Lo
gnomo
È
sera
tardi. Sto riempiendo le bottiglie con l’acqua filtrata del
depuratore, perché
qui è, a quanto pare, piena di ferro. Risulta dannosa.
Solo che il processo è lentissimo. A riempire una bottiglia
ci metto come
minimo un minuto e mezzo, se non di più, e perciò
capita spesso che mi perda
nei miei pensieri, guardando scorrere il liquido trasparente in una
bottiglia
d’acqua di colore giallo, che una volta conteneva della
cedrata.
Sospiro, mi appoggio al lavandino e penso, esausta.
Le riempio a quest’ora di notte perché
l’elettricità in questa fascia costa
meno, e dobbiamo fare economia su tutto, a cominciare anche dalle cose
più
piccole; non siamo poveri, ma facciamo davvero troppa fatica ad
arrivare in
fondo al mese, i soldi contati che ci dà mio padre non
bastano.
Tra meno di un mese dovremmo lasciare questa casa, causa sfratto. Ormai
è un
anno che non paghiamo l’affitto, e ovviamente il
proprietario, dopo aver
portato pazienza, ha dovuto procedere per vie legali per sbatterci
gentilmente
fuori. Non gli do certo torto.
All’udienza in questione, il tribunale aveva assicurato a mia
madre che il
nostro comune di residenza ci avrebbe dato un aiuto, un lavoro per me e
una
casa popolare dove poter pagare di meno.
Tutte balle.
Quando è andata a chiedere appunto questa casa, abbiamo
scoperto che c’è una
lunghissima lista di famiglie che devono averla prima di noi. Io non so
in che
situazione siano queste famiglie, mi spiace per loro, ma io non capisco
perché
non possiamo averla. Nonostante la carta del tribunale in cui
c’è scritto che
abbiamo diritto a questa casa, nonostante la nostra situazione
economica faccia
pena.
Il lavoro per me non esiste, qui in zona non assumono nessuno, e anche
perché
quel genio di mio padre non mi ha mai fatto prendere la patente quando
i soldi
c’erano, perciò sono senza mezzo e senza nulla in
mano. La scuola di cui ho il
diploma non serve praticamente a nulla, e
l’università non l’ho fatta.
L’aiuto economico, la nostra ultima speranza, ci è
stato negato proprio questa
sera stessa. Un assistente sociale ci ha chiamati per dire che con
quello che
prende mio padre di stipendio non ci serve aiuto. Solo che, come gli
abbiamo
già detto, quel bastardo non ci dà alcun soldo, o
ci fa bonifici a dir poco
miseri, che bastano appena a pagare una bolletta su tre.
Io sono a dir poco incazzata e triste per tutto questo: i ragazzi della
mia
età, di vent’anni o poco più,
dovrebbero pensare al lavoro, a dove uscire il
sabato sera per incontrarsi per gli amici, a ridere e scherzare su
tante
cazzate che ci sono nel mondo, alcuni a mettere su famiglia.
E invece no, io sono qui a preoccuparmi dove andremmo poi, quando ci
sbatteranno fuori di qui.
Odio piangere, ma sento gli occhi pizzicare e il respiro venir meno, e
cerco di
mantenere il controllo: piangere non serve a nulla, proprio a nulla.
Alzo il volume della musica che mi risuona nelle cuffie, sono i The
Passenger,
un gruppo Nu Metal svedese, non quel tizio o tizi inglesi. Quando cerco
le loro
canzoni escono fuori prima quelli che questi svedesi, e la cosa
è piuttosto
irritante. Stupidi casi di omonimia.
Ultimamente ho una fissa particolare per tutto ciò che ha a
che fare con la
Svezia, tante canzoni che ascolto scopro che sono di artisti di quel
paese. È
già deciso che la mia casa, se mai un giorno
riuscirò a uscire da tutto questo
e rimettermi in piedi, sarà interamente piena di mobili
Ikea. Ah ah ah.
Nell’avere questi pensieri inutili, mi sento già
meglio, perlomeno riesco a
distrarmi da quelli più gravi già sopra citati.
Io almeno lo faccio per distrarmi. Su Facebook leggo di stupide
ragazzine che
piangono per non aver trovato il biglietto del concerto di questo o di
quell’altro artista, e le trovo ridicole. Ok, anche io ci
rimango male nel
sapere che Avicii non farà date qui nel mio paese, ma ci
sono cose ben più
gravi! Mi chiedo cosa faranno quando arriveranno i problemi veri. Forse
tenteranno il suicidio.
Solo che costa anche morire, tra funerale, bara o cremazione, cerimonia
e tanto
altro. Trovo tutto così ridicolo. E ritorno al pensiero del
soldi.
Scuoto il capo, quando con la coda dell’occhio vedo qualcosa
di strano, lì in
taverna con me. E non è il mio cane che, curioso,
è sceso a guardare cosa
facevo.
No.
Quello è uno gnomo armato di ascia.
Sgrano gli occhi, mentre un pizzico di paura mi assale. Vorrei urlare,
chiamare
la mia famiglia che è proprio a una rampa di scale da me, ma
mi sento come
paralizzata. Vorrei sbattere gli occhi, pensare che è
un’allucinazione, ma non
riesco a fare nemmeno quello, non riesco a distogliere lo sguardo da
lui, quel
coso minuscolo alto meno di trenta centimetri.
Che poi, è uno gnomo o un nano? Al momento non ricordo la
differenza.
“Aspetta. Tu sei quello della tivù. “
boccheggiò, dicendo l’unica cosa che mi
passa per la testa.
Di solito il martedì sera fanno un programma in televisione
che tratta di cose
misteriose, e che io e miei familiari seguiamo tanto per prendere in
giro e
farci due risate.
Spesso passano filmati di youtube dove la gente riprende eventi o fatti
o
apparizioni soprannaturali. Io mi chiedo come sia possibile che quei
tizi
riescano sempre a fare un filmato proprio in quel momento.
Io ho cellulare a portata di mano ma non farei mai un video a quel
coso.
Interromperei la musica.
Comunque, ricordo che di quest’essere ora di fronte a me, la
gente ne parla
terrorizzata. Lo gnomo armato di ascia, che di solito bazzica in
Argentina.
Quindi che accidenti ci fa qui? E da dove diavolo è entrato,
se la porta del
garage è chiusa?
Dai, deve essere un’allucinazione. Eppure non faccio uso di
droghe o altro, e
non credo che degli hamburger possano provocare simili reazioni.
Si avvicina a me con un ghigno sul volto, e l’ultima cosa a
cui penso è…
Sollievo.
Se muoio, sarà tutto finito. Basta tasse, basta pagare,
basta tutto. Non so
perché ma spero che la gente si senta in colpa quando
leggerà della mia morte.
Un po’ mi dispiace invece per un paio di amici che sono
sinceramente
affezionati a me.
Ma non ne posso più.
“Grazie.” Gli dico, e questo lo disorienta,
perché si ferma e mi fissa
stranito.
“Fai in fretta. E ti prego, uccidi anche tutti i miei
familiari, così non
dovremmo pagare le spese del funerale.” Aggiungo, con un filo
di voce.
Si, è la soluzione migliore.
Quello gnomo è di sicuro la cosa migliore di questo mese
orrendo e pieno di
delusioni.
Ma lui arretra, e stavolta sono io ad essere stranita.
“No. Io i pazzi non li uccido. Tu sei pazza.” Dice,
dando una veloce lucidata
alla sua arma con il bordo della sua veste. “Fatti curare da
uno bravo.”
Non ci posso credere. Uno gnomo che mi dice di andare dallo psicologo.
“Ma non abbiamo soldi.” Lo imploro.
“Cazzi tuoi.” Mi risponde prima di fuggire
velocemente sulle sue gambette
tozze, sempre verso il garage. Lo seguo un po’, e noto lo
squarcio.
Probabilmente si è fatto strada con la sua ascia.
Sospiro, e scopro che il cuore batte velocissimo, probabilmente ancora
dalla
paura. Ma ho l’amaro in bocca. Perfino lo gnomo non ha voluto
aiutarci.
Che tristezza.
Speravo di morire, e invece eccomi qui, condannata a vivere.
Rivolgo lo sguardo alla bottiglia, dove l’acqua fuoriesce
perché ormai piena.
Chiudo il rubinetto, faccio uscire l’eccesso e chiudo con il
tappo.
Quello gnomo è stato davvero un’allucinazione
dovuta alla disperazione?
Questa cosa non ha né capo né coda.
Non dirò nulla ai miei familiari, mi prenderebbero davvero
per pazza. Già mi
contraddicono su cose vere, figuriamoci su uno gnomo.
Con stanchezza, spegno la luce ed esco dalla stanza.
Non mi importa ricevere commenti. Questa è la prima volta che scrivo in prima persona al presente, non è nel mio stile, ma mi sono divertita in un certo senso.
Oooook. Spero di non dover scrivere più cose simili.
Alla prossima v.v