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Autore: hypsteria    06/02/2014    0 recensioni
Mi hanno offerto questo lavoro a San Francisco, Sonia, ed io non posso rifiutare.
Tu lo sai. Quanto ci tengo, lo sai.
Ho studiato per anni, con te sulle ginocchia e gli occhi sui libri.
Te lo ricordi? Sembravano impilati, perfettamente comodi l’una sull’altro che non sentivamo la fame, né la sete, né la gente. E ora invece no, non più. Tu ti sei alzata, io mi sono sgranchito le gambe e ho deciso che in questa stanza c’era troppa afa.
E allora «Ciao Sonia, devo partire».
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Va sempre bene.
A detta tua, va sempre tutto bene.
Eppure, anche quando le pronunci, quelle parole, sento che nemmeno tu ci credi.
«Va tutto bene»
Ma a chi vuoi darla a bere?
Hai stretto le labbra come se le volessi sigillare con la tua stessa saliva. Le hai strette forte e non mi guardavi più.
Cioè sì, avevi gli occhi puntati nei miei, ma non mi guardavi.
Eri già altrove.
Potevo chiaramente assistere al solito splendore che illuminava le tue pupille abbandonarle così, in un attimo. Come un piccolo uccellino, o una foglia secca.
Un soffio di vento, un rumore improvviso.
Basta poco e anche tu scompari.
«Devo partire, Sonia»
L’ho detto come se ti stessi chiedendo di prendere il numerino per il gelato. Forse ho sbagliato, non sono stato abbastanza bravo con le parole, ma tu lo sai bene che non ho proprio feeling con i discorsi.
Tu ce l’hai. L’hai sempre avuto.
E io invece no. Io mi limito ad adularti, ammirando ciò che non possiederò mai. L’arte dell’orazione non la padroneggerò mai perfettamente.
Ma tu hai stretto le labbra.
«Ah»
Una sola sillaba, che riassumeva il tuo stato d’animo alla perfezione. Ermetica.
Non avevo paura di ferirti, non l’avevo.
Aver paura significa che c’è la possibilità spiacevole che qualcosa accada.
Io no, non avevo paura: avevo la certezza.
E mi dispiaceva, ti giuro che mi dispiaceva. Ma io lo sapevo che prima o poi sarebbe successo. E ti amo, davvero, ma a volte è meglio che uno dei due si allontani.
Penserai che non è giusto, che è colpa mia che non ti voglio abbastanza. Che è colpa mia che non ti amo come fai tu.
Ed è vero, io amo me stesso prima di tutto, poi te.
Il problema è che lo fai anche tu, l’hai sempre fatto. Ami prima me. Poi te.
Mi hanno offerto questo lavoro a San Francisco, Sonia, ed io non posso rifiutare. Tu lo sai. Quanto ci tengo, lo sai.
Ho studiato per anni, con te sulle ginocchia e gli occhi sui libri.
Te lo ricordi? Sembravano impilati, perfettamente comodi l’una sull’altro che non sentivamo la fame, né la sete, né la gente.
E ora invece no, non più. Tu ti sei alzata, io mi sono sgranchito le gambe e ho deciso che in questa stanza c’era troppa afa.
E allora «Ciao Sonia, devo partire».
Sei ancora qui con me. Non sai cosa fare.
Tieni le mani dentro le tasche del tuo giubbotto. Prima lo scopo era di scaldarle, perché a Torino si gela sempre e questa sera in particolare. Ora, invece, sono convinto che le tieni lì rintanate perché potrebbero caderti da un momento all’altro e senti che un’assenza oceanica come la mia la superi solo se sei tutta intera.
Già ti prepari al peggio, respiri a fatica.
Ma io devo partire.
E non mi guardare così.
E anche se sarò lontano, io ti amo.
Non guardare che altre donne strisceranno nel mio letto come una carta di credito alla cassa. Amerò sempre te.
 
Secondo te, che tempo fa a San Francisco?
Spero non sia freddo come adesso. Una piccola nuvola di vapore lascia lentamente la mia bocca e la vedo quasi subito diventare invisibile, smaterializzarsi davanti ai miei occhi. Non fare anche tu lo stesso. Di’ qualcosa.
Di’ qualsiasi cosa, per l’amor di Dio!
«Non tornerò indietro» faccio, sperando in una tua risposta.
«Certo che non lo farai» finalmente parli e abbassi lo sguardo. Adesso punti gli occhi grigi sulle mie scarpe e le osservi come se vi stessi leggendo dentro il finale di questa storia.
«Però mi mancherai» dichiaro. Qualcosa dentro di me comincia a pesarmi come un macigno che mi è appena caduto addosso. Sono vere queste parole.
La mia voce è neutra, Sonia, ma io lo penso davvero.
Mi mancherai.
«Sarebbe meglio di no» esordisci.
Un angolo della tua bocca rosea si solleva e dà la vita ad un mezzo sorriso triste, quasi ti fossero caduti addosso in una sola volta tutti i tuoi anni.  
«Già, sarebbe meglio di no»
Ci mancano sempre le parole in situazioni come questa. Sei lì che ti sei preparato il tuo discorso, pronto a sciorinarlo a lei o a lui. E l’hai imparate tutte a memoria, le parole. Eppure appena ti ritrovi davanti la persona a cui le vuoi dire, ti scordi persino come si muovono le labbra. E ti chiedi perché vuoi dire proprio queste parole.
Perché è così, cazzo.
Devo partire e non torno.
«Non mi aspettare. Rifatti una vita, Sonia. Fallo per me»
È l’unica frase che mi viene in mente, per sopprimere quel silenzio di legno. Non appena riprendo fiato, sento di aver detto una stronzata colossale.
Non piango, non mi commuovo. Lo farò quando sarò da solo nella mia camera d’albergo.
Ti sento digrignare i denti, come un cane arrabbiato, un lupo pronto a saltare al collo del capretto che ha messo alle strette con molta facilità.
In un attimo, anche tu, mi sei addosso.
Stringi tra le mani il collo della mia giacca.
Ti guardo negli occhi e sono spaventato.
Stai piangendo e me l’aspettavo, ma questi denti li stringi così forte tra di loro che ho paura ti saltino fuori tutti insieme.
«Stupido. Sei uno stupido!» sputi queste parole e credo di meritarmele tutte.
«Vai a San Francisco. Vacci pure, fai quel che cazzo ti pare, ma non venirmi a dire che devo rifarmi una vita, che non devo aspettarti. Perché porca puttana io ti aspetto anche se ti sposi con una di quelle bionde ossigenate che ci sono adesso in America. Tu non ti rendi conto, Giorgio»
No, non me ne rendo conto.
Cioè sì, lo so che mi ami, ma non mi rendo ancora conto di ciò che sto perdendo. Ti lascio e lo so già che ti rimpiangerò finché non ti riavrò di nuovo qui, al mio fianco, ma ora come ora sono immobile.
Premi forte le tue labbra sulle mie.
Ti sei alzata sulle punte per raggiungere la mia bocca e ora sembra che tu ci debba morire, in questa posizione.
Ti afferro per le spalle e ti rimetto a terra.
«Addio, Sonia»
Ti volto le spalle e me ne vado.
Cammino lentamente a testa bassa, sperando quasi che tu mi corra incontro e che mi convinca a restare. Ma so che, alla fine, sarebbe tutto molto più difficile.
Lo so io e lo sai tu.
 
Sappiamo entrambi le stesse cose, ma le tacciamo. Se ne parli, diventano tutte reali.
E la realtà è che vado a San Francisco e tu rimani qui.
Fine della storia.
Riapro gli occhi e nonostante il sole faccia appena capolino dalle nuvole rimango un attimo cieco.
Tra qualche settimana, non conteranno più un cazzo queste parole. Non ti torno a prendere, Sonia, perché ti ho già con me. Ti sento ridere dentro la mia cassa toracica e la tua voce rimbomba in tutto il mio corpo, rallegrandomi per un attimo.
Tiro fuori dalla tasca destra il foglio di giornale che tengo con me da ormai due anni.
Eri bellissima, ma non guardarmi più così.
 
 
Incidente automobilistico sulla A4: un morto, un ferito grave
 
La 23enne Sonia Rinaldi è rimasta coinvolta in un incidente stradale insieme al fidanzato 24enne Giorgio Campari.
Lei è morta sul colpo, lui è in terapia intensiva in gravi condizioni.
 
 

 
«Devo partire, Sonia. Devo farlo. Tu non guardarmi più così»
Accartoccio il piccolo ritaglio e lo lascio cadere proprio davanti a te. Si posa ai piedi della fredda pietra, ingrigita negli anni dalle intemperie e dalla scarsa manutenzione.
Non mi viene da piangere e me ne dispiaccio. Ti lascio qua a Torino come se fossi un parente, di quelli che incontravo solo a Natale e alle annuali riunioni di famiglia.
Invece no, tu eri molto di più.
Non guardarmi così, sembra che la colpa sia solo mia. La Sonia Rinaldi nella mia testa non approva che ti stia lasciando, ma son sicuro che tu ne saresti felice.
Amavi sempre prima me. Poi te.
 
Mi volto verso Sheila.
«Are you ready?»
Sussurra come se tu la potessi sentire. Ha i capelli biondi tinti ma non i tuoi occhi grigi.  
«Take me away. Let’s go, Sheila»
La imploro e lei fa una corsa verso il parcheggio. La sento che mette in moto l’auto.
Mi giro dopo aver camminato per cinque minuti, eppure mi sembra di non essermi mosso di un centimetro.
«Addio, Sonia. Darei un braccio per rivedere i tuoi occhi un’ultima, ma tu mi guarderesti in quel modo e allora è meglio se rimaniamo così. Tu che mi ami ed io che mi amo, pensando un po’ anche a te e a Sheila. Forse ci sposeremo, ma tu vivrai sempre dentro di me, sospesa tra il cuore e lo stomaco. Tra me e la terra». 
Ci sei, ti sento dentro di me che ti allarghi come una voragine nel petto.
Ti volto le spalle e non ci sei già più.
Addio, Sonia.
Addio. 

 
  
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