi, estroversi, con dei caratteri forti che cozzavano l'uno con l'altro. Stare insieme sarebbe stato un enorme problema, ma chissà perché, durante quel bacio interminabile non mi sembrò nemmeno così impossibile.
Quando Daniele si staccò da me avevamo entrambi il fiato corto e gli occhi luccicanti. Non dissi nulla, aspettando che fosse lui a parlare, ma si limitò a guardarmi con un mezzo sorriso sulle labbra.
"Dì qualcosa", sussurrai.
Lui allungò la mano, afferrando la mia. "Esci con me".
Sgranai gli occhi. Me lo aveva chiesto veramente? Daniele-sono-figo-solo-io-e-rifiuto-ogni-regazza mi aveva davvero chiesto un appuntamento?
Mi limitai ad annuire, sorridendo.
Con il pensiero ringraziai Alessia per avermi aperto gli occhi: aveva assolutamente ragione quella ragazza, altro che salame sugli occhi!

Ero in ritardo.
Di nuovo.
Come sempre.
Maledizione a me e al mio vizio di fare tutto all'ultimo minuto, ad Alessia che mi aveva chiamata per farmi da consulente stilistica e a mio fratello, che mi aveva macchiato la gonna di marmellata costringendo a cambiarmi per l'ennesima volta!
Corsi come una matta giù dalle scale del mio palazzo, spalancando il portone con forza e attraversando la strada senza nemmeno guardare, puntando dritta al palazzo dove abiatava Daniele.
Lui era già lì, appoggiato al muro dell'ingresso, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo scocciato.
"Scusa, scusa, scusa, scusa", esclamai con il fiato corto quando arrivai davanti a lui.
"Ventisette minuti di ritardo", disse solo.
"Lo so, è stata una mattina assurda. Mi sono svegliata tardi, mio fratello ha fatto i suoi soliti pasticci e Alessia mi ha chiamata per...".
"Mi hai fatto aspettare ventisette minuti", ripeté.
Mi accigliai. "Ho capito. E ti ho già chiesto scusa".
"Al freddo", insistette.
"Non esagerare. Si sta bene oggi".
"E da solo".
Sbuffai. "Dì un po', hai voglia di litigare?".
"Sono ventisette, anzi, ora ventotto minuti che ti aspetto e mi accogli così?".
"Ti ho chiesto scusa. Cosa altro vuoi, che mi prostri ai tuoi piedi?".
"No, altrimenti ti rovineresti i pantaloni e saresti costretta a tornare a casa a cambiarti e perderemmo altro tempo".
"Non è vero", sbottai.
"Certo, certo. Ora vogliamo andare?".
"Facciamo in tempo a prendere il treno?".
"Se non avessi tardato di ventisette minuti, sì".
"E piantala", esclamai. "Hai intenzione di rinfaciarmelo per tutto il giorno?".
Daniele si voltò verso di me, sorridendo. "Ovviamente".
"E allora vai da solo a farti un giro in centro, idiota", sbottai voltandomi e incamminandomi verso casa.
Sentii Daniele ridere e poco dopo la sua mano mi afferrò il polso. "Se la pianti con queste scenate riusciamo a prendere il treno dopo".
"Sei tu che mi fai incazzare".
"Ho semplicemente detto la verità: sei in ritardo".
Sbuffai, sconfitta. "Va bene, okay. Sono in ritardo. Andiamo?".
Daniele fece una risatina e mi prese per mano, mentre ci incamminavamo verso la stazione. Arrossii un poco. Non ero ancora abituata a quelle effusioni, in fondo quello che era successo risiedeva a nemmeno due giorni prima, ma dovevo ammettere che non mi dispiacevano affatto. Per un momento pensai al fatto che i nostri compagni ancora non sapevano nulla di noi, non lo avevo detto nemmeno ad Alessia, ed ero certa che se la sarebbe presa per non essere stata la prima ad essere avvertita. Ma che colpa ne avevo io se mi imbarazzavo a parlare di certe cose?
Arrivammo alla stazione e dopo qualche minuto passò anche il treno, sul quale salimmo senza dire nulla.
"Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua?", mi risvegliò Daniele quando trovammo due posti liberi e ci sedemmo.
"Non ho un gatto", mugugnai sfilandomi la giacca.
"È un modo di dire", ribatté.
"Sì, ma ha senso se una persona ha un gatto. Io, per esempio, non ce l'ho, quindi un gatto non potrebbe mai mangiarmi la lingua".
"Che ne sai? Magari un giorno un gatto randagio ti vede e decide di mangiarti la lingua".
"Uhm, poco probabile. Mica vado in giro con la lingua di fuori".
"Io però ci ho fatto conoscienza con la tua lingua: chi ti dice che non sono un gatto?".
Arrossii fino alla punta dei capelli, dandogli uno spintone. "Stupido, che razza di discorso".
"Sei tu che l'hai iniziato".
"Veramente tu hai tirato in ballo gatti che non esistono".
"Dicevo per dire", esclamò esasperato.
"Beh, io non dico per dire. Se dico una cosa, lo faccio per un motivo. Altrimenti sprecherei solo fiato".
"Sei sempre la solita perfettina", mi schernì.
"Meglio perfettina che ignorante come te".
"Disse quella che non conosce l'anatidefobia".
"Oh, ancora con quella storia?", esclamai.
"Anche tu continui a chiamarmi guardone", ribatté.
"Forse perché lo sei", commentai ovvia.
"Okay, allora da domani mi metto a spiare tutte le ragazze del quartiere. Contenta?".
"Assolutamente no", esclamai. "E poi perché solo ragazze?".
"E cosa dovrei guardare? Gatti?".
"C'è un intero mondo oltre le ragazze e i gatti".
"Beh, a me piacciono le ragazze. Quindi guardo loro".
"Tu provaci soltanto e ti ritrovi senza palle prima che tu te ne accorga", lo minacciai fulminandolo con lo sguardo.
Daniele scoppiò a ridere. "Sei carina quando diventi gelosa".
"Non sono gelosa", sbottai.
"Okay, allora posso guardare le altre ragazze?".
"No!", esclamai, forse a voce troppo alta perché alcune persone si voltarono verso di noi.
Daniele rise di nuovo, mentre il capotreno annunciava la fermata di Sesto San Giovanni, la nostra, e ci preparammo a scendere. Una volta in stazione comprammo i biglietti per la metropolitana e salimmo sulla prima che passò, diretta verso Roh Fiera.
"Che ne dici, facciamo un giro prima di andare a pranzare?", mi chiese mentre la metro procedeva veloce sui binari.
"Devi comprare qualcosa in particolare?".
Lui annuì. "Il nuovo numero di Belzebub", rispose.
"Oddio, è una stronzata pazzesca quel manga", esclamai.
Lui alzò un sopracciglio. "Vero. Ma ti ricordo che è un fumetto, quindi non puoi aspettarti un livello letterario così alto".
"Non ho di certo simili aspettative. Però Belzebub non mi è proprio piaciuto".
"A me non dispiace", rispose.
"Ma senti un po'. Cosa te ne fai di tutti questi manga, poi?".
"Li colleziono", rispose ovvio.
"Sì, ma è uno spreco di soldi, non credi?".
"Può essere. Però a me piace avere la libreria piena di manga e fumetti".
Annuii. "Okay. Quindi, prima fermata: fumetteria?".
"In realtà quella che conosco io apre alle quattro, quindi dovremo aspettare".
"Perfetto, così mi accompagni in giro per negozi".
"Ehi, frena! Questo è un appuntamento, non ho nessuna intenzione di accompagnarti a fare shopping", ribatté.
Mi voltai verso di lui, esibendo la migliore faccia da cucciolo bastonato. "Ti prego".
"No".
"Non ti chiamo più guardone".
"No".
"Dai, cosa ti costa?".
"Ho detto di no".
"Ti prometto che non mi fermerò tanto".
"L'ultima che ha detto così è rimasta un ora in un negozio. Capisci? Un ora. In un solo negozio".
"Ma io non sono così, te lo giuro".
Daniele mi guardò esasperato. "Okay, a patto che non mi proponi nemmeno di avvicinarci ad Abercrombie".
"Ma...".
"Niente ma. Non ho intenzione di fare cinquanta minuti di fila per vedere dei montati senza maglietta. Se vuoi, per quello ci sono io".
Lo guardai e scoppiai a ridere. "Sei geloso", esclamai.
"Non sono geloso", ribatté.
"E allora che problemi hai contro i modelli di Abercrombie?".
"Sono inutili. E poi è un negozio costosissimo".
"Nessuno ha detto che devo comprare".
"La risposta è comunque no. Niente Abercrommbie. Nemmeno per sogno".
Sbuffai. "Credo che mi dovrò accontentare".
"Ecco, brava. Accontentati. Ehi, aspetta!", esclamò poi. "Che significa che ti devi accontentare? Io non valgo meno di que deficenti", sbottò.
"Non intendevo quello", ribattei. "Era per la faccenda dei negozi".
"Sarà meglio per te", borbottò, alzandosi dal sedile quando la metro si fermò alla fermata del Duomo.
Li imitai ed uscimmo dalla metropolitana, ritrovandoci in Piazza Duomo, come sempre affollatissima di turisti e famiglie.
"Ti va di fare un giro per le vie?", gli chiesi. "Niente negozi, ce li riserviamo dopo pranzo".
Lui annuì, prendendomi di nuovo per mano. "Vada per il giro. Pranziamo da Mc Donald's?", mi chiese poi.
"In realtà preferirei andare da Luini".
"Chi?".
"Luini. Quello dei panzerotti".
"Mai sentito", rispose.
"Allora dobbiamo assolutamente andarci. Sono buonissimi, fidati".
"Non mi vuoi avvelenare per scappare con questo Luini, vero?".
"No, tranquillo", risi. "E poi non credo nemmeno che sia più in vita. Oppure sì. In realtà non so nemmeno chi sia Luini".
"Che schifo, sei necrofila".
"Ma sei cretino?".
"Hai detto che è morto".
"Ho detto che non so nemmeno chi sia".
"Peggio ancora. Dio, guarda che spostata mi sono andato a scegliere".
"Spostato sarai tu, che immagina tresche con Luini".
"E come potevo sapere che in realtà non era uno dei tuoi tanti amanti segreti?".
"Ma per chi mi hai preso?".
"Per una spostata", rispose sicuro.
"Beh, tu sei uno che le bacia le spostate", ribattei.
"Problemi di famiglia. Anche mia madre è un po' spostata, sai".
"Ti sei appena dato del malato mentale e inizio a credere che tu abbia qualche serio problema".
"Perché, non ti piacerei più in tal caso? Stronza".
"Ehi, chi ha mai detto una cosa simile?".
"Tu, sette secondi fa".
"Che fai, conti anche i secondi?".
"In realtà ho tirato a indovinare", ammise.
"E poi sono io la spostata, tra i due".
"Anche. In ogni caso sei tu che conosci questa città, non io. Quindi fammi da guida".
"Ma se ci sei già venuto altre volte!".
"Ho la memoria corta, che ci vuoi fare?".
"Beh, se potessi scambierei il tuo cervello con quello di una scimmia. Anzi, forse non cambierebbe molto la situazione".
"Alla fine ti ritroveresti un ragazzo peloso e che mangia banane".
"La differenza da adesso?".
"Non sono peloso".
"Certo, come no".
"E non mi piacciono le banane".
"A questo si può rimediare".
"Sai, preferisco le patate".
Alzai gli occhi al cielo. "Pessima battuta da bambino delle elementari. Ritenta".
"Uffa come sei noiosa. Non hai nemmeno un po' di umorismo".
"Scusa se il mio umorismo non coglie la parte divertente della similitudine banana- pene", ribattei.
"Come sei volgare".
"Guarda che pene non è una parolaccia".
"Lo so, ma non sta bene in bocca a una signorina", disse, trattenendo a stento una risata.
Lo guardai, scettica. "Ti prego, dimmi che non l'hai detto davvero".
"Beh, dipende da cosa tu hai sentito. Ho detto che il pe...".
"Niente, niente. Lascia stare".
"Se vuoi ti ripeto la frase, così la capisci meglio".
"Tranquillo, l'ho capita fin troppo bene".
"Bene", disse soddisfatto.
"E faceva pena", conclusi. "Davvero, ritirati".
"Ma dai, sei proprio noiosa. Scommetto che non rideresti nemmeno a una delle migliori barzellette del mondo".
"Invece sono molto simpatica. Forza, dimmi una bella barzelletta".
"Perché l'insalata non cresce in montagna?".
"Questo è un indovinello", esclamai.
"Chissene. Rispondi".
"Non lo so. Dimmelo".
"Perché altrimenti sarebbe in-salita".
Lo guardai, cercando di non scoppiare a ridere per mantenere un po' di dignità. Di per se la battuta era pessima, ma era stata la faccia con cui l'aveva raccontata che aveva resto tutto molto più divertente.
"Un'altra", dissi, mascherando una mezza risata con un colpo di tosse.
"Donna di poca fede. Fammi pensare. Okay, questa è bella. C'è un bagnino sulla spiaggia che sta mangiando un super panino super farcito. Arriva un bambino albanese e gli dice: "Sono tre giorni che non mangio". E il bagnino: "Bene, allora puoi fare il bagno".".
Scoppiai a ridere. "Okay, questa era carina", ammisi.
"Visto che sono capace di raccontare barzellette?".
"E visto che anch'io ho il senso dell'umorismo?".
"Ora tocca a te. Fammi divertire", mi sfidò.
Mi morsi un labbro, cercando nella mia mente i residui di barzellette che avevo sentito raccontare. "Come lo chiameresti un cane senza zampe?".
"Perché dovrei avere un cane senza zampe? Ma povera bestia!".
"Rispondi", ribattei.
"Non lo so".
"Non lo chiami, perché tanto non può arrivare".
Daniele ridacchiò, scuotendo la testa. "Puoi fare di meglio".
"Ti faccio un indovinello, ti va?".
"Stupiscimi".
"Okay, allora. Ci sono tre fratelli. A volte sono brutti, mentre altre sono belli. Il primo non c'è perché sta uscendo, il secondo non c'è perché sta venendo. C'è solo il terzo che è il più piccolo dei tre, ma quando manca lui nessuno degli altri due c'è. Chi sono?".
"Uhm...", mugugnò Adam. "È una cosa stupida?".
"No, è seria".
"Devo pensare male?".
Sorrisi. "No".
"Allora non so chi sono", ammise.
"Sicuro di volere la risposta?".
"Certo, se te l'ho chiesta".
"Magari volevi pensarci un po'".
"Ma ti ho detto di dirmelo".
"E va bene. Vuoi davvero saperlo?".
"Se me lo chiedi di nuovo ti picchio", mi minacciò.
Ridacchiai. "Passato, presente e futuro".
"Vero", esclamò. "Bella, questa la racconto in giro".
"Non spacciarla per tua però".
"Tranquilla, metterò i diritti d'autore".
Risi. "Andiamo a mangiare?", gli proposi poi, controllando l'ora sul telefono e scoprendo che era quasi l'una del pomeriggio.
"Sicura che questo Luini non ci voglia avvelenare?".
"Ci ho mangiato già altre volte e non sono ancora morta".
"Sì, ma guarda come sei conciata!".
"È un insulto?".
"Un complimento venuto male".
"Immaginavo".
"Eh, che ci vuoi fare. Mica siamo tutti perfetti come Luini".
"Ti sei fissato!".
"Mi sta simpatico, solo dal nome. Non è un bel nome Luini?".
"Poi sono io la spostata", ridacchiai scuotendo la testa.
"Ehi, ma dobbiamo fare tutta questa fila per mangiare un panzerotto?", esclamò Daniele quando arrivammo davanti al negozietto, la cui fila arrivava a due negozi prima. "Tu sei fuori".
"Se vuoi aspettami qui, faccio io la fila per entrambi".
"Okay, bell'idea".
"Quale scegli?".
"Di cosa?".
"Di panzerotti".
"Perchè, li devo anche scegliere?".
"Cosa ci vuoi dentro?".
"Cosa ci può essere dentro?".
"Credo un po' di tutto".
"Allora predo quello che prendi tu".
"Perfetto", dissi, appuntandomi in mente quattro panzerotti classici. Ero sicura che li avrebbe adorati.
La fila durò effettivamente un po' più del previsto e quando finalmente uscii dal negozio ero tutta sudata per l'enorme quantità di persone presenti e il caldo che faceva dentro quel piccolo locale. "Eccomi, Daniele. Ci ho messo un po', ma...". Ma Daniele era impegnato a parlare con una ragazza, a qualche passo di distanza dal negozio di Luini. Era alta e magra, sembrava quasi una modella, con dei lunghi capelli corvini e un sorriso perfetto. Oddio, quella era la sua ex, della quale mi aveva parlato una volta. Cosa cavolo ci faceva quella tipa a Milano se abitava a Verona? M'impietrii sul posto quando la vidi ridere e dare una pacca scherzosa sulla spalla di Daniele. Altro che ex. Quella ci stava provando alla grande e a Daniele non sembrava dispiacere.
Ovviamente, cosa mi volevo aspettare? In confronto a quella tipa io ero sciatta e orribile, con i miei vestiti economici e il taglio dal parrucchiere di qualche mese prima. Non potevo certamente competere con lei e la cosa mi faceva una gran rabbia.
Strinsi tra le mani i sacchetto con i panzerotti e, a testa bassa, iniziai a correre, passando di fianco a quei due e ignorando le urla di Daniele che chiamava il mio nome.
Non mi sarei fatta prendere in giro come un'idiota, men che meno da un idiota come Daniele.
Idiota.
All'improvviso sentii una mano afferrarmi con forza il polso e mi fermai di botto, voltandomi.
"Che cavolo ti è preso?", esclamò l'Idiota, prendendo un grosso respiro.
"Lasciami stare", sbottai, cercando di divincolare il braccio dalla sua presa, con scarso successo.
"Si può sapere perché stavi scappando via? Hai visto un fantasma?".
"No, ho visto la tua ex", ribattei.
"E quindi? Stavamo solo parlando. Era da un po' che non la vedevo".
"Beh, forse per te stavate solo parlando. Ma per lei non era affatto così, fidati".
"Stai facendo una scenata per niente, te ne rendi conto?".
"Non è una scenata".
"E come vuoi chiamarla?"
"Mi sto salvando da una delusione amorosa, ecco come la chiamo".
"Ma sei scema? Quale delusione amorosa?".
"Quella che mi darai tu quando mi mollerai per la modella là in fondo".
"Io ed Erica ci siamo lasciati quasi un anno fa, imbecille".
"E con ciò?".
"Se ci siamo lasciati era perché non ci piacevamo più. Perché dovrei tornarci insieme?".
"Forse perché lei è perfetta, invece io sono così... così... normale", dissi alla fine, sospirando.
"Cosa c'è di strano nell'essere normali?".
"Per esempio il fatto che ai maschi piacciono le tipe come lei, non quelle come me".
"E tu che ne sai? Sei un maschio?".
"Forse in un'altra vita".
"Beh, in questa sei donna. Almeno spero".
"Scemo, certo che sono donna".
"E allora perché ti fai tutti questi problemi".
"Forse proprio perché sono donna".
Daniele sbuffò. "Stiamo degenerando, non credi?".
"Io credo che dovresti tornare dalla tua Erica e lasciarmi sfogare la mia tristezza in questi panzerotti".
"No, io invece credo che dividerò questi panzerotti con te".
"E se io non volessi?".
Daniele allungò la mano e mi rubò il sacchetto dalla mano. "Troppo tardi".
"Ehi, ridammeli".
"No", disse, estraendo con un tovagliolo uno dei panzerotti e rilanciandomi il sacchettino di carta. "Uhm, non male", commentò dopo il primo morso.
Sospirai, sconfitta e lo imitai, iniziando a mangiare il mio panzerotto il silenzio. Finimmo di pranzare senza dire nulla, mentre nella mia mente si sovrapponevano le immagini di me che picchiavo quella cavolo di modella e di Daniele che parlava con lei. Accidenti!
"Senti", disse lui quando finimmo. "Era gelosia, quella di prima?".
"Hai un altro termine per descriverla?", commentai asciutta, lanciando la carta nel cestino.
Daniele sospirò e, prima che me ne accorgessi, mi ritrovai stretta in un abbraccio. Rimasi per un attimo sorpresa. Che cavolo stava facendo? Lui non doveva correre tra le braccia della modella figa e vivere per sempre felice e contento?
"A me piacciono le persone spostate", sussurrò con un sorriso. "Ed Erica è troppo perfettina per me".
"Mi stai dicendo che ti piaccio solo perché non sono normale?".
"Mi piaci perché sei simpatica. E sincera, soprattutto. Sei solare, estroversa, sempre con la battuta pronta: sei la mia controparte perfetta. E poi sei bella".
"Non dire stronzate", mugugnai.
"Non sono stronzate. Sei bella sul serio".
"Sì, con i rotolini di ciccia sui fianchi e il sedere enorme".
"Sei morbida, e calda, non grassa. E a me piace il tuo sedere".
"Allora hai decisamente bisogno di un paio di occhiali".
"Fidati, ci vedo benissimo. Hai un culo da favola, se mi lasci passare il termine".
"Ma non sono bella come Erica-la-modella".
"E quindi?".
"E quindi... a te piaceva lei".
"E ora mi piaci tu".
"Ma lei...".
"Ma tu, Marianna!", esclamò. "Tu sei tu, tu mi piaci, tu hai un bel sedere e tu sei la mia ragazza. Non Erica".
"Quindi non scapperai con lei per avere dei figli bellissimi e perfetti?".
Daniele ridacchiò. "No, non scapperò con lei. Anche perché a volte è veramente insopportabile".
"Peggio di me".
"Oh, molto di più. Pensa che non ha mai riso a una mia barzelletta".
"Che cretina".
"Già".
"Quindi davvero ti piaccio io?".
"In che lingua te lo devo dire?".
"Prova in Aramaico, magari capisco".
"Io invece tento con la mia", disse prima di abbassarsi verso di me e fare incrociare le nostre labbra. Ricambiai subito il bacio, ritrovandomi poi a sorridere.
Idiota lui, idiota io. Era proprio vero che tra idioti ci si trovava bene!
Il resto del pomeriggio passò in un lampo. Entrammo in qualche negozio, ma come avevo promesso, non ci spesi molto tempo, anche se poi Daniele ne sprecò altrettanto in fumetteria, parlando con il commesso degli ultimi numeri dei manga che dovevano uscire e delle action figure che avrebbe voluto comprare.
Quando prendemmo il treno del ritorno era ormai buio e mi persi ad osservare il paesaggio scorrere veloce al mio fianco.
"Dove ti sei persa, Paperina?".
"In un posto senza papere, possibilmente".
"Mica ti piacevano così tanto?".
"Recentemente hanno iniziato a starmi davvero antipatiche".
"Povere. Le abbandoni così".
Alzai le spalle. "La gente cambia idee".
"Vero".
"È bello quel manga?", gli chiesi indicando uno dei tanti volumi che aveva comprato.
Lui fece una smorfia. "Credevo meglio. Mi sa che lo rivendo alla prossima Fumettopoli".
"Giusto, quand'è?".
"A fine mese, credo".
"Perfetto".
"Senti, io stavo pensando che potremmo fare un costplay".
"Tipo chi?".
"Boh, una qualunque coppia".
"Non provare a nominare Paperino e Paperina", lo minacciai.
"Mica sono scemo da volermi vestire come Paperino!".
"Non si sa mai. Comunque ci sono tante coppie che potremmo fare".
"Io avrei un idea".
"Tipo?".
"Nana e Ren".
"Sì, geniale! Però io non assomiglio tanto a Nana".
"Perché no? Basta che ti procuri una parrucca nera e corta e sei perfetta".
"Tu invece assomigli molto a Ren".
"Lo so, sono un figo".
"Ho detto che gli assomigli, non che sei come lui".
"Sempre puntigliosa, Paperina".
"E smettila di chiamarmi Paperina!".
"Quindi abbiamo deciso?", chiese invece lui, ignorando la mia frase.
Sospirai. "Vedo se trovo la parrucca. Comunque sì, è una bella idea".
"Lo so, l'ho avuta io".
"Sempre modesto, eh Guardone".
"Smettila di chiamarmi Guardone".
Ci guardammo in faccia e scoppiammo a ridere.
"Senti, Marianna", mi richiamò Daniele. "Oggi mi sono divertito".
"Anch'io. A parte l'incontro con Erica-la-modella".
"Che sciocca".
"Ero gelosa. Come tu lo eri dei modelli di Abercrombie".
"Non ero gel... oh, e va bene".
Ridacchiai. "Comunque, davvero, grazie per oggi. Sai, per i complimenti e tutto il resto".
"Li pensavo davvero".
"Ne sono contenta".
"E tu pensi davvero che io assomigli a Ren?".
Risi. "Beh, sei alto, moro, con gli occhi scuri e i capelli sempre scombinati. Poi suoni la chitarra, anche se non hai un gruppo. Sei gentile ed altruista, un po' stupido, a volte, ma sei l'unico che mi fa veramente divertire ogni volta".
"Oggi è la giornata dei complimenti".
"Direi di segnarla sul calendario perché già da domani incominceremo di nuovo a bisticciare".
"Addirittura domani?".
"Beh, diciamo pure tra qualche minuto", risi.
"Quindi stiamo veramente insieme?", chiese lui, dopo qualche secondo.
"Vuoi che ti invii il bigliettino come alle medie con scritto "vuoi essere il mio ragazzo?" e le tre caselline da sbarrare -sì, no, forse-?".
Daniele scoppiò a ridere. "Risparmia inchiostro, la risposta è sì".
"Ne sei sicuro? Io non sono come Erica".
"E io non sono come i modelli di Abercrombie".
Ci guardammo negli occhi. "E quindi?", dicemmo insieme.
E quindi diventammo due fidanzati. Certo, il nostro rapporto era un continuo litigio, ma era proprio per quello che mi piaceva così tanto. Daniele mi faceva sentire viva come mai prima d'ora con la sua allegria e le sue battute.
"Sai", mormorai dopo un po'. "Credo proprio che Alessia ci strozzerà con le sue stesse mani quando lo verrà a sapere".
"Hai per caso un kalashnikov a casa?", mi chiese lui.
"No, però ho un fratello che sembra una scimmia. Dici che può andare?".
"Mah, prova. Massimo ti ritrovi figlia unica".
"Perfetto, abbiamo deciso: manderò mio fratello in avanscoperta. Se torna vivo, siamo salvi anche noi".
"E se non torna?".
"Puoi prenotare due biglietti diretti per l'Antartide".




Salve gente!
Credevo che non sarei più riuscita ad aggiornare questa storia, invece oggi miracolosamente il computer va di nuovo e ne approfitto prima che si autodistrugga. Quindi ringrazio S. Agata che mi ha regalato una gionata di vacanza da scuola!
Come in molte mi avete chiesto, ecco il seguito della storia "Di guardoni papere e fumetti". Non è nulla di che, però mi sono divertita un casino a scriverla, quindi spero piaccia anche a voi.
Credo che siano necessarie alcune precisazioni:
-League of Leggend è un gioco online, anche a me sconosciuto fino a qualche mese fa, a cui giocano alcuni miei amici. Non chiedetemi di cosa si tratta perchè non ne ho la minima idea!
-Sesto S. Giovanni e Roh Fiera sono due delle fermate della metro di Milano. Non l'ho scritto chiaramente, ma i due vanno a farsi un giro proprio a Milano.
-Belzebub è un altro manga che parla di questo ragazzo che si ritrova a dover crescere il figlio del diavolo. Una stronzata, insomma...
-Per chi non lo sapesse, Milano è l'unica città in Italia dove c'è il famoso negozio Abercrombie&Fitch, famoso, appunto, per i modelli che si offrono per fare le foto e non solo come commessi. La cosa dei cinquanta minuti di coda è vera, l'ho provato sulla mia pelle!
-Luini è un famoso negozio di panzerotti in centro a Milano.
-Nana e Ren sono due personaggi del manga Nana, uno dei miei preferiti.
Okay, credo di avere detto tutto, nel caso non esitate a chiedere!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
bacibaci
mikchan
  
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