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Autore: unicorn_inthemind    09/02/2014    5 recensioni
[Mermaid!AU]
In un'epoca indefinita, mentre le navi solcano ancora i mari scontrandosi con letali mostri marini, Rei Ryugazaki è un giovane con i piedi troppo per terra per credere all'esistenza di tali creature.
Un libro di mitologia marina, capitatogli in mano per caso, lo porterà a conoscere degli esseri per cui si spingerà in un viaggio quasi suicida per mare.
Sirene, le aveva chiamate quel pescatore - belle e fatali - ma Rei non gli aveva creduto. Era disposto persino a raggiungere la Grotta Verde e ritornare pur di dimostrare l'inesistenza di quelle creature.
Ma se quei mostri, quelle leggende, si rivelassero veri?
[...]
«Non sono una sirena, sono un tritone. Tri-to-ne.» protestò Nagisa agitando leggermente infastidito la coda color porpora.
Rei sbatté più volte le palpebre, non poteva essere vero. «Non è possibile.»
«Ma ti ho salvato dal Kraken, Rei-chan.»
«Non è possibile.»
«Ho curato le tue ferite con la mag-...»
Rei scosse la testa, risdraiandosi e chiudendo gli occhi con forza.
«La magia non esiste, e nemmeno tu. Sto delirando perché ho bevuto troppa acqua del mare. Quando mi sveglierò non ci sarai.» e si rifiutò di riaprire gli occhi.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The sun is blazing on my armor.


«Senpai, quello è un umano
«Nitori, stai zitto»
«Ma sen-...»
«Ssh!»

Lì dove l’acqua lentamente cala il suo livello, dove l’Oceano china il capo alla Terra, due giovani tritoni si stringevano dietro ad una serie di scogli, tentando di rimanere celati alla vista degli altri.
Nitori avrebbe voluto dire diverse cose, in quel momento, tipo chiedere perché mai dei tritoni ronzassero attorno ad un umano come se fossero amici, perché loro, invece, si fossero nascosti; ma rimase zitto nel suo piccolo riparo, con in gola il timore di venire nuovamente sgridato dal suo senpai.
Le spalline bronzee gli pesavano addosso, così come le gomitiere e la serie di protezioni alla coda del medesimo materiale. Rin, al suo fianco, muoveva infastidito la pinna con piccoli schiocchi; era una pinna grossa, grigia e da predatore, da squalo. Piccole cicatrici la segnavano.
Senpai, cosa facciamo? Senpai, dovremmo avvisare gli altri. Senpai, siamo soldati della Guardia, dovremmo intervenire, quell’umano potrebbe essere pericoloso per il Regno.
«Tsk.», disse Rin a mezza voce, scoprendo i denti affilati, «Tu resta qui, io mi avvicino.»
Nitori rimase ben fermo nel suo rifugio, muovendosi appena nell’acqua bassa, mentre lui scivolava in avanti per vedere meglio ciò che avveniva a pochi metri da loro.
 
Haruka si era fermato, lo aveva fatto di colpo; Makoto aveva proseguito verso avanti, ma lui no, si era paralizzato. Si guardava attorno, lo sentiva che c’era qualcosa, lo percepiva.
L’acqua si muoveva placida, non un’onda anomala ne increspava la superficie, solo il sottofondo dell’Oceano e il rumore dei ragazzi poco più lontano, null’altro. Haru credette di essersi sbagliato, fece per girarsi, raggiungere il gruppo e mescolarsi con loro; ma qualcosa sfavillò appena, un lieve brillio nell’angolo dell’occhio, che avrebbe potuto tranquillamente essere il riflesso del sole sul blu dell’Oceano.

Vicino ad un gruppo di scogli – non sembrava neppure si stesse nascondendo davvero -  un giovane tritone lo osservava con un’espressione torva, a metà tra il disprezzo e la sfida; tra i fili rossi correva una lisca di pesce.
Rin?, Haruka rimase totalmente immobile a guardarlo, sebbene la sua espressione fosse rimasta immutata, i suoi occhi sembrarono emettere un grido tutto loro. Le sue pupille graffiavano la figura di quel giovane, la prendevano, la sbattevano per assicurarsi che fosse reale, che fosse lì, che non se lo stesse solo immaginando.
Erano anni – anni -  che nessuno dei suoi vecchi amici lo vedeva, né Haruka, né Makoto, né Nagisa lo avevano visto; ed ora eccolo lì, di fronte a lui, col sole che accendeva l’armatura della Guardia sulle sue spalle.
Rin scoprì ancora una volta i denti affilati da predatore, un secondo «Tsk» sfuggì dalla sua bocca. Poi, semplicemente, si girò e nuotò via veloce: probabilmente aveva già avuto quello che voleva.
 
«S-senpai...», Nitori provò ad aprire bocca, vedendosi arrivare incontro il compagno d’armi, ma Rin  ci mise un attimo a zittirlo.
Un gesto secco, uno sbuffo stizzito, e poi nuotò via, dritto e veloce tanto che l’altro fece alquanto fatica a stargli dietro.
Co’era appena successo? Perché Rin era filato via tanto da sembrare un codardo? Perché Rin, subito dopo, non sarebbe andato dai suoi compagni della Guardia a rivelare cosa aveva appena visto (e avrebbe impedito ciò anche a Nitori)?
Non era intimorito, nè preoccupato, o un traditore della sua specie, solo che voleva sapere che cosa volevano farne esattamente Haruka e gli altri di quel ragazzo. E poi, era solo un umano, non era una minaccia – solo una scocciatura – lui o chiunque altro ci avrebbe messo un attimo ad ucciderlo se si fosse rivelato pericoloso.
 

L’acqua schizzava ovunque. Schizzava sulla testa di Rei, su quella di Nagisa, sulle braccia tese di Makoto che nuotava in cerchio; l’acqua schizzava sull’acqua e tornava nel suo ciclo eterno.
Haruka aveva preferito non lasciarsi sfiorare da quelle gocce, da quel groviglio un po’ confuso che erano Rei che batteva i piedi e Nagisa che rideva ogni volta che affondava, e Makoto che girava, e mani, code, due gambe. Haruka se ne era tirato fuori, preferiva rimanere in silenzio in un angolo ed osservare.
«Rei-chan!», disse Nagisa riemergendo dall’acqua e trascinando con sé il corpo dell’umano – affondato come un sasso per l’ennesima volta.
«Rei-chan, devi concentrarti!», e poi: «Pensa di essere una piuma, Rei-chan!», e ancora: «Non sei mica un sasso!». Ma più il tempo passava, più il numero di volte in cui Rei non riusciva a rimanere sospeso a pelo d’acqua aumentava.

Sirene e tritoni nascono con Abilità speciali, non le scelgono né le acquisiscono con il tempo, se le ritrovano componenti del loro patrimonio genetico sin da prima ancora di venire al mondo:
Abilità di Cura, per guarire ferite e, talvolta, malattie proprie e altrui.
Abilità di Richiamo, per lanciare richiami – sotto forma di melodie – alle creature dell’Oceano, dai semplici pesci ai propri stessi compagni.
Abilità di Potenziamento, le più rare, le più strane, per potenziare un senso – come la vista o l’udito -, la forza, la velocità o quant’altro.
Abilità di Attacco, per, come suggerisce il nome, attaccare: sirene e tritoni con Abilità di Attacco, infatti, sono capaci di creare armi o simili.
E, infine, Abilità di Difesa, per creare scudi o barriere per proteggersi, o proteggere gli altri.

Il corallo scintillava brillante, sul capo di Makoto. Un robusto ramo rosso agghindava il lato destro dei suoi capelli castani, manifestando così la sua Abilità di Difesa. Anche solo un piccolo pezzo di quel corallo, se staccato, si moltiplicava in fretta, costruendo una dura barriera ampia quanto il tritone desiderasse. In quel caso, però, Makoto aveva preferito fare un uso improprio della sua Abilità; staccando un pezzo del suo corallo, lo aveva lasciato accrescersi e plasmato per formare una sorta di piccola tavola per aiutare Rei a restare a galla.

Era difficile da spiegare ciò che il corpo trasmetteva a Rei. Galleggiava. Le mani strette sulla tavoletta, le gambe stesse, il capo alzato. Battere i piedi uno alla volta – destro, sinistro, destro, sinistro... -, gambe stese ma non in tensione. Evitare il più possibile di schizzare, mantenere i piedi sotto il pelo dell’acqua, non schizzare.
La teoria la conosceva, era sicuro di ciò, ed ogni volta che Nagisa o Makoto lasciavano le sue mani, o che lui stesso si staccava dalla tavoletta si diceva: «Ce la faccio!». E ce la faceva davvero, rimaneva fermo a galleggiare, muoveva le mani e i piedi con una tecnica che rasentava il perfetto; ma non si muoveva di un millimetro – strano a dirlo – e in più andava via via affondando.
E Nagisa si grattava la testa, non capiva, «Stiamo sbagliando qualcosa...», diceva, ma neppure lui sapeva cosa. Quanto a Rei, aveva preferito affrontare il problema con metodo, si era arrovellato in calcoli a mente, aveva elaborato teorie per cui il suo non riuscire a nuotare era colpa della temperatura dell’acqua, della profondità, dei suoi stessi indumenti – al punto di ridursi letteralmente in mutande. Ma, naturalmente, nessuno dei suoi assurdi tentativi aveva funzionato.


La tavoletta di corallo risplendeva sotto i raggi delle ore più calde quando i ragazzi si erano arresi (per quel giorno) ed erano tornati a riva, se ne stava adagiata sulla sabbia di quell’isolotto, insofferente e grezza. E lì su quella spiaggia Haruka aveva rivelato ai compagni di aver visto Rin, che li stava spiando, ma non aveva fatto nulla, se ne era andato senza muovere un dito. Ed indossava l’armatura della Guardia.
Naturalmente Rei non aveva idea di chi fosse Rin o cosa fosse la Guardia, ma comprendeva a pieno il concetto del “qualcuno ci ha visti”. Non poteva negarlo, la prima volta che aveva visto Haruka e Makoto, lì sulla spiaggia, si era sentito teso come una corda di violino.
«Rei-chan, loro sono miei amici!», aveva detto, eppure l’istinto di sopravvivenza che scatta nella preda alla vista del predatore era scattato anche in Rei, intimandogli di mettere in moto il cervello e iniziare a calcolare le sue possibilità di sopravvivenza a quell’incontro.
Makoto e Haruka, come aveva detto Nagisa, si erano però rivelati amichevoli; questo Rin invece era un’incognita, e dalle facce degli altri poteva chiaramente evincere che quella non era una bella notizia.

L’espressione di Haruka era rimasta quasi immutata, solo lo sguardo più cupo e malinconico segnalava il quasi impercettibile mutamento del suo umore, sembrava perso in qualcosa di lontano e doloroso; Makoto, invece, mostrava a pieno le sue emozioni, che spaziavano dall’incredulità alla preoccupazione.
Nagisa invece non faceva altro che continuare a domandare: «Rin-chan? Rin-chan. è tornato?», «Rin-chan è nella Guardia?», e poi «Dite che era arrabbiato?», e ancora: «Che facciamo adesso?». Ma nessuno di loro sapeva da dove iniziare a mettere mano.
Il resto del giorno era passato abbastanza in fretta, i ragazzi si erano dati da fare e avevano allestito una sorta di piccolo riparo per la notte, fatto di una serie di quattro treppiedi in legno collegati da altri quattro lunghi bastoni e coperti dai lunghi e verdi rami delle palme per tetto. Se avessero posizionato altri rami di palma in verticale, per coprire gli spazi vuoti tra un treppiedi e l’altro, sarebbe stato facile costruire una sorta di abbozzo di pareti.
 

Solitamente, il momento migliore per pensare, durante l’arco della giornata, è la sera. Curioso a dirsi.
Assieme al Sole, dopo il tramonto, la luce viene sempre più a mancare, privando l’uomo del senso più importante: la vista. E proprio per compensare questa mancanza il corpo umano acuisce tutti gli altri sensi: affina l’udito, sensibilizza il tatto e rende più vigile e attenta la mente. E forse è proprio in virtù di questa maggiore vitalità che la mente elabora concetti più complessi, più profondi.

O forse, semplicemente, nel momento stesso in cui si smette di lavorare e si trova un attimo di pace, la mente è libera di non donare più grande peso alla globalità del mondo esterno e concentrarsi sull’interiorità del singolo individuo.
Nagisa, doveva dirlo, era insostenibile.
Per tutto il giorno era scappato da un angolo all’altro della spiaggia, trascinando da una parte all’altra legni e corde (trascinate a riva dalla marea assieme ad un paio di casse e assi rotte). Aveva iniziato a legare assieme i tre legni per il treppiedi; ma aveva abbandonato il lavoro per piantare nel terreno i treppiedi già costruiti dagli altri, e poi aveva sparpagliato ovunque i rami delle palme che servivano per il tetto.
Rei aveva sentito più volte il bisogno di gridare esasperato, ma si era trattenuto. E adesso tutta quella fatica e quel nervosismo avevano lasciato spazio solo ad una grande stanchezza, non aveva neppure voglia di contraddire Nagisa che gli si era addormentato scompostamente sulla spalla e che gli stava sbavando addosso.
Era caos, quel ragazzo, un’accozzaglia di gesti fatti senza pensare, frasi eccentriche, modi di fare esuberanti; l’esatto opposto del preciso e metodico Rei.

«Nagisa-kun?», lo chiamò, scrollando appena la spalla.
«Nagisa-kun, cosa succederà quando avrò imparato a nuotare?»
Il diretto interessato strofinò la guancia contro la spalla nuda di Rei, la camicia la indossava lui, dopo che l’umano si era (di nuovo) lamentato della totale assenza di pudore in lui. Si era tolto la camicia e gliela aveva abbottonata addosso, ammirando poi il lavoro ultimato, che consisteva in Nagisa infagottato in una camicia un po’ strappata all’altezza dei polsini che gli calzava larga sulle spalle e gli arrivava metà coscia.
Lo guardò con gli occhi grandi e scuriti dalla sera.
«Umh...», fece una smorfia, «Non lo so... Nuotiamo fino a casa tu-...»
«Na-Nagisa-kun, è un tratto lunghissimo! Sei matto?!»
Nagisa si buttò all’indietro sulla sabbia, fredda tanto da sembrare bagnata; a dire la verità mica lo sapeva che potevano fare, non ci aveva pensato. Rei doveva imparare a nuotare, stop. Poi non lo sapeva.


«Non lo so, Rei-chan...», ed era un po’ dispiaciuto. Davvero.
Rei sospirò arreso, si aspettava una risposta del genere, in un certo senso. Si gettò anche lui all’indietro, sulla sabbia fredda che punzecchiava le spalle.
«Rei-chan, secondo te quante stelle ci sono?»
«Beh, contarle è impossibile, l’Universo è troppo vasto e da questa posizione si può solo fare un’approssimazione matema-...»

«Rei-chan.»

Rei si tirò su appena, perché Nagisa aveva parlato in maniera troppo seria. Che poi non sapeva neppure se definire o meno serio quel tono di voce, era a metà tra il grave e il triste, come i bambini quando devono parlare di qualcosa di importante e brutto.
«La Guardia sono militari, se Rin-chan avesse detto qualcosa sarebbero già qui. Ma a quanto pare non ha detto niente, ma devi sbrigarti ad andare via...»

Silenzio, Nagisa rotolò su un fianco: «Rei-chan!», la voce nuovamente squillante, «Rei-chan, ti voglio bene, non voglio che tu te ne vada!», ma che differenza faceva che gli volesse bene o meno? Comunque lui se ne sarebbe dovuto andare, quello non era un mondo che gli apparteneva.

Se Rei fosse stato scoperto, glielo avrebbero portato via. Lo avrebbero catturato, incatenato, processato. Forse sarebbe stato ucciso, forse imprigionato per sempre. C’erano delle sirene, a corte, la cui Abilità di Potenziamento era quella di cancellare la memoria, forse sarebbero intervenute loro. Naturalmente non parlò di questo a Rei, non voleva spaventarlo o allarmarlo («Rei-chan, che costellazione è quella là?»)
E poi anche lui sarebbe stato processato, per tradimento; ma gli importava di più di Makoto e Haruka, perché aveva coinvolto anche loro, perché li aveva coinvolti senza che ci centrassero nulla con quella storia.
Anche loro sarebbero stati processati per tradimento, probabilmente, e Nagisa non voleva che fosse fatto del male ai suoi amici per colpa sua.

Perché per il tradimento c’era solo e solo una pena, più brutale della morte, più crudele, più dolorosa e umiliante: la Bruciatura.




Angolo autrice:
Sì, pubblico dopo un secolo.
Sì, sono le dieci e mezza di sera.
No, a caratterizzare Rin faccio schifo. Lo so, non so se ho sballato tutto o meno.
Okay, io vi amo... non prendete in mano i forconi
Se mi uccidete non saprete mai cosa farà Rin, come farà Rei a tornare a casa. Cosa diavolo è la Bruciatura.
Oh, sentiamo, per voi che è la Bruciatura? *w*
Spargo amore a random e vi riempio di gattini e nutella per farmi perdonare dal ritardo. Luv ya!
Uni.
   
 
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