Ma salve!
Non potevo partire per le vacanze e lasciare i miei fidi lettori senza
niente
di nuovo, dunque eccomi qui ^^
Ovviamente,
prima che me lo dimentichi, ribadisco che i Tokio Hotel non mi
appartengono e
che ogni cosa scritta in questa shot è unicamente frutto
della mia fantasia.
Questa one
shot, basata sulla stupenda “Ci parliamo da grandi”
di Eros Ramazzotti, è come
una outtake part di “Dimentica”, un regalo per chi
è rimasto male per il
finale, per chi avrebbe voluto che quella bambina nascesse. Insomma non
è parte
integrante della storia, è una specie di “What
if…?” di “Dimentica”: cosa
sarebbe successo se la bambina fosse nata e se Tom non fosse partito?
Ma è
anche solo una semplice one shot che nasce dalla mia naturale
predilezione per
il “mio” Bill, e cioè non quello vero,
non il Bill Kaulitz dei tabloid. Unica
differenza tra questi due Bill? Il mio, ce lo vedo benissimo a fare il
padre.
Questa
storia è dedicata alla mia fantastica mamma, per tutto
quello che fa ogni
giorno.
Buona
lettura!
Ci
parliamo da grandi
Inclinai
la testa di lato, allungando le labbra in un sorriso che sapeva tanto
di
smorfia. La risposta fu un gridolino ancora troppo flebile per
risultare
divertito.
- La stai
facendo agitare tutta, poverina – ridacchiò
Haylie, tenuta su da un paio di
cuscini ordinatamente sistemati dietro la schiena. La guardai con aria
innocente, reggendomi alla testata del letto per non scivolare, dato il
poco
spazio rimanente sul bordo del materasso.
- Agitata?
Lei? Come si vede che non mi hai guardato mentre facevo su e
giù per i
corridoi, cara la mia Haylie… - Le scompigliai
scherzosamente i capelli, mentre
lei metteva su un finto broncio.
- Ero
impegnata a fare altro, nel caso non te ne fossi accorto –
Era
incredibile. Fossi stato al suo posto, non ho idea di dove avrei
trovato la
forza per arrivare fino a quel punto. Ma Haylie era lì,
sorridente e più bella
del solito dopo ore di faticoso travaglio, con la nostra bambina tra le
braccia, e io… io la amavo più che mai. Sembrava
tutto così piccolo e normale!
- E già.
Che brava… - mormorai, dandole un bacio sulla fronte. Haylie
appoggiò la testa
sul mio petto, stringendo delicatamente tra le braccia il fagottino di
coperte
dentro cui stava la ragione della mia nuova felicità.
– Che brava, la mia
bambina – sussurrai a mò di presa in giro.
Haylie
alzò la testa e mi rivolse quello sguardo che non avrei mai
dimenticato, quello
sguardo che, per tutta la vita, avrei ricordato come l’inizio
di qualcosa di
nuovo.
- Non sono
più io la tua bambina – mormorò con un
mezzo sorriso.
Abbassando
lo sguardo sul faccino che spuntava dalle coperta rosa, mi accorsi che
quei due
grandi occhi azzurri, che poco prima mi scrutavano incuriositi, si
erano
chiusi. Strinsi Haylie con un braccio e sfiorai con una carezza quella
testolina così piccola e coperta solo da una leggerissima e
chiara peluria.
- Certo
che lo sei – Posai un bacio prima sulla sua fronte, poi sul
minuscolo nasino seminascosto da due pugnetti chiusi. –
Haylie e Stefanie… le mie due bambine –
Prendi
ora il più lungo respiro
punta
gli occhi nei miei
ci
parliamo da grandi davvero
se vuoi
Era uno
dei momenti della giornata che amavo di più, quando spuntavo
seminascosto dalla
porta della cucina e subito mi rispondeva una risata sdentata. Poi
entravo, mi
accovacciavo ai piedi del seggiolone e solleticavo con la punta delle
dita quel
nasino ancora incredibilmente piccolo.
- E’
tornato papà! – esclamava allora Haylie, anche se
magari aveva ancora le mani
occupate, anche se era divisa tra una pentola fumante e una pappa da
riscaldare. Ma per me era come se quelle parole venissero pronunciate
dalla
stessa bocca sdentata che mi salutava con un sorriso ogniqualvolta
entrassi a
sorpresa in cucina. Cosa che non era possibile, dato che Stefanie non
perdeva
un secondo per afferrarmi un dito con le manine minuscole e tentare di
mordicchiarlo con i denti che ancora non aveva.
- Ehi, ehi,
che fai? Guarda che questo non si mangia, non è buono e
soprattutto fa male! –
Ritiravo il dito, lei metteva su un piccolo broncio, io le facevo una
smorfia e
lei scoppiava a ridere.
Poi era la
volta di Haylie: metteva da parte pentole e biberon, mi correva
incontro, mi
stampava un bacio sulle labbra, anche lei metteva il broncio quando la
allontanavo tenendola per la vita.
- Ma
insomma, un po’ di contegno, cosa sono queste effusioni
davanti alla bambina? –
la rimproveravo per scherzo. Lei allora mi guardava di sbieco e poi si
vendicava.
- Amore,
sono stanca da morire… la fai mangiare tu oggi? –
E io non
avevo il tempo di rispondere perché lei, con un sorrisone
divertito, mi aveva
già messo in mano una tazza e un cucchiaino. Così
sospiravo e scuotevo la testa.
- Ho
capito… prepara la lavatrice –
Ma non
potevo fare a meno di sorridere, perché anche
l’ennesima maglietta da lavare
dopo la famosa “lotta della pappa” sapeva tanto di
famiglia.
C'è
un
dolore che è un viaggio da fare
che
come viene andrà
ci soffio
ma non può bastare
per ora
resta qua...con me
Ma poi
abbiamo capito che questo succedeva semplicemente perché
Stefanie era attratta
da tutto ciò che la circondava, osservava incantata quel
mondo non del tutto
familiare finché non inciampava da qualche parte o si
dimenticava completamente
della fame.
Era capace
di stare un giorno intero nella sua culla a guardare fuori dalla
finestra con
gli occhi spalancati, sì. Certo, ogni tanto si addormentava,
ma poi era di
nuovo lì, a scrutare il cielo come in cerca della sua stella
cadente.
Quando non
mangiava, Haylie stava in ansia per l’intera giornata.
- Ma ha
bisogno di prendere almeno qualcosa, altrimenti stanotte
starà sveglia per la
fame! –
Noi
dicevamo così, ma in realtà Stefanie aveva solo
bisogno di guardare, di
scoprire e anche, nel suo piccolo, di emozionarsi. Mentre
noi… noi avevamo
semplicemente bisogno di lei.
C'è
una
cura che è fatta di bene
ma il
bene cos'è?
e' la
fatica di un passo indietro
per
fare spazio a te
Ogni tanto
ero io a prenderla in braccio e metterla a sedere sul divano, ogni
tanto era
Haylie. Controllavamo che non si fosse fatta male e scoprivamo
puntualmente che
non c’era nessuna ferita, ma lei singhiozzava, e quelle non
erano altro che
lacrime di rabbia. Rabbia perché ancora non lo raggiungeva,
quel mobile,
frustrazione perché se voleva qualcosa doveva ancora
gattonare sul tappeto.
Lei voleva
camminare, e io non trovavo le parole per spiegarle che era ancora
presto, ma
che ce l’avrebbe fatta, come tutti i bambini.
Ogni tanto
mi inginocchiavo dal lato opposto della stanza e le sorridevo,
allargando le
braccia.
- Stefi,
Stefi, sono qui! Ci vuoi venire da papà? –
Lei rideva
e accennava una specie di corsetta verso di me, poi la corsa diventava
una
camminata barcollante e alla fine pum!, di nuovo a terra. Stessa cosa
quando
era Haylie ad accovacciarsi a qualche metro di distanza e a tenderle le
braccia.
Poi una
sera, mentre mezzo addormentato me ne stavo steso sul divano con Haylie
raggomitolata al mio fianco, la misi debolmente a fuoco. Il sonno mi
faceva
vedere solo una macchia colorata muoversi esitante verso di me, poi mi
stropicciai gli occhi e la vidi.
Stefi
era partita dal corridoio e si stava dirigendo verso di noi, pian
piano,
lontana da qualsiasi appiglio. Un braccio era dritto in fuori per darle
equilibrio, l’altro era teso verso di noi.
La
guardammo tutti e due, in silenzio, col fiato sospeso,
finché non arrivò
davanti a noi e si buttò sul divano, ridendo felice.
Lo capii
dopo averla presa e sistemata sui cuscini, dopo che le feci il
solletico e dopo
che rimanemmo minuti e minuti sul divano a coccolarla e riempirla di
baci per
quella sua piccola grande conquista: non voleva che i suoi primi passi
fossero
rivolti solo a me o ad Haylie. Stefanie aveva scelto di dedicarli a
entrambi.
Vale
una vita quest'istante segreto
che
piega tutti e due
che di
un silenzio fa un saluto
e da
una fa due vie
Ce lo
chiese per la prima volta, con una vocina flebile e tremolante, quando
vide le
grandi porte colorate dell’asilo, quel posto nuovo che le
metteva un po’ paura.
Haylie si
chinò su di lei e le accarezzò i capelli,
sorridendole. – Amore, tu non ci devi
andare. Continuerai a venirci solo se ti piacerà,
d’accordo? –
Chi ci
vedeva storceva il naso, un po’ per lo strano quadretto che
formavamo, noi che
più che genitori sembravamo fratello e sorella, un
po’ per le parole che
rivolgevamo a Stefi quando bisognava convincerla, che sapevano tanto di
bambina
viziata.
Ma non era
affatto così.
Stefanie
era allegra e libera, amava tutto quello che non sentiva come
un’imposizione.
Bastava farle capire che no, non era costretta a fare quella cosa,
poteva farla
solo se lo voleva, per renderle gradita una novità.
E anche
quella volta, il suo sguardo implorante si posò anche su di
me. – La mamma ha
ragione – le dissi. – Ci verrai solo se ti
piacerà –
Poi una
spintarella, un bacio e una carezza, e Stefanie correva.
Il
pomeriggio stesso, eravamo certi che avesse funzionato: Stefi era
felice.
- E’
bellissimo – disse entusiasta, sgranocchiando
l’ennesimo biscotto al
cioccolato. – Ci sono un sacco di bambini e abbiamo giocato
tutta la mattina.
Ci hanno fatto sentire la musica e ci hanno portato in giardino. Ci
hanno letto
delle storie e abbiamo fatto merenda. Mi sono divertita un sacco
– Ridacchiava,
la bocca e le mani piene di briciole. – Ci voglio tornare
anche domani, e
dopodomani, e il giorno dopo e quello dopo ancora! –
Perché
tutto l'amore che prendi
un giorno
lo ridai
quel
giorno si diventa grandi
o
grandi non si è mai
- Ma
secondo te è normale che io ami così tanto Stefi?
–
Io la
guardavo stranito e lei specificava: - No, perché vedo un
sacco di madri… ossessive,
opprimenti, di quelle che i figli non aspettano altro che levarsele di
torno.
Io non voglio diventare così –
- Tesoro,
mi sembra più che normale amare una figlia! Per il resto,
non mi sei mai
sembrata ossessiva né niente del genere –
Lei
metteva su un’aria pensierosa e con il dito tracciava linee
immaginarie sul mio
petto. – Haylie, c’è qualcosa che non
va? –
- No, è
che… è come se, man mano che lei cresce, io
diventassi più piccola – sospirava
lei. – Magari un giorno non sarò più un
punto di riferimento, per lei… -
Io la
baciavo e dicevo che erano sciocchezze, ma non potrei negare di essere
stato
assalito da interrogativi del genere. Ero sempre quel ragazzo un
po’ troppo
magro e con i capelli tinti che giocava a fare il padre, per chi ci
vedeva
dall’esterno.
Curioso
pensare che persino l’amore sviscerato che provavamo per la
nostra bambina ci
facesse quasi paura. Ma c’erano sempre quei piccoli segnali
che, giornalmente,
ci rassicuravano: non stavamo sbagliando.
Come
quando al supermercato, mentre Haylie cercava sotto uno scaffale la
lista della
spesa e io tenevo in bilico tutto ciò che non entrava
più nel carrello,
Stefanie si allontanava quatta quatta e attaccava discorso con una
vecchietta al
banco della verdura.
Finiva
sempre che la vecchietta in questione ce la riportava tenendola per
mano e
ridendo ancora per la chiacchierata.
- Avete
una bambina meravigliosa –
Haylie
sorrideva come per scusarsi e prendeva Stefi in braccio. – Mi
scusi se l’ha
disturbata, signora –
- Ma no,
ma che disturbo! E’ così dolce, così
simpatica… Si vede che le volete molto
bene – La vecchietta sorrideva ancora, passando una mano tra
i morbidi capelli
biondi di Stefi. Poi guardava i miei, di capelli, e quelli rossi di
Haylie. – E
poi, com’è bella! Ma da chi li ha presi questi bei
capelli biondi? –
Io e
Haylie ci guardavamo e ci veniva un po’ da ridere:
sì, era da un po’ che avevo
tagliato i capelli, ma il coraggio di tornare al mio colore naturale
sarebbe
arrivato molto più tardi.
Tu
vai
tu
corri io sto
tu hai
chiesto io do
siamo
grandi o no?!
Il giorno
prima era lei a guardare con sospetto le porte dell’asilo,
quello dopo eravamo
noi a sospirare e fare mille raccomandazioni quando lei usciva.
Quando
ancora Stefi non poteva raggiungerlo ovunque andasse, era mio fratello a venire a casa nostra
praticamente
tutti i giorni, e lei gli si gettava addosso ridendo emozionata come
non mai,
strillando eccitata quando lui la prendeva in braccio e lei poteva
rubargli il
cappello e metterselo in testa. Poi guardava preoccupata la fascia di
spugna
che lui era solito portare e squillava:
- Zio Tom
si è fatto la bua? -
Quando
invece era adolescente, era lei a correre a casa sua almeno una volta
alla
settimana. Tom non è mai guarito del tutto dalla sua
passione per le ragazze
più giovani di lui, e Stefi ne diventava amica, di quelle
ragazze, così che,
spesso e volentieri, Tom se ne trovava in casa tre o quattro alla
volta. E loro
erano talmente occupate a ridere e chiacchierare tra loro da lasciar
perdere
tutte le scenate di gelosia che avrebbero potuto fargli. Finiva sempre
che Tom
si rifugiava a casa nostra, commentando sconsolato:
- Ma
quand’è che è cresciuta
così, tutto d’un colpo? –
C'è
un
cammino che è l'unica scelta
che
domani farai
ci
parliamo da grandi stavolta
sei
pronta allora vai...se vuoi
Forse
quando ha imparato a camminare e si è presa tutti i baci e
le coccole che
potevamo darle.
Forse
quando si sedeva sul divano e si faceva raccontare di quando il suo
papà era
famoso in tutto il mondo, quando mi pregava di cantarle qualcosa.
Forse
quando me la sono vista arrivare a casa con una serie di
apparecchiature che
sembravano essere state rubate da uno studio di registrazione, si
è seduta
accanto a me e mi ha comunicato che voleva incidere da capo tutto un cd
dei
Tokio Hotel, con le canzoni cantate da me e da lei, insieme, naturalmente senza lasciar fuori lo zio Tom.
O forse
quando le ho chiesto che cosa avrebbe voluto fare “da
grande”, anche se magari
grande lo era già.
- Vivere –
mi ha risposto, dandomi un bacio su una guancia e coricandosi
comodamente sul
mio petto, già pronta con l’elenco delle canzoni
che aveva scelto per creare
quel nuovo disco.
Insomma, è
stata lei a rispondere a tutte quelle domande che mi ero posto negli
anni
precedenti.
E io ero
soddisfatto: di lei, di Haylie, di me stesso. Sì, avevo
avuto la pazienza di
aspettare e ne era valsa la pena.
Eravamo
davvero diventati grandi insieme.