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Autore: niky999    09/02/2014    2 recensioni
E se esistesse un mondo popolato da creature mitologiche?
E se questo mondo fosse diviso in regni?
E se a capo di uno di questi regni ci fosse una semidea?
E se questa semidea fosse temuta dall'Olimpo e persino dalle Parche?
E se le Parche volessero spezzare il filo della sua vita?
E se lei, la Triade, fosse in grado di cambiare il suo destino e distruggere l'Apocalisse?
"Questa volta le Parche non vinceranno. Quest'era sarà diversa."
Apocalisse - I - Guerre tra Regni.
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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APOCALISSE

Guerre fra Regni.



1. La profezia.
-Prima di iniziare vi prego di recensirmi, ho bisogno di sentire i vostri pareri! 
Ad ogni capitolo ringrazierò in alto le 'anime sacrosante' che lo hanno fatto. 

Buona lettura.






L’ululato dei lupi interruppe i miei sogni e spezzò il piacevole canto degli uccelli.
Aprii leggermente i miei occhi a mandorla color smeraldo e fui travolta dalla luce che il sole già emanava nelle prime ore del giorno. Mi coprii il viso con un braccio e piegai leggermente la testa di lato; affianco a me un ragazzo alto e slanciato, i capelli mori pettinati perfettamente e il fisico asciutto e muscoloso in bella vista, coperto solo da una camicia di seta sbottonata e da pantaloni nocciola stretti dalle cosce in giù; alla caviglia destra un filo d’oro attorcigliato e lasciato molle per non fermare il sangue.
A differenza di qualche anno fa non mi spaventai della sua presenza improvvisa. Mi ero ormai abituata al suo continuo scomparire e riapparire,  come il fantasma Jhon, ma di lui vi parlerò più tardi.
“Mi hai seguita anche questa volta.”
“Lo faccio sempre” sorrise impercettibilmente e fece un profondo inchino. “Principessa Aranel.” odiavo quando mi mostrava le sue riverenze. Detestavo chiunque lo facesse e lui lo sapeva bene, sapeva sempre come farmi innervosire. Mi sembrava di avere a che fare con gli Spiriti Birvon, animaletti bassi e rotondetti avvolti da un mantello marrone riccioluto, il cui unico scopo è burlarsi di ogni essere che gli capiti a tiro. Una volta uno di questi mi aveva lasciata penzoloni con un piede legato su una quercia devastata dalle formiche. Purtroppo per lui non fu difficile liberarmi: mi inoltrai con la mente nell’anima dell’albero, i cui rami slegarono la corda e scacciarono il formicaio. Dopo di che, non fui più un loro bersaglio ma in compenso si sfogarono su parecchi centauri, di certo non conosciuti per la loro spiccata intelligenza. In ogni caso, se pensiate che non ci possa essere di peggio che entrare nel mirino di un Birvon, non avete ancora conosciuto Faramir.
“Faramir Hinna, non è divertente.” replicai. Anch’io conoscevo i suoi punti deboli e uno dei tanti era chiamarlo per esteso. Forse era ciò che lo innervosiva di più.
Lui scoppiò in una risata che aveva qualcosa di angelico, quasi divino. Forse perché entrambi eravamo semidei e difatti lui doveva essere figlio di Apollo. Io, invece, non avevo la minima idea di chi mi avesse messa al mondo e i miei genitori non si degnavano di darmi qualche indizio. Nemmeno gli dei si scomodavano a dirmelo, perciò col tempo avevo iniziato a rifiutare questo mio ruolo e ad accettarmi come comune mortale, visto che la mia carica di semidio non interessava nemmeno un po’ all’Olimpo. Comunque, allungò la mano e mi aiutò ad alzarmi in piedi; in quel momento notai profondi tagli incisi nella pelle del braccio e contornati da sangue secco.
“Che hai fatto?” domandai preoccupata. Non c’era volta che non si cacciasse nei guai; quando lo incontravo era sempre pieno di sangue in qualche parte del corpo, tanto che ormai ci avevo quasi fatto l’abitudine, a domandarglielo.
Più che di Apollo sembrava  proprio il figlio della dea della caccia, Demetra, o magari era anche frutto della loro unione. Anche nel suo caso, comunque, le informazioni erano ben poche.
Faramir allungò lo sguardo sulle ferite:
“Oh, niente. Sono caduto da un albero e mi sono graffiato tutto, non ci fare caso. Comunque mi vuoi spiegare perché ti fa così tanto arrabbiare essere considerata quello che sei?”
“Perché io non voglio essere quello che sono.” ripetei. Forse quella era la milionesima volta che gli rispondevo in quel modo, ma sembrava ostinarsi a non capirlo e ogni qualvolta si presentasse l’occasione mi chiedeva sempre la stessa cosa. “Lo sai bene, comunque.” concentrai il mio sguardo sui suoi tagli e li guarii, cancellandone le tracce.
“Cosa?”
“Perché non mi piace esserlo, dico, lo sai bene.” feci, infilando la mia spada nel fodero e iniziando a camminare. Il vento si sollevò leggermente e i miei capelli neri e fibrosi presero a svolazzare sopra le mie spalle.
“Non puoi continuare a negare te stessa. Io fossi al tuo posto sarei felicissimo della mia carica! “ ammise, trascinando i suoi passi dietro ai miei. “Comanderei interi eserciti, darei un contributo agli altri Regni, un’opportunità ai popoli sotto il dominio di Galvor.” fantasticò; lo sguardo fisso nel cielo tinto di un rosa e un’arancio spettacolari,  fuori dal comune.
Non potei soffocare una lieve risata:
“Pensi che se ne avessi la possibilità non lo farei anch’io? E’ facile dirlo ma, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Galvor è potente, fratello. Non basterebbe l’intera Anpheas per farlo inginocchiare davanti a noi.” Replicai, allungando di un poco il passo e scavalcando le gonfie radici che ostruivano il passaggio.
Faramir fece una piccola pausa prima di spiegarmi ciò che aveva in mente:
“Non Anpheas, certo. Ma se riuscissimo a convincere anche gli altri Regni… forse qualche speranza ci sarebbe, sorella. Pensaci, un’armata composta da milioni e milioni di guerrieri che combattono da anni. Guerrieri esperti, ribelli, pronti a tutto pur di liberarsi dall’oppressione che li schiaccia ormai da secoli, dalla frustrazione e dalla sottomiss..”
“Hanno troppa paura per rivoltarsi contro Galvor, non è una situazione facile quella che viviamo.” Lo interruppi subito, iniziando quasi a correre lungo il sentiero spinoso che portava alla Cascata Florial, dal nome della fata che diede vita alle sue acque.
“Speranza, sorella. L’unica cosa che può sconfiggere la paura è la speranza. Nel profondo del nostro animo arde un piccolo braciere. Sta a noi alimentare le sue fiamme o indebolirle. Non possiamo permettere che si spengano! Dobbiamo ribellarci, dobbiamo agire e..”
Non fece in tempo a terminare ciò che stava dicendo che sfilai la spada dal fodero e voltandomi gliela puntai contro, continuando a camminare a passi lenti.
“Questo discorso finisce qui!” sbottai, con sguardo greve. Mentre il frastuono delle acque che si infrangevano sulle rocce era ormai a due passi da me, feci un lungo fischio acuto e mi buttai all’indietro con virtuosismo, atterrando perfettamente sulla sella di Cinerea, il mio drago nero. 
“Ho sentito i vostri discorsi.” i suoi occhi mutarono in braci ardenti e la sua voce si inoltrò nella mia testa. “Non ha poi tanto torto.” Cinerea abbassò leggermente quota e sbatté le sue enormi ali verso il Castello di Anpheas.
“Non ti ci mettere pure tu.” sbuffai, stringendo le dita attorno alla sella e concentrandomi a tenere saldo l’equilibrio.
“Dico sul serio, Aranel. Se vogliamo veramente dare una svolta a questa situazione è necessario agire, prima che sia troppo tardi. Le cose non si sistemano da sole, men che meno stando fermi ad aspettare. Non sempre il tempo è la cura ad ogni male, devi tenerlo presente.” replicò il drago, spostando la traiettoria leggermente verso destra.
“Vedi, io non voglio che tutto questo sia guidato da me. Non voglio avere tutto il peso delle possibili morti dentro. Non voglio, Cinerea. Non sono la persona che crediate io sia. Non voglio essere quello che sono, vorrei non aver mai acquisito tutti questi poteri. Detesto coloro che mi ammirano, perché sono io ad ammirare loro. Tutte queste responsabilità… non fanno per me. Mi capisci, sorella? Mi capisci?” gridai esasperata nella sua testa. Trattenni a stento le lacrime, ricacciandole indietro e sentendole bruciare tremendamente.
“Se il destino ha deciso che sia tu a prendere le redini di Anpheas, a governare sugli elementi, vuol dire che è cosa giusta. Se non lo fai tu, non può farlo nessun altro ed è ora che tu lo capisca.” ringhiò Cinerea e purtroppo non potevo biasimarla. Solo allora mi accorsi che la gola mi bruciava terribilmente, i muscoli del mio corpo erano flessi come corde di violino e la bocca  era contorta in una smorfia di dolore. Un colorito rossastro doveva ormai aver dipinto la mia pallida carnagione, considerando le fiamme che ardevano furiose sulle mie guance rigate dalle lacrime. Ahimè, non ero riuscita a trattenerle molto a lungo.
Alzai lo sguardo sulle Mountains Rold, ammirandone le cime perfettamente levigate. Sicuramente era opera dei Phills, spiriti della natura, le cui sagome sinuose sono nascoste dall’invisibilità. Ma, se non le si guarda direttamente, si può scorgere con la coda dell’occhio una nebbiolina trasparente grande all’incirca un centauro.
‘C’è sempre una falla nel sistema’ mimai con le labbra, incontrando il ricordo di Mad, l’Oracolo, un’elfa anziana e minuta con i lineamenti marcati dalle rughe e la carnagione olivastra. I suoi occhi si illuminavano di un verde anormale non appena pronunciava le sue profezie, mentre i suoi capelli, ormai, si erano ridotti a un caschetto grigiastro un po’ spelacchiato, che le conferiva l’immagine di una mortale affranta, stanca di recitare la morte altrui e distrutta dall’età. Non ci voleva troppo per capire che ben presto gli dei l’avrebbero sostituita con qualche altro elfo, come quando si finiscono le pagine di un libro. Ti regalano saggezza, ti raccontano magnifiche storie, in un certo senso si fanno amare, ma poi non ci sono più pagine da sfogliare e inizi a leggere nuovi racconti. Per loro eravamo macchine usa e getta, categoricamente inferiori a loro e inutili sotto tutti gli aspetti.
Cinerea virò a sinistra e il vento accarezzò dolcemente il mio volto, asciugando le lacrime che mi si erano accumulate sul mento. Sorvolammo i verdeggianti Campi Elphas e il piccolo edificio che poco prima si scorgeva all’orizzonte ora si prostrò dinanzi a noi in tutta la sua imponenza.
Quattro giganti torri disposte a formare un rettangolo sembravano trapassare il cielo con le lunghe punte delle loro cupole. Nel mezzo pareva ci fosse un unico blocco di cemento, punteggiato di fiori sbocciati nelle sottili fessure tra i mattoni, mentre al centro della facciata rivolta verso est imponeva un enorme drago scolpito sulla pietra appartenente alla stirpe degli Elgor, la più potente sulla faccia della Terra. Cinque ne facevano parte: Speranza, dalle dimensioni pari a venti Ciclopi Grolvos, ricoperto da scaglie smeraldo. La sua grandezza dipendeva dalla quantità di speranza che raccoglieva, così come il verde brillante che lo avvolgeva. Aveva la testa sproporzionata rispetto al resto del corpo perché questo sentimento è sprigionato dal proprio animo, e spesso non dal pensiero; Ragione, il suo opposto in tutto e per tutto, con scaglie color porpora e naturalmente la testa enorme; Argos, discendente di Ares, dal manto e dalle iridi rosso sangue con grandi zanne al posto delle piccole unghie dei suoi fratelli e due lunghe corna sulla fronte; Flavios, dalle squame bluastre e dalle candide iridi, la cui forma era abbastanza sottile e piuttosto allungata, come se l’intero popolo dei Phills l’avesse levigata come le Mountins Rold. Al contrario di Argos proteggeva la pace e la fratellanza tra i popoli; Apocalisse, un dragone nero pari al doppio di Speranza, dalle dimensioni perfettamente proporzionate e dagli occhi vitrei. Il suo compito era profetizzare e per questo ogni singolo mortale lo temeva. Quasi tutte le sue profezie parlavano di futuri atroci, immagini cruente che ben presto avrebbero trascinato tutti noi negli Inferi, al cospetto di Ade. Per questo in molti lo evitavano e lo disprezzavano, arrivando quasi a considerarlo causa delle profezie funeste che si riversavano su di loro. Purtroppo la stessa sorte toccava all’Oracolo, ma le Parche, oltre a tenerla sotto il loro perpetuo controllo, una volta stabilito il compimento del suo dovere tagliavano il filo della sua vita e neppure gli dei potevano impedirlo in quanto inferiori. In ogni caso questa era un’idea che non gli sarebbe mai passata per la testa. In fondo, cosa importava all’Olimpo di noi?
Cinerea abbassò quota bruscamente e atterrò sul morbido sentiero a pochi metri dal portone principale del castello, sollevando grandi nuvole di polvere.
L’odore acre dell’erba bagnata travolse i miei sensi, alimentando il verde delle mie iridi e venando i miei occhi di clorofilla; potevo sentire il respiro della natura premere sulla mia pelle.
Abbandonai la morsa che mi avvinghiava alle redini di cuoio e ruotando la gamba destra dietro di me mi buttai giù da Cinerea, atterrando sull’erba e bagnandomi le caviglie dalle gocce di pioggia che la ricopriva. Per un attimo parvi spaesata non avvertendo il dolce strisciare della terra e delle pietre sui piedi, poi mi ricordai di aver indossato le scarpe la sera prima, cosa che di rado facevo e mi accorsi che in quell’istante le mie labbra avevano accennato un sorriso fugace.
Rimasi sorpresa tastandomi la bocca, cercando di immaginare il motivo di quell’improvvisa felicità, ma non mi venne in mente niente. Erano mesi che non sorridevo in modo così naturale, ma non sapevo spiegarmi il perché di tanta tensione. Forse negli ultimi tempi avevo lavorato troppo, o forse era a causa di una delle profezie di Mad:
“Il Cerchio dei Cinque ben presto morirà se uno di loro non lo salverà. Una guerra tra i regni si scatenerà e la Triade …” proprio in quel momento l’Oracolo si era risvegliato dalla sua improvvisa trance, come se le Parche volessero dare un effetto a sorpresa alla cosa oppure semplicemente tenerci sulle spine per farci stare all’erta. Ma la cosa peggiore era che la Triade, la ragazza prescelta dai tre poteri divini… ero io.

-Nota:
Volevo domandare ai lettori che sono arrivati sin qua per quale motivo
il testo della storia mi appare marcato e in grassetto se non è stato inserito. °-°
Grazie a chi mi darà risposta. ♥
  
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