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Autore: darkangel98    10/02/2014    0 recensioni
Settantaquattro anni, troppi bambini morti, nessuno di loro meritava di morire
Ecco le storie di alcuni di loro.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tributi edizioni passate
Note: Raccolta | Avvertimenti: Violenza
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Wave:

Rossa come il sangue, azzurra come il mare



 
Da quando aveva aperto gli occhi nel pieno di un'estate afosa, in mezzo alle teste di pesce e ai mucchi di reti, aveva sempre amato i colori.         
Ne aveva sempre visti pochi, nel grigio villaggio di pescatori dove aveva vissuto tutta la sua brevissima vita, e quei pochi li amava alla follia: l’oro del sole e dei suoi capelli, il marroncino della sabbia e della sua pelle, il blu del mare e dei suoi occhi. Ma a volte si stancava di quelle sfumature  e allora si rannicchiava davanti alla televisione per vedere i giochi che facevano sempre piangere sua madre, e lì sì che c’erano colori entusiasmanti, più vivi e allegri: le sarebbe piaciuto tingersi i capelli come le ragazze di Capitol, per spiccare sul resto del mondo, ma se doveva  proprio scegliere un colore, quello era il rosso, come il liquido che nell’arena si spargeva annullando ogni altra tinta.                                     
Un giorno aveva confidato ai suoi genitori che da grande, anziché la pescatrice o la raccoglitrice di perle, avrebbe tanto voluto andare in televisione come i ragazzi per cui ogni anno faceva il tifo, ma anziché farle i complimenti per la sua originalità i suoi le avevano fatto una terribile scenata, mentre parlavano di “non buttare via la tua vita” e “non farti ingannare da tutto quello che vedi”.                                                                                                                                              
Così Wave aveva accantonato l’idea per un po’: intanto le erano nati un fratellino e una sorellina, aveva iniziato ad andare a scuola e a pesca da sola e aveva altro a cui pensare, ma ogni anno, all’arrivo dei Giochi, tornava a sentire la mancanza del suo amato rosso.       
 
                                                                            

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Aveva circa dieci anni quando decise di tornare ai suoi sogni da bambina. Era sulle spalle di suo padre per sbirciare oltre la folla ammassata sul molo, che guardava un bimbetto morto sui sette anni che galleggiava ai loro piedi, una pozzanghera di sangue che si espandeva dai morsi degli squali sul suo corpicino.                                                                                               
Era triste per quel povero ragazzino, ovviamente, ma non poteva fare a meno di sospirare meravigliata per il modo in cui il blu si mischiava al rosso, il colore della sua vita di tutti giorni con il colore dei suoi sogni segreti.                                                                                                                       
Ricordava un’altra cosa, oltre ai colori: il fratello maggiore del bambino, che doveva avere la sua età, che urlava e malediceva Capitol, perché il suo fratellino era troppo piccolo per pescare da solo e quello  non sarebbe mai successo, se loro non avessero lasciato la sua famiglia a morire di fame. Wave aveva scoperto da poco che chi vinceva i giochi diventava ricco e non doveva più pescare, così dopo qualche giorno si presentò a casa del ragazzino smilzo come un acciuga e nero come la pece, per chiedergli di allenarsi insieme, e da quel giorno non smisero mai.                                                                                                                                                                C’era una scuola in centro città dove andavano delle sue amiche per imparare come si combatteva, ma quando lei e Duncan andarono a bussare a quella porta gli risero in faccia, e così tutte le volte che riprovarono ad entrarci, sempre con la stessa frase in bocca: “Via, ragazzini, non c’è posto qui per gli straccioni che non pagano”.                                                                                            
Ma non ne sentirono poi così tanto la necessità: di coltellacci di vario genere se ne trovava sempre in abbondanza, nell’attrezzatura da pesca dei loro padri Duncan trovò un arco e Wave una lancia: erano abbastanza.                                                                                      
Per quasi quattro anni passarono così le loro giornate, allenandosi sulla spiaggia, andando a pesca e ridendo insieme delle loro avventure, con la promessa che si sarebbero offerti volontari in anni consecutivi e l’una sarebbe stata la mentore dell’altro. Poi durante la festa che annunciava l’inizio dell’estate, la quattordicesima delle loro vite e l’ultima che avrebbero visto sorgere insieme, Duncan si accorse tutto di un botto che Wave si era fatta carina  e sebbene fosse sempre secca come una morta di fame le era persino spuntato il seno.                                                                                                                                                             Quando il buio fu calato del tutto la portò dietro uno scoglio  finchè gli amici non vennero a chiamarli per il falò di mezzanotte, e tutti i presenti giurarono che nel tempo in cui erano rimasti in disparte i due non avessero pronunciato una sola parola.
               

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Non urlò mentre cadeva dalla scogliera distrutta, accasciandosi sulla spiaggia di sassi simile a quella che a casa sua aveva tanto amato: le schegge dell’esplosione le squarciarono la trachea quasi all’istante.                                                                                                                                                                                                                   
Non urlò mentre moriva, ma pianse come una bambina mentre il suo orgoglio e le sue difese crollavano: avrebbe detto a sé stessa che era per il dolore, per le schegge infilzate nei suoi occhi, ma non aveva più la forza di fingere e sapeva dolorosamente bene la verità. 
Era troppo presto, troppo presto per andare via.                                                                                                                   
Nell’oblio di quei pochi ultimi secondi udì con chiarezza tutti i sogni di cui si era circondata infrangersi uno a uno: non sarebbe stata la mentore di Duncan, non sarebbe mai diventata donna, né madre, non avrebbe visto crescere i suoi fratellini, non ci sarebbe mai stata una festa in spiaggia per il quindicesimo compleanno che pure era così vicino.                                                                                                                                                                                                           Mentre lasciava la presa che la legava al mondo dei vivi soltanto una misera soddisfazione rimase a darle una lieve consolazione: aveva fatto in tempo a riempirsi le mani e il viso di quel rosso che bramava fin dai primi passi, aveva realizzato il suo sogno a metà: non sarebbe mai stata vincitrice, ma era stata assassina e tanto poteva bastare.                                                        Per questo quando le madri del Distretto raccontano ai loro bambini le storie dei tributi passati raccomandano sempre di non piangere per la piccola Wave, perché è vero che gli Hunger Games le hanno dato la morte, ma prima l’hanno fatta sentire davvero viva.          
           
 







































Sclerotime:

E niente, non dovevo iniziare questa storia con tutte quelle che ho in ballo ma pace. Spero di aggiornare a ritmi decenti dato che per i prossimi tre capitolo ho idee.                                        
Wave è un personaggio di "I like the way it hurts", ma qui potete prenderla come una favorita morta come tante ce ne sono state in Settantaquattro edizioni.                                                                                                Quack! Darky <3

 


 
 

 
 
 
  
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