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Autore: HerrCat    08/02/2014    1 recensioni
Altri semplici pensieri di ogni giorno. Suzanne a 29 anni.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Suzanne'
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-No, scusami, sono solo un po' scazzata oggi, tutto qui...No, no, non è nulla di grave, tranquilla, anzi, non è proprio nulla...È solo che..Ci sentiamo domani?...No, figurati, te l'ho detto: sono solo un po' scazzata...Non mi va molto di parlare, ma se è urgente ci sono...Va bene, a domani allora. Ciao!- Chiudo la chiamata senza pensarci due volte. Voglio bene alla mia Mamy, ma oggi non ho davvero voglia di parlare. Se avesse trovato un'altra scusa per tenermi attaccata al telefono, non so cos'avrei fatto, davvero. No, non spariamo cavolate: sarei rimasta lì impassibile a rispondere altri mille «mh». Guardo fuori dalla finestra. La sua vetrata enorme, trasparente riempie quasi tutta la parete. Non avrei mai immaginato di vivere in un posto così: generalmente mi piacciono le case accoglienti, i mobili country, i camini, i giardini. Questo appartamento era l'attico di un palazzo, un ventunesimo piano. Mobili tra il moderno e l'etnico, almeno questo me lo sono concesso, tocchi di colore qua e là - anzi, più o meno ovunque, direi. Non so vivere senza i colori. Ora direi che non so vivere proprio, ma questo è un altro fatto. Tanto giallo e tanto rosa, non mi interessa se la mia arredatrice dice che fanno a pugni. Ha scelto praticamente tutto lei, avrò pure potere decisionale almeno sui cuscini e su qualche altra decorazione. Opera sua pure il divano panna ed il set di tavoli - tavolo da pranzo, scrivania, tavolino da caffè - in legno chiaro. All'inizio voleva appiopparmi un set con piano di vetro e gambe di mogano laccato. Terrificanti. Mi sono rifiutata categoricamente. Per il resto ha fatto tutto lei. Non avrei mai scelto neanche un loft, ma lei dice che è chic e che si addice alla mia carriera di artista. Tra la mia «camera» ed il resto della casa c'è solo una spessa tenda, una sorta di sipario da teatro senza frange dorate. È pure rosso! Praticamente gli unici luoghi con una vera privacy sono il bagno, che più che un bagno è una spa, e la cabina armadio. Alla fine devo dire che mi piace. Mordo il cellulare. Lo faccio sempre quando sono nervosa. La luce del mattino invade la stanza da quella vetrata. Decido che quel coso tecnologico mi serve, quindi smetto di morderlo e lo poso sul tavolino da caffè. Chiamiamolo tavolino! Quel coso sarà anche basso, ma è enorme, ci sta su l'Inferno. Però preferisco tenerlo quasi vuoto, ci sono solo una Bella di Notte, l'unica pianta che riesco a non far morire, ed un posacenere. Per essere precisi, in questo momento c'è anche un biglietto sotto il posacenere. 
«Vado a lavoro non so se torno per pranzo ti faccio sapere. Preparami qualcosa di buono. Tiffany»
Mi siedo sul divano. Tiffany. Sicuramente non mangerà fuori. Quella ragazza è dinamite, lavora anche quando sono tutti in pausa. C'è da dire che ama il suo lavoro più di ogni altra cosa. In realtà è un po' una tuttofare: aiuto regista, cameraman, direttrice di fotografia, fotografa, e fa pure cose animate con la computer graphic. Per hobby suona pure la batteria, ne ha una nera che ha portato dall'Italia. All'inizio l'aveva messa nel suo appartamento, poi un giorno stavo rientrando a casa e l'ho vista caricare roba nell'ascensore. Pochi minuti dopo montavamo gran cassa, tamburi e piatti nel loft. Le foto più belle me le ha fatte lei. Una è appesa alla parete - sono sul molo, guardo l'orizzonte, con il mio primo libro in mano. Lo avevo portato per lei, la prima copia autografata doveva essere sua, era una vecchia promessa che le avevo fatto, anche se per scherzo. Doveva avermi detto qualcosa di divertente, o di imbarazzante, perché nella foto rido. Tiffany. Quando è entrata nella mia vita? Ormai sono passati anni. Un'altra città, il nostro gruppo di attivisti. Il primo evento. Si presenta questa ragazza che più che altro sembra un maschiaccio con una fotocamera in mano.
- Tu sei Suzanne, vero? - mi chiede.
- Sì, piacere. - le porgo la mano e appena la stringe sento un calore strano. Mi sento donna, per la prima volta.
- Piacere, io sono...- 
- SUZANNE! VIENI, DOBBIAMO PROVARE! - la voce di una mia amica copre il nome di lei, i suoni che mi arrivano compongono più o meno «Tiffany», anche se poi scoprirò che non si chiama così ed in più quel nome le starebbe malissimo. Ad ogni modo la chiamerò così per il resto della sua vita. Da collaboratrice è passata ad amica di letto. Ci è voluto qualche mese, ma ci siamo riuscite. In teoria lo siamo ancora, anche se nessuna delle due sembra intenzionata ad andarsene. Avrebbe anche un suo appartamento poco lontano da qui. «Io non ci sono mai a casa, se non ci fossi tu vivrei di insalate!» mi dice sempre. Lei lavora, io cucino. Viene qui, mangia, parliamo. Poi ognuna vive la sua vita, io sistemo i miei romanzi, le mie poesie, le mie sceneggiature, lei si mette al pc e via con i lavori di grafica. Qualche volta ci chiediamo aiuto a vicenda, oppure all'improvviso una delle due ricorda un impegno e fugge via. Poi torna per cena, o per dormire. In pratica, viviamo insieme. Ricordo il giorno in cui le dissi che mi sarei trasferita. Non era, no, non è la mia ragazza, quindi non ricevette un trattamento particolare. Glielo dissi insieme a tutti gli altri. Lei si arrabbiò tanto, mi tenne il muso per un po'. Poi se ne uscì con la sua formula magica:
- Ci sarà lavoro per una scopina che vuole fare l'apprendista direttrice fotografica, no?-
- Dove? - le chiesi perplessa.
- Lì, dove vai tu. -
Risi.
- Mi stai dicendo che mi vuoi seguire? -
- TI sto dicendo che qui non lavorerò mai, sai quanto fa schifo qui da questo punto di vista. Magari lì andrà meglio. Non ti fare film mentali: non ho intenzione di vivere con te. Appena posso, mi prendo un appartamento mio.-
Continuai a ridere. E salimmo sull'aereo insieme. Ancora la prendo in giro per quello che ha fatto, per come ha reagito, ma effettivamente qui lavora molto di più. Da qui continuiamo a dare una mano agli attivisti rimasti lì, al nostro gruppo, ed a quelli che come noi sono fuggiti lontano, alla ricerca disperata di un lavoro inerente ai propri studi ed ai propri sogni.
 Mi alzo, vado in bagno, faccio scorrere l'acqua finché non diventa calda. Mi infilo nella vasca da bagno. Mi dispiace, Tiffany, ma oggi non cucino. L'acqua è fumante. Che peso posso dare a chiunque? Alla mia famiglia che è lontana, alle amiche, alla mia agente? Che peso posso darti, Tiffany, tu che ridi quando dico che in realtà stiamo insieme, eppure appena guardo un'altra subito scatti? Ho paura, Tiffany. Ho paura e non so come dirtelo. La mia memoria si sta perdendo di nuovo, la vista si annebbia sempre più facilmente. «Cosa cambia se stiamo insieme o no? Il nome di questa cosa?» No, Tiffany, cambia tutto. 
- SUZY! SONO A CASA! SCUSA SE NON HO CHIAMATO! - 
Immergo la testa nell'acqua. Lei entra in bagno, mi trova lì. Non alza neanche le maniche, tuffa le mani per riprendermi. 
- PAZZA! Che diavolo volevi fare? -
Silenzio.
- Che volevi fare, eh? -
-Tiffany, quelle cose...ci sono di nuovo.-
- Quali cose? - 
- Quelle. Sto di nuovo male. -
Si mette le mani nei capelli, bagnandoli.
- Ti decidi a controllarti? - 
- No. -
- Perché no? -
È stranamente pacata, quasi avesse paura di rompermi. Io sto in silenzio.
- Allora? - mi chiede.
- E se avessi qualcosa? - sto per mettermi a piangere, lo so. Lei si avvicina, mi prende le mani.
- Andiamo all'ospedale, dai. Se non hai nulla, tanto meglio, se hai qualcosa...bé, se hai qualcosa, la affrontiamo.-
-Io, non tu. Tu non c'entri. -
- No? Come puoi dire una cosa simile? Siamo venute qui insieme, abbiamo arredato questa casa insieme, viviamo praticamente insieme e ti permetti di dirmi una cosa del genere? - 
- Non ti posso dare questo peso. -
Sospira. 
- Non so cosa devo fare con te. Se vuoi ci sposiamo, basta che oggi vai all'ospedale. -
- Non voglio sposarti, non a queste condizioni. - 
- E allora vacci e basta! - 
- No. -
Lei rimane in silenzio, poi si alza e se ne va. Torna poco dopo con asciugamano e vestiti puliti. 
- Vestiti e andiamo.- mi dice.
La seguo come un cagnolino. Mi chiedo se prima o poi ci sposeremo davvero.
  
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