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Autore: fedekost    14/06/2008    3 recensioni
Allora...questa storia è nata un po' così...se vi piace ditemelo, che continuo a scriverla! Praicamente segue le vicende di un ragazzo che ha cominciato il suo primo anno a un liceo classico di Roma. Non vi dico di più!=PAUSA ESTIVA=
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I
La sveglia suona e io non la sopporto. Mi sembrano secoli che non mi alzo in questo modo, e oggi la macchina infernale mi sta letteralmente distruggendo i timpani.
Eccomi qui, sdraiato sul letto a fissare il soffitto, mentre in cucina mia madre sta riscaldando il latte con il suo pancione di otto mesi. La femminuccia nascerà a Ottobre, e ancora non hanno deciso il nome. Papà si è alzato presto, ha un’azienda da mandare avanti, lui.
Ce lo rinfaccia sempre; manco conducesse chissà che cosa: la sua azienda produce e distribuisce bottiglie per il vino, naturalmente vuote.
Mi alzo per andare in cucina maledicendo l’inventore della scuola e della sveglia e, arrivato, vedo mamma che legge uno dei suoi romanzi rosa seduta sulla sedia a capotavola appoggiando il libro sul pancione e, sentendomi entrare, mi indica con un cenno della testa la tazza di latte sul tavolo, di fronte a lei.
Mi ha messo la tazza coi fiori, la sua preferita.
Mentre sorrido mi verso nel latte due cucchiaini di zucchero e un paio di manciate di cereali, e mangio osservando la cucina che mi circonda: è tipo un rituale, sto sempre a guardarla durante la colazione.
Il tavolo circolare di legno consunto è molto familiare e se ripenso alle litigate con mio padre a cena, mentre eravamo seduti intorno a quello stesso tavolo, mi sale troppa rabbia repressa che ho cercato di non scaricare verso di lui. Le credenze rosse si sono ormai schiarite e il lavandino è diventato liso.
I miei cereali sono finiti e metto prima la tazza nel lavandino, e poi vado al bagno per darmi una lavata.
Mi metto davanti al lavandino e mi osservo allo specchio: i miei capelli neri sono abbastanza puliti, visto che mi sono fatto la doccia ieri sera, e mi ricadono davanti agli occhi con una pettinatura arruffata dalle ore di sonno.
Dopo essermi lavato i denti cerco di darmi una sistemata ma le occhiaie sotto i miei occhi castani non accennano ad andare via.
Come faccio a presentarmi al primo giorno di scuola delle superiori in questo stato pietoso? Di sicuro mi etichetteranno come lo sfigato e passerò il resto della mia vita da liceale seduto in un angolo della classe e indicato da tutti.
Che palle, ma perché tutte a me? La vita non mi sorride mai, mai!
Quest’estate mi sono lasciato sfuggire la ragazza dei miei sogni per un semplice ritardo: eravamo in viaggio in Sardegna, in un noiosissimo villaggio con un’animazione penosa, e mentre mi sballottavo dalla spiaggia alla piscina l’ho vista, e da quel momento non ho smesso di pensare a lei.
Mi sono avvicinato, l’ho guardata un attimo e poi ho preso coraggio e le ho parlato.
Ci eravamo dati appuntamento per il giorno dopo lì in piscina, ma a mamma era venuta la grande idea di andare a vedere la cittadina vicina, e mica le potevo dire che non ci potevo andare perché mi dovevo vedere con una ragazza: avrebbe cominciato a tempestarmi di domande, e io non avevo intenzione di risponderle.
Ogni sera, prima di addormentarmi, penso a come sarebbe stata ora la mia vita se non fossimo andati a quella cazzo di gita turistica, ma anche se lo faccio sempre odio piangere sul latte versato: mi sento un deficiente.
Tornando alla realtà mi accorgo che bussano alla porta del bagno.
Tanto per cambiare mio padre deve cacare di prima mattina, e quale momento migliore se non quando ci sono io al bagno?
-Ecco, sto uscendo!-
Sbuffo mentre giro la chiave e apro la porta.
Non ho nemmeno il tempo di uscire che già si è chiuso dentro.
Do una sbirciata all’orologio: le otto meno cinque; e pensare che dovrei essere a scuola alle otto e dieci! Per fortuna mi sono preparato i vestiti ieri sera.
Non mi va di sembrare un secchione, quindi o buttato da una parte le camice a mezze maniche (sia chiaro, non quelle da vecchi, ma quelle più giovanili!) e i bermuda e mi sono concentrato sui jeans e le T-shirt.
Ho scelto un paio di Quiksilver e una maglietta rossa con la scritta Duff, la birra dei Simpson. Mia madre odia questa maglietta.
Mentre corro verso l’uscita con lo zaino in spalla mi accorgo che mamma mi guarda torva; ignorandola le dico un ciao veloce e, con ai piedi le mie Adidas nere, prendo le chiavi del motorino e il casco e corro verso l’ascensore.
Dentro c’è quella della porta di fronte, che mi ha attaccato un discorso su come, quando lei aveva la mia età – e quindi molti, moltissimi anni fa – i ragazzi non avevano tutti questi privilegi.
-Eh, ragazzo mio, sai, mio nipote ha diciannove anni e fa la bella vita, mentre io alla sua età mi spaccavo la schiena! Tu quanti anni hai, caro?-
-Ne ho quattordici-
Poi, mentalmente, aggiungo:
-Te l’ho detto ieri, vecchia rincoglionita-
Finalmente l’ascensore arriva al piano terra, e la piscio allegramente con la scusa del ritardo, anche se mi accorgo che effettivamente non è prestissimo.
Monto sul motorino, metto in moto e sono già su viale Ostiense, ma la strada è lunga fino a Termini.
Che palle, ma perché mi sono scelto l’Albertelli, che sta in culonia?
Il Socrate era così vicino!
-Quel che è fatto è fatto, Leo!-
Mi risuonano in mente le parole di mamma, e pensandoci su non mi accorgo che sono già arrivato davanti a scuola.
Parcheggio davanti all’ingresso e mi sento gli occhi di tutti puntati addosso, ma faccio finta di nulla e mi vado a prendere un cornetto al bar tanto per passare il tempo.
La fila che c’è al baretto di fronte la scuola è stupefacente: come cavolo ci stanno così tante persone lì dentro?
La maggior parte si compra le sigarette, solo alcuni prendono esempio da me.
Sento il suono della campanella, ma sono già a più della metà della coda, non posso abbandonare.
Ecco un’altra delle mie stupide fissazioni.
Ora che finisco e pago sono le otto e un quarto, e salgo le scale –davvero troppe- mangiando in fretta e furia il cornetto, quando mi accorgo di non sapere in che sezione sono.
Altra corsa giù per le scale fino alla segreteria, ma almeno ho la scusa buona per il ritardo. Spero solo che la prof non sia una stronza, o che almeno non lo sia il primo giorno di scuola con un gruppo di quattordicenni impauriti per il primo giorno di liceo.
Comunque, la sezione è la A.
Una delle più dure, cavolo.
Me lo ha detto la segretaria, ma io ero occupato a osservare lo strano modo con cui teneva la penna mentre scriveva per accorgermi immediatamente delle sue parole.
Eccoli, i brividi che salgono per la schiena.
La mia classe, come tutti i ginnasi, è all’ultimo piano.
Saranno diecimila scale, e pensare che me le dovrò fare tutti i giorni per i prossimi cinque anni! Non ci voglio pensare.
Eccomi, ci sono, si apra il sipario, diamo inizio alle danze, insomma…la apro o no questa cavolo di porta o devo continuare a fare tutti questi giri di parole?
Ho deciso, non la apro, scappo, vendo il motorino, con i soldi compro un biglietto del treno e fuggo a Parigi, dove mi spaccerò per un pittore di arte moderna con i miei scarabocchi hi-tech.
Ma cosa cavolo dico?
La mia mano è già sulla maniglia, e mentre l’abbasso il mio cervello è già agli esami di maturità, davanti a una difficilissima versione di greco.
-Buongiorno professoressa, scusi il ritardo ma sono passato in segreteria a chiedere la sezione- Risatine di sottofondo: sembra tanto una scusa?
Ma che vogliono? Mi soffermo un attimo a guardarli incuriosito e quando sento una voce profonda e virile che mi dice di scegliermi un posto e sedermi in silenzio capisco ciò che è successo. Primo giorno, prima figura di merda.
Mi accorgo di diventare tutto rosso, e nel frattempo che non ci sono posti solitari liberi.
Inizio a guardarmi intorno, casomai qualche ragazza carina avesse la sedia libera al suo fianco, ma l’unica ragazza con il posto accanto libero pare essere l’Ugly Betty italiana e la evito altamente. Scelgo di sedermi vicino a un ragazzo bassino, coi capelli rossi e lo sguardo spaurito, mentre il professore tira fuori il registro e comincia a fare l’appello.
Piano piano, tutta la classe viene nominata, ed ognuno si presenta esponendo i suoi hobby e i suoi interessi.
Sembra il concorso Miss Italia, ma chi vincerà il primo premio?
La maggior parte dei miei nuovi compagni di classe cerca di impressionare il professore dicendo di aver letto milioni di libri durante l’estate.
Sarà pure così, ma io non ci credo; almeno non di tutti.
Tipo Galileo, Dio quant’è grasso, ha detto di aver letto tipo una ventina di libri durante l’estate.
Oppure altri propongono titoli come Harry Potter e altri del genere, che per quanto possa essere un fantastico genere, non credo che impressionerà il prof.
Le ragazze sono tutte cesse allucinanti: ce ne sta una, poveraccia, che ha i capelli unticci che sembra che da un momento all’altro comincerà a sgorgare via un fiume d’olio, oppure altre due, che non so come si chiamano ma che non ci tengo a conoscere, che stanno sedute vicine e confabulano dall’inizio dell’ora. Hanno due culi grossi come una casa e sono delle nanette bruttissime: una ha il monociglio (che poi non capisco perché non se lo aggiusta, come farebbe ogni ragazza normale), mentre l’altra un nasone chilometrico e un paio d’occhi piccoli piccoli.
Hanno l’aspetto di due persone da evitare…verranno da Burinopoli.
Al primo banco c’è quello che già ho capito essere il secchione: indossa una camicia a quadretti allacciata fino all’ultimo bottone, un paio di fondi di bottiglia come occhiali e pantaloni ascellari. A completare il quadro un paio di mocassini strausati.
Che classe.
Sarà che ho perso troppo tempo a spettegolare fra me e me sugli altri che il professore, quado pronuncia il mio nome, non riceve risposta.
Solo alla seconda volta riesco a sentirlo, e mi affretto a dire, trafelato:
-Eccomi! Scusi…presente-
Aspettate…ancora un attimo…eccola!
L’occhiata torva numero 1!
Mi risiedo e sento il mio vicino di banco sussurrarmi all’orecchio –Se avessi saputo il tuo cognome, Amato, ti avrei chiamato!-
Ok, spero che la rima sia solo una coincidenza.
Intanto arriva il suo turno. A quanto pare si chiama Giovanni De Gaspari.
E poi un’altra valanga di nomi che già so non ricorderò prima di molto, molto tempo.
Solo ora mi accorgo di quanti siamo. A prima vista non si direbbe, ma il numero di nomi sul registro è molto elevato.
Siamo arrivati al numero 27, Varone Lucia, che tra l’altro non è affatto male, e mi rilasso un attimo sulla sedia.
E invece no! C’è anche la numero 28, Vitali Cristina, che si alza elegantemente.
Ecco, da qui si può benissimo capire chi, tra i ragazzi, sia frocio.
Un ragazzo normale, infatti, difficilmente potrebbe evitare di guardare quelle tette della giustra misura e quel culetto perfetto, accompagnate da un angelico viso da Barbie.
Il vestito, poi, ve lo lascio immaginare, che altrimenti mi dilungherei troppo nel descriverlo. Tutti sono a bocca aperta…o meglio, quasi tutti:
due ragazzi in prima fila, mi sembra si chiamino Spina e Agostinelli, confabulano fra di loro parlando di quello che sembra essere l’ultimo pettegolezzo su Lindsay Lohan.
Sbuffo e ritorno a guardare quella meraviglia della natura quando il mio sogno viene interrotto dalla voce del professore.
-Allora ragazzi, io sono il professor Minelli e insegno italiano, storia e latino. Non sono particolarmente fiscale, ma riesco a riconoscere velocemente le prese in giro, quindi evitate e fate sempre tutti i compiti.
-Qui siamo in un liceo classico, e vi dovete mettere in testa che bisogna studiare. Almeno tre, quattro ore la settimana. Ma soprattutto, state attenti a…
E chi lo ascolta più a quello. Già mi annoia, manco ha cominciato la lezione.
Giovanni ha disegnato sul banco una griglia da tris, e passiamo le restanti due ore a giocare e chiacchierare, divertendoci a prendere in giro i nuovi compagni di classe.
-Tu di dove sei?-
Mi chiede curioso.
Che c’è di male a dirglielo? In fondo non è un estraneo…mannaggia a mamma che mi inculca queste cose!
Al Diavolo!
-Io sono di Garbatella, e tu?-
Allarga la sua bocca in un sorriso e risponde, divertito:
-Lì ci abita mia nonna e io ci vado spesso dopo scuola…facciamo la strada insieme oggi? Tanto c’è la metro qui dietro!-
A quanto pare ho guadagnato un nuovo amico.

La professoressa di greco e geografia è una stronza.
È entrata, ha fatto il suo discorso, si è messa a leggere il giornale e, alla prima mosca volata, se ne è uscita con un cazziatone pazzesco sulla gioventù bruciata e su come era diverso ai suoi tempi.
Secondo me è entrata in menopausa, non c’è dubbio.
Quella di matematica già è più sopportabile, si vede che ha passione nel suo lavoro.
Chissà che non si dimostri una buona insegnante?
Ha passato tutta la sua ora a dirci che non perché stiamo al classico la matematica è da sottovalutare, che bisogna imparare le regole a memoria, ma l’unica cosa che veramente tutti hanno ascoltato è che se quest’anno saremo bravi ci accompagnerà in gita.
Speriamo bene.
E poi, finalmente, eccola: la campanella suona, e ha un suono molto più dolce della sveglia di questa mattina…significa libertà.
E sulle “note” squillanti di questa io e Giovanni usciamo dalla scuola e, seguiti da una marea di studenti, ci dirigiamo verso la stazione Termini.
La metro B fa schifo.
Puzza sempre, ma non di una puzza precisa, ha una puzza tutta sua chiamata “metro B’s flagrance”.
Giovanni si tappa il naso passando e ci mettiamo a commentare l’argomento, facendo ogni tanto battutine stupide sui barboni che pisciano sotto il colonnato.
A Garbatella io esco dalla metro e attraverso la strada: casa mia è proprio lì. Giovanni invece deve camminare un po’ di più, fino al bar d’angolo, dove ci sta pure la pasticceria buona.
La nonna abita lì.
  
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