Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |      
Autore: BurningIce    11/02/2014    2 recensioni
Ivy, diciannove anni, ha un futuro sul campo di battaglia e nessun passato alle spalle. Nei suoi ultimi giorni al campo di addestramento più grande della galassia, Spadyo, scoprirà che niente è come sembra.
"A Spadyo, ogni secondo della nostra esistenza è finalizzato al potenziamento di doti utili sul campo di battaglia. La prima immagine che ho di me è quella di una bambina di tre anni che legge un libro di strategie militari. I miei compleanni sono stati scanditi dalle Prove Generali che, ironia della sorte, si svolgono ogni anno proprio il giorno della mia nascita. Ci sono stati anche dei morti, durante le prove. Gli occhi vitrei di Mark K, appena tredicenne, mi saltano in mente a tradimento, la maggior parte delle notti. Penso sia stata la mia prima cotta. Credo di averlo ucciso io."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia è dedicata alle mie amiche di Efp, quelle con cui ho iniziato il "viaggio". Flaqui, Bess, Clare, Marti. Vi voglio un mondo di bene.

 

CONTROLLED

 
PROLOGO


 
Giorno duecentoventicinque dell'anno 2414 - Spadyo
 
Mi chiamo Ivy L. Ho diciannove anni. Vivo sul Pianeta 52, all’interno dell’Area Strategica Trecentododici.
Non chiedetemi il mio cognome; io non lo conosco.
Non chiedetemi da dove vengo, perché non lo so.
Non chiedetemi chi è mia madre, né chi è mio padre: non li ho mai incontrati.
L’unica cosa che so è che mi trovo a Spadyo, nel campo di addestramento più grande dell’universo.
E non ho la più pallida idea di quando ne uscirò.
Quella che sto per raccontarvi non è una favola; non dovete considerarla la fantasia di una ragazzina, solo perché non ne siete toccati in prima persona. Probabilmente il mio messaggio è giunto fino ai confini opposti della galassia – non so, magari alla Terra – e i miei coetanei ne rideranno. Ma giuro, giuro su qualsiasi cosa, sulla mia stessa vita e su quella del nostro campo, che è tutto incredibilmente vero. E che l’idilliaca sicurezza nella quale vi cullate, Terrestri, come se doveste vivere per sempre, non è che inganno e illusione.
Qui fuori si sta svolgendo una battaglia.
Qui fuori si decidono le vostre – e le nostre – sorti.
Qui fuori l’universo potrebbe cambiare da un millesimo di secondo all’altro e voi rimarreste sconvolti dalle più piccole conseguenze.

Quello di cui gli Istruttori mi tengono a conoscenza non è molto, ma sono abbastanza scaltra da vedere più di ciò che sembri nelle storie che ci raccontano – e da cercare in prima persona informazioni plausibili. In fondo, sono un’Anziana. Potrei essere mandata nell’Area di Massima Urgenza nel giro di un anno. O di un giorno, forse. Straordinario come la vita di ognuno di noi sia affidata al caso – no, non al caso, a qualcosa di più complesso che non sono ancora riuscita a comprendere pienamente. Quando sarò certa anche di questo, ve ne parlerò.
A Spadyo, ogni secondo della nostra esistenza è finalizzato al potenziamento di doti utili sul campo di battaglia. La prima immagine che ho di me è quella di una bambina di tre anni che legge un libro di strategie militari. I miei compleanni sono stati scanditi dalle Prove Generali che, ironia della sorte, si svolgono ogni anno proprio il giorno della mia nascita. Ci sono stati anche dei morti, durante le prove. Gli occhi vitrei di Mark K, appena tredicenne, mi saltano in mente a tradimento, la maggior parte delle notti. Penso sia stata la mia prima cotta. Credo di averlo ucciso io.

Non possiedo una forza straordinaria; nel tiro al bersaglio e nella corsa sono penosa. Probabilmente mi tengono in considerazione più che altro per la mia intelligenza – che, consentitemi di dirlo, è abbastanza sopra la media. Forse mi illudo; forse anche io non ho nessuna dote preziosa. Magari sono come Myra – Myra che dorme ancora beatamente. A volte mi chiedo perché ancora non l’abbiano spedita via dal campo: non ha alcun talento utile ai fini del combattimento, né dimostra spiccate doti strategiche o intellettive. È piuttosto grassa, di buon cuore, sempre sorridente. Non è esattamente quel che si dice un ritratto del soldato tipo.
A volte, però, ho l’impressione che mantengano sotto controllo questa mia presunta intelligenza, come qualsiasi dote peculiare dimostrata dai ragazzi del campo. Gli esercizi di Strategia che mi riservano mi sembrano estremamente facili, quasi ridicoli. Dubito che non possano darmi qualcosa di più difficile, in grado di sfidare tutte le mie capacità.
Sotto controllo: ecco la definizione esatta per le nostre vite. E con le nostre mi riferisco anche a voi, che non siete mai stati a Spadyo – non illudetevi di essere liberi, nessuno lo è più.
Quando guardo dall’ampia vetrata piatta del mio appartamento, vedo solo un cielo blu e opaco. Finto, chiaramente. Non credo di aver mai visto la luce delle stelle. Eppure, secondo gli archivi, deve essere uno spettacolo meraviglioso. Parlano di puntini luminosi che si uniscono a formare disegni di incomparabile bellezza.
Ma adesso c’è qualcosa che non va in questo cielo.  
Ha un brutto squarcio nero che arriva fin quasi a terra, continuando ad allargarsi; faccio in tempo a scorgere qualche bagliore luminoso nello squarcio, poi il caos si impadronisce del mio mondo.
So che non si tratta di un’altra esercitazione ancor prima che il boato terrificante di un’esplosione faccia tremare l’intero edificio; la vetrata adesso ha dei graffi a forma di ragnatela, come se stesse per squarciarsi da un momento all’altro.
Spadyo è stata attaccata.
 

 
*

 
Una settimana prima
 
Il programma di quel giorno era particolarmente pesante, come in tutti i weekend. Il mio compleanno, insieme all’incombente Prova Generale, sarebbe arrivato tra meno di una settimana; ognuno di noi faceva l'impossibile per prepararsi a quel momento. Era la simulazione più terribilmente reale a cui ci sottoponessero ogni anno. E adesso che ero un’Anziana avrei dovuto temere molto di più degli altri anni – anche se non immaginavo cosa potesse essere peggio di quello che avevo già visto.
Non era crudeltà, ci aveva spiegato l’Istruttrice Marian, con la sua voce condiscendente e fredda al tempo stesso. Era solo il giusto modo di prepararci alla guerra vera, senza mezze misure. Non ci sarebbero stati porti sicuri a salvarci una volta gettati nella mischia. Dovevamo sapere quello che ci aspettava – la conoscenza è potere, ci ripetevano sempre. Ecco perché ritenevo che fossimo un ammasso di ignoranti.
Certo, sapevo citare a memoria ogni singola costellazione della galassia. La matematica e la storia antica non avevano segreti per me – conoscevo il nome dell’inventore di Internet e di quello delle automobili, nonché innumerevoli altre minuzie – tuttavia, se mi avessero chiesto perché combattevamo non avrei saputo rispondere.
Perché è giusto, ci dicevano. Per proteggere i vostri cari, ripetevano. L’unico dettaglio era che noi non avevamo cari. L’unica schiacciante verità, che eravamo addestrati ad uccidere perché eravamo obbligati.
L’Istruttrice Marian era il capo delle operazioni. Era giovane, scaltra e senza scrupoli. Il genere di persona che non vorresti mai metterti contro.
La classe in cui avremmo lavorato da quel giorno era un’enorme sala circolare con ben trentacinque postazioni di combattimento; erano aree multifunzione che quel giorno erano state adattate al tiro al bersaglio. Al centro, un cilindro di bronzo alto circa un metro fungeva da cattedra per il Capo. In realtà Marian non vi sostava nemmeno per un secondo, troppo impegnata a tenere tutto sotto controllo da vicino.
Quel giorno, nessuno in classe osò distrarsi anche solo per un secondo. Facevamo impressione, tutti nelle nostre tute da combattimento. Evidentemente ognuno di noi voleva avere l’aria di fare sul serio.
Emme, dall’altra parte della classe, digitava freneticamente qualcosa su una tastiera olografica, spostandosi di tanto in tanto i capelli biondi dal viso. Era un’ottima amica, quando si ricordava di te.
Fin troppo fredda, ma forse era solo un modo per proteggersi dal dopo. Due vicini di postazione che non conoscevo cominciavano già a studiare quella specie di pistola argentea e minuscola che si trovava sul ripiano metallico di cui eravamo a disposizione.
Myra stava ascoltando attentamente la sua amica Lena, una ragazza minuta ma micidiale, che rispiegava con pazienza le ultime parole di Marian. Vidi altri volti noti concentrarsi e impugnare l’arma man mano che l’Istruttrice passava a controllarli.
Io non lo feci; non era il momento. Bisognava solo ascoltare.
Ogni informazione poteva essere vitale, in vista della Prova. Il clima di amicizia reciproca, come ogni anno, si stava sfilacciando rapidamente nonostante ognuno di noi cercasse di tenerlo insieme. Ne avevamo un disperato bisogno.
Guardai il mio orologio da polso, che stava eseguendo un rapido download delle tattiche da studiare nei giorni seguenti. Quell’attrezzo infernale era un modo infallibile per comunicare, per ricevere informazioni e per essere controllati e localizzati in ogni singolo istante. Era severamente vietato toglierlo – a volte lo spostavo un po’ e scoprivo una strisciolina di pelle significativamente più chiara. Generalmente, lo facevo quando avevo una gran voglia di strapparmelo di dosso.
L’Istruttrice Capo passeggiava tra le varie postazioni senza smettere di fornire indicazioni per l’utilizzo delle nuove armi concesse solo a noi Anziani. Avevano un aspetto micidiale.
Mentre cercavo disperatamente di imparare a maneggiarle, mi accorsi che erano le più sofisticate e pericolose che avessi mai visto. Un solo passo falso e avrei disintegrato ogni essere vivente nel raggio di tre metri.
Abbassai gli occhialini e impugnai l’arma. Mi tremarono le mani quando premetti uno dei quattro interruttori, pregando di aver capito bene le istruzioni. Un raggio sottile e micidiale carbonizzò i manichini davanti a me e perforò la parete rossa con precisione millimetrica.
La cosa che mi preoccupò di più fu che per un attimo mi ero sentita potente.

«Clap, clap, clap» Una voce squillante mi fece voltare all’istante, quasi dimentica di avere ancora in mano l’arma. Ero così concentrata a memorizzare le istruzioni che ne avevo dimenticato il nome.
Alle mie spalle, con una tuta rossa identica alla mia, c’era Cam. Era sgattaiolata via dalla sua postazione e si era avvicinata con una smorfia che poteva essere di ammirazione quanto di scherno. Con lei non lo sapevi mai.
Cam era probabilmente la mia migliore amica, ma era da sempre anche la mia rivale più agguerrita. La competizione tra noi due, in vista delle prove, era accesa più che mai – eppure entrambe sapevamo che ci saremmo protette a vicenda prima di ogni cosa. Ci somigliavamo davvero molto, così tanto che spesso mi chiedevo se noi due fossimo parenti. Stessa carnagione pallida, stessi capelli scuri, ma soprattutto stessa immensa ambizione. Il rischio più grande che correvamo era che anche gli Istruttori si accorgessero di questa straordinaria somiglianza e che ci classificassero come Doppi.
Un esercito non può avere due persone praticamente uguali; non sono utili. Tendono a scontrarsi. Una di loro va eliminata, o i due soldati vanno separati e spediti il più lontano possibile l’uno dall’altro. Poiché a Spadyo si tende verso la semplicità, gli Istruttori preferiscono farci eliminare il nostro Doppio. È insieme una prova di abilità e un modo di disfarsi del superfluo. Liberare un posto è importante in vista della crescita vertiginosa degli arrivi. La Sala Culle è stata allargata e ristrutturata più volte nel corso degli ultimi tre anni. Nell’ultimo, in particolare, i neonati sono aumentati del sessantacinque percento. Mi chiedo che senso abbia tenerci qui praticamente fin dalla nascita: cosa mai potresti insegnare ad un bambino che non sa tenere in mano neppure un sonaglino?
«Ehi Cam!» Esclamai, con un sorriso ironico. «Prova tu»
Le lanciai l’arma, conscia di quanto pericoloso fosse il mio gesto, e lei l’afferrò al volo, ricambiando il sorriso. Il suo era ben più regolare del mio, così come i suoi capelli sembravano splendere sotto la luce fredda del soffitto blu, interamente illuminato. Da quel punto di vista, non c’erano dubbi su chi vincesse. Cam avanzò di qualche passo e raggiunse la postazione di tiro, concentrandosi sui suoi bersagli. Sparò per ben tre volte, facendo fuori praticamente tutte le sagome nel raggio di tre metri.
Il Doppio a soccombere, in caso di scontro, sarei stata io.


 
*


Le due ore di pausa che ci concedevano il sabato pomeriggio erano qualcosa di idilliaco che però svaniva via troppo presto, lasciandoci delusi e insoddisfatti. Ogni volta immaginavamo chissà quali eventi, durante quelle ore, ma presto ci colpiva la consapevolezza che eravamo troppo stanchi per fare qualsiasi cosa. Personalmente, preferivo passarle in giardino. Avevamo un giardino splendido, pieno di piante rigogliose e dai colori brillanti. Era ancora più bello osservarlo mentre brulicava di ragazzi e ragazze, spensierati come raramente potevi vederli. Sbirciai per qualche secondo Caesar, un ragazzo dai capelli biondo platino che passeggiava beatamente vicino a Cam. Pendeva dalle sue labbra.
Certo, era bello. E vederlo così innamorato di Cam mi dava fastidio senz’altro, ma mi mantenevo a debita distanza. Sarebbe stato grottesco avere una cotta per un ragazzo che probabilmente avresti dovuto uccidere la settimana successiva.
Eppure, ci comportavamo tutti come se non fossimo potenziali nemici l’uno dell’altro. Prima delle Prove era preferibile ignorarlo. Si era formato un bel gruppo, tra gli Anziani. Andavo spesso in giro con loro, ma l’ipocrisia della situazione mi nauseava. Così come quelle ragazze che si atteggiavano tanto a primedonne, godendosi quei piccoli attimi di superficialità che ci venivano concessi.
Quel giorno, ci eravamo riuniti sotto un grande albero dalle foglie blu e argentate, che in quel periodo dell’anno cadevano in continuazione per poi rinascere all’istante. Eravamo praticamente un quarto degli Anziani – quelli che contavano, come amava ripetere Eris – e si faceva molta più fatica del solito a tener viva la conversazione. Occasionalmente, le reclute più brillanti, anche se più giovani di noi, potevano far parte del nostro circolo esclusivo. Mi ero sempre sentita in colpa per non aver mai invitato Myra, ma in un certo senso preferivo tenerla lontana da noi. Era troppo ingenua, troppo buona per far parte di quella cerchia. E, se proprio dovevo ammetterlo, la vedevo come una sorta di peso. 
Mi sentii terribilmente in colpa quando mi sorrise da lontano, distraendosi per un attimo da una conversazione sicuramente molto noiosa con i suoi soliti amici, nei pressi del fiume Aria. Aveva preso questo nome dopo che una bambina di tre anni vi era annegata; l’Istruttore che avrebbe dovuto controllarla non si era più visto in giro, da quel giorno.
«Quindi tu pensi che questa volta sarà uno scontro contro tutti» Mi incalzò Drake, forse il più grande di noi. Aveva ventun’anni e una terribile faccia da schiaffi.
«Io, sinceramente, credo che sia troppo rischioso per loro»
«Non ho detto questo» Intervenni, cercando di sovrastare il coro di assensi che aveva suscitato la sua frase. Era bravo a dire cose ovvie, facilmente condivisibili. Per questo molta gente sciocca lo teneva in gran considerazione.
Io mi limitavo a mantenere le distanze.
«Penso che sia qualcosa di diverso rispetto agli anni passati. Siamo tutti abituati alla vecchia caccia alla bandiera, in tutte le sue varianti. La trovo infantile, a dirla tutta.»
«Pensa per te. Essere coinvolta in uno scontro sanguinoso contro i miei amici non è esattamente tra le mie priorità.» Ribattè Eris, cercando di far colpo su Drake.
Eris era una di quelle ragazze non esattamente intelligentissime, ma dovevo tenermela buona perché era parte del gruppo. In fondo le volevo bene; o almeno credo. In quei momenti, però, l’avrei volentieri disintegrata.
Scoppiai a ridere amaramente.
«Ma è quello che farai tra qualche anno, cara»  
Nessuno parlò. Avevo detto la più dura delle verità. Guardai distrattamente un gruppo di ragazzini di cui il più grande poteva avere al massimo otto anni rincorrere delle farfalle meccaniche, pregando che gli Istruttori avessero pietà di noi. D’altronde, c’erano ancora anni per far conoscere ai bambini la cruda realtà.

Quando ritornai in camera, fui sorpresa di trovare una lettera sulla mia scrivania. Ce n’era una identica su quella di Myra, che evidentemente era ancora nella Sala Archivi a studiare. 
Guardando la stanza, mi stupii di come tanto lusso fosse in contrasto con la pretesa di prepararci alla guerra: in fondo, avevamo una camera spaziosa e confortevole, con tanto di vetrata panoramica e letto matrimoniale per ognuna di noi.
Era solo un po’… spoglia. Ecco, spoglia e impersonale. Non vedevo la carta da anni e mi persi nel profumo della busta nera. Se avessi potuto chiedere un regalo di compleanno, avrei sicuramente scelto un libro. Aprii la busta, attenta a non sgualcirla, e ne lessi il contenuto con crescente incredulità.
“In quanto membro Anziano di Spadyo,
lei è caldamente invitata a partecipare alla cerimonia che si terrà questa sera nella Sala Riunioni. È richiesto un abito da cerimonia.”
Mi precipitai ad aprire l’armadio e non fui sorpresa di trovarvi l’abito. Era un pezzo di stoffa nera piuttosto anonimo all’apparenza, ma sapevo bene di cosa si trattasse in realtà. L’avevo letto un paio di anni prima. Gli Istruttori avevano pensato proprio a tutto. Mi chiesi che cosa volesse dire quell’incontro elegante, soprattutto perché nessun Anziano ne aveva mai parlato. Probabilmente non ne avevano il permesso. Prima ancora di poter provare l’abito, un suono acuto e continuo rischiò seriamente di spaccarmi i timpani.
Come non detto.
Aprii il pesante portone metallico e mi ritrovai davanti due volti ugualmente esaltati. Cam e Emme, ancora con la lettera in mano, piombarono nel mio appartamento riempiendolo delle loro voci squillanti.
Mi accorsi che portavano entrambe una borsa nera.
«Ti rendi conto?»  Esordì Cam gesticolando e percorrendo ad ampi passi l’intero perimetro della camera.
«Una festa!»  Replicò Emme.
«Una festa vera!»
«O mio Dio, non sono mai stata ad una festa elegante»
«Credi che dovrei prendere un vestito?»
«Ti hanno già dato un vestito, imbecille.»
«Oh, giusto…»
«BASTA!»  Tuonai, divertita ed esasperata. Emme e Cam mi guardarono come se avessero appena realizzato di trovarsi nella mia stanza. «Volete smettere di sbraitare?»
«Scusami tanto, signora di ferro»  Mi scimmiottò Emme, scostandosi i lunghi capelli chiari dal viso. Finse un’espressione seria, poi mi balzò addosso con agilità felina. Il suo innegabile talento nelle arti marziali scaturiva anche dai più piccoli gesti.
«Non sei entusiasta?»
«Da morire»  Ammisi, ridendo. Eppure, dentro di me qualcosa gridava pericolo.


 
*


Avevo insistito perché le altre ragazze si cambiassero da me, nonostante non dovessimo fare praticamente nulla. Mi sembrava solo… carino, ecco. Erano Vestiti Intelligenti, quelli che ci avevano dato. Non ne avevo mai posseduto uno, ma ne avevo tanto sentito parlare. Quando Emme e Cam avevano detto di non essere andate mai a nessuna festa, avevano un po’ esagerato. A volte, noi ragazzi più grandi organizzavamo dei piccoli ritrovi clandestini nei nostri appartamenti, ben attenti a non essere beccati. In realtà, credo che gli Istruttori sapessero tutto. Come avrei scoperto in seguito, guardavano quello che succedeva quando eravamo pienamente e liberamente noi stessi, alle nostre feste, per appuntarsi informazioni utili su di noi. Sui nostri affetti. Sulle nostre debolezze. Su quello che ci avrebbe resi soldati peggiori una volta in guerra. Esagerati. Pazzi, probabilmente. O forse straordinariamente organizzati e previdenti.
Una volta, Drake era riuscito a procurarsi un po’ di alcool destinato agli Istruttori, con una vittoriosa spedizione nella Sala Culle. Era assurdo che tenessero le loro sostanze illegali proprio lì.
Ricordo che il giorno dopo mi ero svegliata con un fortissimo mal di testa e con nessuna idea su quello che fosse successo la notte precedente. Le immagini immortalate da Eris mi avevano poi convinta che l’alcool era qualcosa di deplorevole, come mi aveva ripetuto più volte Myra. Eppure lei avrebbe rimpianto di non essersi mai divertita a modo, un giorno. Myra si era specchiata con noi nella grande vetrata, che all’occorrenza poteva diventare uno specchio largo due metri e alto tre. Avevo visto un pizzico di invidia nei suoi occhi quando ci aveva guardate: eravamo così piccole e magre. Fragili, possibilmente, per chi non ci conosceva.
L’abito si adeguava al nostro corpo automaticamente e assumeva il colore e la forma più adatti alla persona che lo indossava; doveva costare praticamente una fortuna, se avessimo dovuto comprarlo.
Il mio era di un bel colore rosso fuoco. Mi preoccupai non poco quando vidi che era molto simile a quello di Cam – gli Istruttori avrebbero notato anche questo.
Erano le nove in punto quando ci spostammo alla Sala Riunioni. Il cielo era ancora fastidiosamente blu e opaco: non cambiava mai colore.
C’erano già praticamente tutti gli Anziani e alcuni dei Cadetti: ogni ragazzo dai tredici anni in su era stato invitato a partecipare al ritrovo, come spiegava il manifesto virtuale all’ingresso della stanza.
Erano brevemente accennate anche le motivazioni della nostra presenza lì. Scegliere un compagno, snellire la procedura per quando avremmo avuto il nostro turno nel procreare. Era tutto molto semplice e veloce; abbastanza svilente, in realtà. E, soprattutto, qualcosa non tornava.
“Benvenuti alle porte del vostro futuro” Lessi, disgustata. “Oggi troverete il vero amore”
Nel manifesto, una donna spiegava minuziosamente tutta la procedura da seguire una volta aver ricevuto il via da parte degli Istruttori. Lasciava per qualche secondo spazio alle immagini di due ragazzi che si guardavano teneramente, poi proseguiva, impassibile. Nel frattempo, diceva, dovevamo solo metterci a nostro agio.
Mi chiesi cosa sarebbe successo se il compagno scelto fosse morto in guerra prima di poter compiere il nostro dovere. O se io fossi morta. Il ragionamento del manifesto era assolutamente campato in aria. Esposi le mie perplessità a Eris, ma lei non capì. Tipico, lei non capiva mai.
Uno degli Istruttori ci venne incontro, guardando con lascivia la schiena scoperta di Emme. Non mi piaceva. Era alto due metri e aveva qualcosa di subdolo nel portamento e nell’espressione del viso.
Ci salutò chiamandoci tutte per nome – straordinario come li ricordassero senza alcuna defaillance. Ci spiegò nuovamente che quella sera avremmo potuto divertirci senza limiti e, soprattutto, al termine della serata avremmo dovuto scegliere un compagno adeguato, per poi registrare la coppia all’Albo.
Che fissati.
Mi fece rabbrividire il modo in cui indugiò sulla parola divertirsi con lo sguardo fisso su Emme. Era squallido. Tutto quello lo era. Non potevo scegliere l’uomo della mia vita nel giro di tre ore. Ero sempre cresciuta nella convinzione che non avessi alcun reale bisogno degli uomini, a parte i miei piccoli abbagli momentanei.
«Beh, sai che vi dico?» Sbottò Eris quando l’Istruttore si fu allontanato.
«Questa è la nostra unica occasione per darci dentro sul serio.» Si avvicinò a uno dei tavoli e prese un bicchiere.
«Io brindo alla LIBERTÀ!» Una decina di ragazzi la imitò e mi accorsi di accorse di quanto fossero stati veloci tutti nel prendere confidenza con il rinfresco. Sorrisi mio malgrado. Forse, Eris poteva anche avere ragione.
A quel tempo ero irresponsabile, superficiale e facilmente influenzabile. Ma non avevo nemmeno diciannove anni e forse andava bene così. Non sapevo che nel giro di pochissimi giorni sarebbero cambiate innumerevoli cose.


*

 
Un’ora dopo mi ritrovai accasciata sul pavimento metallico, appoggiata alla parete nera, con un bicchiere colmo di liquido blu elettrico in mano. Al mio fianco distinguevo i contorni sfocati di un profilo conosciuto… era quello di Drake. Avevo perso di vista le altre e mi girava la testa – oh come girava, avrei dovuto dare ascolto a Myra, lei finiva per avere sempre ragione…
Scorsi Eris e un ragazzo che non conoscevo sparire nell’ombra. Vidi Cam che cercava di sfuggire alle avances di Caesar; era così altezzosa, lei. Si divertiva spesso a disprezzare Caesar davanti a me, consapevole del mio segreto interesse nei suoi confronti. La odiavo. In quel momento la odiavo da impazzire; se solo me la fossi trovata davanti, l’avrei uccisa senza alcuna esitazione. Ma tutto quello che avevo a disposizione era un bicchiere di una qualche sostanza superalcolica, un feroce mal di testa e un Drake altrettanto malridotto al mio fianco. Non so cosa mi spinse ad avvicinarmi a lui, molto lentamente, a mettergli una mano sul ginocchio e a posare le mie labbra sulle sue. Sapevo che era sbagliato. Che lui non era quello che cercavo. Che ci stavano guardando tutti. Che era una persona deplorevole. Eppure, quando mi strinse a sé, sorrisi stupidamente e la giudicai una vendetta eccellente. Contro chi, contro cosa non lo sapevo.
Forse volevo dimostrare a me stessa che ero ancora in grado di essere una ragazza di diciannove anni e non una macchina da combattimento. Forse volevo dimostrare a Cam che non era l’unica a godere dell’interesse di un ragazzo.
Strinsi il suo viso con forza, aggrappandomi a lui proprio nel bel mezzo della Sala e mi lasciai cullare in quello strano oblio fino a quando qualcuno non mi allontanò da lui con uno strattone.
Ci misi qualche secondo a mettere a fuoco gli occhi da tigre di Emme. Esatto, erano proprio occhi da tigre. Di un verde indefinibile, con una strana forma allungata. In quel momento mi sembrò importante e intelligente dirglielo.
«Ivy» Mi chiamò. Non ottenne altro che un'altra risatina vuota.
«Ivy, so che sei ubriaca fradicia, ma devi ascoltarmi. È vitale rimanere unite»
«P-perché?» Farfugliai, reggendomi saldamente alle sue spalle. Mi sentivo come in una spaventosa giostra roteante per le simulazioni di combattimento dinamico.
«Non posso spiegartelo ora. Ci stanno osservando» Mi sussurrò all’orecchio, agitata. Lo sapevo. Sapevo che era tutta una trappola, avrei dovuto dare ascolto al mio intuito. Quante volte si era sbagliato? Che io ricordassi, mai. Ma in quel momento non riuscivo a gestire perfettamente i miei ricordi e le mie facoltà intellettive: scivolavano via prima che i miei ragionamenti potessero concludere qualcosa.
Poi si rivolse a Drake.
«Avanti, tirati su, stronzo. Ci servi» Il ragazzo rise selvaggiamente, ma afferrò la mano che Emme gli tendeva.
«Tranquilla» Sussurrò vicinissimo a entrambe. «Verrà anche il tuo turno, non essere impaziente»
Emme lo ignorò e cominciò a trascinarci per la sala, diretta verso una delle uscite.
No. Non volevo andarmene dalla festa.
Mentre mi guardavo intorno, scoprii che non ero l’unica ad essermi abbandonata a comportamenti osceni. Ovunque mi voltassi in quella girandola di colori e suoni indefiniti – da quanto tempo c’era la musica? – trovavo un segno inconfutabile di dissoluzione.
Alcool, balli osceni, baci voluttuosi e ancora tanta, tanta confusione.
Per un attimo mi vergognai di me stessa e dei miei compagni.
Poi mi accorsi che ero di nuovo seduta e che intorno a me c’erano Emme, Drake, Eris, una ragazza poco più grande di me il cui nome doveva essere Vio o qualcosa del genere e un cadetto che non conoscevo. Sbattei le palpebre un paio di volte.
«Un momento» Biascicai. «Dov’è Cam?»
 Ma nessuno ebbe il tempo di rispondere alla mia domanda. Tre Istruttori entrarono nella stanza. La bolla che ci aveva separati per poche ore dal nostro mondo fatto di allenamenti e frustrazioni scoppiò nel vedere il Capo, la cui voce amplificata tuonò e rimbombò in ogni angolo della sala.
«Bene, futuri protettori della vostra patria.» Le parole suonarono acide e sarcastiche.
«Ottimo. Abbiamo dimostrato, nel giro di soli centoventitre minuti, che non siete all’altezza dei vostri titoli!» La voce adirata tuonò e rimbombò, entrandomi fin dentro le ossa. Avevo una paura folle.
«Anziani e Cadetti. Ricordate con quanta fatica avete raggiunto i vostri gradi?»  Ci guardò con i penetranti occhi scuri, ad uno ad uno, e mi sentii tremendamente in colpa.
«Abbiamo osservato ogni vostro riprovevole comportamento. Tentati dall’alcool e dal divertimento più deplorevole!» Il silenzio riempì la sala più della voce della donna. Nessuno di noi osò ribattere.
«Guardatevi! Così… frivole. Così meschini. Mi vergogno di voi!» Myra sembrò voler dire qualcosa; in fondo, lei era santa sempre.
«Avete realmente creduto che fossimo qui per assegnarvi il principe azzurro, sciocche ragazzine? Non avevamo forse tra di voi menti dall’intelletto… superiore?»
Mi sentii inevitabilmente tirata in ballo. Avrei voluto vomitare.
«Ma ho una sorpresa. Avete a disposizione ancora un modo per riscattarvi.» Vidi gli sguardi di alcuni ragazzi illuminarsi di speranza. Nessuno si mosse; alcuni erano ancora abbracciati in una danza ormai pietrificata. Altri avevano l’aria di non capire cosa stesse succedendo.
«La prima cosa da fare… » Aggiunse. « …è rimanere FERMI!»
Urlò e la mia testa sembrò esplodere. Chiusi gli occhi, la mente annebbiata dal cocktail, e cercai di rimettermi in piedi.
Una voce metallica sostituì ben presto quella del Capo; quando tornai a guardare nella sua direzione, scoprii che lei e i due Istruttori che la accompagnavano erano spariti.
«Attenzione. La Prova Generale del prossimo sabato è stata anticipata.» Diedi una rapida occhiata in giro; l’annuncio ci aveva lasciati sbalorditi e impotenti. Alcuni ragazzi imprecarono a gran voce, mentre altri si lasciarono scivolare sul pavimento. Nessuno di noi era pronto.
«Rimanete dove siete e con chi siete.» Colsi finalmente lo sguardo disorientato di Cam e lo ricambiai inorridita. C’erano metri di distanza a separarci. In qualche modo, seppi che era arrivato il punto di non ritorno. Era con Ceasar ed entrambi stringevano ancora in mano i loro bicchieri. Myra era completamente sola al centro della sala. Forse era colpa mia.
«La vostra attuale compagnia sarà la vostra squadra per tutta la durata della prova. Vi verranno assegnati degli obiettivi.»
I nostri orologi si illuminarono; il display era occupato dal numero due e da alcune lettere che si materializzarono pian piano sotto di esso.
«Se provate a cambiare squadra, sarete squalificati. Se disubbidite volontariamente all’obiettivo, verrete puniti.» Il numero due comparve anche su entrambe le maniche del mio Vestito Intelligente. Ecco perché ce li avevano dati. Non poteva essere per pura vanità.
«Attenzione, prego. Per gli Anziani, questa prova vale due Menzioni Speciali.»
Immediatamente, molti di noi spalancano gli occhi, stupiti e bramosi. Ottenere Menzioni Speciali è uno dei pochi modi per far parte dei piani alti dell’esercito. Se non hai alcun riconoscimento, sarai considerato mediocre. E se sei mediocre, sei poco più di una bestia da macello.
Anche Cam non era più spaesata, né impaurita. Era incredibilmente determinata e quasi mi faceva paura. Quando si voltò nella mia direzione, con un viso stranamente inespressivo, seppi immediatamente qual era il suo obiettivo.
E nello stesso istante in cui si scatenava il caos all’interno della sala, nello stesso istante in cui la voce metallica sovrastava ancora il vocio concitato che si diffondeva con crescente intensità, una parte di me ancora lucida in mezzo a quella tremenda confusione mi suggerì l’unica cosa da fare.
«SCAPPIAMO!» Urlai. Mi guardai indietro una sola volta. Caesar e Cam stavano correndo nella nostra direzione.
 


 
Ciao a tutti, grazie per essere arrivati fin qui :D
Per la prima volta scrivo nell'ambito della fantascienza, spero di non fare qualche figuraccia. Questa è la mia seconda originale, quindi sono ancora molto inesperta... spero sappiate guidarmi - sarei veramente felice se qualcuno di voi mi desse dei consigli e mi facesse sapere cosa ne pensa di questo prologo, a dire il vero abbastanza lunghetto. 
Come avrete intuito, i giorni a Spadyo sono ormai contati... a breve si arriverà all'attacco. Una piccola precisazione sul nome: si chiama Ivy L perché è la dodicesima persona di nome Ivy al campo. Se fosse stata la prima sarebbe stata Ivy A e così via... piccola invenzione a dire il vero piuttosto stupida.
A proposito di cose stupide: VOGLIO UN ABITO INTELLIGENTE :( 
Vi mando un grande bacio, ci sentiamo presto!
Buona notte, buona settimana e buon San Valentino (soprattutto a chi, come me, lo passerà davanti a un film. Come una novantenne, insomma. UAU.)
Au revoir
-Iv.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: BurningIce