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Autore: Pearlice    06/02/2014    3 recensioni
Prima classificata al contest "Una sana risata!" indetto da Amahy sul forum di EFP.
“Oh sì, Aragorn vecchio mio sei proprio nei guai…” si autocommiserò tra sé e sé, dopo essersi reso conto, per qualcosa come la ventesima volta in quella giornata, che i suoi occhi erano rimasti fissi sul didietro di Legolas per un arco di tempo che aveva iniziato ad essere quantomeno imbarazzante. Certo, anche l’Elfo non gli facilitava la vita chiedendogli di guardargli le spalle quando si allontanava dal gruppo per aprire il sentiero, ovvio che se gli porgeva l’occasione così su un piatto d’argento il suo sguardo scivolasse ben più in basso delle spalle.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Aragorn, Boromir, Gimli, Legolas
Note: Missing Moments, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati ormai diversi giorni da quando la compagnia aveva gentilmente (leggi: sfacciatamente) approfittato dell’ospitalità di Sire Celeborn e Dama Galadriel per riposare nella serenità rassicurante del bosco di Lothlòrien.
La perdita di Gandalf li aveva turbati in ugual misura, anche se non tutti l’avevano dato a vedere allo stesso modo. In ogni caso, non vi era stata sera in cui la compagnia non si fosse radunata sotto al chiarore lunare per onorarne la memoria parlando di lui, o semplicemente per trascorrere insieme un momento di pace che non sapevano quando sarebbero nuovamente riusciti a trovare.
In quel bosco che sembrava uscito da una fiaba, le loro anime erano state in parte risanate ed avevano avuto modo di rinsaldare la loro amicizia. Ora i punzecchiamenti di Boromir non facevano che da contorno ad un ben più profondo legame che aveva stabilito con Aragorn e questo aveva quasi abbandonato ogni sospetto circa le sue mire sull’anello. Ora era proprio il Dùnedain a stare accanto al gondoriano quando questo passava dalle lacrime versate per certe brutte cose che la Bianca Dama si divertiva a mettergli in testa, alle rabbiose promesse di un futuro migliore per il suo popolo, con un bipolarismo disarmante.
Per non parlare di Legolas e Gimli poi! Per qualche strana ragione la quiete di Lothlòrien aveva neutralizzato anche l’acidità elfica, di probabile derivazione genetica, con cui il primo freddava ogni battuta del nano e questo, dal canto suo, dopo qualche moina di dama Galadriel era improvvisamente diventato un fan accanito dell’intera razza che aveva sempre detestato. 
Ora non era raro vedere i due compagni conversare civilmente ed erano discussioni dove più che altro Legolas si limitava ad annuire ed a dispensare qualche breve sorriso -che però bastava a rendere il nano più che soddisfatto- e Gimli raccontava amenità come quella volta in cui ubriaco aveva mangiato un intero pasto con le dita dei piedi. Argomenti, per intenderci, a cui solo qualche giorno prima l’elfo avrebbe reagito con un verso scandalizzato ed un’altezzosa arricciata del suo principesco nasino.
Anche Frodo aveva abbandonato ormai ogni sorta di timore nei confronti di Aragorn, da quella volta in cui quello l’aveva guardato come se desiderasse ucciderlo in modi particolarmente cruenti e spesso il giovane Hobbit si concedeva anche di confidarsi con lui circa le questioni che più lo preoccupavano.
Per quanto riguardava Aragorn e Legolas, l’elfo, pur non avendo più insistito per sapere cosa gli passasse per la mente, a cagione degli strani comportamenti tenuti dall’uomo negli ultimi tempi, aveva ritenuto opportuno braccarlo anche più del solito per “evitare che commettesse qualche imprudenza”. Non sapeva, l’ingenuo, che qualche imprudenza rischiava di commetterla proprio stando accanto a lui.
I sentimenti del Ramingo sembravano esser misteriosamente mutati di nuovo da quell’episodio nelle miniere e l’uomo aveva la netta impressione che quella faccenda stesse lentamente sfuggendo dalle sue callose mani. Quella lussuria che non gli aveva dato un attimo di tregua nei giorni passati si era infatti evoluta nelle mille sfaccettature di una sorta di sindrome, a suo dire assai più invalidante.
Il sintomo più allarmante di questa era che, a differenza dei giorni precedenti ora, nel vedere l’elfo, i suoi occhi preferivano indugiare sul bagliore che la sua chioma irradiava quando colpita dal sole, quasi come una sorta di aureola, piuttosto che esaminare il suo -tutto fuorché trascurabile- lato B. Ovviamente non lo disdegnava, beninteso, ma ogni volta che guardava Legolas scopriva in lui qualche dettaglio di cui misteriosamente non si era mai avveduto, di una bellezza tale dal fargli mettere in secondo piano perfino l'attrazione carnale che provava. E questo era grave.
A quello si aggiungevano avvisaglie che non facevano ben sperare circa la sua prognosi, quali i curiosi fenomeni di allucinazioni uditive, visive e di qualunque altra sorta che sperimentava quando quello entrava nel suo campo visivo. Perché no, si rifiutava di credere che quando quella mattina Legolas gli aveva dato il buongiorno ci fossero davvero dei petali rosa a forma di cuore trasportati dal vento alle sue spalle.
Oltre a tutti gli aspetti sopracitati, in presenza dell’elfo poteva riferire: sensazione di farfalle irradiata dallo stomaco fino al più periferico dei distretti corporei, tachicardia parossistica, istinti omicidi che si scatenavano ogni qual volta questo pronunciasse il nome “Haldir”, balbuzie adolescenziale ad ogni tentativo di conversazione.
Insomma, tutto lasciava presagire una morte imminente. Perché sarebbe morto, morto dall’umiliazione, quando l’avrebbe rivelato a lui. Vista infatti la piega che avevano preso le cose si era finalmente risolto a parlare di quelle incomprensibili sensazioni col diretto interessato. Certo avrebbe optato per una confessione sobria e contenuta nel vago tentativo di uscirne nella maniera più decorosa possibile, ma l’avrebbe fatto. Se non altro perché tra le frecciatine dei compagni, le allucinazioni e Legolas che gli stava col fiato sul collo, sarebbe stato impossibile tenersi dentro ancora a lungo una faccenda di tali proporzioni.
L’avrebbe fatto.
Quando avrebbe trovato il coraggio.
«Aragorn!» la voce del suo personale, nonché indicibilmente seducente, sorvegliante richiamò la sua attenzione da un punto imprecisato dietro di lui.
L’uomo si girò per incontrare lo sguardo della celestiale creatura, ma l’unica cosa che riuscì ad incontrare fu piuttosto un capo d’abbigliamento incivilmente lanciato contro il suo viso.
Fece per protestare ma, quando togliendosi il panno dagli occhi si rese conto che quella che stringeva tra le mani era una tunica, la stessa che in quel momento mancava sul petto nudo di Legolas, la sola cosa che riuscì a fare fu appuntarsi mentalmente di aggiungere l’eiaculazione precoce alla già lunga lista dei suoi sintomi.
La luce del sole riluceva sulla pelle candida della schiena che quello gli volgeva arricchendola di riflessi dorati, i muscoli appena accennati creavano sinuose ombreggiature, che ipnotizzavano il suo sguardo e lo invitavano a scendere lungo la linea della colonna vertebrale, fino all’attaccatura dei glutei, arrivato alla quale il suo cuore si contorse in modo così doloroso da fargli temere fosse alfin giunto al termine delle sue pene.
Respira, respira, respira.
«Quella dev’essere lavata, Dama Galadriel è stata così gentile da prestarmene altre» lo informò l’elfo voltandosi verso di lui, come se l’evidente sconcerto di Aragorn fosse dovuto all’incertezza circa il destino dell’indumento e non al fatto che quello avesse deciso di improvvisare davanti a lui un provocante spogliarello nel pieno gelo invernale.
E certo cosa diamine sarei io, la sua governante? Bah… principi.
«Non. Farlo. Mai. Più.» scandì quando finalmente riuscì a recuperare un’affannata, ma quantomeno efficace, funzione respiratoria, distogliendo forzatamente lo sguardo da lui e sentendosi pervadere da un calore infuocato che per un attimo non gli fece più apparire tanto astrusa l’idea di denudarsi a quelle rigide temperature.
«Fare cosa?» fu la distratta domanda di quello che, a giudicare da come gli era giunta lontana la sua voce si doveva esser voltato di nuovo, riservandogli un decimo dell’interesse di cui beneficiava gli alberi circostanti.
«Spogliarti davanti a m… volevo dire lanciarmi addosso i tuoi abiti sporchi!» si corresse all’ultimo, avvampando ulteriormente e stringendo convulsamente quella preziosa stoffa tra le mani, per cercare di supplire al bisogno che provava in quel momento di stringere l’elfo a sé con la stessa veemenza.
«Senti che magnifica aria fresca e rinvigorente ci avvolge!» esclamò quello senza degnarsi di rispondere alle sue, più che giustificate, proteste. Era da quando erano giunti a Lothlòrien che non faceva altro che folleggiare su quanto incantevole fosse quel luogo, quanto salubre la sua aria, quanto maestosi quegli alberi e via dicendo, esaltato come un bambino all’interno di un parco divertimenti particolarmente ben attrezzato o come sotto effetto di una massiccia dose di stupefacenti, a seconda.
«Si può sapere perché hai deciso di rimanertene a torso nudo, di grazia?» chiese senza lasciarsi scoraggiare dal totale disinteresse dell'altro e tentando contemporaneamente di assumere un atteggiamento più dignitoso, ricevendo in cambio solo uno sbadato:
«Devo andarmi a fare un bagno.»
«E c’era proprio bisogno di iniziarsi a spogliare mezzo miglio prima di arrivare al lago?!» abbaiò spazientito a quelle parole, talmente tanto sconcertato da non riuscire a trattenersi dall’indirizzargli uno sguardo omicida, salvo poi coprirsi gli occhi con la tunica a seguito dello spiacevole attorcigliamento di visceri che la sua visione gli aveva provocato.
In ogni caso, l’elfo era troppo occupato a starsene impettito con le gambe divaricate e le mani posate sui fianchi ad inspirare a pieni polmoni quella che aveva definito “aria fresca e rinvigorente” -ma che per Aragorn era solo e semplicemente un freddo boia- per concedergli una risposta.
«E p-poi un altro bagno? Ho perso il conto delle volte in cui ti sei andato ad immergere in quel lago da quando siamo giunti qui, come quelle in cui ti sei cambiato d’abito, non capisco perché Dama Galadriel soddisfi in questo modo scriteriato ogni tuo capriccio» instette, cercando a tutti i costi di fare conversazione, per distogliere l'attenzione -propria e del suo interlocutore- dal suo cuore che gli martellava in petto e dalla sua erezione che premeva fra le gambe.
«Entrare a contatto con l’elemento acqua e pulire il corpo da ogni lordura è un’esperienza magnifica, dovresti provare anche tu qualche volta, sai?» lo provocò irrispettosamente quello, con una risata insolente.
«Smettila, questa storia ha esaurito il suo tempo» lo rimbeccò astiosamente il ramingo. Non era affatto vero che non si lavasse, eppure grazie a Boromir quello era diventato il tormentone di tutta la compagnia. Insomma solo perché era vestito di stracci, non si faceva la barba da giorni ed aveva rametti ed altri componenti di litosfera non meglio definiti intrecciati ai capelli non voleva dire che trascurasse la sua igiene! «E in ogni caso non ho ancora compreso il motivo per cui tu ti stia spogliando qui, dovendo fare il bagno » gli ricordò, stizzito.
«Haldir…» iniziò a dire quello, interrotto immediatamente dall’inviperito «Haldir cosa?» del Dùnedain. Insomma qualunque fosse la motivazione delle sue improvvise tendenze nudiste, non poteva essere nulla di buono se aveva agito sotto indicazione di quel laido approfittatore.
«Mi ha detto di lasciare al flet tutto ciò che va lavato perché passerà lui stesso di qui a poco per recuperare quanto dama Galadriel mi ha prestato» spiegò pazientemente l’elfo, dopo aver effettuato un’altra plateale inspirazione.
“Ah quindi ora è Haldir la tua governante eh?” pensò Aragorn trovandosi pateticamente a rimpiangere tra sé e sé quel ruolo che aveva precedentemente disdegnato, mentre una buona dose d’irritazione si andava a sommare ai restanti impulsi che stavano mettendo a dura prova il suo autocontrollo in quel momento.
«Ma le hai indossate appena quelle tuniche, non è possibile che siano tutte da lavare» obiettò, aspettandosi una risposta che, quando anche il ragionevole intervallo di tempo richiesto da uno degli estasiati cicli respiratori dell’elfo fu passato, dovette accettare non sarebbe mai arrivata.
Arrischiandosi ad aprire nuovamente gli occhi, notò infatti che quello era sparito, probabilmente correndo impaziente verso il lago con la stessa silenziosità con cui era arrivato.
Si guardò quindi attorno con diffidenza, per assicurarsi che fosse davvero andato via, senza abbandonare il suo sforzo di far tornare le proprie funzioni vitali nei limiti della norma, sforzo a cui ovviamente il suo corpo gravemente infermo si opponeva con ogni mezzo.
Appurato di esser rimasto finalmente solo, in un gesto di disperata esasperazione si schiaffò la tunica di quello sul viso, affondandovi il volto e smorzandovi un grido incontrollato. Non poteva continuare così, non poteva davvero. Per miracolo aveva resistito dall’intrecciare i loro corpi in un groviglio indistricabile, cosa sarebbe accaduto se si fosse nuovamente presentata un’occasione del genere? Conoscendo poi l’igiene maniacale dell’elfo e le sue velleità esibizionistiche non sarebbe stato difficile trovarsi nuovamente di fronte al suo statuario fisico privo di veli.
Inspirando a fondo nel tentativo di calmarsi, percepì nelle narici il profumo di cui quella veste era impregnata… il profumo di Legolas. Sorridendo lo annusò con più attenzione, cercando di definire di cosa sapesse, ma senza riuscirvi, sapeva solo che in quel momento gli sembrava l’odore più invitante del mondo.
Stava ancora lì ad odorare quella seta verde pallido quando la sommessa e quanto mai intempestiva voce di Sire Celeborn  lo mise al corrente di avere del pubblico.
«Aragorn…»
Oh per la miseria, questo sì che è imbarazzante…
In preda alla vergogna più nera cercò di allontanare in fretta e furia quella tunica da sé, facendo per lanciarla lontano ma riprendendola repentinamente al volo per pigiarsela in grembo, col più utile fine di nascondere il cavallo ancora evidentemente teso dei suoi pantaloni, mentre accanto a lui l’austera figura del sovrano studiava perplessa i suoi gesti inconsulti.
Quella capacita degli elfi di sopraggiungere inascoltati iniziava ad essere decisamente seccante.
«S-sire Celeborn» disse a mo’ di saluto dopo essersi schiarito la voce, tentando di adoperare l’intonazione più naturale di cui un uomo appena sorpreso a sniffare in modo maniacale i vestiti del suo “amico” potesse avvalersi.
Il sovrano non rispose subito, rimanendo ad osservarlo con un’espressione indecifrabile, com’era proprio degli elfi plurimillenari come lui, per poi sedersi lentamente poco distante da lui, senza smettere di guardarlo con quel fare invadente.
L’uomo evitò caparbiamente quello sguardo, sperando che si sbrigasse a comunicargli quanto aveva da dire e lo lasciasse da solo a piangere il suo vilipeso onore. Gli elfi avevano tutti questa spiacevole abilità di far sentire costantemente sotto esame i loro interlocutori e ad Aragorn la cosa non risultava molto gradita, non in quel momento in cui aveva ben più di un evidente problema da nascondere, perlomeno.
«Ricordavo che il tuo cuore fosse totalmente devoto a mia nipote, Arwen Undòmiel» disse allora inaspettatamente quello, causando all'uomo il reale rischio di strozzarsi con la sua stessa lingua. «Non credevo le tue tendenze fossero mutate a tal punto dalla tua ultima venuta a Lòrien…»
E no eh… mo pure Celeborn no!
Il Dùnedain tenne gli occhi, spalancati dallo sbalordimento, fissi sulla stoffa tra le sue mani, col cuore che dal trotto faticosamente raggiunto dalla scomparsa di Legolas, era tornato ad un incalzante galoppo. Non poteva credere che Celeborn in persona fosse veramente venuto ad indagare sui suoi mutati gusti sessuali. Anche lui ne era al corrente quindi? Non poteva averlo dedotto semplicemente dall’averlo trovato lì ad annusare i vestiti indossati da Legolas, per quanto eccentrico potesse esser risultato, qualcuno doveva avergliene parlato! In un attimo gli balenò in mente la folle immagine di Pipino, Boromir e Sire Celeborn seduti attorno ad un tavolino con in mano delle tazze di tè intenti a spettegolare degli ambigui intrallazzi nati all’interno della compagnia dell’anello. No, era troppo assurdo da credere perfino per lui. Era più probabile che Galadriel, quando era entrata nella sua mente beffandosi di quelle che a detta di Legolas erano le regole basilari degli elfi, avesse scorto la spinosa questione e ne avesse parlato col marito.  In ogni caso, in quel momento Celeborn era lì e pretendeva delle spiegazioni ed essendo il nonno della sua promessa sposa, erano spiegazioni più che dovute.
«Non lo credevo nemmeno io fino a qualche giorno fa» decise allora di ammettere, trovando infine il coraggio di rivelare a qualcun altro la verità e di guardare l’anziano elfo nei grigi occhi che corrucciati rispondevano al suo sguardo. «Ma da qualche tempo tutto è cambiato, io sono cambiato, da quando siamo giunti nella vostra dimora…» confessò, mantenendo fisso il suo sguardo, imprevedibilmente senza alcuna traccia di vergogna di quanto era infine riuscito ad ammettere anche ad alta voce e non solo nei suoi pensieri.
Quello sembrò comprensibilmente turbato dalla sua risposta e non attese che l’uomo gli desse delucidazioni circa le sue intenzioni con Arwen, come era in procinto di fare, ma lo freddò con uno spietato:
«Spero troverai la forza per cacciare dalla tua mente sì indegni pensieri»
Aragorn increspò le sopracciglia turbato, facendo per ribattere qualcosa sull’ingiustizia di quella sentenza, ma incassando infine il colpo in silenzio, pur sentendo di non condividere affatto quel pensiero. Dopotutto non poteva dargli torto se quello si era sentito offeso dal fatto che egli avesse deciso di rimpiazzare Arwen.
«La troverò» borbottò con nervosismo, alzandosi in piedi di scatto senza guardarlo in volto e facendo in modo di allontanarsi quanto prima da lui e di andare in una direzione che non fosse quella del lago dove Legolas stava facendo il bagno.
Nemmeno lui sapeva spiegare il perché di quella reazione, sentiva solo che non era giusto e che nessuno, nemmeno un parente della donna a cui era promesso poteva permettersi di definire indegno quanto stava provando per Legolas. Certo, al principio lui stesso si era sentito spregevole a pensare dell’amico in certi termini, ma sentirsi etichettato allo stesso modo da altri l'aveva irritato non poco. A poco a poco arrivò a comprendere come la crescente consapevolezza che ci fosse qualcosa di profondo dietro le sue brame carnali avesse mutato radicalmente anche il proprio severo punto di vista sulla questione. Solo dopo quell'attenta riflessione, capì che l'attrazione non dovesse essere affatto scissa dall’affetto sempre più profondo che provava nei confronti dell’amico. Erano solo due aspetti di uno stesso sentimento ed inutilmente aveva tentato di combattere il primo quando ancora si ostinava a vederlo separato dal secondo. Solo allora si rendeva invece conto che attrazione ed affetto non andavano divisi, perché senza il secondo la prima sarebbe sembrata cosa assai indegna, ma uniti avevano un nome, un nome terribile, immenso, spaventoso ma di indiscutibile rispettabilità.
Quella notte, giurò, quella notte avrebbe rivelato quel nome a Legolas. Non avrebbe sopportato altro, le parole di Celeborn erano state le ultime che era stato in grado di tollerare e se si era imposto di farlo era stato solo perché pronunciate dal re degli elfi giudicato il più saggio tra tutti. Eppure in quelle parole, che fino a poco tempo prima avrebbe condiviso appieno, Aragorn non era stato in grado di trovare saggezza.
 
«Galadriel» chiamò il sovrano, vedendo la sua bella moglie incedergli dinanzi, sulla strada di ritorno verso il loro flet. Quella non rispose, limitandosi a sollevare lentamente il viso opalescente verso di lui e a fermarsi, attendendo di essere raggiunta.
Non appena Celeborn le fu accanto le prese la mano, intrecciando le dita alle sue e proseguì il cammino assieme ad ella. Non resistette però molto a lungo in silenzio, giacché una grossa pena gravava sul suo cuore e così si confidò con lei:
«Mia signora, non hai notato nulla di anomalo nella mente di Aragorn quando vi hai guardato?» domandò, senza riuscire a trattenersi ma senza ricevere risposta che non fosse uno sguardo interrogativo, quindi decise di proseguire. «Mi è apparso strano questa mattina, molto strano… non vorrei creare inutili scandali ma mi è sembrato fosse sconvenientemente affascinato dalla mia regale persona» continuò corrucciato, senza nascondere l’imbarazzo che quella faccenda gli provocava «Chissà che pena avrebbe la povera Arwen venendo a sapere che il suo futuro sposo è attratto da suo nonno quanto da lei…»
«Cosa ti porta a dire ciò?» fu la lapidaria domanda dell’elfa, che indagatrice scrutava le sue costernate espressioni, probabilmente avvantaggiandosi le risposte che lui avrebbe dato, leggendo nei suoi pensieri.
«Poco tempo fa mi sono trovato a passare per caso accanto a lui e quando mi ha visto un singolare rossore gli ha colorato il viso, sembrava estremamente agitato, anzi, agitato non è la parola giusta, che i Valar mi perdonino ma era decisamente eccitato e per di più… beh non ho idea di come abbia fatto a procurarsela credimi, ma l’ho sorpreso ad odorare una delle mie vecchie tuniche» concluse avvilito, cercando parole di conforto nella sua dolce, ma troppo spesso silenziosa, metà.
Parole che in effetti non arrivarono, perché alla luce delle sue spiegazioni quella si limitò semplicemente a sfoggiare l’enigmatico sorriso di chi aveva compreso ogni cosa, ma non l’avrebbe rivelata ad altri.

  
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