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Autore: CeciliaCollins    11/02/2014    1 recensioni
E' una breve storia di una ragazza che ha perso il padre.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adoravo quel profumo, l’odore di tabacco misto a quello di mentolo mi tranquillizzava.
Mi fermai, chiusi gli occhi e feci un bel respiro, come se potesse entrarmi nell’anima.
< Devi smetterla > Sentii una voce dietro di me. La mia matrigna.
< Non devi entrare in camera di papà quando hai quel profumo da zoccola > Le dissi con tono aggressivo.
Quel profumo che usava era pungente, e avvelenava l’aria.
Non volevo che avvelenasse papà, la sua stanza ormai era l’unica cosa che avevo, e che custodivo.
< Tuo padre è morto ragazzina > Mi bisbigliò in un ghigno ad un centimetro dal naso.
< Non tornerà più, è sotto terra, con i verm i > Disse maligna.
Ebbi l’istinto di picchiarla ma mi trattenni.
< Ora fammi passare, devo sgomberare quello schifo di stanza >
Cercò di avanzare ma io le sbarrai la strada, avevo un nodo alla gola, le labbra serrate, e le mani mi tremavano.
< Solo un giorno > Supplicai, cercando di non piangere davanti a lei.
< Sei una svitata > Rispose lei andandosene disgustata dai miei piagnucolii.
Appoggiai la fronte contro la porta della sua camera.
Era in legno, scuro, sembrava pesante, come un portale che custodiva mille meraviglie.
La luce filtrava sottile sotto la porta.
La aprii cauta, la luce era soffusa, e sottolineava la polvere sopra i libri nella libreria, rimasti intoccati da più di due mesi.
Due mesi erano passati, da quando era morto.
Al funerale non avevo pianto, mi avevano detto di farlo, che il tempo mi avrebbe asciugato le lacrime solo se c’erano, eppure sembrava che quel dolore ogni giorno si facesse più intenso e lacerante.
Ricordo che ogni giorno ci raccontava un pezzetto della storia che stava scrivendo, mille avventure, viaggi, colori, emozioni.
Mia madre non lo ascoltava, troppo giovane, e troppo superficiale per capire l’essenza di quelle storie, io invece  lo ascoltavo, ogni singola parola, ogni singola esitazione nel scegliere ciascun aggettivo, per ogni meraviglia.
Sapevo sarebbe arrivato il momento, eppure la sua morte sembrava così innaturale e fuori dal corso di ogni cosa.
Un infarto.
A Lora, la mia matrigna, le si illuminarono gli occhi, sotto quelle finte lacrime, e sorrideva, sotto quella disgustosa smorfia ‘’ dispiaciuta’’.
Finalmente i soldi erano suoi, la casa, tutta l’eredità.
L’unica cosa che odiavo di mio padre era il suo amore per questa donna.
Non capivo cosa trovasse in lei, a parte due tette finte e un profumo da battona.
Lui mi disse, lo spirito della giovinezza, io lo mandai al diavolo.
Sorrisi, poi sentii una fitta allo stomaco, una fitta che conoscevo bene.
Il dolore mi fece piegare in due, piantai le unghie dietro il collo e cominciai a graffiarmi lentamente,
non volevo sentire quel vuoto dentro di me, preferivo il dolore acuto nella pelle.
Due lacrime caddero sul pavimento, le asciugai con la manica e mi alzai.
I graffi bruciavano, ma non abbastanza per eguagliare la sofferenza che palpitava nel mio essere,  la quale sembrava essersi incarnata, scolpita, intrecciata nel mio petto.
< Lora > Dissi sottovoce.
Lei mi guardò e ignorandomi entrò nella stanza di papà.
< Lora >  Ripetei alzando la voce
Prese un vecchio scatolone, e cominciò a infilare i libri.
Sentii i muscoli contrarsi.
< Lora! >  Urlai.
Mi diede uno schiaffo.
< Cos’hai da urlare ragazzina? > disse portando lo scatolone fuori.
Sentivo che mi svuotava, come se la stanza da cui portava via quei libri fosse il mio animo.
Piansi, forte.
< Ti prego, portali in camera mia > La pregai fra un singhiozzo e l’altro.
Pensavo che avrei finito il liceo, lui sarebbe stato fiero di me, perché avrei scelto la facoltà di lettere.
Sarebbe stato il mio maestro
Sentii un gorgoglio provenire dalla mia pancia.
Era da quando era morto che mi malnutrivo, non volevo sentire il cibo cadere nel vuoto di questa perdizione, l’acqua rimbombava, e rendeva questa mancanza così reale.
Feci un respiro profondo e tornai in me.
Guardai la stanza di papà, e poi tornai nella mia, fredda e bianca.
Sopra il mio letto c’era lo scatolone rovesciato, con alcuni libri sul letto.
Le storie dei pirati, che mio padre amava leggere.
Una calda sensazione mi attraversò, non era gioia, non era felicità, forse guarigione.
Lora mi passò a fianco.
< Grazie > Le dissi sottovoce.
Lei sbuffò.
< La cena è pronta, Mari >
Sorrisi.
  
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