Ecco
a voi la ff che ho presentato al contest NejiTen. Volevo ringraziare le
giudicesse per il commento costruttivo e anche per gli splendidi tesserini
(che, come al solito, non sono riuscita a mettere –.-“) e anche complimentarmi
con gli altri partecipanti. Ditemi cosa ne pensate, mi raccomando, ho bisogno
di capire se Neji è IC o meno!
Un bacio
Elena
Ps: dimanticavo! Sono arrivata terza, su quattro! XD
ANYWAY
Mentre i suoi compagni di squadra si allenavano,
Tenten era seduta sull’erba, costretta all’immobilità da un’ingessatura
piuttosto ingombrante che le appesantiva la caviglia. Sbuffò.
Era tutta colpa di Rock Lee se adesso non poteva
più fare nulla: quello stupido si era lasciato prendere un po’ troppo la mano
gesticolando a proposito della forza della giovinezza o balle varie e le aveva
dato una manata in faccia che l’aveva buttata a terra. Naturalmente non era
stata solo la sbadataggine del suo amico a obbligarla a buttare via un mese e
mezzo della sua vita da tennista semiprofessionistica, ci si era messa in mezzo
anche una buona dose di sfiga; il suo piede si era girato completamente e il
suo adorabile malleolo aveva fatto crack.
I medici avevano detto che si trattava di una
frattura composta , che per lei si era tradotto in sei settimane di completa
inattività. Probabilmente non c’era un modo più idiota ed evitabile di farsi
male, ma era anche stata abbastanza fortunata, a sentire l’ortopedico che
sosteneva che: ”Se si fosse trattato di una frattura scomposta, avrebbe
richiesto anche un intervento chirurgico e più di cinque mesi di degenza per
allinearsi perfettamente.”
Stese la schiena sull’erba e sospirò, guardando il
cielo: non le era mai particolarmente piaciuto stare ferma a far niente e per
di più da lì a tre mesi ci sarebbero state le gare nazionali, per le quali si
era preparata così tanto e dalle quali sarebbe dipesa la sua ipotetica carriera
da professionista.
“Ehi Ten! Noi abbiamo finito! Vieni a prendere un
gelato con noi?”.
La voce squillante di Rock Lee la raggiunse nella
sua bolla di noia.
“No, grazie. Penso che rimarrò ancora un po’ qui e
poi tornerò a casa. Ci vediamo!”,
gli rispose sorridendo, mentre si tirava a sedere.
Tenten sapeva perfettamente che l’amico si sentiva
in colpa per averle in pratica rovinato la stagione e che cercava di essere
gentile ancora più del solito per farsi perdonare, e quindi provava rassicurarlo
e di convincerlo che non c’era più bisogno di scusarsi.
“Tu vieni, Neji?” lo sentì chiedere.
“No, Lee, devo sistemare un po’ il campo.”
Quando la ragazza sentì dei passi sull’erba e un
tonfo leggero al suo fianco, si girò.
Era probabilmente uno dei ragazzi più belli che
avesse mai visto: aveva la carnagione molto pallida e delicata, come
dimostravano alcuni eritemi da sole sulle braccia compatte e sode; gli occhi
erano decisamente particolari, di un colore chiarissimo, quasi violetto,
contornati da sopracciglia castane aggrottate, e non tradivano nessun pensiero
in particolare; la bocca sottile invece era contratta in una strana smorfia
quasi di fatica, che non deformava l’espressione appena altera data dal suo
portamento, ma al contrario donava a tutto il complesso un aspetto più
naturale; portava i capelli castani molto lunghi, tenuti indietro solamente da
una fascia nera sulla fronte e da un elastico che li lasciava liberi di
coprirgli il viso chinato in modo impercettibile verso di lei.
Tenten sospirò: Neji Hyyuga. Una promessa del
tennis, appartenente a una famiglia di atleti da generazioni, era l’aiutante
del maestro Gai, che gli insegnava ad insegnare; uno dei ragazzi più richiesti
nel loro liceo, intelligente e brillante. Nonché suo primo e unico amore.
“Sei preoccupato per qualcosa?”
Gli chiese lei, nel tentativo di spezzare il
silenzio imbarazzante che era calato su di loro.
“No, niente. Perché dovrei essere preoccupato?”
“Ah, ok. Era solo che, il tuo viso… comunque
niente, lascia stare.”
La risposta brusca l’aveva lasciata sorpresa e
spiazzata, anche se non era così inusuale: ormai Tenten lo conosceva da anni,
riusciva sempre a capire se qualcosa non andava, e si trovavano bene insieme,
ma quando lei si arrischiava a domandargli che cosa non funzionasse, lui si
chiudeva immediatamente.
Non era una bella sensazione, sentirsi rifiutati in
modo così esplicito; Tenten era una ragazza solare, allegra e frizzante per
natura, e la fredda impassibilità di Neji la feriva sempre.
Come poteva una persona non mostrare mai i propri
sentimenti, in nessun’occasione?
Per lei era abbastanza inconcepibile, e per questo
provava sempre a farlo sbottonare un po’, anche se otteneva il più delle volte
il risultato contrario.
“Ma sei sicuro di stare bene?”
“Ti ho detto che sto benissimo, grazie.”
Tenten si sistemò sul prato, a disagio. Quel
silenzio le pesava troppo:
“Hai visto, Neji, che bella battuta che ha ormai
Lee? Si è impegnato veramente tanto e pure il suo rovescio è diventato
micidiale. Spero proprio di non finire contro di lui durante le eliminatorie, a
giugno, anche perché non mi piace molto l’idea di dover giocare contro il mio
migliore amico in una situazione così importante, nella quale solo uno dei due
può vincere e se vincessi io mi dispiacerebbe per lui, ma mi dispiacerebbe di
più se io ne riuscissi sconfitta e tutto il mio lavoro finisse sprecato, visto
che dovrò allenarmi molto di più quando toglierò questa cos…”
“Sì, Tenten, hai ragione, ma adesso respira.”
Oddio, non aveva pensato ad altro che alla sua
presenza e a cercare di alleggerire l’atmosfera che si era veramente
dimenticata di respirare: che figura! Sentiva lo sguardo di lui sulla schiena e
questo di sicuro non l’aiutava a riprendere il controllo di se stessa. Fece un
bel respiro profondo e si girò verso di lui, per vedere come aveva preso quella
sua dimostrazione di completa mancanza di autocontrollo. Incredibile, lei si
era praticamente dichiarata e sul viso di Neji non c’era traccia di nessun tipo
di sentimento; a volte Tenten si chiedeva da che strano pianeta provenisse lo
Hyyuga, perché era praticamente impossibile che un semplice essere umano
assomigliasse in quel modo ad una statua. Precisamente, ad una statua di
Lisippo, in marmo bianco.
“Ehm, comunque dicevo, Neji, non trovi che Rock Lee
sia decisamente migliorato?”
Il ragazzo annuì, continuando a guardare dritto
avanti a sé.
“La sua battuta è migliorata, e la sua velocità è
aumentata notevolmente, ma ha ancora problemi in ricezione. Non penso riuscirà
a qualificarsi.”
“Io ti sembravo migliorata, prima del mio, ehm,
incidente?”
“Non ti ho guardata. Non saprei dirti.”
Ancora quell’odioso gelo. Possibile che non
sapessero avviare una conversazione decente e che lui troncasse tutti i suoi
sforzi con tale, fredda no-chalanche?
“Dai, adesso smettila di spremerti le meningi per
nulla; non devi per forza trovare qualcosa di cui parlare. A volte si può anche
non dire nulla, rimanendo semplicemente in silenzio.”, disse Neji dopo poco,
avendo notato il modo tormentato in cui la ragazza al suo fianco si guardava il
gesso che le avvolgeva la caviglia, quasi volesse scioglierlo con lo sguardo.
Tenten trasalì, non pensava che questa volta avesse
parlato per primo il ragazzo.
“Non mi piace il silenzio.”
“Perché?”
“Il silenzio è vuoto, è solo, è triste, non è vivo,
è innaturale addirittura. Stando zitti non si può aiutare nessuno, non ci si
può far valere. Non so spiegarlo bene, ma associo il silenzio a tutto ciò che
non è naturale; anche la morte è silenziosa. Gli esseri viventi, di qualunque
tipo essi siano, producono suoni, rumori. Ripeto, è difficile da esprimere, ma
lo trovo angosciante, perché mi obbliga a pensare. Rimanere in silenzio mi
mette a disagio, non è nella mia natura stare ferma senza esprimermi.”
Un lievissimo sorriso increspò le labbra di Neji,
stupendo la ragazza, che lo stava osservando attentamente.
“Perché sorridi?” gli domandò, incuriosita.
Lui rifletté un attimo prima di rispondere, quasi
stesse ponderando le parole che doveva dire.
“Perché per me è l’esatto opposto. Io vivo il
silenzio come un’opportunità, non un ostacolo. Per me è prezioso, è vivo: per
me tutti gli esseri viventi sanno rimanere in silenzio, sono le cose
innaturali, come le chiami tu, che producono sempre rumore. Il silenzio mi
permette di pensare. È un bene.”
Tenten rimase basita: va bene che era un ragazzo
intelligente, ma non se lo sarebbe mai immaginato a filosofeggiare insieme a
lei a proposito del valore del silenzio. Inutile dire che era il discorso più
lungo che quel ragazzo le avesse mai fatto, e questo le diede la carica.
Non disse nulla, ma un ghigno piuttosto compiaciuto
le si disegnò sul viso.
Neji, che si era perso nei suoi pensieri, non capì
cosa ci fosse da sorridere. Quando glielo chiese, il ghigno si allargò e
ripose:
“Mah, non è nulla, solo che penso di aver
guadagnato il premio Nobel. Sono la prima persona di questo pianeta che è
riuscita a strappare a Neji Hyyuga un discorso di più di dieci parole. Un
record!”
Appena si rese conto di quello che aveva detto,
Tenten arrossì; stupida, stupida, stupida!
Per la prima volta dopo tanti anni, Neji Hyyuga,
quel Neji Hyyuga,le aveva confidato qualcosa delle sue opinioni, arrivando
quasi a fidarsi, e lei come lo ripagava? Ridendogli in faccia!
Decisa a mantenere un certo contegno, alzò il viso
verso di lui, per incrociare i suoi occhi chiari impassibili e penetranti come
al solito.
“Scusa, non so come mi sia venuto in mente, ho la
brutta abitudine di parlare senza prima pensare. Scusami ancora.”
Ma vedendo che non reagiva in nessun modo, se non
intimidendola con il suo sguardo inquisitore e indecifrabile, Tenten disse,
tenendo la testa bassa:
“Sinceramente, non ho idea di come tu faccia a
rimanere sempre così impassibile. In meno di mezz’ora, ti ho quasi insultato e
ti ho dato prova di sentire qualcosa per te e tu cosa fai? Rimani a guardarmi
sempre con lo stesso sguardo nel quale posso solo riflettermi, senza capire
nulla di quello che pensi o peggio di quello che provi! Mi spiace essere così
sbagliata. Io non faccio altro che cercare di piacerti, di trovare un modo per
parlarti, per esserti vicina. Cerco in ogni modo di capirti, eppure sbaglio
sempre. Almeno tu ti arrabbiassi con me! E invece no, devi sempre stare lì,
indifferente. Questo è quello che mi ferisce di più, perché è come se non fossi
degna del tuo odio o della tua disapprovazione: non sono degna di nulla di tuo!
Perché non mi insulti?!” Aveva cominciato ad urlare senza nemmeno rendersene
conto.
Esasperata da quella situazione paradossale, Tenten
cercò di alzarsi, a fatica, ma nel tentativo le stampelle scivolarono sull’erba
e Neji la prese al volo, evitandole così una brutta caduta.
Mentre l’aiutava a sistemarsi, incatenò gli occhi
cioccolato della ragazza ai suoi e le disse, con voce profonda: “L’unico
problema è che sei troppo occupata a pensare a quello che provi tu per
accorgerti invece di quello che provo io. Non ti guardo per entrarti dentro,
per esaminarti, ma semplicemente perché ti trovo bella. Per me guardarti è un
piacere, ed è qualcosa della quale non posso fare a meno. Ogni cosa che dici è
completamente imprevedibile per me ed è per questo che non ti insulto:
sinceramente, non me ne ero nemmeno accorto, avevo provato solo una grande
vergogna nel vedere che mi consideravi così chiuso. E la provo ancora. Io ti
ammiro, e ti trovo straordinaria per il modo in cui esprimi i tuoi sentimenti.
Io non ne sarei mai capace. Non sei tu ad essere indegna della mia
disapprovazione, ma è la mia disapprovazione ad essere indegna di te.”
Mentre stava parlando, il suo viso si colorò di
rosso, e Tenten non riuscì a non trovarsi una totale idiota. Come le era venuto
in mente? Poi, quando si rese conto che il ragazzo che aveva tanto sognato la
ricambiava, arrossì anche lei e, quando Neji concluse il suo monologo perfetto,
anche se intervallato da lunghi sospiri, rimasero l’uno di fronte all’altra,
con la mano di lui sulla sua schiena e le dita della ragazza che gli sfioravano
il petto. Si guardarono in silenzio per quella che parve loro un’eternità, non
riuscendo a distogliere lo sguardo, poi, senza nessun preavviso, Neji si chinò,
le raccolse le stampelle e gliele porse. E si incamminarono verso casa,
insieme, lei faticante e lui che le stava attento di fianco, pronto a
sorreggerla nel caso fosse caduta. In qualunque caso, lui sarebbe stato lì.