Film > Alice nel paese delle meraviglie
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Autore: nnichis    05/02/2014    0 recensioni
Una malattia, forse non proprio, una sindrome, ecco una sindrome.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Mi svegliai nel mio appartamento in Feel Street, indossai un abito nero lungo con il colletto e andai a preparare del caffè, ma prima che potessi mettere a bollire l`acqua qualcuno bussò alla mia porta.
Aprii e vidi un uomo alto, coi capelli neri riccioli e degli occhi verdi, indossava gli occhiali e a giudicare da come era vestito proveniva da una famiglia benestante, reggeva inoltre una cartella di cuoio:
-Lily Watson?- chiese insicuro l’ uomo.
-Sì sono io, e lei è?- chiesi io diffidente.
-Sono il dottor Farwell.- risposi lui chinando leggermente la schiena.
-Ancora? Senta, non ho più bisogno dei dottori.- volevo chiudere la porta, ma lui mise una mano in mezzo.
-Non è di lei che si tratta.- disse il dottor Farwell con uno sguardo innocente.
Io mi fidai dello sguardo e lo invitai dentro, lui si sedette su uno dei miei divani nel salotto mentre io andavo a preparare dal caffè, da quanto tempo non invitavo qualcuno in casa mia?
Portai le due tazze in salotto e mi sedetti sul divano opposto a quello del dottore, lui bevve con calma un goccio di caffè e poi si rivolse a me:
-Scusi se lo dico in modo così brusco, ma ho bisogno del suo aiuto  signora Watson.-
-Il mio aiuto? Perché mai un grande dottore come lei chiederebbe il mio aiuto?- chiesi io con occhi glaciali.
-Ah, non sono un dottore di grande successo, in verità ho appena finito gli studi!- disse lui un po^ imbarazzato, questo uomo allora aveva la mia stessa età, non eravamo poi tanto diversi, forse lui avrà finito l’università, ma io di certo sono molto più esperta nel mondo.
-In ogni caso la pregherei di rispondere alla mia domanda.- non persi per un attimo lo sguardo da lui.
-Lei sa cosa à la sindrome di Carroll?- chiese lui diventando improvvisamente cupo.
-So benissimo che cosa è, ma perché dovrebbe interessarmi?- la sindrome di Carroll, o meglio di Lewis Carroll, colui che aveva scritto “Alice nel paese delle meraviglie”, quella malattia nessuno poteva conoscerla meglio di me.
-Bene, hanno deciso di affidare le cure dei pazienti affetti da questa malattia a me.-
-Perché non l’hanno affidato a dottori più esperti?-
-Non lo so precisamente, ma mi hanno detto che hanno molto lavoro da fare.- disse lui.
Molto lavoro da fare? Ah! Semplicemente la gente è troppo occupata per dare un minimo di attenzione ai pazienti affetti da questa malattia, in fondo sono solo dei “pazzi” giusto? La innocenza di questo uomo mi sorprendeva.
-In ogni caso ho cercato delle informazioni, ma nulla mi risultava, avevo trovato un’ unica informazione e quella era nel suo fascicolo del…- si grattò la testa imbarazzato.
-Del manicomio.- conclusi io con la più assoluta calma.
-Esatto, lei è guarita da quella malattia, giusto? E quindi volevo chiederle se poteva aiutarmi, naturalmente ci sarà un pagamento.- non sembrava una cattiva idea, oltre a ricevere un buon pagamento con cui avrebbe saldato i miei debiti avrei avuto anche accesso alle schede del manicomio.
Accettai la sua proposta e lui rincuorato lasciò il mio appartamento.
Questo fatto mi interessava molto, a quanto pare la sindrome di Carroll si stava diffondendo e questo portava a solo due ipotesi: la feccia nel mondo stava aumentando o qualcuno diffondeva la sindrome. La seconda aveva più probabilità, ma sarebbe stata comunque impossibile, perché per portare avanti la malattia fino al suo ultimo stadio mancavano i medicinali.
Non mi preoccupavo molto della gente, perché sono state proprio quelle persone a mandarmi in manicomio,  la gente è cieca e ignorante, ma finché segue gli ordini imposti dalla società vivranno felici.
L`unica cosa che mi preoccupava era la malattia.
Mi venivano i brividi a pensare alla catastrofe che avrebbe causato questa malattia se si fosse diffusa troppo, ma poi scacciai via il pensiero, per scatenare la sindrome bisognerebbe aver avuto un trauma e non credo che la popolazione mondiale potesse averne uno comune.
Erano quasi le nove ed era meglio che mi preparassi per andare a lavoro, raccolsi i miei capelli in uno chignon lasciando la frangia libera e uscendo dal mio condominio mi incamminai per andare verso il negozio.
Lavoravo nel negozio delle bambole di Miss. Larson, mi occupavo della riparazione delle bambole, la paga non era tanta, ma mi bastava per comprare ciò di cui avevo bisogno.
Appena entrata vidi molte madri e le loro bambine guardare interessate gli scaffali piene di bambole e in mezzo a tutte loro Miss. Larson, agghindata come sempre con gioielli e vestiti bellissimi, per essere una vecchia di cinquanta anni si vestiva come una di venti. Ignorai le persone e mi diressi verso il mio banco.
Una bambina si mise in punta di piedi davanti al mio bancone per passarmi una bambola, subito dopo guardò a terra imbarazzata:
-Allora, cosa ha la tua bambola?- chiesi io sorridendo per metterla a suo agio, molte volte mettevo paura ai bambini, dato che mi vestivo di nero, avevo la pelle pallidissima e gli occhi di un marrone scuro da sembrare nero.
-Il suo vestito.- rispose lei guardandomi con un po`di fiducia, effettivamente aveva uno strappo al suo vestito rosa, presi un filo e un ago e con calma ricucii lo strappo.
-Allora piccola, dove è tua madre?- chiesi per rompere il silenzio.
-A casa.- rispose lei con tranquillità.
-A casa? Sei venuta qui da sola?-
-Sì, mia madre doveva prendere il tè con le sue amiche, così sono venuta qui da sola.- cucito lo strappo la guardai per un momento, come poteva una madre ignorare così la figlia? Lei non sembrava triste, a quanto pare non è la prima volta che la ignorava, io furtivamente guardai sotto al bancone, se non ricordavo male c`era un bel vestito di una bambola che avevo finito di cucire qualche tempo fa, ma la padrona non è mai venuta a riprenderlo. Era un bel vestitino azzurro, con dei disegni in pizzo alla fine della gonna e sulle maniche, lo porsi alla bambina e lei sembrò stupita:
-Per me?- chiese lei.
-Certo, te lo regalo.-
-Ma mia madre ha detto che bisogna pagare tutto.-
-Tua madre è in errore, quando la vedi dille che le persone sono come le bambole, molto fragili e anche se sembrano dei contenitori di porcellana vuoti anche loro hanno un cuore.-
La bambina prese il vestito e chinò la testa per ringraziarmi, la guardai uscire dalla porta e  correre fino alla fine della strada.
Ritornai concentrata al mio lavoro quando sentii le clienti più giovani del negozio starnazzare, guardai fuori dalla vetrina e vidi un uomo, ad occhio più grande di me di due anni, era vestito elegante, molto più del signor Farwell.
Lui se ne stava dall`altra parte della strada a parlare con un vecchio, era molto bello, dovevo ammetterlo, ma alle ragazze del negozio interessava qualcosa d`altro che la bellezza…i soldi.
Non potevo biasimarle, se ti sposavi con lui era pur certo che avresti vissuto nel lusso fino alla fine della tua vita, non so bene perché, ma mi sembrava di conoscerlo e senza farlo apposta lo fissai a lungo cercando di ricordare.
Lui girandosi per un istante verso la nostra vetrina mi vide, sembrò sorpreso e anche lui cominciò a fissarmi, le ragazze nel negozio cominciarono a guardarmi con invidia e io tornai alla realtà, mi accorsi della brutta impressione che avevo dato, per questo distolsi lo sguardo.
Anche lui se ne rese conto, ma continuava a guardarmi con interesse e questo confermava che ci eravamo già visti da qualche parte, ma io non ricordavo molto.
Finito il mio lavoro, verso circa le sei di sera salutai Miss. Larson, che mi diede la paga del giorno, e me ne andai verso casa.
Prima di salire le scale che portavano al mio appartamento guardai la mia cassetta della posta, pubblicità, fatture, e una lettera, sopra c`era scritto “Dipartimento della salute e della sanità”, la presi e salii. Chiusi la porta di casa e andai a sedermi in salotto, presi il tagliacarte e aprii la busta:
<
La ringraziamo per la sua collaborazione.
 
Dipartimento della salute e della sanità>>


Trovai un fascicolo e rimasi scioccata a vedere la foto della nostra prima paziente: era la bambina di oggi!
Voltai pagina e lessi le informazioni sulla sua famiglia: il padre era benestante e lavorava come direttore di una fabbrica di bici, la moglie attuale è la terza dopo due divorzi. La figlia soffriva già in precedenza di strani sintomi: doppia personalità, tendenze aggressive e si feriva spesso da sola.
Buttai il fascicolo sul piccolo tavolino di legno scuro in salotto, oggi al negozio sembrava tranquilla, possibile che si trattasse di una sua doppia personalità? L `unico sintomo che potesse far pensare alla sindrome di Carroll era il fatto che si ferisse da sola, non per forza però poteva essere quello, si poteva trattare anche di pazzia semplice e pura. Non pensavo però che il dipartimento della salute possa aver sbagliato a catalogare questo caso.
Sperai che lo stadio della sindrome non fosse avanzato, perché non ci sarebbe stato modo di aiutarla, io ero sopravvissuta all`ultima fase della malattia solo perché volevo disperatamente vivere, ma fino a che punto la gente è disposta a lottare? Che cosa potrebbe attaccare quella bambina alla sua vita? L`unico motivo per cui io volevo lottare era il pensiero che la mia famiglia era morta, mentre io no, forse era destino che io sopravvivessi e proprio per quel motivo volevo restare in vita. Inoltre non avrei dato la soddisfazione al mio psicologo di vedermi impazzire…è proprio lui che volevo cercare, quello psicologo. Nessuno al manicomio si rendeva conto di quello che faceva, peggiorava la situazione mentale dei pazienti, mi ricorderò per sempre di ciò che disse a Elena Dirtwoon, la mia compagna di cella:
“Una pazzia bellissima, pronta per sfamare gli uomini di tutte le esigenze”.
Quando viene dimessa sotto visto del dottore la mandò in un bordello a prostituirsi, lui aveva rovinato la vita di Elena…e anche la mia.
Non sapevo che cosa avrei fatto quando lo avrei rivisto, ma ero certa che avrebbe pagato un giorno per quello che aveva fatto.
Occhio per occhio, dente per dente.
  
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