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Autore: Martichan97    11/02/2014    3 recensioni
[ Annie & Johanna | One-shot | Post-Mockingjay ]
[...]
Dalla nascita di Elijah si era ripromessa di non versare più lacrime: nonostante la perdita di Finnick le bruciasse l'animo ogni giorno come il primo; si sforzava di pensare che suo marito aveva dato la vita per un fine più alto. Aveva contribuito alla nascita di un mondo dove il loro bambino sarebbe potuto crescere forte e senza preoccupazioni sulle spalle.
Avrebbe potuto innamorarsi, giocare coi compagni, andare a scuola; il tutto senza la paura di doversi ritrovare costretto in un'Arena contro altre ventitré anime la cui unica colpa era stata aver avuto il nome in una boccetta di vetro.
Dopo i settentaseisimi Hunger Games, a dir la verità, a Panem non c'erano stati più molti avvenimenti degni di nota: la vita di quell'uno che era uscito – o era una? Non ricordava bene – adesso sarebbe stata segnata per sempre; esattamente come la loro.
Alla fine, nel volerla far pagare ai carnefici, avevano finito per trasformarsi loro stessi in aguzzini: cosa c'era di bello nel vedere bambini ammazzarsi e sapere che non erano i propri?
Annie non lo sapeva, no.
[...]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Johanna Mason
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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« Ehi, Cresta. »



 



Il mare era calmo, quel giorno.
Gli unici suoni udibili erano quelle delle onde lente che abbracciavano la riva amorevolmente e i suoi sassi, che rompevano l'armonia della superficie acquosa.
Uno, due, tre... plop!
Uno, due, tre, quattro, cinque... plop!
Uno, due... plop!
Per ogni sassolino piatto che tirava lontano, altrettanti si perdevano dopo appena qualche saltello tremulo. Ed Annie era uguale a loro: per quanti passi mettesse fra sé e le memorie deprimenti; altrettanti arretrava impaurita e in esse si rifugiava.
Ma senza piangere; sì, senza piangere.
Dalla nascita di Elijah si era ripromessa di non versare più lacrime: nonostante la perdita di Finnick le bruciasse l'animo ogni giorno come il primo; si sforzava di pensare che suo marito aveva dato la vita per un fine più alto. Aveva contribuito alla nascita di un mondo dove il loro bambino sarebbe potuto crescere forte e senza preoccupazioni alle spalle.
Avrebbe potuto innamorarsi, giocare coi compagni, andare a scuola; il tutto senza la paura di doversi ritrovare costretto in un'Arena contro altre ventitré anime la cui unica colpa era stata aver avuto il nome in una boccetta di vetro.
Dopo i settentaseisimi Hunger Games, a dir la verità, a Panem non c'erano stati più molti avvenimenti degni di nota: la vita di quell'uno che era uscito – o era una? Non ricordava bene – adesso sarebbe stata segnata per sempre; esattamente come la loro. Alla fine, nel volerla far pagare ai carnefici, avevano finito per trasformarsi loro stessi in aguzzini: cosa c'era di bello nel vedere bambini ammazzarsi e sapere che non erano i propri?
Annie non lo sapeva, no.
Semplicemente era stata ad osservare il sangue che scorreva e le strilla acute dei più impauriti. I cannoni sparavano veloci, vittoriosi ed erano musiche nelle quali ognuno dei vincitori trovava motivo di conforto.
Enobaria, quella volta, di fronte al primo ed ultimo Bagno di Sangue capitolino; era scoppiata in una risata amara. « Ma guarda un po', – aveva detto – i bambini con le parrucche in testa non hanno più una testa dove infilarle. »
Anche lei, a suo modo, aveva partecipato alla ribellione: era stata torturata da Snow eppure, l'unica cosa che non le avevano impedito, era stata stringere i suoi denti felini e ridere come una pazza, derisoria.
Un tempo le avrebbe fatto paura, adesso che vedeva il mondo sotto una luce diversa – più.. nitida, forse? –, comprendeva che quella donna guerriera altro non era che un guscio vuoto.
Nessuno aveva mai saputo la sua vera storia; eccetto Finnick. In cambio di prestazioni sessuali, riceveva segreti.
Una volta un povero rinnegato aveva deciso di pagarlo con la storia della Tigre del Distretto 2: Enobaria, o “Emobaria” come la prendevano in giro i vecchi compagni; era rimasta orfana a sette anni sia di padre che di madre. La sua vita l'aveva vissuta aiutando il fratellino e la sorellina più piccola fino a che non fossero stati in grado di badare a se stessi. La mattina in Accademia a far colare il sangue dai manichini; la sera a lavorare nelle taverne per arrotondare.
Poi un giorno aveva scoperto l'autolesionismo e ci era affogata, portando con sé anche i propri problemi. I fratelli furono dati agli assistenti sociali e riassegnati a diverse famiglie, mentre lei, povera tredicenne, era rimasta a scaldare il letto della propria catapecchia a ridosso del viale dei vincitori.
E poi era stata sorteggiata così, a sorpresa: neanche quindici anni compiuti e l'Arena cubica le spalancò le porte di metallo, conducendola al baratro.
Dopo la vittoria cruenta, allora sì che era cambiata: rideva, ringhiava, si allenava e rideva ancora. I due incisivi, scheggiati, erano stati da lei affilati in modo che ricordassero la bestia che aveva divorato pezzo pezzo i suoi compagni: mordendola, ogni volta che serrava le labbra, era come segnare il predominio di nuovo.
Un modo per non dimenticare.
Da allora era stata la creatura ricolma di rabbia di sempre; anche se la stessa giovane Cresta non era più riuscita a vederla con gli stessi occhi spaventati di prima.
I Giochi, a loro modo, avevano cambiato tutti; perfino il più crudele degli assassini.
O era la morte, a farlo, a danneggiare la psiche umana irrimediabilmente? Forse suo marito non era morto invano; se questo era servito a ridarle lucidità.
Per quanto avesse pianto, strillato, implorato, lui non sarebbe tornato e una vita sprecata dietro il pianto, non sarebbe stata ricompensa per il suo sacrificio. Così anche la pazza Annie Cresta aveva deciso di crescere e adesso si trovava ogni giorno lì, alla stessa ora, a tirare sassolini in acqua senza un motivo ben preciso.

« Ehi, Cresta » la riprese una voce ad un certo punto; trascinandola fuori dalle sue considerazioni senza capo né coda. Era un timbro vocale che per anni lei aveva detestato e per il quale ancora provava un ribrezzo forte; quasi cieco: quella di Johanna Mason, la vincitrice bambina del Distretto 7. Anche se il giorno della sua morte – ed Annie non lo avrebbe mai ammesso, mai, il solo ricordo ancora le faceva accapponare la pelle – ella le era stata più vicina di quanto mai avesse voluto credere; non riusciva comunque a parlarle col cuore sereno: sarà stato perché il suo legame con Finnick era fin troppo profondo ed intimo per i suoi gusti oppure poiché entrambe lo avevano sempre amato e solo una aveva prevalso; o ancora che alla fine quella taglialegna senza famiglia – che non serviva a nessuno, a nessuno – era rimasta viva e lui no.
Non c'era niente che Annie Cresta del Distretto 4 e Johanna Mason del Distretto 7 avessero a che spartire eppure quest'ultima era lì al suo capezzale, in quel giorno durante il quale il mare era calmo.
« Ehi, Mason » rispose senza neanche prendersi il disturbo di voltarsi, le morbide ciocche scure che le ricadevano sulle spalle e i vacui occhi chiari fissi sull'orizzonte piatto.
Ella prese posto sulla sabbia accanto a lei, senza nemmeno chiederle il permesso; quindi, abbracciate le ginocchia con le braccia lunghe e deperite dai lunghi giorni di prigionia, le fece compagnia.
Fu un silenzio strano il loro, parco di parole non dette, ma allo stesso tempo affilato quanto la lama di un coltello.
« Ho visto Elijah, prima » ruppe il ghiaccio la più alta, insolitamente pensierosa, disegnando qualcosa con la punta nelle dita nella rena umida. Annie fu certa di leggere una “F” ben marcata, tuttavia, sbattendo un attimo le palpebre, si accorse che era una “H” un po' pasticciata. Un mezzo sorriso le salì istintivamente alle labbra; mentre rispondeva atona. « Dov'era? »
Johanna continuò a scrivere, cancellando poi tutto con un pugno innervosito, prima di parlarle di nuovo. « In piazza con dei suoi amici; alla fontana grande. Mi ha chiamato “Bella signora”. »
L'ultima frase le uscì quasi amara, come se non credesse davvero a quelle parole.
E in effetti, la più grande e la bellezza non erano mai state particolarmente buone amiche. Ma neanche nemiche: ora che ci faceva caso, i suoi tratti avevano qualcosa di più femminile e i capelli scuri erano ricresciuti in un intrico di nodi corti e scuri. Nel complesso, però, aveva un aspetto più femminile e non sapeva spiegarsi perché. Magari erano i lineamenti del corpo più morbidi e meno spigolosi di sempre? Oppure perché sembrava più in carne di quando l'avevano trovata in una cella, quasi rapata a zero? O anche-
"Non importa adesso, Annie. Non importa" si rimbeccò mentalmente, scuotendo la testa. « Aveva ragione, dopotutto ha sempre detto la verità » commentò, senza smuovere le iridi grige dall'acqua trasparente.
Johanna rise, sguaiata, buttandosi indietro con la schiena contro la sabbia. Le braccia allargate, le lunghe gambe tenute vicine; rassomigliava proprio uno degli alberi del suo Distretto.
Un albero che rideva.
« Cresta, posso perdonare un bambino se mi dice una bugia perché dopotutto è solo un bambino. – altra risatina – Ma risparmiami le tue menzogne, ti prego. Penso sia l'ora di finirla con la finta cortesia. »
Annie non seppe se sentirsi offesa da quelle parole oppure grata.
Poi, prima di tutto, le venne in mente cosa l'altra donna avesse insinuato: il suo piccolo Elijah era un bugiardo. E da mamma non poteva tollerare quelle false accuse.
« Elijah non è un bugiardo. – sbottò orgogliosa – Dice sempre la verità: se ti ha detto che sei bella, vuol dire che ai suoi occhi lo sei... in qualche modo. »
Quest'ultima sghignazzò, come se l'improvvisa reazione della più piccola le avesse fatto piacere.
« È stato anche fin troppo gentile; lo riconosco. Ma non puoi negare che per aspetto non gli somigli per nulla. »
Colpita e affondata.
La giovane madre sapeva benissimo a quale cruda realtà la vincitrice si stesse riferendo: eccetto qualche tratto del viso un poco più marcato rispetto a quelli delicati materni, il ragazzo dell'aspetto da dio sceso in terra di Finnick aveva veramente ben poco: magro, fanciullesco, flessuoso come un rametto di giunco e piccolo di statura; dagli occhi scuri dolci dalle ciglia femminee; rassomigliava più un tenero bambino greco dalla bellezza proibita piuttosto che il germoglio di un forte uomo lavoratore.
Era ancora presto per dirlo, tuttavia aveva paura che delle sue speranze Chi stava lassù se ne era ampiamente disinteressato: aveva pregato per un figlio identico all'uomo che amava perché la mancanza si attenuasse – lo aveva persino confessato alla Mason quella notte di tanto tempo fa – e invece, del padre, non aveva preso altro che il carattere espansivo e provocatorio.
"È sempre stata brava a mettere il dito nella piaga" osservò piccata.
« Alla fine avevi ragione » le concesse irritata, e dopo di questo più nulla.

La velocità con la quale il pomeriggio era giunto al termine, tramutandosi in sera, aveva assunto una sfumatura fin troppo veloce per poter essere notata dalle percezioni umane.
Se ne accorse solo quando udì un rumore di seta frusciante, che l'orizzonte si era arrossato e i raggi del sole lanciavano i loro ultimi richiami alla notte che invasiva avanzava e lo seppelliva sotto il suo appuntito tacco costellato di stelle.
Non sapeva come aveva fatto a trascorrere almeno due o tre ore senza impazzire – non che costituisse una novità – al fianco di quella donna il cui unico scopo sembrava irritarla oltre ogni dire; oltraggiarla con la sua sola presenza.
« Farei meglio ad andarmene. – sospirò, scuotendosi i calzoni scuri imbiancati da polvere sabbiosa – Probabilmente Anthares starà diventando impaziente e quando comincia a strillare è insopportabile. E poi Hans è soltanto un uomo: può sopportare me che do di matto ma non anche lei. Non contemporaneamente. »
Annie impiegò molto a decifrare quelle parole; ma, non appena accadde, spalancò le iridi grige socchiuse: di che stava parlando? Aveva una famiglia? Ma i suoi parenti non erano forse morti tutti a causa sua? Com'era possibile? Aveva sempre dato per scontato che nessuno se la sarebbe presa, quell'acida donna ribelle, e invece...
« Anthares? Hans? » fu capace di dire soltanto, voltando il capo verso l'alto.
Johanna torreggiava sopra di lei, con quella sua figura altera ed imponente; però il mezzo sorriso che le incurvò le labbra all'insù era quanto di più piccolo e affascinante ci si potesse aspettare. « Allora non mi ascoltavi, quando parlavo. »
Un rossore imbarazzato le imporporò le guance pallide, al che un improvviso balbettio la colse in fallo. « N-No, v-veramente... io stavo... ti stavo... stavo... »
Quella rise, divertita e la minore restò impalata a fissarla, a metà tra l'incredulo e il confuso; ogni tanto balbettando qualche parola che senza una frase a sorreggerla pareva ancora più incoerente del solito. « Non andare in iperventilazione per così poco; Cresta. – sogghigno ferino, predatore – Sapevo che non mi stavi ascoltando. »
Confusione si aggiunse al suo sguardo; confusione che indusse l'altra a continuare.
« E che vuoi ci sia da dire? Beh, una bella minchia. – fece una smorfia – Tu mi hai anche risposto, alle volte. Solo a monosillabi ma oh, erano pur sempre risposte e finché mi ascoltavi senza lamentarti come fai di solito, a me andava bene. »
Annie non mancò di notare la velata accusa di debolezza – era vero che non aveva contribuito alla rivolta come avrebbe voluto, a causa della pazzia, però non se ci fosse stato Finnick si sarebbe astenuta dal fare quei commenti acidi – ma decise di sorpassarla e ignorarla pacificamente.
La curiosità era troppo forte. « E quindi chi sono Anthares e Hans? »
La smorfia si contrasse in un'espressione dolce che mai – e ci teneva a rimarcarlo – aveva ornato un volto tanto affilato come quello della vincitrice del Distretto 7 e questo bastò ad insospettirla – quella sensazione, da dove proveniva?.
« Anthares è mia figlia e Hans è quel fesso di mio marito. »
Se mai avesse potuto essere più stupita in tutta la sua vita; certo lo stupore non avrebbe mai eguagliato quello di questo momento.
Johanna Mason sposata?
Sul serio?
Era così inconcepibile da risultare quasi possibile.
La domanda le sorse sulle labbra; però a quanto pare il suo volto e il suo stesso corpo avevano reso così evidente la risposta da non necessitare neanche di parole per esprimerla.
« Figurati se io mi sposo; cretina. – anche detto con l'accezione positiva con cui Johanna l'aveva usato sembrava così volgare e cattivo da irritarla immediatamente – Solo perché lo chiamo marito, quel fesso, non vuol dire che lo sia. »
Passò un attimo di silenzio nel quale Annie Cresta pensò alacremente a cosa dirle ma ancora una volta non ebbe bisogno delle parole perché venne preceduta da un improvvisamente loquace taglialegna.
« Ah, senti; mi era venuta in mente una cosa: io ti devo ancora una cena e pensavo che beh, quando vuoi puoi venire con Elijah. Di sicuro quella peste neonata di Res sarà contenta di vedere una faccia nuova e magari il vostro ragazzo riesce a sedarla un poco. »
Altra confusione si sommò alla precedente: davvero la rude, insolente, scostumata e senza peli sulla lingua Johanna Mason, vincitrice di un'edizione a 12 anni, con la famiglia e i conoscenti sterminati dalla potenza del Presidente Snow, le stava proponendo una cena a casa propria per ripagarla di quella cena nel Distretto 13, ormai anni fa? Portando il loro bambino, figlio dell'uomo che aveva amato e di una pazza che non aveva mai potuto sopportare?
La cosa aveva dell'incredibile e dell'assurdo insieme.
Il silenzio cadde di nuovo a separarle e, senza aspettarsi una risposta, la più anziana girò i tacchi e si avviò da dove era venuta, alla stazione del Distretto della pesca, lamentandosi a bassa voce di un improvviso quanto fastidioso torcicollo.
La minore si perdette nell'immaginare una risposta che potesse soddisfare al tempo stesso sia il suo attrito con la donna dei boschi sia metterlo un poco da parte e vedere cosa riusciva a cavarne. Ma non aveva tempo, si rese conto, non aveva tempo prima che l'altra avesse lasciato quel posto prima di ritornare a casa.
Con uno scatto fenomenale per i suoi piedi, saltò in piedi e avanzò di due o tre passi lunghi in modo da avvicinarsi ma non troppo. « Johanna! – la chiamò, al che quella si voltò – Martedì alle 19.30 va bene? »
« Non vedo l'ora, – sorrise di poco quest'ultima, voltandosi appena – Annie. »

















 

#Angolo matto del Cappellaio Matto:
Io non so assolutamente scrivere, nononononononono.
Questa è tipo la prima one shot ufficiale che scrivo sui personaggi di Hunger Games – OOC, muori – e di sicuro già avrò fatto una delle mie pessime figuracce. (?)
Infatti, come si noterà di sicuro, Annie è totalmente diversa (o quasi) da come ce l'ha presentata la Trollins ma – e sottolineo il “ma” – la cosa non è fatta a caso: ho semplicemente voluto dare la mia interpretazione al personaggio stereotipato della pazza. Personalmente, non ho mai amato Annie ed è paradossale come mi sia venuta così spontanea. Comunque boh, sul serio, alla fin fine qui ho preferito darle l'apparenza e il carattere di una donna che ha visto e sopportato di tutto e di più nella sua vita e ha trovato la forza in sé e nella nascita del figlio per andare avanti; a dispetto di coloro che la credevano spacciata.
Joh è sempre Joh, e l'idea che potesse avere una famiglia; beh, a dir la verità non mi aveva mai sfiorato. Ma da quando io ed Ivola (la matta che ha creato Blur e l'esercito delle Blurrers →
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1794214) creammo i figli per un'interattiva che non si fece più; beh, Joh mamma mi ha sempre fatta morire.
Quindi mi sono presa questa licenza, sì. Anche lei è donna, poveraccia, nonostante il dolore enorme che ha subito.
Poi boh, non penso ci sia più niente da dire; ho parlato abbastanza. (?)
Baaaao.~

 

 

  
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