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Autore: Nike93    15/06/2008    7 recensioni
Non saprei dirlo con esattezza, quand'è che sia cresciuta davvero.
Forse quando ha imparato a camminare e si è presa tutti i baci e le coccole che potevamo darle.
Forse quando si sedeva sul divano e si faceva raccontare di quando il suo papà era famoso in tutto il mondo, quando mi pregava di cantarle qualcosa.
O forse quando me la sono vista arrivare a casa con una serie di apparecchiature che sembravano essere state rubate da uno studio di registrazione, si è seduta accanto a me e mi ha comunicato che voleva incidere da capo tutto un cd dei Tokio Hotel, con le canzoni cantate da me e da lei, insieme, senza naturalmente lasciar fuori lo zio Tom.

Outtake part di Dimentica, per chi avrebbe voluto che Bill diventasse papà.
Genere: Generale, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ma salve! Non potevo partire per le vacanze e lasciare i miei fidi lettori senza niente di nuovo, dunque eccomi qui ^^
Ovviamente, prima che me lo dimentichi, ribadisco che i Tokio Hotel non mi appartengono e che ogni cosa scritta in questa shot è unicamente frutto della mia fantasia.
Questa one shot, basata sulla stupenda “Ci parliamo da grandi” di Eros Ramazzotti, è come una outtake part di “Dimentica”, un regalo per chi è rimasto male per il finale, per chi avrebbe voluto che quella bambina nascesse. Insomma non è parte integrante della storia, è una specie di “What if…?” di “Dimentica”: cosa sarebbe successo se la bambina fosse nata e se Tom non fosse partito? Ma è anche solo una semplice one shot che nasce dalla mia naturale predilezione per il “mio” Bill, e cioè non quello vero, non il Bill Kaulitz dei tabloid. Unica differenza tra questi due Bill? Il mio, ce lo vedo benissimo a fare il padre.
Questa storia è dedicata alla mia fantastica mamma, per tutto quello che fa ogni giorno.
Buona lettura!
 

Ci parliamo da grandi

 
Inclinai la testa di lato, allungando le labbra in un sorriso che sapeva tanto di smorfia. La risposta fu un gridolino ancora troppo flebile per risultare divertito.
- La stai facendo agitare tutta, poverina – ridacchiò Haylie, tenuta su da un paio di cuscini ordinatamente sistemati dietro la schiena. La guardai con aria innocente, reggendomi alla testata del letto per non scivolare, dato il poco spazio rimanente sul bordo del materasso.
- Agitata? Lei? Come si vede che non mi hai guardato mentre facevo su e giù per i corridoi, cara la mia Haylie… - Le scompigliai scherzosamente i capelli, mentre lei metteva su un finto broncio.
- Ero impegnata a fare altro, nel caso non te ne fossi accorto –
Era incredibile. Fossi stato al suo posto, non ho idea di dove avrei trovato la forza per arrivare fino a quel punto. Ma Haylie era lì, sorridente e più bella del solito dopo ore di faticoso travaglio, con la nostra bambina tra le braccia, e io… io la amavo più che mai. Sembrava tutto così piccolo e normale!
- E già. Che brava… - mormorai, dandole un bacio sulla fronte. Haylie appoggiò la testa sul mio petto, stringendo delicatamente tra le braccia il fagottino di coperte dentro cui stava la ragione della mia nuova felicità. – Che brava, la mia bambina – sussurrai a mò di presa in giro.
Haylie alzò la testa e mi rivolse quello sguardo che non avrei mai dimenticato, quello sguardo che, per tutta la vita, avrei ricordato come l’inizio di qualcosa di nuovo.
- Non sono più io la tua bambina – mormorò con un mezzo sorriso.
Abbassando lo sguardo sul faccino che spuntava dalle coperta rosa, mi accorsi che quei due grandi occhi azzurri, che poco prima mi scrutavano incuriositi, si erano chiusi. Strinsi Haylie con un braccio e sfiorai con una carezza quella testolina così piccola e coperta solo da una leggerissima e chiara peluria.
- Certo che lo sei – Posai un bacio prima sulla sua fronte, poi sul minuscolo nasino seminascosto da due pugnetti chiusi. – Haylie e Stefanie… le mie due bambine –

Prendi ora il più lungo respiro
punta gli occhi nei miei
ci parliamo da grandi davvero
se vuoi

- Stefi! Stefi, guarda chi c’è! –
Era uno dei momenti della giornata che amavo di più, quando spuntavo seminascosto dalla porta della cucina e subito mi rispondeva una risata sdentata. Poi entravo, mi accovacciavo ai piedi del seggiolone e solleticavo con la punta delle dita quel nasino ancora incredibilmente piccolo.
- E’ tornato papà! – esclamava allora Haylie, anche se magari aveva ancora le mani occupate, anche se era divisa tra una pentola fumante e una pappa da riscaldare. Ma per me era come se quelle parole venissero pronunciate dalla stessa bocca sdentata che mi salutava con un sorriso ogniqualvolta entrassi a sorpresa in cucina. Cosa che non era possibile, dato che Stefanie non perdeva un secondo per afferrarmi un dito con le manine minuscole e tentare di mordicchiarlo con i denti che ancora non aveva.
- Ehi, ehi, che fai? Guarda che questo non si mangia, non è buono e soprattutto fa male! – Ritiravo il dito, lei metteva su un piccolo broncio, io le facevo una smorfia e lei scoppiava a ridere.
Poi era la volta di Haylie: metteva da parte pentole e biberon, mi correva incontro, mi stampava un bacio sulle labbra, anche lei metteva il broncio quando la allontanavo tenendola per la vita.
- Ma insomma, un po’ di contegno, cosa sono queste effusioni davanti alla bambina? – la rimproveravo per scherzo. Lei allora mi guardava di sbieco e poi si vendicava.
- Amore, sono stanca da morire… la fai mangiare tu oggi? –
E io non avevo il tempo di rispondere perché lei, con un sorrisone divertito, mi aveva già messo in mano una tazza e un cucchiaino. Così sospiravo e scuotevo la testa.
- Ho capito… prepara la lavatrice –
Ma non potevo fare a meno di sorridere, perché anche l’ennesima maglietta da lavare dopo la famosa “lotta della pappa” sapeva tanto di famiglia. 

C'è un dolore che è un viaggio da fare
che come viene andrà
ci soffio ma non può bastare
per ora resta qua...con me

A volte Stefanie cadeva e si faceva male a un ginocchio, oppure stava un giorno intero senza mangiare. E noi eravamo sempre lì. La prendevo in braccio quando incespicava, la cullavo finché non smetteva di piangere, le ripetevo “ora passa” anche se magari non afferrava pienamente il significato delle mie parole. Quando non mangiava, Haylie non si dava pace finché non riusciva anche solo a farle bere un biberon di latte.
Ma poi abbiamo capito che questo succedeva semplicemente perché Stefanie era attratta da tutto ciò che la circondava, osservava incantata quel mondo non del tutto familiare finché non inciampava da qualche parte o si dimenticava completamente della fame.
Era capace di stare un giorno intero nella sua culla a guardare fuori dalla finestra con gli occhi spalancati, sì. Certo, ogni tanto si addormentava, ma poi era di nuovo lì, a scrutare il cielo come in cerca della sua stella cadente.
Quando non mangiava, Haylie stava in ansia per l’intera giornata.
- Ma ha bisogno di prendere almeno qualcosa, altrimenti stanotte starà sveglia per la fame! –
Noi dicevamo così, ma in realtà Stefanie aveva solo bisogno di guardare, di scoprire e anche, nel suo piccolo, di emozionarsi. Mentre noi… noi avevamo semplicemente bisogno di lei. 

C'è una cura che è fatta di bene
ma il bene cos'è?
e' la fatica di un passo indietro
per fare spazio a te

Quante lacrime, quando Stefi si ritrovava per l’ennesima volta seduta per terra, con le mani tese verso il bordo di quel tavolino che aveva creduto troppo vicino.
Ogni tanto ero io a prenderla in braccio e metterla a sedere sul divano, ogni tanto era Haylie. Controllavamo che non si fosse fatta male e scoprivamo puntualmente che non c’era nessuna ferita, ma lei singhiozzava, e quelle non erano altro che lacrime di rabbia. Rabbia perché ancora non lo raggiungeva, quel mobile, frustrazione perché se voleva qualcosa doveva ancora gattonare sul tappeto.
Lei voleva camminare, e io non trovavo le parole per spiegarle che era ancora presto, ma che ce l’avrebbe fatta, come tutti i bambini.
Ogni tanto mi inginocchiavo dal lato opposto della stanza e le sorridevo, allargando le braccia.
- Stefi, Stefi, sono qui! Ci vuoi venire da papà? –
Lei rideva e accennava una specie di corsetta verso di me, poi la corsa diventava una camminata barcollante e alla fine pum!, di nuovo a terra. Stessa cosa quando era Haylie ad accovacciarsi a qualche metro di distanza e a tenderle le braccia.
Poi una sera, mentre mezzo addormentato me ne stavo steso sul divano con Haylie raggomitolata al mio fianco, la misi debolmente a fuoco. Il sonno mi faceva vedere solo una macchia colorata muoversi esitante verso di me, poi mi stropicciai gli occhi e la vidi.
Stefi era partita dal corridoio e si stava dirigendo verso di noi, pian piano, lontana da qualsiasi appiglio. Un braccio era dritto in fuori per darle equilibrio, l’altro era teso verso di noi.
La guardammo tutti e due, in silenzio, col fiato sospeso, finché non arrivò davanti a noi e si buttò sul divano, ridendo felice.
Lo capii dopo averla presa e sistemata sui cuscini, dopo che le feci il solletico e dopo che rimanemmo minuti e minuti sul divano a coccolarla e riempirla di baci per quella sua piccola grande conquista: non voleva che i suoi primi passi fossero rivolti solo a me o ad Haylie. Stefanie aveva scelto di dedicarli a entrambi. 

Vale una vita quest'istante segreto
che piega tutti e due
che di un silenzio fa un saluto
e da una fa due vie

- Ma ci devo andare per forza? –
Ce lo chiese per la prima volta, con una vocina flebile e tremolante, quando vide le grandi porte colorate dell’asilo, quel posto nuovo che le metteva un po’ paura.
Haylie si chinò su di lei e le accarezzò i capelli, sorridendole. – Amore, tu non ci devi andare. Continuerai a venirci solo se ti piacerà, d’accordo? –
Chi ci vedeva storceva il naso, un po’ per lo strano quadretto che formavamo, noi che più che genitori sembravamo fratello e sorella, un po’ per le parole che rivolgevamo a Stefi quando bisognava convincerla, che sapevano tanto di bambina viziata.
Ma non era affatto così.
Stefanie era allegra e libera, amava tutto quello che non sentiva come un’imposizione. Bastava farle capire che no, non era costretta a fare quella cosa, poteva farla solo se lo voleva, per renderle gradita una novità.
E anche quella volta, il suo sguardo implorante si posò anche su di me. – La mamma ha ragione – le dissi. – Ci verrai solo se ti piacerà –
Poi una spintarella, un bacio e una carezza, e Stefanie correva.
Il pomeriggio stesso, eravamo certi che avesse funzionato: Stefi era felice.
- E’ bellissimo – disse entusiasta, sgranocchiando l’ennesimo biscotto al cioccolato. – Ci sono un sacco di bambini e abbiamo giocato tutta la mattina. Ci hanno fatto sentire la musica e ci hanno portato in giardino. Ci hanno letto delle storie e abbiamo fatto merenda. Mi sono divertita un sacco – Ridacchiava, la bocca e le mani piene di briciole. – Ci voglio tornare anche domani, e dopodomani, e il giorno dopo e quello dopo ancora! – 

Perché tutto l'amore che prendi
un giorno lo ridai
quel giorno si diventa grandi
o grandi non si è mai

Ogni tanto, in piena notte, Haylie si accoccolava tra le mie braccia, si appoggiava alla mia spalla e diceva:
- Ma secondo te è normale che io ami così tanto Stefi? –
Io la guardavo stranito e lei specificava: - No, perché vedo un sacco di madri… ossessive, opprimenti, di quelle che i figli non aspettano altro che levarsele di torno. Io non voglio diventare così –
- Tesoro, mi sembra più che normale amare una figlia! Per il resto, non mi sei mai sembrata ossessiva né niente del genere –
Lei metteva su un’aria pensierosa e con il dito tracciava linee immaginarie sul mio petto. – Haylie, c’è qualcosa che non va? –
- No, è che… è come se, man mano che lei cresce, io diventassi più piccola – sospirava lei. – Magari un giorno non sarò più un punto di riferimento, per lei… -
Io la baciavo e dicevo che erano sciocchezze, ma non potrei negare di essere stato assalito da interrogativi del genere. Ero sempre quel ragazzo un po’ troppo magro e con i capelli tinti che giocava a fare il padre, per chi ci vedeva dall’esterno.
Curioso pensare che persino l’amore sviscerato che provavamo per la nostra bambina ci facesse quasi paura. Ma c’erano sempre quei piccoli segnali che, giornalmente, ci rassicuravano: non stavamo sbagliando.
Come quando al supermercato, mentre Haylie cercava sotto uno scaffale la lista della spesa e io tenevo in bilico tutto ciò che non entrava più nel carrello, Stefanie si allontanava quatta quatta e attaccava discorso con una vecchietta al banco della verdura.
Finiva sempre che la vecchietta in questione ce la riportava tenendola per mano e ridendo ancora per la chiacchierata.
- Avete una bambina meravigliosa –
Haylie sorrideva come per scusarsi e prendeva Stefi in braccio. – Mi scusi se l’ha disturbata, signora –
- Ma no, ma che disturbo! E’ così dolce, così simpatica… Si vede che le volete molto bene – La vecchietta sorrideva ancora, passando una mano tra i morbidi capelli biondi di Stefi. Poi guardava i miei, di capelli, e quelli rossi di Haylie. – E poi, com’è bella! Ma da chi li ha presi questi bei capelli biondi? –
Io e Haylie ci guardavamo e ci veniva un po’ da ridere: sì, era da un po’ che avevo tagliato i capelli, ma il coraggio di tornare al mio colore naturale sarebbe arrivato molto più tardi. 

Tu vai
tu corri io sto
tu hai chiesto io do
siamo grandi o no?!

Ed era buffo, man mano che gli anni passavano, rendersi conto che noi assomigliavamo sempre di più a quella che era Stefanie da bambina, e che Stefanie assomigliava sempre di più a quelli che eravamo noi da più giovani.
Il giorno prima era lei a guardare con sospetto le porte dell’asilo, quello dopo eravamo noi a sospirare e fare mille raccomandazioni quando lei usciva.
Quando ancora Stefi non poteva raggiungerlo ovunque andasse, era mio fratello a venire a casa nostra praticamente tutti i giorni, e lei gli si gettava addosso ridendo emozionata come non mai, strillando eccitata quando lui la prendeva in braccio e lei poteva rubargli il cappello e metterselo in testa. Poi guardava preoccupata la fascia di spugna che lui era solito portare e squillava:
- Zio Tom si è fatto la bua? -
Quando invece era adolescente, era lei a correre a casa sua almeno una volta alla settimana. Tom non è mai guarito del tutto dalla sua passione per le ragazze più giovani di lui, e Stefi ne diventava amica, di quelle ragazze, così che, spesso e volentieri, Tom se ne trovava in casa tre o quattro alla volta. E loro erano talmente occupate a ridere e chiacchierare tra loro da lasciar perdere tutte le scenate di gelosia che avrebbero potuto fargli. Finiva sempre che Tom si rifugiava a casa nostra, commentando sconsolato:
- Ma quand’è che è cresciuta così, tutto d’un colpo? –

C'è un cammino che è l'unica scelta
che domani farai
ci parliamo da grandi stavolta
sei pronta allora vai...se vuoi

Non saprei dirlo con esattezza, quand’è che sia cresciuta davvero.
Forse quando ha imparato a camminare e si è presa tutti i baci e le coccole che potevamo darle.
Forse quando si sedeva sul divano e si faceva raccontare di quando il suo papà era famoso in tutto il mondo, quando mi pregava di cantarle qualcosa.
Forse quando me la sono vista arrivare a casa con una serie di apparecchiature che sembravano essere state rubate da uno studio di registrazione, si è seduta accanto a me e mi ha comunicato che voleva incidere da capo tutto un cd dei Tokio Hotel, con le canzoni cantate da me e da lei, insieme, naturalmente senza lasciar fuori lo zio Tom.
O forse quando le ho chiesto che cosa avrebbe voluto fare “da grande”, anche se magari grande lo era già.
- Vivere – mi ha risposto, dandomi un bacio su una guancia e coricandosi comodamente sul mio petto, già pronta con l’elenco delle canzoni che aveva scelto per creare quel nuovo disco.
Insomma, è stata lei a rispondere a tutte quelle domande che mi ero posto negli anni precedenti.
E io ero soddisfatto: di lei, di Haylie, di me stesso. Sì, avevo avuto la pazienza di aspettare e ne era valsa la pena.
Eravamo davvero diventati grandi insieme.




P.s. ho provato a fare 8000 illustrazioni, ma mi piaceva solo questa: http://i27.tinypic.com/2qxuib8.jpg La pargola che ci interessa è la biondina al centro ^^ Proprio figlia di suo padre
  
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