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Autore: FuRa14    07/02/2014    1 recensioni
Abbandonare le solidi radici della propria infanzia non è mai stato facile per nessun bambino, figuriamoci per Kyle.
Si è accorto che sta cambiando, ma non lui.
Tutto sta cambiando intorno a lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kyle Broflovski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: 'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di quei due geniacci di Trey Parker e Matt Stone; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'. 
Piccola nota: no, non ci sarà un cavolo di atmosfera allegra e satirica alla South Park, mi spiace; il fatto è che mi era stato dato i primi mesi di scuola questo titolo qua con un tema libero da svolgerci sopra. Chiaramente un sacco di gente ha fatto riferimento al famoso film di Benigni e Troisi, chi lo ha sviluppato come testo argomentativo analizzando nella scientificità l'azione del piangere e... poi c'ero io, che ci ho scritto quest'ammasso di parole depresse su Kyle. Quindi, capitemi, non ho potuto inserire la vivacità tipica e mi sono dovuta tenere sul banale e sul tranquillo, sapendo che se avessi inserito quella bellezza del personaggio di Eric non sarei riuscita a trattenermi; la lettura sarebbe stata indirizzata a gente completamente ignorante dei personaggi et similia, quindi ho dovuto accennare brevemente agli altri senza farli comparire. 
Mi auguro sia comunque una buona lettura.



Non ci resta che piangere 



La pioggia accarezza leggera il vetro della finestra che sporge sul modesto giardino non recintato dove sua madre cerca di recuperare la posta dalla cassetta.
La vede rientrare in casa, con quella fretta teatrale che la contraddistingue; alza lo sguardo e vede che dall’altra parte della strada qualcuno si sta accingendo a rientrare in casa con il proprio cane, probabilmente dopo una passeggiata. Passano un paio d’auto sull’asfalto bagnato, schizzando ai lati del marciapiede e facendo, comicamente, arrabbiare una signora sulla cinquantina carica di borse e impegnata a mantenere l’equilibrio su dei tacchi esageratamente alti per la sua età e fin troppo azzardati per una giornata piovosa come quella.
Kyle appoggia la testa sulla sua mano destra e punta con una luce vuota negli occhi il panorama esterno. Tira involontariamente un sospiro sommesso e si lascia scivolare sulla sua scrivania nascondendo la testa tra i suoi avambracci.
Reclina la testa verso sinistra e guarda l’orologio a muro che segna le 10 del mattino. Continua a fissarlo e sembra che la sua svogliata attenzione sia catturata dalla lancetta dei secondi: come può essa continuare ininterrottamente a ticchettare e non esitare mai, senza guardare al passato o prospettarsi un futuro di eterno ticchettio? Come può non rendersi conto che per lei non è mai esistito alcun cambiamento e mai esisterà?
Sbuffa come irritato, irritato da questi assurdi pensieri e strane filosofie di vita che da poco tempo ad ora si stavano piano piano facendo spazio nella sua mente, che lui aveva sempre considerato come una delle più razionali e sensate. Mai si era posto il problema se un orologio si stancasse del suo lavoro o se la pioggia risultasse un fenomeno nuovo e inconsueto all’uomo, che non gli imponesse quasi di seguire le solite e abitudinarie azioni.
“Avrei voluto essere io la lancetta di un orologio” si confida, ma, imbarazzatosi dalla sua stessa voce che, a quanto pare, ha dato vita al suo pensiero, si solleva lentamente, andando ad appoggiare la sua fronte sui palmi delle mani che scivolano fino a cacciarsi nei folti riccioli rossi che coprono quella mente ora così affollata di pensieri e turbamenti.
Si è accorto che sta cambiando, ma non lui.
Tutto sta cambiando intorno a lui.
Kyle ha ormai undici anni, proprio come i suoi migliori amici. Ma loro in qualche modo erano qualche passo avanti e questo, per lui, era divenuto un dramma.
E peggio ancora si era accorto da qualche giorno che erano proprio i suoi migliori amici la causa del suo problema e, da buon filantropo tal è, aveva fatto di questa situazione una tragedia.
Erano stati insieme sin dall’asilo, un gruppo coeso che molti bambini invidiavano, il cui fulcro erano proprio lui e colui che, fino a poco tempo fa, considerava suo fratello meno che in sangue: Stan.
Erano sempre stati vicini, loro, i cui caratteri si completavano e spesso era proprio Kyle a difendere l’amico e prenderne le parti grazie alla sua sicurezza, alla sua temerarietà e alla sua esuberanza. Erano cresciuti insieme ed avevano avuto influenza l’uno sull’altro, anche se aveva notato di come si fossero già allontanati negli ultimi tempi, spesso a causa di litigi dove Kyle, ingenuamente, criticava il cinismo dell’amico e la sua negatività.
Kyle pretendeva di continuare a fare squadra con lui in quei videogiochi che Stan stesso gli aveva fatto notare essere infantili e stupidi; aveva tentato di fargli prender parte alle assurde e spericolate avventure che ormai, sin dai tempi dell’asilo, erano all’ordine del giorno nel loro gruppetto, ma, con il rifiuto dell’amico alla maggior parte di queste, Kyle si sentiva come preso in giro: voleva il meglio per lui, tentava di tutto per cercare di mantenere unito il gruppo, unità che molti bambini avevano da sempre loro invidiato. Tuttavia Stan rifiuta di ascoltare la loro musica, evita le varie “bravate” da ragazzini delle elementari e declina molte altre sue proposte che definisce, facendo salire a Kyle una rabbia e un’incomprensione terribile, infantili, preferendo partecipare ad attività, a sua dire, più da “grandi”.
Certo, è vero, il gruppo non è composto solo da loro due: c’è Eric, etichettato da tutti come un manipolatore esibizionista ed egocentrico, ma che in fondo aveva dimostrato di avere un cuore d’oro in più occasioni. Da un’offesa di un loro compagno di classe, aveva drasticamente ucciso tutti i suoi pupazzi, dimostrando così, con un’ esagerazione tipica del suo ego, di essere cresciuto pure lui. Infine c’è Kenny, proveniente da una famiglia povera e dai genitori alcolizzati che non fanno altro che litigare. Sono tre fratelli e, nonostante lui non sia il maggiore, è proprio colui che, per far forza alla sua adorata sorellina e soccorrerla nei momenti di debolezza, si mette di nascosto la maschera e il mantello da supereroe in modo da vegliare sulla bambina e farla sentir protetta da colui che lei è solita chiamare “angelo custode”
E Kyle invece? Dov’è il suo episodio di maturità?
Era sempre stato rassicurato dal suo buon rendimento scolastico, pensando che bastasse quello a dimostrare di essere “maturi”.
Ma, vedendo in diretta le esperienze dei suoi migliori amici, delle persone che gli sono più vicine, non capisce cosa lui debba fare o che cosa stia sbagliando.
Un giorno Eric gli aveva detto che l’unica cosa che al mondo non cambia è che le cose cambiano e, da lì, aveva iniziato a dubitare delle fondamenta su cui si basava la sua persona.
Si è accorto che lui non odia le trasformazioni e i cambiamenti, bensì li teme in una maniera spaventosa.
La sua innata intelligenza, per quanto lui sia ostinato per la paura di non voler vedere il cambiamento, sta provando a suggerirgli che prima o poi dovrà rinunciare a quel porto sicuro rappresentato dai ricordi della sua infanzia.
Ma continua a ignorare questo suggerimento proveniente dall’inconscio, anche se ormai stava diventando impossibile continuare su quella linea, visto il litigio che, in quello stesso giardino contemplato ora con sguardo assente, aveva avuto quella mattina con il suo migliore amico che oltretutto temeva, a breve, di non riuscire più a definire tale.
Apre per un breve momento gli occhi e sente il bisogno di vedere il luogo dove tutto ciò era successo qualche ora fa, come se, dopo averlo fatto, i ricordi sarebbero riusciti a riaffiorargli meglio alla mente e magari in modo meno indolore rispetto alla realtà.
Stan gli aveva voluto parlare perché si preoccupava per lui, perché aveva capito che qualcosa non andava ed aveva quindi speso del tempo quella domenica mattina per far ragionare il suo amico. Però lo aveva aggredito con parole brutali che sicuramente lo avevano ferito, cosa che risultò inevitabile vista l’ostinazione di quest’ultimo.
Ma era sicuro che quello fosse l’unico modo possibile per svegliare l’amico dal suo torpore.
Aveva cercato di fargli capire che se avesse iniziato ad accettare i cambiamenti già da ora e non a respingerli, sarebbe stato meglio, perché questi erano inevitabili.
Ma, visto che aveva ricevuto in risposta uno sguardo di rassegnazione, Stan si era arrabbiato, gridandogli che l’infanzia stava finendo e che lui era l’unico a non volerlo accettare.
Kyle si ricorda che proprio dopo che l’amico aveva pronunciato quella frase, un tuono aveva reso ancora più terrificante l’atmosfera, tanto che lui era indietreggiato di alcun passi, intimorito dalla determinazione e dall’asprezza di quelle parole.
A Kyle era stata sbattuta in faccia la verità, con la costatazione che lui non avesse nessuna intenzione di cambiare o di vedere le cose in modo diverso. Non in modo peggiore, ma in modo diverso.
Però teneva lo sguardo basso e questo aveva fatto alterare di più Stan che sentiva fin troppo bene la sua rassegnazione e la sua codardia tanto che, temendo di non riuscire più a controllare oltre le proprie parole, lo aveva liquidato con una frase ed un’occhiata talmente eloquente che avrebbe potuto pure risparmiare la voce: “Non potrai rimanere un bambino per sempre.”.
Kyle aveva sentito come una lancia trapassargli il corpo.
Aveva visto le spalle dell’amico allontanarsi e la propria mano tendere verso di lui in un gesto oscenamente teatrale e innaturale, non riuscendo però ad avanzare di un singolo passo.
Era iniziato a piovere e sentiva le urla isteriche di sua madre esortarlo a rientrare in casa.
Aveva stretto i pugni e digrignato i denti fino a farsi male, giustificandosi che fosse a causa di quel dolore che le sue guance si stavano lentamente inumidendo. Ma improvvisamente si era rilassato, rendendosi conto come la pioggia fosse un piacevole suono di fondo per le riflessioni e non un elemento negativo e disturbatore.
Aveva alzato gli occhi al cielo ed aveva ricordato alcune parole che avevano sicuramente la firma di qualcuno di importante, tanto che nel recitarle aveva sussultato, temendo di non esserne degno: “ Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto di lacrime”.
Pensava che Stan si sarebbe arrabbiato ancora di più nel vederlo piangere e che avrebbe ritirato fuori i soliti discorsi sull’infantilità delle lacrime per la non-risoluzione di problemi simili.
Ma il suo essere lo faceva sentire molto più vicino e rassicurato dalle altre parole, quelle che potevano sembrare un aforisma.

Ogni cosa a suo tempo.
Kyle ha undici anni, come i suoi amici, del resto. Ma forse a undici anni non si è sempre bambini? Cosa è tutta questa fretta di cambiare e di crescere? Non ha sempre sentito i suoi genitori rimandare con espressioni sognanti al passato, con la classica esclamazione “ah, i bei vecchi tempi quando eravamo ancora bambini”?
E a un bambino, che cosa è concesso se non piangere per un nonnulla?
Per l’appunto aveva notato anche i pantaloni strappati all’altezza del ginocchio perché, un attimo prima di parlare con Stan, era scivolato sulle scale bagnate dell’ingresso.
Aveva abbozzato un sorriso a quella visione e, alzati una seconda volta gli occhi al cielo, li aveva socchiusi per poter godere meglio la sensazione delle gocce di pioggia che parevano accarezzargli le palpebre.
Quasi rivolgendosi a un qualche strano pubblico nella sua mente, come per darsi fiducia in tale azione, aveva sussurrato:
Non ci resta che piangere.”
I cambiamenti possono aspettare, o almeno quelli radicali. Chi è così crudele da impedire a un bambino di sfogare la sua rabbia e le sue preoccupazioni nel modo più salutare e genuino possibile? Non è forse il pianto questo sano modo?
Come quell’aforisma diceva, aveva alzato gli occhi al cielo, mescolando le lacrime con la pioggia, ringraziando quell’elemento che in quel momento gli era così utile.
Piangere, piangere e piangere, la risoluzione cui ogni bambino è consentito giungere.
Ed ora lì, in quella sua cameretta, da bravo bambino qual è, si sfiora la ferita sul ginocchio che si intravede dal tessuto e, gettandosi all’indietro sullo schienale della sua sedia, chiude gli occhi.
Non ci resta che piangere”.
Sorride, Kyle, e i suoi lineamenti sono incorniciati da altre lacrime dispettose.
No, non se lo sarebbe negato, almeno per ora.
Ha bisogno di sfogarsi e gettar tutto fuori.
Non gli resta altro che concentrarsi sui suoi occhi ed assaporare quella sua meravigliosa tristezza. È un ossimoro, ma Kyle è felice perché qualcosa può renderlo triste. È come se lo facesse sentire realmente vivo e umano. Pensa che l’unico modo per cui riesce a sentire ora questa tristezza è perché precedentemente tutto è stato bello. Deve accettare il buono con il cattivo, così come gli viene presentato.
Prendendo dunque fiducia in se stesso, rilassando i nervi e liberando la mente da gravosi pensieri, si abbandona ad un pianto liberatorio.
Sì, perché per piangere ci vuole una gran dose di fiducia, specialmente per coloro che, come lui, nonostante siano bambini, stanno crescendo ed hanno paura di esser giudicati.


 


ANGOLO AUTRICE
E niente, eccoci qua in fondo. 
E' depressa da morire lo so, l'avevo scritta tipo non so quanti mesi fa e mi era rimasta sperduta in una chiavetta.
L'aforisma "Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto di lacrime " non è certo mia ma di Jim Morrison.
Non ho molto da dire, se non che vi ringrazio con tutto il cuore per essere arrivati fin qua e sarei ancor più riconoscente a chi lasciasse un qualunque commento, critica o domanda. :)

Baci

FuRa

  
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