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Autore: Demone    09/02/2014    3 recensioni
E' una ff nata dalla mia mente malata, ambientata dopo la liberazione dei prigionieri di Azkaban. Spero che vi possa piacere. Per ora non ho le idee molto chiare, andando avanti con i capitoli definirò i dettagli.
DAL PROLOGO.
Urlava. Spesso, durante la notte, la donna urlava. Ma le sue urla erano inghiottite dai rumori delle altre celle. Tutti urlavano, ad Askaban, e lei più di tutti. Urlava perchè quelle sensazioni la divoravano. Urlava perchè il suo Signore Oscuro non era tornato da lei. Urlava perchè era sola in quella cella. Urlava perchè non aveva la sua bacchetta. Urlava perchè le sue sorelle non c'erano e lei non sapeva se erano morte o vive.
Urlava perchè era sola. Sola. Senza Lui. Senza quell'uomo che l'aveva resa ciò che era.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Mangiamorte, Nagini, Sorelle Black, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Non-con, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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AZKABAN, CELLA 267

 

I dissennatori continuavano a passare davanti a quella cella. Ogni giorno, ogni ora, la donna sentiva il loro ansimare, il loro odore putrido. Erano tredici anni che li sentiva attorno a lei. Erano tredici anni che annegava nel dolore. Tredici lunghi anni che viveva -anzi, no, sopravviveva- con quel dolore senza fine, senza alcun ricordo capace di strapparle un sorriso. Una volta le sue labbra erano rosse e sempre piegate in smorfie più o meno divertite ma tutte inquietanti. Ora erano pallide. Erano pallide e non sapevano più piegarsi in niente che non fosse una smorfia di dolore.

Dolore. La costante di quei tredici anni. Dolore interiore. Un dolore che le straziava il petto e l'anima, già nera da anni. Ma quei dissennatori gliela stavano distruggendo. Secondo dopo secondo, la sentiva sbriciolarsi. Erano tredici anni che si sbriciolava.

I primi anni erano stati i più duri e, in un certo senso, i più semplici. Aveva ancora dei ricordi a cui aggrapparsi, ricordi che nascondeva in fondo al cuore, dove loro non li potevano prendere, all'inizio. Col tempo erano riusciti a raggiungere anche quelli. Oramai lei non aveva nulla a cui aggrapparsi. Aveva sperato di aggrapparsi alla sensazione di piacere che provava quando torturava quegli stupidi babbani ma ben presto anche quelle sensazioni erano svanite dalla sua mente. Ora esisteva solo l'oblio. L'oblio e la sofferenza. Ricordi che aveva sotterrato in fondo al cuore la tormentavano da anni. Gli occhi, all'inizio, erano spesso pieni di lacrime. Ora neanche quelle uscivano più.
Urlava. Spesso, durante la notte, la donna urlava. Ma le sue urla erano inghiottite dai rumori delle altre celle. Tutti urlavano, ad Azkaban, e lei più di tutti. Urlava perchè quelle sensazioni la divoravano. Urlava perchè il suo Signore Oscuro non era tornato da lei. Urlava perchè era sola in quella cella. Urlava perchè non aveva la sua bacchetta. Urlava perchè le sue sorelle non c'erano e lei non sapeva se erano morte o vive.

Urlava perchè era sola. Sola. Senza Lui. Senza quell'uomo che l'aveva resa ciò che era.

Raggomitolata in quella cella, avvolta solo da una ormai lurida camicia da notte bianca, magra fino all'osso e con i capelli diventati una massa informe, nera e piena di sudiciume come tutto il resto, Bellatrix Lestrange, nata Black, era come una bambina. Il suo corpo portava ovunque il segno di quello che aveva patito. Graffi, lividi, cicatrici, dimostravano quante volte la donna si era conficcata le unghie così a fondo nella pelle da far sgorgare il sangue. Tutto per la disperazione.

Ma la donna non era ancora domata. No, nonostante tutto, in fondo, lei era ancora la donna forte che era sempre stata, anche se ora nei suoi occhi brillava la luce della follia.

Nessun fantasma, nessun essere, nessun ripensamento avrebbe spento per sempre la scintilla vitale di quella donna, di quel diavolo che in passato camminava coperta da seta e velluto. Per quanto in quel momento lei sembrasse vuota, inutile, domata, senza più nulla che la rendesse ciò che era, appena sentì il marchio sul suo braccio bruciare, la vitalità tornò nelle sue membra.

Era notte. O forse era giorno? Erano anni che Bellatrix non distingueva l'uno dall'altro. Sapeva solo che il suo corpo era crollato nel sonno, se così si poteva chiamare quel limbo in cui cadeva, dove la sua mente era perseguitata dai suoi peggiori incubi. Forse quella non era neanche vita. Forse tutto quello era l'inferno dei dannati. Forse lei sarebbe morta lì.

Dormiva per quasi tutto il tempo, si svegliava solo per mangiare e subito dopo ripiombava in quel dannato limbo. I fantasmi che la spaventavano non le permettevano mai di riposare completamente. Un forte bruciore al marchio la fece rigirare sul pavimento freddo ed umido della cella. Aprì di scatto gli occhi solo quando il dolore divenne ancora più intenso. Si mise a sedere di botto, poggiando la schiena contro il muro alle sue spalle. I suoi occhi non erano più così lucidi da anni. Alzò così in fretta la manica della camicia da strapparla ancora di più. Il marchio. Eccolo. Era vivido, sulla sua pelle, come non era da anni. Tredici anni che la donna non vedeva il marchio così nitido sulla pelle. Tredici anni che lei non era nulla di nulla. Tredici anni che aspettava quel segno. Erano anni che Bellatrix non rideva. Erano anni che non piangeva di gioia. Quel giorno fece entrambe le cose. Rise. Pianse. Gioì. Il suo petto fu riempito da quella gioia che non entrava mai nelle mura dell'orrenda prigione.

“E' tornato! Lui è tornato!” Urlò al soffitto della cella. Posò le labbra fredde e pallide sul marchio, come per poter baciare il suo Signore. “E' tornato” ripeté in un sussurro.

 

In quel momento, in un lungo lontano, Voldemort toglieva le mani dal marchio di Codaliscia e i mangiamorte si smaterializzavano ai suoi piedi. Tutti tranne lei. Tranne la più importante, tranne la più fedele. Ma lei sarebbe tornata presto al suo fianco.

 

 

  
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