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Autore: sentirsi    06/02/2014    4 recensioni
"E se tu tornerai
t'amerò come sempre ti amai,
come un bel sogno inutile
che si scorda al mattino.
Ma i tuoi larghi occhi, i tuoi larghi occhi chiari
anche se non verrai non li scorderò mai. "
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

 

Un giorno vollero disegnarlo. A modellarlo, venne loro in mente la nostalgia. Aveva negli occhi i pensieri di chi sente la malinconia per qualcosa, di chi aspetta il giorno dopo per ripensare a qualcosa che ha fatto il giorno prima, di chi, con in mano lettere pieni di ricordi e parole registrate nel cervello come se questa fosse soltanto una banale cassetta e un sorriso che gli spunta in viso quando si mette banalmente a pensare a quel qualcuno che manca più del mare quando l’estate finisce, quel qualcuno che chiama nostalgia  -forse è lui?-, sussurra un “farò rifare l'asfalto per quando tornerai” rubato da chissà qualche canzone. Pensieri che le passavano, come se fossero dei lampi di luce, nella mente, velocemente. Pensieri che non avevano senso. Frasi incomprensibili. Così incomprensibili da far venire il mal di testa. Frasi. Pensieri. Nascevano soltanto quando lo guardava. Sigaretta nella mano destra, tazza di caffè americano nella mano sinistra. Capelli spettinati. Cenere. Reggiseni buttati per terra tra le francesine e i maglioni. Tra i suoi pantaloni e le sue camicie. Portacenere appoggiato sul tavolo. Dettagli. Telefono che squilla. Silenzio. Pensieri. E di nuovo pensieri. Frasi che passavano
velocemente nella sua mente. Tutto questo non aveva senso. L’acqua gelida che le rendeva gelide le mani. Una tazza in mano. Sotto l’acqua gelida. Tra  le mani gelide. Pezzi di tazza -quella tazza- sul pavimento. Un sorriso e un “va tutto bene”. Cose che facevano parte
della sua quotidianità, insomma.

 

Si alzò dalla sua sedia di legno invecchiato, di un colore simile a quello dei suoi capelli -lei aveva accarezzato per tanti notti quei capelli, con le mani che le tremavano, come avevano sempre fatto e come sempre avrebbero continuato a fare- e la raggiunse, guardandola negli occhi, prima di lasciarsi andare in un abbraccio, rilassando i muscoli che erano rimasti tesi per così tanto tempo. Prima di incontrarla. “Va tutto bene, sh” sussurrava al suo orecchio, continuando ad accarezzarle i lunghi capelli neri che le cadevano sulle spalle magre, come se volessero proteggerla, come se volessero farla sembrare un po’ meno bambina, un po’ più donna. Un po’ meno insicura, un po’ più decisa. Un po’ meno bocciolo, un po’ più rosa. Quando Dio le aveva fatto gli occhi, gli era venuto in mente il sorriso, il sorriso di una persona che non ce la fa, il sorriso di un bambino, di un bambino triste che sorride. Di un bambino triste che sorride per sembrare più felice. E quando le guardavi gli occhi, sorridevi e ti sembrava un po’ meno sicura. Un po’ più fragile. E quando le accarezzavi la guancia e le sussurravi un “non piangere che poi ti si arrugginiscono le guance” rubato da chissà quale canzone, capivi che lei era nata per essere protetta. 

 

Iniziò a tremare -le sue mani iniziarono a tremare. Probabilmente nessuno, a parte lui, riusciva a capire quando le sue mani tremavano, lui sì, lui che la conosceva così bene, come se fosse stato lui, e solo lui, a plasmarla. “Sei come il sole d’estate, la luna nella sua forma completa, la stella più luminosa, come il mare d’inverno”. Le sussurrò molto piano, quelle parole di fumo, quasi avesse paura di spaventarla, e le mani le stringeva tra le sue, perché sapeva che il fumo e quelle parole le avrebbero sempre fatto pensare a qualcosa che caratterizzava un qualsiasi
amore. 

 

Continuava a tremare.

 

Lui si tolse il maglione, l’aria e i raggi di sole di un febbraio appena iniziato giocavano sulla sua pelle, e lui lo sapeva, sapeva che l’amore era darle il suo maglione solo perché non sopportava vederla tremare, ma lei tremava sempre. “Ti va un tramonto?” le sussurro, nuovamente, allontanandosi leggermente, ritornando a sedersi sulla sedia di legno, aspettando una sua risposta. “Al muretto?” gli chiese lei, abbozzando un sorriso goffo, abbassandosi a prendere i cocci della tazza che aveva fatto cadere, cercando di comportarsi normalmente, per poi alzarsi di nuovo e buttarli nel cestino dello sporco, per poi sorridere, di nuovo. “Al muretto” confermò lui.

 

 
  
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