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Autore: thyandra    10/02/2014    3 recensioni
Getto uno sguardo amaro alle finestre ben serrate e le pareti coperte dagli arazzi invernali, nonostante siano i primi giorni d'estate. Solo in questa camera perdura il gelo di dicembre, da quando la sua unica abitante sembra avere acquisito il chiarore della neve.
[BreakxShelly] [BreakxSharon] Ooc inserito per sicurezza. Ditemi voi se toglierlo o meno.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questa storia ad Artemisia e ad Amore, che sono due ragazze fantastiche e neanche se ne rendono conto. 
Questa doveva essere una BreakxSharon, ma alla fine è uscita fuori più BreakxShelly che altro. Ma l'ho scritta pensando a voi, perché mi avete fatta innamorare di questi personaggi. Spero vivamente di averne azzeccato le personalità (cosa molto dubbia), ma spero ancora di più che questa mia shot senza pretese possa in qualche modo piacervi.
Non so più cos'altro dirvi, se non che ho solo da apprendere tantissimo dal modo stupendo in cui voi riuscite a dipingere l'animo di questi burattini tra le vostre mani, e che ogni mia riga su di loro è solo una vostra banale imitazione. Ma dicono che conti solo il pensiero, no?
Ah, già, i prompt: Amore, non ho usato tutti quelli che mi hai dato, ma sono comunque stati utilissimi per sbloccarmi. Ho usato questi qui: raso, unghie, polsi.
Buona lettura!
  







Ah vous dirais-je maman
 
 
 
 
L'aria profuma ancora della menta e delle spezie orientali che i domestici hanno sparso per la camera questa mattina, persino sulle ceneri della brace in fondo alla stanza, vicino al letto dove ancora la mia Signora sta riposando. Solo un vano tentativo di portare un briciolo di freschezza in questa stanza già pervasa da un freddo intenso. Getto uno sguardo amaro alle finestre ben serrate e le pareti coperte dagli arazzi invernali, nonostante siano i primi giorni d'estate. Solo in questa camera perdura il gelo di dicembre, da quando la sua unica abitante sembra avere acquisito il chiarore della neve.
"Sei tu, Kevin?" sussurra una voce così debole da sembrare l'eco di uno spirito d'altri mondi. Mi prendo qualche secondo di troppo prima di voltare il capo. E so di essere scorretto, di essere ipocrita, debole, quando mi sforzo di nascondere quella tristezza dei miei occhi, quel velo di lacrime al vostro sorriso gentile. Chi sono, io, per essere triste, se voi guardate la morte negli occhi senza scomporvi? Che diritto ho io di disperarmi, io che sarei dovuto morire anni fa, ma che vivo ancora in questo mondo, ignorando le lancette ormai ferme sul mio petto? Quel nero sepolcro dovrebbe attendere me, non voi...
Senza accorgermene, ho stretto i pugni così forte da lasciare impressa l'impronta bianca delle unghie sul palmo chiuso. Mi costringo a rilassare i muscoli, mentre un leggero sorriso prende largo sulle mie labbra tirate. Non posso permettermi la tristezza, voi non la meritate.
"Ben svegliata, mia Signora" vi saluto, avvicinandomi. Nel mio sorriso perdura un accenno di malinconia. So che lo noterete, ma oggi non riesco ad essere forte come vorrei. Forse perché ogni giorno di più che il vostro male vi costringe a queste quattro mura sento lo stesso gelo corrompere il mio cuore, sussurrandomi crudele di essere l'ultimo sole che vedrete.
Prendo una margherita bianca dal vaso e la rigiro tra le dita per scacciare quel pensiero, il sorriso di poco prima già mutato in una appena accennata piega all'insù. Inspiro il suo delicato profumo per darmi la forza di parlare ancora. Voi non avete smesso neanche per un istante di guardarmi con la vostra delicata grazia, in silenzio. Avete capito che ho da dirvi qualcosa d'importante e state aspettando pazientemente che mi decida a farlo.
Mi avvicino nuovamente al vostro capezzale e, guardandovi dritta negli occhi, poso quella delicata corolla tra i vostri capelli morbidi, appena scompigliati dal recente riposo. Cerco in quelle iridi così calde la risposta che mi corrode dall'interno: cosa trovate di così apprezzabile in questo codardo buono a nulla che sono?
Non saprei dire per quanto tempo io sia rimasto in quella posizione, quando la vostra mano mi sfiora la guancia, scostandomi dolcemente una ciocca.
"Non essere triste per me, Kevin" mi ammonite dolcemente, carezzando con le vostre dita sottili il mio volto, più morbide e lisce dello stesso raso della vostra veste da notte.
Le mie labbra si dischiudono come per dire qualcosa, ma trovano solo silenzio. Siete così bella e così forte, mia Signora...
Il sorriso che adesso affiora sul mio viso è sincero, quel velo di lacrime sul rosso sangue delle mie iridi peccatrici un ricordo sgradevole, quando osservo i vostri occhi ridere sfiorando con l'altra mano i petali tra i vostri capelli.
"Vuoi confidato un segreto?" chiedete, assumendo il vostro solito tono scherzoso. Annuisco e voi aggiungete: "Sono molto fortunata ad averti al mio fianco, sai, Kevin? Non riuscirei a farmi forza se non sapessi che tu veglierai per me la mia piccola Sharon... E il ricordo di... di noi."
Non smettete di giocare con i miei capelli, mentre pronunciate quelle parole, dandovi un tono di poca importanza.
Il mio cuore prende a battere furioso nel petto, tanto che mi sembra possa uscirne da un momento all'altro, e non sarebbe male, se così potessi morire con voi. Una sola lacrima cade dalle mie pupille sgranate, subito catturata dalle vostre dita esili e fredde.
"Io..." comincio a dire, ma le parole muoiono ancora sulle mie labbra. Mi faccio coraggio, prendendo la vostra mano nella mia, guantata, e avvicinandola alle mie labbra, per deporvi un leggero bacio illusorio. Non mi permetterei mai di avvicinare queste mie labbra così impure a voi, senza il vostro consenso.
"Mia signora, ho... Ho composto una canzone per voi" dico, infine, con decisione. E voi sorridete, prendendo colore per la prima volta dopo settimane. Il mio cuore ad un tratto è così caldo...
"Vorresti suonarla per me, mio Cavaliere?" dite, e annuisco con fermezza. Con un leggero inchino, prendo congedo per avvicinarmi al pianoforte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Cominciano timide, poi si susseguono sempre più veloci, frenetiche, le note della melodia sprigionata da pressioni fugaci e decise su quello strumento, cariche di passione.
Le mie mani si muovono con la destrezza e la leggerezza dovute agli anni di esperienza. Non guardo lo spartito, non più. Il mio occhio ha tradito il mio cuore da tempo, ma non prima di aver permesso a queste dita di imparare a memoria l'esatto movimento da compiere, impresso a fuoco sulla mia anima. A distanza di anni, sento ancora vivo il calore di quel giorno, il profumo della menta e delle margherite di inizio giugno. Adesso non serve più che sorrida per voi, non è vero, mia Signora?
I tasti del pianoforte sono lisci e familiari, come la melodia così triste che stanno irradiando dentro questa stanza troppo grande.
Avrei voluto che la vostra camera rimanesse per sempre come l'avete lasciata, ma Lady Sheryl ha ritenuto più saggio portare lo strumento nel salone grande. Diceva che fosse ingiusto che un oggetto capace di portare tanta gioia restasse relegato a ricordi dolorosi.
Ojou-sama ha appreso qui i primi rudimenti di musica, quando era ancora così bambina da non poter abbracciare l'ampiezza dei tasti con le sue braccia troppo corte. Così la aiutavo io. Sedendo accanto alla mia piccola miss, ritrovavo la compagnia di questi bianchi denti, carezzandoli in vostra memoria, nel ricordo del colore delle vostre guance, quando suonavo per voi, quando suonavo con voi. Ojou-sama non sa nulla di tutto questo, ovviamente. Ricordo come già da bambina amasse esibire quel suo broncio altezzoso, nel notare con disappunto che padroneggiavo lo strumento meglio di lei, chiedendomi sospettosa da chi ne avessi appreso l'arte. E di come incrociasse le esili braccia al petto da ragazzina con disappunto, quando le rispondevo con una codarda alzata di spalle.
Sorrido al ricordo, carezzando le ultime, tenui note di questa triste melodia, facendole tremare di libertà in questo vasto, vuoto salone.
Quasi chiamata in causa da questi miei pensieri, poco dopo sento chiaramente i leggeri passi della mia ojou-sama farsi strada nella stanza, ora ripiombata nel silenzio.
"Non ti ho mai sentito suonare quella canzone, Xerxes-nii. È molto triste" dite, in soffio, a qualche passo di distanza da me.
Come la vostra voce in questo momento. Avete capito, non è vero? Mi state giudicando?
Sorrido, stringendomi nelle spalle. "È che questa è una delle poche che ricordo a memoria..." mi scuso, mettendo su un piccolo broncio. Che giullare scadente che sono diventato. Anche senza distinguere bene il vostro viso, che appare come una confusa macchia di colore a quest'occhio stanco, intuisco che le vostre iridi nocciola sono già velate di tristezza.
"Suonate voi qualcosa per me" dico d'impulso, senza sapere bene il motivo che mi spinge a fare quella richiesta.
Non appena vi sento avvicinarvi e prendere posto accanto a me, come un tempo, vengo preso da una inattesa malinconia. Oh, sì che so il motivo. Detesto le vostre lacrime. Come le mie.
Piansi quando morì Shelly-sama, piansi quando morirono i miei signori Sinclair. Piangevo spesso, in passato, eppure continuavo ciecamente a peccare, a sperare che per me ci fosse posto, in questo mondo. Ma alla fine dei conti, delle nostre lacrime, lei non se ne fa niente.
"Ricordi lo spartito di “Ah vous dirais-je maman”, Xerx-nii?"
Mi riscuoto da quei pensieri, focalizzando lo sguardo sull'ombra al mio fianco.
State forse sorridendo, Ojou-sama?
Non devo essere riuscito a dissimulare la mia sorpresa di fronte a quell'atto di maturità inaspettato, perché cominciate a ridere e la vostra risata cristallina riempie per un attimo il mio cuore stanco, facendomi sentire d'improvviso così vecchio...
Mi volto verso i bianchi tasti del pianoforte, sorridendo a mia volta. "Sì, dovrei ricordarla..."
Non posso fare a meno di sentirmi nudo di fronte al vostro sguardo. Avete guardato così bene dentro la mia anima senza che me ne rendessi conto, in tutto questo tempo. E trattengo il respiro, mentre i nostri polsi si muovono fluidi su quella superficie regolare, quasi sfiorandosi, di tanto in tanto, emulando le note di quella nenìa infantile che vostra madre era solita cantarvi quando un incubo turbava il vostro sonno di bambina.
Il suono di quella musica così leggera e semplice avvolge ogni altro, eppure nelle mie orecchie riecheggia ancora la vostra risata.
Quando, di preciso, siete stata voi a cominciare a prendervi cura di me, ojou-sama?
 
 
 
 

Ah ! Vous dirai-je Maman 
Ce qui cause mon tourment ? 
Papa veut que je raisonne 
Comme une grande personne 
Moi je dis que les bonbons 
Valent mieux que la raison.
  
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