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Autore: Soe Mame    10/02/2014    1 recensioni
Sì, ci sarebbe riuscito.
Avrebbe svolto il suo ruolo in modo impeccabile, avrebbe onorato la parola data da Gakupo ai signori e non avrebbe mai più fatto alcun pensiero sulla signorina Len.
Sì, ci sarebbe riuscito, per tutti e sei i mesi.
Era spacciato.
Genere: Angst, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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Sbattè le palpebre, assorbendo la notizia.
Quando realizzò del tutto le parole dell'altro, non potè trattenere una risata: - Congratulazioni! - esclamò, dandogli una pacca su una spalla: - E brava la nostra Gumi-chan! -
Non riuscì davvero a prendere sul serio l'occhiataccia di Gakupo. Non era credibile.
- Su, ora non fare il cugino geloso! - ridacchiò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia: - E' stata lei a dirmi di chiamarla così! -
- Ma da ora in poi sarà una rispettabile donna sposata. - ribattè Gakupo, impassibile: - Ragion per cui, sarebbe decisamente preferibile che tu la chiamassi Megumi-san. -
- Ah, tranquillo. - Kyte sventolò la mano, come a voler scacciare un insetto fastidioso: - Non sono un maleducato, so che dovrò chiamarla Megumi- chan! -
- Megumi-san. -
- A parte tutto, quand'è il matrimonio? -
Gakupo esitò, quasi stesse soppesando la risposta. Parlò dopo qualche secondo: - Tra tre mesi. - posò il volto su una mano, il gomito contro il tavolo, lo sguardo improvvisamente attratto dalla porta del locale.
- Ti bastano tre mesi, per arrivare? - domandò Kyte, perplesso: - Quando parti? -
- Dopodomani. - rispose l'altro, senza distogliere lo sguardo chiaro dall'entrata: - Se prenderò la nave che partirà dopodomani, farò in tempo. -.
Kyte annuì, spostando l'attenzione sulla porta: legno scuro, di forma rettangolare, con una maniglia forse d'ottone - non s'intendeva di materiali da costruzione, per lui poteva benissimo essere marmo cavo ridipinto.
Tuttavia, sembrava una comunissima porta.
"Forse lui vede cose che le persone comuni non vedono." si disse, disorientato: "Lo sai che i giapponesi sono tutti strani, con quelle cose strane che fanno loro con i loro spiriti strani...".
- Malgrado ciò... -
La voce di Gakupo lo spinse a voltarsi nella sua direzione - a giudicare da come aveva riportato l'attenzione su di lui, la porta doveva effettivamente essere una porta e non uno spirito vecchio di qualche secolo.
- ... per quanto sia lieto del fatto che Megumi possa finalmente convolare a giuste nozze... -
Impossibile non notare quanto avesse calcato sul "finalmente".
- ... questo mi crea un problema. -
Kyte aggrottò la fronte: - In che senso? -
Gakupo trasse un profondo respiro, la voce pacata: - Sarò costretto a fare un'assenza di oltre sei mesi dal mio posto di lavoro. Nessuna persona professionalmente e umanamente seria sarebbe capace di fare una cosa simile. -
- ... eh? -
Kyte sbattè le palpebre, confuso: - Ma devi presenziare al matrimonio di tua cugina! Hai sempre lavorato con costanza, non credo che i tuoi signori faranno tante storie, per una pausa- -
- Sei mesi, Kaito. - Gakupo gli mostrò una mano aperta, l'altra con l'indice alzato: - Sei mesi. Metà anno. Inammissibile, per il ruolo che ricopro. -
"Uhm, sì. Sei mesi, in effetti, sono tanti. Però..."
- Non vorrai dirmi che i signori non concedono un po' di pausa a chi lavora duramente per loro tutto l'anno? -
Gakupo alzò gli occhi al soffitto, in un'espressione che Kyte aveva imparato a riconoscere come esasperazione o, al limite, voglia irrefrenabile di fare seppuku.
- Non per sei mesi, Kaito. - la voce era decisamente meno pacata, spezzata, tenuta calma con un certo impegno: - I signori danno effettivamente delle licenze ai loro servitori. Ma di qualche giorno, una settimana, due. Gli altri possono farlo perché nessuno di loro deve imbarcarsi per Kyoto. -.
"Anche lui ha ragione..."
Affondò il mento tra le mani, con uno sbuffo: sapeva quanto Gakupo prendesse seriamente il lavoro - e qualsiasi altra cosa, in realtà - e sapeva anche quanto Gakupo tenesse alla sua famiglia in Giappone.
E, sì, in effetti, sei mesi di licenza erano difficili da ottenere.
Fece schioccare le labbra. Gli dispiaceva.
Gli sarebbe piaciuto poterlo aiutare. Ma non aveva idea di come.
- Ne hai parlato con i tuoi signori? - domandò, alzando appena il viso.
Gakupo annuì: - Sì. E potrei aver trovato una soluzione. -
Kyte si raddrizzò completamente, colto alla sprovvista: - Ossia? -
- Trovare qualcuno di fidato che possa sostituirmi per sei mesi. -.
- ... oh. - l'unica cosa che Kyte riuscì a dire.
In effetti, non sembrava una brutta idea. Sarebbe potuta funzionare. Soltanto...
- Ma... - esordì, piegando appena la testa di lato: - ... dove pensi di trovarla, questa "persona fidata"? -
Gakupo lo guardò.
- Voglio dire... - Kyte agitò le mani, come a richiamare parole che non gli venivano: - ... qualcuno di davvero fidato, che possa sostituirti del tutto senza alcun problema! -
Gakupo lo guardò.
Kyte ricambiò lo sguardo, confuso: - Chi è che conosci che sia abbastanza di buona famiglia e che conosca lingua e cultura della tua terra? -
Gakupo lo guardò.
- ... perché non rispondi...? - osò chiedere, iniziando a trovare inquietanti quegli occhi chiari piantati nei suoi.
- Dove posso trovare una persona fidata, di buona famiglia e che conosca le usanze della mia gente? - ripetè lui, pacato: - Non ne ho proprio idea, Kaito. Non ne ho davvero idea. -.
Kyte si passò una mano tra i capelli, disorientato: "Ma che sta dic- ... aspetta."
Sgranò gli occhi: - ... tu... - scandì: - ... hai intenzione... di mandare... me? -.
- L'hai dedotto dall'elenco di qualità richieste o dal fatto che sto continuando a fissarti insistentemente? -
"Gakupo che fa dell'ironia. Dev'essere molto grave."
- Ma sei pazzo? - quasi urlò Kyte, gli occhi spalancati: - Io? A fare il precettore? - si portò le mani al petto, sulla camicia: - Ma mi ci vedi conciato come te? A fare il bravo e serio precettore come te? -
- Sì. -
L'effetto fu quello di una freccia conficcata in pieno petto.
Anche perché aveva un brutto presentimento.
- ... esattamente... - esordì, riportando le mani sul tavolo, sforzando un sorriso serafico: - ... quant'è che sai di tutta questa cosa? -
- Un mese, approssimativamente. - rispose Gakupo, tranquillo: - La mia signora ha già dato l'approvazione. Ho assicurato che sei una persona seria e leale, competente nel campo delle usanze e della lingua giapponese. Sono le uniche qualità richieste. -
Come pensava.
"Dannazione."
- ... tu hai deciso tutto senza dirmi niente. - quasi gemette, praticamente spalmandosi sul tavolo: - Sei tu quello serio e professionale, cosa sono questi comportamenti irresponsabili? -
- Errato. - stavolta, Gakupo sorrise. Ma sembrava tanto una presa in giro: - Sarebbe stato irresponsabile avvisarti con un mese d'anticipo, dandoti tutto il tempo di ideare piani per dirmi di no o fuggire. -.
Lui voleva aiutare Gakupo, certo.
Ma la sua speranza era più andare a Kyoto e presenziare al suo posto - sicuramente, ci sarebbero state anche le amiche di Megumi e aveva imparato come le fanciulle giapponesi avessero un particolare fascino esotico.
- Sei crudele. - sentenziò Kyte, tornando seduto in maniera quasi composta, la voce di colpo lamentosa: - Non mi ami! Mi stai sfruttando per i tuoi comodi! -
- E' esattamente quello che sto facendo. -
- Riconosco la tua sincerità, ma questo non ti rende una persona migliore. -
- Comunque... - lo sguardo di Gakupo si fece serio, costringendolo a tacere: - ... hai bisogno di denaro, no? -
"Ahio."
- Non è un lavoro fisso... - l'espressione seria dell'altro si sciolse appena, facendosi più rassicurante: - ... ma ti garantirà vitto, alloggio e denaro per i prossimi sei mesi. Inoltre, i duchi di Mira hanno moltissimi contatti con altre famiglie aristocratiche. Se vedranno il tuo impegno e il tuo valore, potrebbero raccomandarti ad altri nobili. -.
Kyte abbassò lo sguardo: messa in quei termini, Gakupo gli stava praticamente offrendo la più grande delle occasioni su di un piatto d'argento e sputarci sopra sarebbe stato ridicolo e da masochisti.
Certo, lui non era estraneo alle corti e aveva avuto a che fare con dei - delle - nobili, ritrovarsi tra di loro non era una cosa tanto straordinaria; l'opportunità di lavorare presso di loro, invece, aveva la sua attrattiva.
O meglio, i guadagni del lavorare seriamente presso di loro avevano la loro attrattiva.
"Lavoro." scosse la testa: "Non mi piace questa parola. E' faticosa solo a pensarla.".
Tornò a guardare Gakupo. Trasse un profondo respiro: "... è giunto il momento di rimboccarsi di nuovo le maniche." si arrese.
- Come sono questi duchi di Mira, esattamente? - domandò, tra la curiosità e il timore: Gakupo non parlava troppo spesso dei suoi signori e, quando lo faceva, si limitava a poche e vaghe descrizioni positive, senza scendere nei particolari. Per quella volta, però, sarebbe dovuto andare più nel dettaglio.
Il sorriso che Gakupo gli rivolse, stavolta, sembrò sincero: - Fanno parte di uno dei rami della famiglia Diusen. -.
A Kyte quasi andò di traverso la saliva: - Dewsen? - ripeté, gli occhi spalancati: - Quei Dewsen? -
- Precisamente. - annuì Gakupo, intrecciando le dita davanti al viso: - Capisci, quindi, che si tratta di una famiglia piuttosto potente. -.
I Dewsen. Solo una delle famiglie ducali più potenti e influenti - se non la più potente e influente - dell'Inghilterra tutta.
- Non mi avevi detto che lavoravi per i duchi di Dewsen! - boccheggiò Kyte, con una punta di delusione.
- Perché non lavoro per i duchi di Diusen. - lo corresse Gakupo, tranquillissimo: - I duchi di Mira non sono i duchi di Diusen. La mia signora è una delle sorelle minori del duca Aru Diusen, null'altro. -
"Null'altro, dice." fece schioccare la lingua: "L'ho sempre detto che ha bisogno di rivedere le sue concezioni di importanza.".
- Vivono fuori città. - spiegò Gakupo, palesemente ignorandolo: - Il mio signore non è presente spesso, il più delle volte bisogna fare riferimento alla signora. E' una famiglia tranquilla, mai scossa da scandali o intrighi politici, né da parte dei signori né da parte dei servitori. -
- Cos'è, l'Eden dei comuni mortali? - Kyte ridacchiò: aveva sempre immaginato l'Eden come un posto bellissimo ma un po' noioso.
- Non avrai tempo di trovarlo noioso. - sospirò Gakupo: - La villa è grande, i giardini sono grandi e, sì... - alzò di nuovo gli occhi al soffitto, ma stavolta sembrava più divertito: - ... il numero di fanciulle è grande. -
Improvvisamente, l'idea di andare a fare il precettore presso quella famiglia aveva assunto una certa attrattiva.
- Sarebbe una cosa molto carina evitare "incidenti". - la voce di Gakupo lo colpì di nuovo come una freccia, paralizzando sia il suo corpo che la sua mente.
- Ah, ma per chi mi hai preso? - rise, lasciandosi contro lo schienale.
- Per Kaito Shion. -
- Dai, non è mai successo niente del genere! - protestò Kyte, portando i gomiti sul tavolo con una certa violenza.
- Questo non significa che non succederà mai. - fu la candida risposta dell'altro, senza fare alcuna piega.
Kyte dovette fare uno sforzo sovraumano per scacciare dalla mente l'associazione di idee "Gakupo Kamui" e "sua madre". Il risultato era disturbante.
- Il tuo compito sarà insegnare lingua e usanze giapponesi all'unica figlia dei signori. -
Kyte annuì: sapeva che l'allieva di Gakupo era una giovane fanciulla, ma si era sempre astenuto dal fare domande più approfondite - aveva come l'impressione che Gakupo non avrebbe gradito.
Ricordava solo che aveva un nome breve e inusuale.
- E' una fanciulla molto virtuosa, seppur dai modi un po' infantili. - la spiegazione di Gakupo lo portò a figurarsi la fanciulla molto virtuosa dai modi un po' infantili come una ragazza dai lunghi capelli biondi, l'abito dai colori caldi e un ventaglio che vibrava con forza davanti al viso, nascondendo una bocca che non faceva altro che emettere versi da civetta molto irritanti.
- E... - osò domandare, ancora perplesso dall'immagine poco invitante che gli aveva offerto la sua mente: - ... quanti anni avrebbe, la fanciulla...? -
- Quindici. -
"E' in età da marito."
- Ed è sposata o promessa a qualcuno? -
- No. -
Al centro del volto della fanciulla nella sua mente si materializzò un lunghissimo naso aquilino, seguito da due sopracciglia nere cespugliosissime e labbra bianche sottilissime.
"... e deve essere di una bruttura non indifferente."
Affondò il viso in un palmo, rendendosi conto dell'evidenza: fanciulla virtuosa... in età da marito e ancora non promessa. Di una famiglia così strettamente legata ad una delle più potenti d'Inghilterra, poi.
C'era soltanto una risposta: la fanciulla in questione sarebbe stata capace di allontanare qualsivoglia spasimante con un solo sguardo.
Se poi era stata capace di allontanare anche eventuali interessati unicamente al suo patrimonio, doveva essere una delle donne più brutte dell'intera isola britannica.
Improvvisamente, capì perché Gakupo non gliene avesse mai parlato e provò profonda compassione.
Al suo posto, avrebbe fatto lo stesso.
"Non c'è da stupirsi che voglia stare lontano sei mesi...".
- Stamane sono stato informato del fatto che fosse tutto sistemato. - la voce di Gakupo lo riportò con la mente al locale, strappandolo alle bizzarre figure molto poco avvenenti che ridevano svenevolmente nella sua testa.
- Sistemato...? - ripetè Kyte, sbattendo le palpebre.
- Domattina ti accompagnerò presso la villa dei duchi di Mira. Inizierai già da domani. -
- Cosa? - balbettò Kyte, agitato: - Ma... ma... - farfugliò, il sangue scorreva nelle sue vene sempre più freddo: - ... devo prepararmi! -
- Lo farai stasera. -
Sempre più freddo.
- Non so neppure come si comporta un precettore! -
- Ti spiegherò domani, in carrozza. -
Sempre più freddo.
- Non ho neppure quell'assurda divisa bianca che hai tu! -
- Casualmente, ne avevo una in più e mi sono premurato di farla restringere in modo che ti stesse. -
Si accasciò contro la sedia, ritrovandosi di colpo senza forze.
Inspirò a fondo, portandosi una mano davanti agli occhi: - ... Gakupo, questo si chiama complotto. -
- Arigatou, Kaito. Ma conoscevo già questa parola. -
"Gakupo che fa dell'ironia continua ad inquietarmi.".
Aprì due dita, sbirciando nello spiraglio: - Non ci sono proprio altre soluzioni, a questa faccenda? -
Gakupo gettò un rapido sguardo all'orologio del locale, per poi alzarsi, con tutta tranquillità: - Non andrai al matrimonio di Megumi al mio posto per cercare di far colpo su qualcuna delle sue amiche. -.
Terza freccia in pieno petto nell'arco di un'ora.

- Per favore, sono ridicolo con questa roba addosso! -
- Prenditela con la strana moda di voi inglesi. -
- Oh, Dio, con questa roba sembro te! -
- Non temere, non credo ci sarà il rischio che ci scambino. Hai i capelli troppo corti per sembrare me. -
- D'accordo. Va bene questa sottospecie di divisa, vanno bene questi stivali, va bene tutta questa roba ma... perché gli occhiali? Io ci vedo benissimo! -
- Le lenti sono di semplice vetro, non ti faranno male. -
- A maggior ragione, è inutile portarli! -
- Hanno un loro senso artistico. -
- ... -
Kyte non aveva esattamente capito come fosse finito in un completo simildivisa militare bianco immacolato, con tanto di spalline a frangia dorate e stivali neri talmente lucidi da potercisi specchiare. E un paio di occhiali.
Gli occhiali, soprattutto, lo perplimevano.
Non riusciva a collegare il momento del risveglio al momento in cui si era reso conto di trovarsi in una carrozza con Gakupo - abbigliato in modo spaventosamente simile a lui - con quella roba indosso.
Forse aveva preferito dimenticare una vestizione tanto traumatica.
Non erano abiti che gli si addicevano. Troppo seri, troppo eleganti.
Tuttavia, neppure il ruolo di precettore gli si addiceva. D'accordo, per quanto Gakupo avesse ancora un'idea alta e nobile del suo lavoro, era innegabile che ormai si fosse ridotto ad un qualcosa di facile parodia. Forse non sarebbe stato così difficile. Forse non sarebbe stato così noioso. Forse.
- Dunque... - Gakupo lo riportò alla realtà, distogliendo la sua attenzione dal modo in cui era conciato: - ... ti è chiaro il tuo ruolo? -
- Hai. - sospirò: impossibile avere ancora dubbi, date le spiegazioni per tutte e due le ore di viaggio precedenti.
- Bene. Parlando della signorina Mira... -
Kyte s'irrigidì: l'immagine che rappresenteva la "signorina Mira" riapparve nella sua mente come per magia - o ad opera di un maleficio, più probabile.
"... suvvia..." deglutì, cercando di darsi forza: "... a parte lei, tra tutte le domestiche, ce ne sarà almeno una carina!"
- Data l'età, ha ovviamente già terminato i suoi studi nelle materie più classiche, quindi non troverai un altro precettore. Tu sarai l'unico. -
"... che bello..."
- Come ti ho già accennato, il mio signore è molto spesso assente e la signorina è l'unica erede. Gli unici uomini stabilmente presenti nella magione sono i servitori e il suo precettore. -
Kyte si voltò verso Gakupo, la schiena attraversata da un brivido: - Cosa stai cercando di dirmi? -
La voce e lo sguardo dell'altro erano il ritratto della calma assoluta: - Che, qualora la signorina desiderasse andare in paese o a far visite, dovrai essere tu ad accompagnarla. -.
Silenzio.
- ... ma... - Kyte esitò, non riuscendo neppure a capire se fosse più confuso o terrorizzato: - ... non dovrebbe essere un uomo più grande e possibilmente sposato, a farle da accompagnatore? I tuoi signori lascerebbero davvero la loro preziosa figlia da sola nelle mani di un giovane poco più grande di lei? -
Gli occhi di Gakupo si fecero spaventosamente seri, quasi freddi: - Loro affidano la loro preziosa figlia ad una persona molto, molto, molto fidata. - assottigliò lo sguardo, facendolo rabbrividire: - Capisci cosa intendo, vero? -
Kyte annuì, senza neppure pensarci.
Quella cosa aveva del ridicolo.
Ma era anche l'ennesima conferma della sua idea.
"Se affidano il loro fiore appena sbocciato ad un giovane uomo non sposato, significa che il suddetto fiore appena sbocciato ha dei validi mezzi naturali per far scacciare dalla mente qualsiasi pensiero impuro. Tipo un aspetto poco gradevole. E magari un carattere in perfetto coordinato.".
- Lo stesso varrà nel caso di feste. -
Ammirevole che Gakupo gli stesse dicendo tutto ciò quando, dal finestrino della carrozza, si poteva intravedere il tetto della magione.
- Ovviamente, non dovrai rimanere con lei per tutta la durata della festa... -
"Grazie!"
- ... ma dovrai tenerla costantemente d'occhio. E potrai danzare con lei, se ti farà capire che è suo desiderio. -
"Spero paghino bene. Molto bene.".
Gettò uno sguardo fuori dal finestrino, nella disperata idea che le signorine Mira nella sua testa fossero trascinate via dal paesaggio verde che lo circondava.
Perché, a dirla tutta, il paesaggio si era fatto alquanto monotono già da svariati minuti: aveva vagamente notato la presenza di prati e di alberi, ma ormai cominciava a credere - sperare - che ci fossero strade ed edifici invisibili alla vista perché colorati di verde. Ogni cosa era verde. Non era possibile che quel posto fosse tutto prati e alberi. Era peggio dell'Eden!
La carrozza, dal canto suo, si fermò fin troppo presto.
Con un sospiro di rassegnazione, Kyte scese, dando una veloce occhiata all'imponente magione che si stagliava nel nulla verde: grigio chiaro, bordata di bianco, con molte meno finestre di quante ce ne sarebbero potute entrare. Nulla di sconvolgentemente meraviglioso, ma neppure inguardabile. L'avrebbe definita anonima.
Provò una leggera delusione nel vedere che era stato mandato un servitore uomo ad accoglierli: a quanto sembrava, avrebbe dovuto cercare le servitrici da solo.
Il fatto che ci fossero effettivamente servitrici donne fu l'unica cosa che gli impedì di scappare quando attraversò la soglia principale dell'edificio, diretto ad incontrare la duchessa di Mira e la virtuosa figlia prossima al divenire zitella.
"A proposito, come si chiama, la fanciulla?" in tutto il suo riversargli addosso informazioni, Gakupo si era dimenticato uno dei particolari più importanti.
"Beh, dovrei scoprirlo ora." si risparmiò un sentitissimo: "Evviva.".
Persino l'interno della casa era anonimo: toni del bianco e del grigio, pavimento lucido, lampadari, lampade a muro, finestre che occupavano più o meno spazio... non c'era niente di diverso da una normalissima villa aristocratica - anzi, sembrava quasi si fossero dimenticati di darle un tocco personale, di renderla in qualche modo più "viva".
Né lui né Gakupo né il servitore - forse il maggiordomo? - parlarono per tutto il tragitto, lasciando che l'eco dei loro passi risuonasse senza mescolarsi a nessun altro rumore.
Di tanto in tanto, Kyte si premurò di gettare occhiate in giro - specie se si accorgeva di porte aperte -, nella speranza di vedere qualcuna delle fantomatiche servitrici.
Alla fine del tragitto, con un certo sollievo, poté vantarsi di averne viste almeno tre: una un po' troppo matura, le altre due decisamente più giovani - anche se non aveva potuto osservarne i tratti, quindi non avrebbe saputo dire se fossero normali ragazze, bellissime ninfe o degne compari della loro piccola padrona.
- Il signor Gakupo Kamui e il signor Kyte Sheeawn. -
Il suo nome non gli era mai dispiaciuto ma, in quel momento, gli dispiacque molto.
"E' il momento, eh?" con un'alzata di occhi al soffitto, Kyte seguì Gakupo nella stanza, dove non faticò ad individuare le voluminose gonne di due donne sedute sul divano chiaro.
Notò di sfuggita la presenza di due servitori - un uomo e una donna troppo matura -, per poi imitare Gakupo nell'accomodarsi di fronte alle due signore, dall'altro lato di un tavolino basso.
La madre era la perfetta signora di quella casa: nonostante avesse lunghi capelli di un biondo chiarissimo e due grandi occhi azzurri, nonostante il suo volto chiaro facesse intendere una discreta bellezza passata, era anonima.
Non riusciva a capire come fosse possibile che una signora simile potesse avere così poca attrattiva - e il fatto che una donna fosse sposata non era mai un motivo di perdita di fascino, tutt'altro.
Ma si era soffermato anche troppo sulla signora.
Sapeva di doversi costringere a guardare la signorina.
"L'attesa porta più agonia." strinse i denti e si costrinse a guardare al fianco della donna.
Su una cosa aveva azzeccato: era bionda. Bionda piumaggio dei canarini.
Tuttavia, i suoi capelli non sembravano così lunghi: la crocchia era molto più piccola di quelle che era abituato a vedere, tenuta insieme da uno spesso nastro nero che faceva capolino dalla nuca, quasi simile ad una coppia di orecchie da gatto.
Del naso enorme, nessuna traccia; delle sopracciglia cespugliose, nessuna traccia.
Le labbra non erano sottili e neppure bianche. Sembrava quasi che le si fosse posato un petalo di rosa sulla bocca, tanto sembravano morbide e delicate.
Spiccavano sulla pelle diafana del viso, tra le ciocche bionde troppo corte per poter essere legate.
Così come spiccavano le mani piccole, le dita affusolate, su quel vestito blu scuro che gli impediva di vedere qualsiasi altra cosa, fosse anche la corporatura: a giudicare dalle mani e dal viso, però, sotto quelle tonnellate di stoffa doveva nascondersi un corpo magro e probabilmente ben proporzionato.
Quasi, almeno: la linea praticamente verticale del busto lasciava intendere come una mano fosse più che abbastanza per stringerle un seno.
Se non altro, la fanciulla sembrava indossare una tournure, piuttosto che una crinolina.
Che brava ragazza.
Si costrinse ad alzare lo sguardo, fino a quell'unico punto che non aveva ancora guardato: gli occhi.
Erano grandi, di un azzurro ben più brillante di quello scialbo della madre.
Quando la fanciulla gli rivolse un sorriso, sembrò che anche gli occhi sorridessero.
Se si fosse portato una mano allo stomaco, Kyte era sicuro che l'avrebbe ritrovata sporca di sangue: si sentiva crivellato. Colpito in pieno non da una freccia o da un pugno, ma da un intero gruppo di arcieri.
Forse doveva smetterla di farsi colpire da frecce di qualsiasi tipo.
Però una scusante, almeno per quella volta, l'aveva: si trovava al cospetto di una creatura angelic-
"No, sto davvero facendo paragoni del genere?"
Inspirò a fondo, usando tutta la sua forza per spostare l'attenzione sulla signora, o su Gakupo, che avevano preso a parlare di chissà cosa da chissà quanto.
La fanciulla aveva fatto lo stesso, rivolgendo lo sguardo alla madre. Kyte, rendendosi conto di essere tornato a guardarla, capì di essere caduto fin troppo in basso.
Anche il dolore si era spostato più in basso, in realtà, ma quello l'aveva già messo in conto.
O meglio, non l'aveva già messo in conto, perché non si aspettava che la virtuosa fanciulla fosse effettivamente l'incarnazione di quanto di più puro, angelico e meraviglioso avesse mai toccato il mondo uman-
"No, non di nuovo." si trattenne dallo schiaffarsi una mano in faccia: "... quindi questa fanciulla sarebbe nubile?".
Stavolta, riuscì a portare lo sguardo sulla più grande: "Forse... questa fanciulla ha talmente tanti spasimanti che i suoi genitori possono permettersi di fare i preziosi e aspettare l'offerta più vantaggiosa?" sbattè le palpebre, iniziando a capire: "Forse stanno aspettando che uno dei principi in persona la chieda in moglie.".
Perché era impossibile che una meraviglia del genere fosse ancora priva di marito.
Tornò a guardarla: ora i suoi occhi azzurri si erano spostati su Gakupo, il viso appena piegato di lato.
Non sapeva dire se fosse la sua pelle candida, il suo sguardo innocente o le sue labbra all'apparenza così delicate: "Però, sì... non sembra affatto strano che sia pura in ogni senso.".
Una fitta al piede.
Si voltò verso Gakupo, incontrando la sua espressione serena, del tutto in contrasto con la violenza con cui gli aveva conficcato un tacco nell'alluce: - Mia signora, oujo-sama, vi presento Kyte Sheeawn. -
Perché Gakupo si sforzasse di pronunciare bene i nomi e i cognomi anglofoni alla presenza di chiunque tranne che alla sua, Kyte doveva ancora capirlo.
Chinò la testa, ossequioso: - Onorato. -
La voce di Gakupo tornò a farsi sentire: - Loro sono la duchessa Irene di Mirror... -
"Quindi è Mirror..."
Kyte alzò la testa, lo sguardo verso la padrona di casa, sentendo il sangue ribollirgli nelle vene. E non certo per lei.
- ... e Lady Ren Mirror. -
- Len. -
Kyte trasalì: il timbro leggermente basso, il tono squillante, una mano diafana a coprire quelle labbra tanto delicate curvate in un sorriso, negli occhi azzurri una luce divertita, la ragazza aveva parlato per la prima volta da quando lui era entrato in quella stanza.
- Perdonatemi, oujo-sama. - la voce di Gakupo non sembrava eccessivamente dispiaciuta, in realtà. Sembrava più rassegnata: "Forse ha sbagliato spesso a pronunciare il suo nome...?"
- Daijoubu. - Len riportò le mani in grembo, senza smettere di sorridere: - So che ormai mi avete dato un nuovo nome, sensei! -
- Len. - la riprese la madre: - Non prenderti gioco del tuo insegnante. -
Il cipiglio severo della donna, quell'accenno di sorriso divertito sul volto di Gakupo, Kyte li vide per un istante: Len aveva gonfiato le guance e assottigliato lo sguardo, in un broncio che la rendeva terribilmente-
"Kawaii!"
Un'altra fitta al piede.
Kyte ebbe l'impressione che Gakupo sapesse leggergli nel pensiero. E che non approvasse l'uso della sua lingua per simili espressioni.
O forse si era accorto che era tornato a fissare Len.
"Ora che ci penso... no, su. Se avessi una faccia da malintenzionato, mi avrebbero già cacciato a pedate. La signora e Gakupo. Soprattutto Gakupo.".
- Bene, signor Sheeawn... - tornò a guardare la signora; stava sorridendo, ma sembrava un sorriso vuoto, come se la donna avesse un gran sonno: - Mi auguro di vedere tutte quelle qualità descritte dal signor Kamui. -
Chinò di nuovo la testa, sperando di nascondere sia il sorriso divertito che non era riuscito a trattere sia il probabile sguardo terrorizzato: - Gakupo tende spesso ad esagerare. -
"Su entrambi i lati."
- Ma spero di essere all'altezza delle sue parole più lusinghiere. -
- Sensei wa oshaberi desu... -
Rialzò la testa di scatto, il cuore rimbombò nelle orecchie in modo sinistro: Len aveva parlato di nuovo, un sussurro allegro, nascosto dietro ad una mano, ma perfettamente udibile.
- Spero tu non abbia detto nulla di sconveniente. - il tono della madre si era fatto più duro.
- Iya, okaasama. - Len abbassò la mano, rivelando un sorriso composto e innocente - ma gli occhi erano divertiti.
Per tutta la risposta, la donna guardò Gakupo, ma Kyte preferì rimanere ad osservare la più piccola: uno spettacolo decisamente migliore di una signora assonnata e il suo amico.
Incontrò gli occhi azzurri di Len: forse si era accorta di come la stesse fissando in maniera anche troppo insistente.
Forse avrebbe dovuto calmarsi.
"Evita di atteggiarti a maniaco..." trasse un profondo respiro, facendosi violenza e staccando lo sguardo da quello - incuriosito? - di lei: "O non ce la farai a starle vicino per sei mes-"
Era spacciato.
- Temo sia ora di andare. - ancora una volta, la voce di Gakupo lo distrasse, ma gli diede anche una scusa per non seguire quella voce interiore che continuava a dirgli di tornare a guardare Lady Len Mirror.

- Perché non mi hai detto che era così bella? -
Gakupo si voltò con una certa flemma, come se avesse tutto il tempo del mondo e non fosse a meno di due metri dalla carrozza su cui sarebbe dovuto ripartire di lì a pochi minuti.
- Andare in giro a dire che la mia giovane signora è di così rara bellezza sarebbe come offrirla in pasto a malintenzionati. E io ho sempre avuto il compito di proteggerla. -
Kyte portò le mani ai fianchi, una punta di irritazione nella voce: - Perché non l'hai detto a me? -
- Sei ancora stordito, noto. - la tranquillità di Gakupo non fu minimamente intaccata: - Ho detto proprio in quest'istante che ho sempre avuto il compito di proteggerla. -
A Kyte ci volle un istante per capire cosa l'altro stesse sottointendendo.
Alzò gli occhi al cielo, esasperato: - Ti ho mai detto che tu che fai dell'ironia è disturbant- aspetta... - tornò a guardarlo: - ... stordito? -
- Dalla visione della signorina. - Gakupo gli si avvicinò, quasi fino ad azzerare la distanza tra loro. Kyte fece istintivamente un passo indietro, gli occhi di colpo glaciali dell'altro piantati nei suoi.
- La maggior difficoltà nel trovare un mio sostituto era il poter trovare qualcuno di davvero fidato. Qualcuno a cui potessero lasciare Lady Ren senza bisogno di sorvegliarlo, qualcuno che potesse proteggerla e che non necessitasse di proteggerla soprattutto da lui stesso. -
Kyte trasalì quando sentì qualcosa di freddo premergli contro il collo - qualcosa che sembrava molto l'impugnatura della spada di Gakupo: - Chiunque ti conosca saprebbe che l'unico modo per tenerti tranquillo forse sarebbe cavarti gli occhi, tagliarti le mani e far sì che tu sia impossibilitato ad avere una prole. -
Kyte rabbrividì: "Non è una prospettiva molto invitante..."
- Io ho garantito per te. - disse Gakupo, gelido: - Per quanto sappia dell'inclinazione dei tuoi occhi a staccarsi e a rotolare sotto le gonne delle giovani, so che posso fidarmi di te. -
Forse si sarebbe dovuto sentire onorato, felice di una simile ammissione. E lo sarebbe stato, se non avesse avuto un'arma puntata alla gola.
- Onegai... - l'altro sospirò, la voce si abbassò ancora di più, il tono perse la sua sfumatura fredda per divenire una preghiera: - ... non sconvolgere Lady Ren. E' giovane, la sua mente lo è ancora di più. Non sei una bestia priva di intelletto, Kaito. So che non distruggerai la mia reputazione e l'innocenza della signorina solo per i tuoi capricci. Non ne saresti in grado. -
Kyte distolse lo sguardo, una sensazione sgradevole all'altezza del petto sembrava strappargli la carne, pezzo per pezzo.
Era una cosa a cui non aveva davvero pensato ma, in quel momento, se ne rese pienamente conto: Gakupo gli stava affidando una delle cose per lui più importanti in assoluto, forse anche più di una; gli stava affidando il suo lavoro, il suo stesso onore, la veridicità della sua parola.
"Distruggere tutto per un capriccio..." sospirò.
Ed evitò di fargli notare che tutta quella faccenda era stata una sua imposizione.
Scosse la testa, per scacciare l'idea dalla mente: "Se anche non fosse stato lui ad impormi di guardare ma non toccare la signorina Mirror, se da questo dipendesse comunque il suo onore, sarebbe assurdo distruggere ogni cosa solo per un piacere passeggero.".
- Io... - tornò a guardare l'altro, i pugni serrati gli mandarono fitte lungo le mani, i polsi: - ... non farò niente che lei non desideri. Ti do la mia parola. -.
L'espressione di Gakupo si ammorbidì, un accenno di sorriso, la sensazione di freddo scomparve dal suo collo.
Quando lo vide risistemarsi la spada al fianco, Kyte intuì sagacemente che, sì, doveva essere stata l'impugnatura della sua spada.
- Bene. - esordì Gakupo, la voce di nuovo pacata: - Qualora scoprissi che hai compromesso la signorina e rovinato per sempre la mia reputazione, mi premurerò io stesso di usare questa katana... - diede un leggero colpo all'impugnatura: - ... per cavarti gli occhi, tagliarti le mani e far sì che tu sia impossibilitato ad avere una prole. -
- Eh? - Kyte si sentì gelare dall'interno.
- In aggiunta, credo ti imporrei di praticare un rituale della mia terra chiamato harakiri. Ma forse tu lo conosci come seppuku. -
- ... -
- E mi premurerò di far sì che tu non abbia alcun kaishakunin. -
Il sangue scorreva nelle vene come ghiaccio liquefatto, gelandolo completamente, facendolo rabbrividire per il freddo.
Gli sfuggì una risata quasi isterica, sventolò una mano, senza smettere di ridere: - Ah, Gakupo! Sei proprio preso dal fare ironia, eh? Con quell'aria calma, poi, sembra quasi che tu stia dicendo sul serio! -
Silenzio.
- ... perché tu non stai dicendo sul serio, vero...? -
Silenzio.
- ... vero...? -
Silenzio.
- ... prenderò il tuo silenzio per un sì. -
- Signore, la carrozza è pronta. -
Kyte guardò il servitore, ricordandosi di colpo dell'esistenza di altre persone: "Tempismo perfetto.".
- Gakupo-sensei! -
"... tempismo dannatamente perfetto."
Fece qualche passo per guardare oltre la carrozza, verso l'ingresso dell'edificio. In un vorticare di stoffa blu scuro, piuttosto veloce per il quantitativo di strati di sottogonne che dovevano esserci lì sotto, Len scese le scale e, un istante dopo, le sue braccia erano attorno alla vita di Gakupo.
Kyte trasalì, colto alla sprovvista: "Ma che-"
- Non mi avete salutata per bene! - protestò Len, la voce lamentevole palesemente giocosa: - Partite per sei mesi o cercate di scappare? -
Con delicatezza, Gakupo prese i polsi della più piccola e la allontanò, mettendo diversa distanza tra di loro: - Nessuna fuga, oujo-sama. Mi auguro che, al mio ritorno, abbiate dimenticato comportamenti tanto indecenti. -.
Per tutta risposta, Len portò una mano dietro la schiena, lasciando che l'altra coprisse il suo ridacchiare.
"E' molto... espansiva."
Non era spacciato.
Era destinato a risorgere appositamente per essere spacciato di nuovo.
E la seconda volta sarebbe morto per vie molto dolorose.
- Kaito. - incontrò lo sguardo chiaro di Gakupo, stranamente tranquillo: - Non metterti nei guai. -.
Kyte annuì, cercando di sembrare convinto.
Ma lo era poco. Decisamente poco.
Quella sgradevole sensazione tornò a dilaniargli il petto, con zanne che ustionavano, che non lo facevano sanguinare solo perché quel calore atroce cauterizzava all'istante le ferite.
Quando la carrozza di Gakupo fu ormai oltre la linea dell'orizzonte, Kyte comprese di essere definitivamente condannato.
- Siamo rimasti solo noi due! -
La voce di Len era tragicamente trillante: non sarebbe stato in grado di ignorarla neppure volendo.
- Ci sono anche i vostri servitori, signorina. - Kyte non seppe chi ringraziare per il tono pacato con cui riuscì a parlare: - E vostra madre vi attende in casa. -
- Cercavo di essere poetica! -
Kyte non riuscì a non voltarsi verso di lei, perplesso: - Prego? -
Len piegò appena la testa di lato, le ciocche bionde sfiorarono la curva del collo avvolta nella stoffa blu: - Nei libri, alle partenze, qualcuno dice sempre una frase poetica. E' per dare la giusta atmosfera! -
Kyte sbattè le palpebre, incapace di rispondere.
- ... forse... - osò dire: - ... dovreste pronunciarla con un tono più basso. -
Gli occhi azzurri della ragazza si sgranarono, le labbra si schiusero appena: - Forse avete ragione. - una mano diafana andò a coprire la bocca, con suo disappunto: - Lo terrò a mente, per la prossima partenza! -.
"Non ce la farò mai."
- Signorina... - una domestica alquanto matura si era fatta avanti, chinando la testa prima a Len poi a lui: - E' probabile che il signor Sheeawn debba sistemarsi. -.
"Ah, giusto."
Da quel momento, lui aveva una camera in quella casa. Una camera nella stessa casa in cui anche Len aveva la propria.
- Vero! - trillò la ragazza, Kyte la guardò proprio quando lei si voltò verso di lui, gli occhi azzurri che brillavano: - Lasciate che vi mostri la casa, signor Sheeawn! -
Fece appena in tempo a vedere i nastri neri del suo fiocco, prima che Len quasi si lanciasse sulle scale e le salisse come se neppure toccasse terra.
"Come diamine fa...?" si chiese Kyte, avanzando piano, incerto, un gradino per volta, con molta calma: "Vola...?"
- Siete stanco, signor Sheeawn? - la voce di Len, dalla cima delle scale. E Len, in cima alle scale, che lo guardava, un po' preoccupata, un po' divertita.
"Non ce la farò mai.".

Andando più a fondo nella casa, Kyte poté constatare come i corridoi fossero tutti perfettamente identici, con lo stesso preciso numero di porte che si aprivano sul medesimo lato.
Non c'era neppure una macchia sul pavimento o sulle pareti, una tenda più corta o più lunga, un vetro incrinato o opaco, anche solo una candela più consumata di un'altra, una qualsiasi cosa che potesse distinguere le varie zone dell'edificio.
La noia per il paesaggio monotono, man mano che se ne rendeva pienamente conto, era andata trasformandosi in inquietudine: la villa dei duchi di Mirror era un labirinto. Non perché fosse intricata, ma perché era impossibile capire dove ci si trovasse.
Si era chiesto se tutto quello fosse voluto.
- Quella porta là in fondo conduce alle cucine, questa a sinistra al giardino interno, quella a destra porta sulla strada che conduce alle stalle. State attento quando salite le scale, a volte le puliscono anche fin troppo bene! -
Come se non bastasse, non era riuscito a curarsi di dove stesse andando, causa fonte di distrazione vestita di blu che gli camminava pochi passi avanti. Da dietro, aveva notato come il nastro nero sulla sua testa fosse lungo almeno fino alle ginocchia e che, sì, non doveva avere i capelli eccessivamente lunghi: era probabile che, una volta sciolti, le sfiorassero quel poco di seno che aveva.
Lo aveva trovato bizzarro: tutte le nobildonne che aveva conosciuto erano orgogliose dei loro capelli lunghissimi - ricordava bene di una giovane contessa dai capelli lunghi fino alle caviglie.
- E questa... - Len si fermò, portandolo istintivamente a bloccarsi a sua volta: - ... credo sia la vostra stanza. -
Kyte si sforzò di guardare alla sua sinistra: proprio in quell'istante, un domestico - che gli sembrava tanto il maggiordomo di prima - aprì la porta bianca più vicina, rivelandone l'interno.
E, sì, a giudicare dai suoi bagagli, quella doveva essere la sua stanza.
Che, tra pareti, pavimento, soffitto, mobilia e lenzuola, era di un originalissimo misto di bianco e grigio chiaro, una vera innovazione per quella casa.
Sentì a malapena la voce del maggiordomo dirgli qualcosa; forse era una cosa di vitale importanza senza la quale non sarebbe sopravvissuto, ma Len aveva scelto proprio quell'istante per avvicinarsi alle sue cose, piegando la testa prima da un lato, poi dall'altro, come se le stesse ispezionando.
Non che ci fosse molto da vedere: due grosse valigie scure chiuse e una spada riposta nel suo fodero bianco. Nulla di eclatante o degno di eccessiva attenzione.
- L'avete mai usata? -
- Prego? -
Era piuttosto sicuro che Len non avesse esplicitato alcun soggetto. Se avesse parlato, se ne sarebbe accorto.
La ragazza si voltò, potè vedere una luce di curiosità nei suoi occhi azzurri: - La vostra spada. -
"Ah..." Kyte deglutì.
La sua spada, certo.
"Quella di ferro, Kyte, quella di ferro."
- No. - "Che sto dicendo?" - O meglio, sì. - si corresse, sforzando un sorriso: - Ma non sono mai stato un soldato, se è questo che chiedete. -
Fu Len a sorridere per lui, per poi tornare a voltarsi verso i suoi bagagli - o, più probabilmente, verso la spada: - Mi piacerebbe impugnarne una. -
"Quella di ferro, Kyte, quella di ferro."
- Ma i miei genitori mi hanno sempre tenuta lontana da cose di questo tipo. -
- Posso comprenderli. - incredibile come la sua voce fosse così tranquilla. Forse era arrivato ad un punto in cui la sua mente si era del tutto distaccata dal suo corpo: - Potreste farvi male. -
Len sospirò, il suo tono si era fatto dispiaciuto: - Mi piacerebbe vederla sguainata. -
"Quella di ferro, Kyte, quella di ferro."
Di nuovo quegli occhi azzurri: - Potreste, qualche volta? Non vorrete tenerla sempre nel fodero, in mia presenza! -
"Dannazione."
- Temo dovrò, signorina Mirror. - chinò appena la testa, più per interrompere il contatto visivo ed evitarsi scene ridicole d'innanzi al maggiordomo e agli altri servitori presenti: - Se quella spada fosse sguainata, significherebbe che c'è un problema. -
Len non rispose.
Quando osò tornare a guardarla, Kyte si ritrovò d'innanzi quell'assurdo broncio che le aveva visto poco prima, in risposta alla madre.
Non riuscì a capire quale forza sovraumana lo stesse tenendo fermo all'ingresso della sua stessa stanza, evitandogli qualsiasi azione di cui si sarebbe pentito - ed era piuttosto sicuro che tra le cose strane che faceva Gakupo non ci fosse alcun tipo di controllo a distanza. Piuttosto sicuro. Lo era, sì.
Quando il suo sguardo cadde su una serie di merletti neri sovrapposti su una stoffa blu, Kyte si rese conto di come Len si fosse avvicinata, l'espressione tornata allegra: - Chiamatemi Len! - esclamò lei: - "Signorina Mirror" è troppo lungo da dire, non trovate? -
- Ehm... - si schiarì la voce, sperando che il suo essere praticamente paralizzato lo aiutasse: - Come desiderate, signorina... Len. -
La vide giungere i palmi diafani davanti al petto, il sorriso immutato: - Quindi posso chiamarvi "signor Kyte"? O forse dovrei dire "Kyte-sensei"? O magari... - parve pensarci un istante: - ... "Kaito-sensei"? -
Nessuno di quegli appellativi gli si sarebbe addetto anche solo per sbaglio. Persino pronunciati da Len lo facevano rabbrividire.
E il fatto che fosse Len stessa a farlo rabbrividire, seppur per motivi nettamente opposti, era un dettaglio insignificante.
- Credo che la prima possa andare. - quasi sospirò, i pugni dietro la schiena talmente serrati da sentire dolore. Ma doveva pur concentrarsi su altro.
- Allora io sarò "signorina Len" e voi "signor Kyte"! -
- Vi ringrazio per il riassunto, signorina Len. E' stato molto utile. -
Dannata ironia di Gakupo. L'aveva contagiato. Sarebbe morto!
Oh, beh, tanto era spacciato lo stesso.
- Len. - ora, la duchessa di Mirror non gli aveva detto alcunché, quando l'aveva vista; in quel momento, tuttavia, la sua mistica apparizione alle sue spalle poteva benissimo essere un dono di pietà da parte di tutto ciò che di ultraterreno esistesse: - Direi che puoi lasciare in pace il signor Sheeawn. Vai nella stanza dove studiavi con il signor Kamui e aspettalo lì. -
"... quindi vogliono davvero che inizi proprio subito subito, eh...?"
- Sì, madre. - la voce della ragazza era ancora alta, ma la sua espressione era decisamente meno allegra, l'avrebbe detta "più composta".
Non che ciò la rendesse meno bella.
Probabilmente, Lady Len Mirror sarebbe stata bellissima anche dopo essere riemersa da una palude, con i capelli biondi schiacciati lungo la fronte e le guance e pieni di rametti secchi e piante marce e con i vestiti scuri e pesanti impregnati d'acqua stagnante.
- Con permesso. -
Quindi Len portava le calze nere. E anche le sue scarpette erano nere. Intonate al nastro e al merletto della gonna, avrebbe dovuto sospettarlo.
A volte, Kyte sperava che qualche fanciulla esagerasse nella riverenza di saluto e mostrasse più del dovuto - magari non il pizzo della biancheria, sarebbero andate bene anche solo le ginocchia; sfortunatamente, non era mai successo niente del genere - tanto meno in quel momento.
Non fece neppure in tempo a chinare la testa di rimando che Len era già in fondo al corridoio. Dovette ammettere che, almeno in quel caso, forse non era stato per "merito" della velocità a cui la ragazza sembrava saper andare.
- Vi chiedo di perdonare mia figlia. - guardò la duchessa di Mirror, che scuoteva la testa con fare sconsolato: - Purtroppo, quando le viene data la parola, tende ad assumere i comportamenti di una bambina svergognata. Vi chiedo di avere pazienza e di sopportare questo suo modo di fare, nella speranza che si sbrighi a maturare come si confà ad una donna della sua età. -
Kyte si morse la lingua prima di commentare qualcosa come: - Personalmente, la trovo abbastanza matura. -. Aveva la vaga impressione che la signora non stesse parlando della stessa cosa.
Piegò un braccio sotto il petto e chinò la testa: - Non mi ha dato alcun problema, signora. -.
Non stavano parlando della stessa cosa. Ma non era necessario che qualcuno all'infuori di lui lo sapesse.
- La vostra pazienza è ammirevole. - la voce della signora si era fatta piuttosto sbrigativa, una nota di vita nel suo parlare assonnato: - Vorrei iniziaste le lezioni oggi stesso. L'ultima lezione del signor Kamui è stata cinque giorni fa e gradirei che Len non perdesse altro tempo. -
- Certamente, signora. -
- Ottimo. Allora vi pregherei di raggiungere mia figlia appena possibile. Chiamate pure un servitore, qualora non riusciate ad orientarvi nella casa. -
- Sì, signora. -
Da una parte, Kyte sentì di apprezzare la duchessa di Mirror: non era una donna che faceva pesare la propria presenza - affatto - il che faceva sì che non tendesse a trattenersi con una persona più del dovuto; dall'altra parte, Kyte capì che, con la signora che se ne andava, si avvicinava il momento di tornare con la signorina.
E lui si trovava in quella casa da meno di due ore.
"Non ce la farò mai.".

Si era preso un'ora abbondante per "prepararsi" alla lezione con la signorina Mirror.
O meglio, per "prepararsi" a reincontrare la signorina Mirror.
Nella sua mente si erano susseguite apocalittiche visioni di loro due da soli in una stanza isolata dal resto della casa, immagini che lo avevano fatto sudare freddo: non avrebbe approfittato dell'ingenua signorina, questo no, assolutamente, ma rimanere da solo con lei sarebbe stato doloroso.
Quando entrò nella famigerata stanza, gli parve che qualcuno gli avesse improvvisamente tolto dalla schiena qualcosa talmente pesante da poter spezzare il più solido dei tavoli: erano presenti due servitori, un uomo e una donna, seduti su delle poltrone in disparte.
"Non lasciano la loro figlia da sola in mano ad uno sconosciuto!" espirò, sentendo la tensione svanire tanto rapida da farlo tremare: "Grazie! Grazie!".
Con qualcun altro presente, sarebbe stato nettamente più facile controllarsi o concentrarsi su altro. Anche solo per fare una buona impressione come insegnante.
Il suo sguardo si spostò poi a ciò che aveva preferito evitare: Len.
Come previsto, lo stava aspettando.
L'aveva pensata seduta composta, davanti ad un tavolino pieno di libri aperti e fogli scritti. Per esserci, i libri e i fogli c'erano: i libri erano chiusi ed impilati, i fogli sembravano essere stati lanciati sul tavolino, senza curarsi di dove sarebbero potuti finire; la signorina, invece, era per terra.
Distesa a pancia in giù sul tappeto, stretta ad un pupazzo nero grande almeno la metà di lei, un penna in mano e un libro davanti, per la precisione.
Quando Kyte osò avvicinarsi, perplesso, notò che il libro era a rovescio e che Len stava unendo tutti i puntini sulle i; a giudicare dal pastrocchio sulla pagina accanto, era probabile che la sua intenzione fosse ridurre in quello stato tutto il libro.
Sperò ardentemente che non si trattasse del libro di giapponese.
Diede un colpo di tosse, ottenendo di far spostare l'attenzione della signorina dal libro pasticciato a lui. Non appena lo vide, lei sorrise e si rimise in piedi, pupazzo ancora tra le braccia, tranquilla come se fosse la cosa più normale del mondo unire i puntini sulle i su un libro tenuto al contrario sdraiati sul tappeto.
- La stanza è di vostro gradimento? -
Kyte annuì meccanicamente, più per cortesia che per reale interesse verso la stanza - su cui aveva comunque tentato di concentrarsi, invano.
- Vi ringrazio per l'interessamento. Vogliamo cominciare? -
- Hai! -
Trasse un profondo respiro, cercando di non far caso alle occhiate indagatorie dei due servitori - era comprensibile che lo stessero studiando, anzi, era una benedizione.
Nel notare come Len stesse sistemando il pupazzo su un'altra poltroncina, Kyte osservò meglio ciò che aveva davanti: sedia spostata per metà, tavolino con torri librarie, caos cartaceo e una lavagnetta nera a circa un metro e mezzo di distanza. Non riuscì a capire come fece ad individuare il gessetto tra due fogli, ma meglio così.
"Adesso devo solo ricordarmi come Gakupo l'ha insegnato a me."
Ecco, pensare a Gakupo - e al fatto che fosse armato - era un ottimo metodo per calmarsi.
Raggiunse la lavagnetta quando Len si sedette. Inspirò e si voltò verso di lei: - Prima di cominciare... - esordì, con quella calma di provenienza misteriosa: - ... posso farvi una domanda? -
La signorina sbattè le palpebre, stupita, per poi annuire.
- Il giapponese si parla unicamente in Giappone, un paese molto distante da qui. Non è neppure una lingua europea o delle colonie. Né ha a che fare con la Cina. Non c'è alcun motivo valido perché qualcuno, tanto più se si tratta di una fanciulla, debba imparare questa lingua. -
Era un dubbio che aveva fin da quando Gakupo gli aveva detto di fare l'insegnante di giapponese presso una famiglia aristocratica: era una lingua rarissima, poco usata, i mercanti preferivano la Cina al Giappone e, soprattutto, perché una ragazza avrebbe dovuto impararla?
Len ridacchiò, nascondendo le labbra dietro una mano: - Abbiamo i nostri motivi, signor Kyte. Non stiate a pensarci. -.
"... risposta molto esaustiva.".
- Come desiderate. - disse, poco convinto: - Perdonate la mia indiscrezione. E' che ho sempre visto fanciulle imparare il francese, piuttosto che lingue tanto rare... -
La mano rimase all'altezza della bocca, lo sguardo azzurro rivelò la risata maltrattenuta: - Ma io conosco il francese, signor Kyte! -
- Davvero? - Gakupo gli aveva detto che la signorina non aveva ovviamente più alcun precettore, ma conoscere un'altra lingua a soli quindici anni tanto alla perfezione...
- Sì! Qualche parola. -
- ... - cominciava a capire: - ... qualche? -
- ... - la mano tornò sotto il tavolo, lo sguardo azzurro si spostò altrove: - ... ne conosco di più in giapponese. -.
"Dunque la signorina sa il francese come io so il russo." e l'unica parola russa di sua conoscenza era "vodka".
- Suvvia... - il sorriso di Len era letteralmente angelico, complici anche i capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle candida: - So suonare il pianoforte, so cantare, so tessere, conosco la storia e la letteratura del Regno Unito, so dove si trovano gli Stati europei e le Americhe e so anche tener di conto... -
- Davvero? -
- Soltanto finché si rimane alle due cifre. -
- ... comprendo. -
- Quindi, non credo che qualcuno possa biasimarmi se pecco di conoscenze di français. Soprattutto considerando che una seconda lingua la sto studiando comunque. -
La cosa continuava a sembrargli assurda: perché preferire che la propria - unica - figlia imparasse una lingua praticamente inutilizzata piuttosto che una raffinata e ben più diffusa?
"Vogliono forse sfoggiarla ulteriormente?" come se ce ne fosse bisogno.
Di fronte all'immutato candore di Len, decise di arrendersi - per il momento.
- Avete ragione, signorina. - chinò il capo, accennando ad un sorriso: - Direi quindi di iniziare. Ditemi, con gli alfabeti... - forse era l'approccio più facile.
Forse: - ... a che livello siete? -
Len parve pensarci un istante: - Conosco hiragana e katakana e Gakupo-sensei ha iniziato ad insegnarmi i kanji. -
Sul suo volto delicato calò un'ombra di preoccupazione: - Mi ha detto che sono molti... è vero? -
"Molti..."
- Sono più di duemila, signorina. - meglio essere diretti per evitarle troppe sofferenze.
Non appena pronunciò quel numero, vide Len impallidire di colpo, gli occhi farsi sgranati, la bocca socchiudersi appena.
Un istante dopo, con uno schianto, la fanciulla si lasciò precipitare sul tavolo - e doveva anche essersi fatta male, a giudicare dal botto.
Lentamente, le mani emersero da sotto il tavolo, andando a posarsi, piano, sopra la testa.
- Non ce la farò mai. - piagnucolò.
Kyte alzò gli occhi al soffitto, capendo che stupirsi sarebbe stato inutile: "Voi non ce la farete mai, eh...?"






Note:
* Parole/frasi in giapponese o, almeno, quello che intendevo far dire
- "Hai": Sì
- "Oujo-sama": Signorina
- "Daijoubu": Va tutto bene
- "Sensei wa oshaberi desu": Il maestro è un chiacchierone
- "Iya, okaasama": No, madre
- "Onegai": Ti prego
* Harakiri/Seppuku è un cruento rituale di suicidio dei samurai. Nonostante si usino due termini, si tratta della stessa cosa - solo, "harakiri" è comune del linguaggio parlato, mentre "seppuku" del linguaggio scritto.
Il kaishakunin, senza scendere nel dettaglio, è colui che dà il "colpo di grazia" al suicida per far sì che sul suo volto non rimanga l'espressione di dolore - cosa che, in caso contrario, porterebbe ad una morte disonorevole.
* Tournure e crinolina erano due "sottogonne rigide" che le donne del XIX secolo mettevano, appunto, sotto la gonna, per darle una determinata forma.
Guardando le immagini, vi lascio immaginare il perché di tanta felicità (?) nel vedere una dama portare la tournure piuttosto che la crinolina.



C'era una volta, in quel di fine Novembre, tal Soe Mame, che si ritrovò, senza motivo alcuno, ad avere Haitoku no kioku - The lost memory (la cover di Pokota, Clear e 96Neko) in testa, sebbene non la sentisse da secoli.
Così, spinta da ciò (?), decise di fare quella cosa che si era sempre ripromessa di fare ma non aveva mai fatto: una maratona di tutte le canzoni dei VanaN'Ice, sia quelle dotate di video che quelle senza.
Così, con Haitoku no kioku nella mente, con il video di Haitoku no kioku negli occhi, con il significato di Haitoku no kioku nel cuore (?), le venne una storia su Lovelessxxx.
Che in realtà non ha poi tutto questo granché di Lovelessxxx, abbigliamento a parte, quindi potrei benissimo dire che è un po' (poco) (poco) (poco) Lovelessxxx e un po' (tanto) qualcos'altro.
Quindi, sì, è un po' Lovelessxxx, ma senza nekomimi veri e propri e senza meches. E senza una buona fetta di senso. E' vagamentissimamente ispirata, ecco. Però non c'è solo quella, ri-ecco. E'-

Salve! ^^ *spinge via introduzione inutile*
Sì, mi sono ritrovata a scrivere una fanfiction sui BanagelaN'Zana - o BanamelaN'ato, più corretto. Sì, in giappoinglese modificato viene quella cosa fAiga che è "VanaN'Ice", in italiano vengono quelle cose belle lì.
Come detto sopra, tutto iniziò con una bella cover di Haitoku no kioku - The lost memory, unita ad una lunga maratona di canzoni. Il risultato è ciò: quella che sarebbe dovuta essere un'innocente (?) minilong di sei capitoli è diventata...
... non è più una minilong, ecco. Un capitolo si è diviso in due, un altro in tre, e- *Soe è una grafomane di questa cippa.*

Giusto perché i Kagamine nell'800 non mi erano bastati, mi sono ritrovata a fare ricerche su abbigliamentousicostumicomportamento dell'epoca vittoriana.
Tutto è ripreso principalmente da due siti: Georgiana's Garden (mi sono quasi commossa nel trovare un sito tanto fornito in italiano) e Abiti Antichi.
E' tuttavia probabilissimo che abbia preso qualche brutale cantonata - non esitate a farmelo notare, nel caso! OAO

Qualche commento random.
"Sheeawn" dovrebbe essere, almeno nelle mie idee, qualcosa come l'anglicizzazione del cognome "Shion", ma penso si fosse capito. *E invece no.* OAO!
L'"Al" nominato è Big Al. U.U Il suo cognome, Dewsen, è l'anagramma di Sweden, Svezia - questo perché la sua casa di produzione è svedese. *Sì, la fantasia trabocca.*
Non credo, invece, ci sia bisogno di specificare da dove derivi il cognome "Mirror". XD

Perché "precettori"?
- E' per gli occhiali? - mi chiese qualcuno.
No. Colpa delle due Uproar of teacher and girl, alias "L'unico caso in cui riesco a prendere sul serio un Len inquietante".
Le stavo ascoltando nello stesso periodo. Non fatevi domande.
Non fatevele.

Un paio di cose che ci terrei a dire.
La prima riguarda i generi: per quanto questo capitolo-introduzione sia idiota, "Demenziale" non è l'unico genere segnato. Quindi, fateci attenzione.
E non ho dimenticato nulla, nello specchietto. Davvero.
La seconda...
... questa storia necessitava del rating r. Necessitava disperatamente del rating r. Ma io e il rating r andiamo tanto d'accordo solo quando non si tratta di scriverlo. Quindi niente innalzamento del rating a rosso, mi dispiace. U_U"

Poi.
Avrei voluto postare solo una volta conclusa la stesura di tutti i capitoli. Tuttavia, è già Febbraio, un paio di giorni fa, Pokota, Clear e 96Neko se ne sono usciti con la cover di Lovelessxxx *... e questo cosa c'entra...?* e mi è temporaneamente imploso il pc. *Ma questa è una cosa che non importa a nessuno.*
Insomma, era un segno. *No, Soe, sei solo tu che ciarli di cose senza senso, più del solito.*
Però sono al penultimo capitolo. Sono perdonata...? *No.* Ugh.

Tra l'altro, ho notato che le fanfiction su questi tre sono terribilmente poche. E questo non va affatto bene. Ho notato che ne è stata da poco postata una e so che c'è una "serie" in corso, e questo è bene. Ma rimangono poche. E questo non è bene. No.

Comunque, il POV di Kaito nuoce gravemente alla salute mentale. *Ci teneva a dirlo.*
(E, una volta tanto, non lo dipingo come un demone. *...*)

Spero che questo capitolo-introduzione vi sia stato di gradimento. ^^
Se avete consigli da darmi o critiche da muovermi, dite pure. ^^
  
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