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Autore: SimplyMe514    14/02/2014    4 recensioni
Ron vorrebbe dare a Hermione un San Valentino perfetto, ma tra comportamenti sospetti, vecchie insicurezze che riaffiorano e la sua perenne incapacità di dire la cosa giusta al momento giusto, i loro alti e bassi rischiano un nuovo record negativo proprio alle soglie del giorno più romantico dell'anno. O no?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ron volse lo sguardo in basso, scioccamente sollevato dal fatto che almeno nella polvere della strada non ci fosse nulla di rosa. Il resto di Diagon Alley si era trasformato in un tripudio d'amore, zucchero e orsacchiotti magicamente animati che soffiavano bacetti. Avrebbe voluto un San Valentino perfetto, ma nonostante fosse partito con le migliori intenzioni, l'impressionante varietà di proposte aveva ottenuto l'effetto contrario, sferrando il colpo di grazia alla già vacillante fiducia nelle sue doti di seduttore. Era davvero questo che le ragazze volevano? Allora la sua doveva proprio essere un caso eccezionale in tanti sensi della parola: per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a immaginare Hermione che indicava, incantata e ridacchiante, il contenuto di una di quelle vetrine tutte cuoricini.

La via degli acquisti, come d'altronde il mondo magico nella sua interezza, si stava ancora leccando le profonde ferite lasciate dalla guerra che ne aveva scosso le fondamenta, ma i segni di ripresa c'erano, seppur timidi, e ogni occasione era buona per tirar su il morale della gente ancora diffidente e spaventata, magari rimpolpando anche le casse che quella tragedia aveva svuotato al suo passaggio: Madama McClan pubblicizzava a caratteri cubitali i suoi abiti all'ultimo grido da indossare per stupire la propria dolce metà, il Ghirigoro applicava sconti speciali su qualsiasi libro contenesse consigli amorosi più o meno leciti, il nuovo gestore della gelateria Fortebraccio sperava di trovare qualche cliente disposto ad affrontare l'aria pungente di febbraio promettendo promozioni a chi si fosse presentato in coppia, e perfino l'Emporio del Gufo auspicava un aumento delle vendite portato dal cartello che sottolineava astutamente la necessità imprescindibile di un pennuto per inviare messaggi d'amore. George, dal canto suo, aveva affisso i suoi bravi poster a tema e aumentato la produzione della sua linea per ragazze per l'occasione, ma chi lo conosceva meglio sapeva che non era ancora in condizione di festeggiare alcunché, e forse – lo stomaco di Ron precipitò come per andare a unirsi al selciato sotto i suoi piedi al pensiero – non lo sarebbe stato mai più.

 

«Weasley!» Ron sobbalzò e tentò senza troppo successo di apparire concentrato sulla pila di scartoffie di cui avrebbe dovuto occuparsi, pregando tra sé e sé che Robards non avesse notato quanto facilmente si era lasciato distrarre dalla solitaria foto di Hermione che adornava la parete del suo cubicolo. Piano piano l'avrebbe personalizzato di più, come facevano tutti, e allora avrebbe certamente vinto l'inesistente premio per lo spazio più arancione del Quartier Generale, ma per ora era ben felice di essersi assicurato accidentalmente-ma-non-troppo che la prima fotografia adatta allo scopo capitatagli sottomano fosse sua.

«Sì, capo?»

Il veterano sbatté poco cerimoniosamente un foglio di pergamena tinta di viola in cima al mucchio. «Manda un promemoria ai Giochi e Sport, ho bisogno di una stima di quanti si presenteranno alla prossima partita delle Harpies per organizzare la sicurezza. E spicciati, la tua ragazza può aspettare».

Ignorando il calore improvviso che gli aveva assalito le orecchie, Ron seguì Robards con lo sguardo, aspettando di vederlo sparire nel suo cubicolo ricoperto di mappe e puntine da disegno di mille colori, ciascuna associata al nome di qualche Mangiamorte su cui ancora non avevano messo le mani.

Mentre componeva il messaggio richiesto fu colto da un moto di stizza. Da una parte, supponeva, avrebbe dovuto essere grato di aver chiuso per un po' con le battaglie, ma dall'altra sentiva che avrebbe dovuto essere suo, quel posto. Per quanto Robards fosse più esperto e Ron potesse ben dire di aver fatto la sua parte, quando si era arruolato negli Auror aveva immaginato di dover setacciare il Paese in lungo e in largo arrestando i seguaci di Voldemort ancora in libertà, non di starsene seduto alla scrivania a dare un modesto contributo al caos organizzativo che circondava un incontro riguardo al quale sua sorella lo sfotteva da settimane, ripetendo ogni volta che si vedevano le sue irritanti previsioni su quante delle sue Pluffe il Portiere dei Cannoni non avrebbe nemmeno visto arrivare.

Harry sì che aveva un lavoro decente. Nel cubicolo confinante, il Ragazzo Sopravvissuto non se la spassava di certo, ma almeno la sua presenza sembrava avere un briciolo di utilità e di senso. La gavetta non era mancata neanche per lui, ma a quanto pareva il suo nome e la sua cicatrice avevano aperto qualche porta che per l'eterno secondo era rimasta chiusa, e così l'amico aveva raggiunto quello strano stato in cui metà del Ministero sarebbe stata più che felice di spedirlo in capo al mondo nella convinzione che il suo tocco miracoloso avrebbe risollevato anche le sorti della più pericolosa delle missioni, mentre l'altra metà riteneva più saggio rinchiuderlo sotto una campana di vetro e non fargli alzare un dito per timore dei danni all'immagine che sarebbero derivati dal pur minimo graffio. Il risultato era che Harry, in teoria relegato a un tranquillo compito d'ufficio che preservasse la sua incolumità, era sempre il primo a cui ci si rivolgeva quando c'era il bisogno impellente di un uomo in più, mentre Ron aveva il suo bel daffare a chiedere se per caso non ne servissero due, ma veniva puntualmente rimandato ad ammuffire tra incartamenti che sarebbero di certo finiti in qualche archivio frequentato solo da persone come Percy.

Realizzò l'aeroplanino a mano, giusto per tenersi occupato per qualche momento in più, poi lo diresse verso il Settimo Livello con qualche colpo di bacchetta ben piazzato e alzò gli occhi per seguirne il percorso.

Le sue viscere eseguirono un buffo saltello che non aveva nulla a che vedere coi Rospi alla Menta. Non c'era modo di confondere quel passo spedito e quell'esplosione di capelli ridotti all'obbedienza con le maniere forti con quelli di un'altra. Lo stesso viso lo guardava due volte, una dalla foto e una dal vivo.

Nei brevi istanti che Hermione impiegò dalla porta al suo cubicolo, domande e ipotesi gli piovvero addosso tutte insieme. Che ci faceva lì? Se era una questione di lavoro, avrebbe potuto mandargli un promemoria invece di scomodarsi di persona, quindi doveva trattarsi di una faccenda personale. Ligia alle regole com'era, difficilmente si sarebbe permessa di usare un aeroplanino per comunicargli qualcosa che non riguardasse strettamente il Ministero, nonostante parecchi colleghi si divertissero a interpretare il sistema dei foglietti viola come una versione più avanzata dei bigliettini passati in classe sotto l'indifferente e trasparente naso del professor Rüf. Aveva forse saputo della sua (perfettamente inutile) sortita a Diagon Alley e si era sentita in dovere di correre a fargli presente che si era di nuovo dimenticato di qualche suo impegno importantissimo che cadeva proprio il quattordici, mandando all'aria i suoi (per ora inesistenti) piani?

«Ciao» si fece notare mentre passava, offrendole quello che sperava fosse il suo miglior sorriso.

«Ciao, scusami, parliamo dopo, ho un sacco da fare...» E con questo Hermione si eclissò nel cubicolo di Harry, dedicando appena un sopracciglio sollevato alla pila pericolante di carte che non accennava ad abbassarsi da diversi minuti.

Ron si sforzò di ascoltare, ma un persistente ronzio nelle orecchie lo fece desistere, avvisandolo di un Muffliato all'opera. Un vago senso di disagio si stabilì da qualche parte nel suo stomaco. Cosa poteva aver da dire a Harry che non fosse opportuno che sentisse anche lui?

No, si ammonì con forza, reprimendo il desiderio irrazionale di possedere qualche mappa in cui conficcare puntine con più forza del necessario per sfogarsi. La gelosia non gli aveva mai portato niente di buono. Doveva trovare qualcosa di costruttivo da fare per non pensarci, smettere d'immaginare assurdi scenari apocalittici e imparare a fidarsi di Hermione una volta per sempre. E magari tornare in silenzio alla sua burocrazia fingendo di non aver visto che la sua ragazza stava uscendo dallo spazio di lavoro del suo migliore amico con un'aria considerevolmente più felice di quand'era entrata, tanto presa da qualunque gran segreto si fossero detti da aver dimenticato di salutarlo.

Ron bussò due volte sul misero surrogato di muro che lo separava da Harry per attirarne l'attenzione. «Che novità?»

«Una nuova crociata della nostra paladina dei diritti delle creature magiche. Pare che un tizio dall'aria svitata si sia piazzato nell'Atrium e si rifiuti di levare le tende dalla fontana. È lì per una petizione per far sostituire le statue con altre un tantino meno razziste. Quando Hermione l'ha saputo è partita come un Bolide ed è venuta a chiedermi di aiutarlo. Tu che dici?»

Come spiegazione aveva parecchio senso: riusciva quasi a immaginarla tutta infervorata, col fuoco della determinazione negli occhi e la bocca piena di nomi, date e indignazione. Era stata inorridita quando, in mancanza di un progetto migliore, la Fontana dei Magici Fratelli era stata restaurata esattamente com'era, come se non fosse mai stata danneggiata né sostituita. Ma l'arrivo del misterioso attivista ancora non giustificava tutto quel bisogno di segretezza.

«E per questo ha voluto che nessuno sentisse? Non sarebbe più furbo spargere la voce, se ci sono delle firme da raccogliere?»

Fu necessario uno sforzo di volontà affinché Ron si convincesse di aver solo immaginato quel momento di esitazione.

«Non vorrà far sapere di essere coinvolta: tecnicamente ha interferito con la sicurezza interna, è una brutta cosa. Sarà meglio che vada a vedere se il suo piano funzionerà davvero bene come dice».

«Quale piano?»

Harry sospirò a un volume appena udibile attraverso la parete. «Hermione è convinta che l'interesse per la petizione aumenterà se mi faccio vedere mentre la firmo».

«Non è che abbia tutti i torti. Va' pure» disse Ron a denti stretti.

«Non ti arrabbiare, per favore. Non ho chiesto io di essere guardato come se... come se... lasciamo perdere».

Harry si alzò, si diresse al cubicolo del capo senza aggiungere altro e fece gran mostra di offrirsi volontario per scacciare lo squilibrato, ma Ron avrebbe avuto mille modi per completare quella frase lasciata a metà. Altroché se sapeva come lo guardavano ora che era un eroe. Come se la terra acquistasse valore solo perché ci aveva camminato sopra. Come se fosse appena passata loro accanto una rappresentazione a grandezza naturale della figurina delle Cioccorane più desiderata della nuova espansione della collezione. Come se tutto ciò che faceva o diceva diventasse automaticamente giusto e popolare. Se Harry avesse firmato per la causa di uno svitato, a decine l'avrebbero seguito solo per l'onore di firmare sullo stesso foglio, anche senza crederci veramente; se Ron avesse fatto lo stesso, avrebbe ottenuto soltanto di sembrare a sua volta uno svitato.

Oh, aveva avuto la sua dose di fama, durata abbastanza a lungo da smettere di essere eccitante e iniziare a diventare appena un po' opprimente, ed era ben lontano dal pensare che Harry non meritasse il suo enorme successo di pubblico, ma ora che il mondo magico stava ritrovando poco alla volta la sua confortante quotidianità, gli sembrava di essere tornato a scuola, dove tutti, raccontando le loro avventure ai più piccoli che non c'erano stati, non facevano che attribuirle a “quei tre, dai, sai benissimo di chi parlo: la prima della classe, il Ragazzo Sopravvissuto e il suo amico rosso”.

E alla fin fine non poteva chiedere di essere qualcosa di più. Aveva sempre lasciato i pettegolezzi ai branchi di ragazze con un numero del Settimanale delle Streghe perennemente in borsa, ma era più che sicuro di averle sconvolte tutte quante mettendosi lui con Hermione. A volte si sorprendeva addirittura a domandarsi come fosse accaduto. Dopotutto, era una favoletta molto più bella che l'eroe che aveva fermato il maniaco della purezza del sangue riconfermasse la sua nobiltà d'animo eleggendo a sua principessa una Nata Babbana venuta dal nulla che aveva meritato le sue attenzioni solo con le proprie forze. In quel quadretto che avrebbe fatto la fortuna di qualunque scrittore Ron non c'entrava niente. Se non fosse esistito, nessuno ne avrebbe sentito la mancanza.

 

A quanto pareva, il tizio della petizione non si era mosso. Nei pressi della fontana faceva non troppo bella mostra di sé un misero tavolino traballante oltre il bordo del quale si srotolava una pergamena di firme che, a giudicare dal misto di gratitudine e incredulità con cui l'uomo la guardava, doveva essere molto più piena di quando aveva cominciato; la condizione della sua veste rattoppata in parecchi punti suggeriva che dedicare la vita a nobili cause dallo scarso seguito non fosse una scelta di carriera adeguata per arrivare comodamente a fine mese. Completavano il triste spettacolo alcuni cartelli dipinti a sgangherate lettere rosse recanti slogan come “Arte o propaganda?” e “Lottiamo per una rappresentazione più equa!”.

Ron non sapeva se Harry avesse solo finto di mandarlo via o se quello fosse semplicemente tornato, ma Hermione sembrava alquanto soddisfatta: a distanza di ore, alla fine della giornata lavorativa, l'Atrium si era riempito di curiosi che lo segnavano a dito scambiandosi sussurri, dai commenti non troppo lusinghieri sui suoi capelli – uno del Comitato Scuse ai Babbani giurava che avesse messo le dita in una presa, e Ron ne aveva parlato abbastanza spesso con suo padre da capire la battuta – ai racconti esaltati di chi diceva di essere andato a firmare con l'aria di aver appena incontrato Merlino in persona.

«Pare che ci sia stato un grave problema con la sicurezza stamattina, ma tu non ne sai niente, vero, Harry?» chiese Hermione con un sarcasmo colorato d'esultanza, gli occhi che brillavano.

«Assolutamente», le resse il gioco lui con un sorriso a trentadue denti. «Non una parola». Era come guardarli alle prese con una partita appassionante da cui era escluso.

«Pensi che firmerai anche tu?» domandò lei, strappandolo ai suoi pensieri.

«Eh? Ah, sì, può darsi, se mi assicuri che abbia tutte le rotelle a posto...»

Lo sguardo che gli rivolse avrebbe potuto congelare il fuoco stesso. «Per tua informazione, ha più rotelle a posto lui di te! Sarà un gran giorno quando la spunterà!»

«Vuoi dire se la spunterà, dato che se va avanti così finirà per mettersi nei guai».

«Credi davvero che la gente lo noterebbe se non facesse un gesto eclatante?»

«Okay, forse no, ma magari se non sembrasse scappato dal San Mungo...»

Ron temette seriamente per la propria incolumità. «Ah, quindi è questo che pensi? Che dovrebbe farsi controllare il cervello? Se preferisci anche tu che non cambi niente, come se si tornasse al punto di partenza dopo tutto quello che è successo, prego, accomodati pure. Sul serio, Ronald, certe volte non so nemmeno più perché insisto con te».

«Va bene, va bene, firmo anche adesso, se vuoi».

«Come se fosse quello l'importante! Se è per farlo con questo atteggiamento, puoi anche non farlo affatto. Dai, Harry, andiamocene».

Li guardò sparire mano nella mano tra le fiamme verdi del camino più vicino con una stretta allo stomaco e si unì alla piccola fila di aspiranti firmatari. Grandioso. San Valentino era alle porte, era riuscito a farla arrabbiare e per giunta lei non era più lì a guardarlo compiere l'unico gesto che forse l'avrebbe placata. Tre su tre.

 

Nel negozietto fuori mano, incastrato come per caso in una parte della via che non frequentava mai, regnava un sovrapporsi di odori che gli ricordò istantaneamente Neville. L'intenso accalcarsi dei profumi dei fiori non riusciva a coprire del tutto il tanfo inconfondibile dello sterco di drago, ma se farsi bruciare le narici era il prezzo da pagare per un San Valentino perfetto, ne valeva la pena. Era uno spettacolo ben raro vedere un Frullobulbo convivere tranquillo con un'ortensia, o una Tentacula Velenosa ondeggiare minacciosamente senza tuttavia rovinare le orchidee che le stavano accanto, ma forse era proprio il miscuglio stranamente armonico dei due mondi a dargli l'impressione di essere capitato nel posto giusto.

Tornato a Diagon Alley per un secondo tentativo, aveva deciso che i dolci erano fuori discussione: non era abbastanza bravo a sceglierne un tipo che riuscisse a essere romantico e contemporaneamente rispettare tutte le regole d'igiene orale che i suoi genitori avevano insegnato a Hermione fin da piccola, e piuttosto che commettere un altro errore preferiva non provare affatto. Depennati i cioccolatini dalla sua penosamente breve lista mentale, restavano quasi solo i fiori, e dopo un rapido e disperato gufo all'amico che viveva di pane ed Erbologia era riuscito a ottenere l'indirizzo della sua fornitrice di fiducia, che – così asseriva l'intenditore – teneva esemplari magici e Babbani con la stessa cura ed era una tale romanticona da non poter resistere alla tentazione rappresentata dal quattordici febbraio, anche se non l'avrebbe confessato ad anima viva.

«Buongiorno».

«Buongiorno a lei, desidera?» Le unghie sporche di terra e il fare sbrigativo gli riportarono alla memoria immagini della professoressa Sprite: forse si tendeva a diventare un po' tutti così, lavorando in quel campo.

«Ehm... cosa mi consiglia per San Valentino? Vorrei fare una sorpresa alla mia ragazza».

Lei lo squadrò con l'aria di dover raccogliere le ultime briciole di pazienza e depose sul bancone un mazzo di rose rosse. «I ragazzi di oggi non sanno più corteggiare alla vecchia maniera».

«Questi andranno benissimo, mi par di capire che siano un classico, no?» rispose Ron, studiando la composizione floreale con quella che sperava fosse l'aria di uno che sapeva il fatto suo. «Potrei approfittarne per aggiungere un biglietto di scuse? C'è stato... un problemino, e non vorrei rovinare la festa, ecco».

Con sua gran sorpresa, la fioraia si sciolse come neve al sole a quell'affermazione. «Ma certo! Se dipendesse da me allegherei pure una bella lettera di raccomandazione per la sua ragazza perché non si dimentichi di tenere ben stretto questo esemplare d'uomo!»

Ron non sapeva se sentirsi lusingato dal complimento o sottilmente insultato dalla parola “esemplare”, neanche fosse stato una mandragola adolescente particolarmente ribelle con l'acne e un po' troppe velleità di fuga.

«Allora prendo questi».

«Bella mossa, meglio andare sul sicuro. Hanno scritto un'infinità di manuali sul linguaggio dei fiori, ma conosco poche donne che con un mazzo di rose non si addolcirebbero, e poi c'è pur sempre la possibilità che la fortunata non lo conosca. Se vuol chiedere scusa, meglio stringere i denti e scriverlo che parlare in codice».

«Oh, io sospetto che lo conosca, ma temo proprio che delle scuse generiche non bastino» sorrise Ron. In realtà non ne aveva idea, ma era sempre più prudente scommettere che Hermione sapesse una cosa, piuttosto che il contrario.

Stava già celebrando interiormente la buona riuscita della missione, quando si fece sentire il pungolo del senso di colpa: con la paga da Auror se la cavava bene, ma le lezioni di sua madre sulla parsimonia non sarebbero scomparse neppure se fosse diventato da un giorno all'altro tanto ricco da comprare il negozio in blocco, figurarsi qualche fiore. Ma non importava: mettere una toppa sull'ultimo disastro che aveva combinato e passare un buon San Valentino valevano bene una piccola follia. Hermione era più preziosa di cento camere blindate, per quel che lo riguardava. Estrasse la borsa e passò al secondo problema, che invece poteva permettersi di esporre ad alta voce.

«Accidenti, Leo non ce la farà mai».

«Prego?»

Ron quasi rise di se stesso davanti alla sua espressione perplessa. «Ecco, signora, è bellissimo e la ringrazio tanto, ma... è più grosso del mio gufo. Pensavo di farglielo arrivare al lavoro, ma si rovinerà. Il guaio di avere un assiolo iperattivo a cui non si possono affidare oggetti delicati». Doveva avere le orecchie dello stesso rosso delle rose.

Lei rise, una risata più acuta di quella che ci si poteva aspettare dalla sua voce. «E perché non l'ha detto subito? Abbiamo anche un servizio di consegne. Le lascio un momento per pensare al biglietto e torno con un gufo della taglia giusta». Tirò fuori penna, pergamena e calamaio da un cassetto e disparve in una stanza sul retro.

Ron si mordicchiò un labbro. Questa parte non era proprio il suo forte: i suoi tentativi precedenti di essere romantico ammontavano all'incirca a zero. Tutte le parole che gli si affastellavano in testa gli parevano troppo melense per Hermione. Con una come Lavanda forse si sarebbe fatto andar bene una frasetta scontata, ragionevolmente certo di non deluderla, ma Hermione non era mai stata quel tipo di persona. Forse sarebbe andato sul sicuro se avesse avuto il tempo di imparare a memoria una citazione altrui, anche a costo di essere accusato di scarsa originalità: gli sorrideva sempre quando, con un colpo di coda improvviso, gli veniva voglia di dedicarsi a qualcosa di più intellettuale del solito. Facendo voto di chiederle in prestito qualcosa di quel drammaturgo Babbano chiamato Shakespeare da cui una volta gli aveva spiegato che proveniva il suo nome, Ron sospirò e si mise a scrivere.

 

Buon San Valentino!

Volevo darti una festa perfetta, ma probabilmente non saranno perfette neanche queste mie scuse. Ormai sarà troppo tardi, ma vorrei che tu sapessi che ho firmato la petizione e che è stato stupido da parte mia giudicare quel tipo dalle apparenze. Mi hai fatto riflettere, e penso proprio che quella fontana abbia bisogno di una rimodernata: né Fiorenzo né Unci-unci farebbero mai quella faccia davanti a un mago, e quanto a Dobby... be', lui era un elfo libero.

Ho capito quanto potrebbero essere importanti delle nuove statue per il tuo lavoro, e so bene quanto ci tieni. Forse non si nota, ma i tuoi intoppi e i tuoi successi decidono il mio umore più ancora del tempo che si vede fuori dalle finestre artificiali. Cominciare la giornata sapendo che sorridi fa felice anche me.

Forse ti aspettavi un semplice bigliettino romantico, e prima o poi ti scriverò anche quello, ma per ora ho pensato che meritassi molto più di quattro paroline tutte zucchero.

Con amore,

Ron

 

«Allora? Finito il poema?» Ron sussultò e quasi rischiò di macchiare il foglio.

«Ops. Mi scusi, adesso sì».

«Perfetto». Qualche esperto movimento di bacchetta che doveva ripetere ogni giorno da una vita e il messaggio fu asciugato, arrotolato e stretto con un nastrino in tinta. Sull'altro braccio era appollaiato un gufo dagli alteri occhi gialli, diverse volte più grosso di Leotordo. «Le presento Cupido. E speriamo che il nome le porti fortuna. Lo farò arrivare puntuale la mattina del quattordici, presso...?»

«Hermione Granger, Ministero della Magia, Quarto Livello, Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche» recitò.

Lei spalancò tanto d'occhi. «Ma tu guarda. La figurina che ha trovato mia figlia l'altra settimana».

Monete sonanti passarono di mano e Ron lasciò il negozio con la piacevole sensazione di averne combinata una giusta, finalmente.

 

Ron era vagamente rassicurato dai tanti altri uomini i cui sguardi scivolavano più spesso del consueto verso le foto delle rispettive mogli e ragazze, perché cercare di star fermo e attento era all'incirca come ostinarsi a sedere su un puntaspilli. Cupido doveva essere in viaggio verso la scrivania di Hermione proprio in quel momento, in mezzo agli altri gufi che portavano la posta personale – ben diversa dalle comunicazioni lavorative, gli disse una vocina della coscienza che suonava sorprendentemente simile a quella di lei.

Stava cercando per la diciassettesima volta in pochi giorni falle inesistenti nei piani per la sicurezza al concerto di Celestina Warbeck che doveva tenersi quella sera – dall'incidente alla Coppa del Mondo del '94 la presenza di Auror in borghese agli eventi che attiravano grandi quantità di persone si era infittita: non invidiava i colleghi che avrebbero dovuto sorbirsi il coro di Banshee – quando un aeroplanino viola gli atterrò dolcemente sotto il naso. Strano. Di solito mandava promemoria, più che riceverne. I messaggi di quel tipo si inviavano alle persone veramente importanti.

Lo dispiegò e un acrobata in miniatura fece un salto mortale dentro di lui alla vista della familiare grafia piccola e ordinata di Hermione. Le parole andavano dritte al punto:

 

Buon San Valentino!

Apprezzo moltissimo il gesto, ma ho avuto anch'io il tempo di pensarci su, e come al solito me la sono presa troppo per qualcosa che di questo passo finirà davvero nel nulla. Ho reagito male, per cui io scuso te se tu scusi me.

Con amore,

Hermione

PS: non ti facevo così romantico!

 

Insolitamente, si era lasciata andare alla quasi trascurabile frivolezza di adornare il poscritto con un cuoricino. C'era ancora parecchio spazio sul foglio sotto le sue poche righe, quindi, mettendo a tacere i fuochi d'artificio del successo che gli erano appena esplosi in testa, Ron corse il rischio di risponderle, pregando che l'ironia funzionasse anche per iscritto:

 

Stai infrangendo una regola per me, signorina Granger?

PS: scuse accettate, siamo pari.

 

Ripiegò l'aeroplano lungo le stesse linee create dalle dita – o dalla bacchetta – di lei e lo spedì al Quarto Livello, trepidante, sentendosi di nuovo uno scolaretto.

Non dovette attendere a lungo.

 

E tu mi stai incitando a continuare?

Avresti dovuto vedere l'effetto che ha fatto il gufo: nessuna delle mie colleghe ha un ragazzo così premuroso. Stanno ancora borbottando di stupidi uomini che si dimenticano di San Valentino.

A proposito, spero che tu non abbia altri piani, perché ne ho uno io per te. A stasera. Metti in pratica l'esame di Occultamento e Travestimento, se ti presenti con un kilt e un poncho potrei decidere di ritirare le scuse.

 

Ron doveva ancora decidere se essere tenuto sulle spine gli piacesse o no. La pazienza non era esattamente il suo maggior punto di forza, ma aveva la netta sensazione che al momento il suo sorriso illuminasse tutto il Quartier Generale.

 

Non sto più nella pelle.

 

Passò mentalmente in rassegna il suo armadio: la varietà di abiti Babbani in suo possesso non era precisamente una boutique, ma se era riuscito a cambiarsi i connotati, vestirsi da insospettabile uomo d'affari e sferrare un attacco a sorpresa all'istruttore che faceva la parte del cattivo nel bel mezzo di un ristorantino elegante senza che i Babbani presenti riportassero danni collaterali o conservassero ricordi scomodi, poteva fare anche questo.

 

«Dove si va?»

«È una sorpresa. Tu reggiti forte».

Hermione fece scivolare la mano nella sua e gli diede una stretta d'avvertimento prima di strapparlo da dove si trovava e trascinarlo con sé nella Materializzazione Congiunta. Avrebbe desiderato qualche istante in più per osservarla prima di partire: la scarsa luce del vicolo dov'erano riapparsi, peraltro mancando di poco un bidone della spazzatura, era davvero impietosa, mentre la vista che gli offriva avrebbe meritato sciami di fate che la illuminassero da ogni lato. Chissà come, chissà quando, era riuscita a usare una generosa dose di Tricopozione Lisciariccio e raccogliersi i capelli in un nodo che sembrava dargli una nuova prospettiva su tutto il suo viso. Ron provava una sorta di pungente familiarità quando lo faceva, come se avesse voluto riproporgli daccapo il Ballo del Ceppo, dandogli la possibilità di rifare una scena recitata male la prima volta.

«Non è il più suggestivo degli atterraggi, ma non potevo scaricarti davanti alla porta, saremmo stati visti. Da qui in poi è molto meglio, fidati».

Svoltarono insieme in una strada più ampia e illuminata e il cuore di Ron saltò un battito. The Silk Room. Ricordava quell'insegna dai tempi dell'addestramento. Per un lungo istante dovette affannarsi alla ricerca di un motivo plausibile per essere stato portato fino a Newcastle per un appuntamento, poi fu come se qualcuno avesse appena acceso la punta della propria bacchetta in una stanza buia.

«Aspetta, quindi stamattina quando parlavi dell'esame...» Sorrise da un orecchio all'altro. La sua risposta era stata un indizio e non se n'era nemmeno accorto.

«Hai detto o no, e ti cito testuali parole, “Be', non so come sono andato, ma almeno il posto era carino”?»

«Come fai a ricordarti certe cose?»

«Non sai mai cosa tornerà utile» rispose Hermione con un sorrisetto furbo. «Per esempio, io mi ricordavo il tuo commento e Harry sapeva l'indirizzo».

Le implicazioni di quella frase lo colpirono come un Bolide al petto. «Ma allora... niente, lascia perdere e godiamoci il giorno speciale».

«Non lasciarmi in sospeso così!»

«Non possiamo almeno continuare dentro, al calduccio, invece di starcene qui impalati?»

L'interno del locale era quasi esattamente come lo ricordava, con una calda luce soffusa che si rifletteva sul legno scuro e lucido del mobilio, solo con l'aggiunta per l'occasione di un numero sufficiente di decorazioni a forma di cuore da ricordare ai presenti (tutte coppiette, notò Ron guardandosi intorno) che era San Valentino, ma non abbastanza da trasformare il luogo nella risposta Babbana a Madama Piediburro.

«Abbiamo una prenotazione per due a nome Granger» annunciò Hermione al cameriere tutto impettito che si era fatto loro incontro.

«Certo, seguitemi. Mi occuperò di voi per il resto della serata». E con questo li condusse in rispettoso silenzio a un tavolo appartato che sembrava aspettare solo loro. «Tornerò tra poco a prendere le vostre ordinazioni». Si eclissò con un passo degno di un gatto.

«Allora?»

Quasi gli mancò il coraggio di parlarne. Era una questione che avevano già affrontato, ma alla più piccola ragione di sospetto era come essere punto e a capo, e Ron ne era mortificato. Possibile che quella parte di lui che non imparava mai non si fosse ancora rassegnata a star zitta?

«Gliel'hai chiesto quando sei passata al Quartier Generale l'ultima volta, vero?»

«Sì, e quindi?» Ma era una domanda inutile: mentre la bocca la pronunciava, dagli occhi già si capiva che era vicina alla soluzione.

«Mi sono un po' preoccupato, ecco» ammise, reprimendo la tentazione improvvisa di nascondere il viso dietro un menu.

«Eri geloso

«Io... be', cerca di capire, Hermione, ti vedo arrivare come una furia, mi saluti a malapena, confabuli con Harry di chissà che senza farti sentire e quando esci sembra che tu abbia vinto la lotteria!»

A sorpresa, il suo sguardo si addolcì. «Pensavo che ormai avessi capito».

«Capito cosa?»

«Che Harry e io non diventeremo mai più che amici».

«In teoria lo so, ma a volte è come se voi due vi leggeste nel pensiero. Harry sa cose su di te che a me non hai mai detto». A questo punto annaspava per tenere il tono d'accusa lontano dalle sue parole.

«E io posso dire lo stesso di te e Ginny, ma non mi preoccupo perché è tua sorella. Non puoi fare anche tu lo stesso perché siamo amici? Il legame di sangue è l'unica cosa che ci manca».

«Va bene lo stesso se ti prometto di provarci?» Non avrebbe ammesso quanto l'avevano rassicurato quelle parole neanche se fosse stato tenuto a tiro di bacchetta da un intero squadrone di Mangiamorte.

«Per imparare hai sempre tempo. Per quanto mi riguarda, tutto il tempo del mondo» sorrise, rivolgendo l'attenzione al menu in un muto segnale che considerava concluso l'argomento.

«Mi sento un po' in colpa» confessò Ron, imitandola. «Non dovrei essere io a fare questo genere di cose per te?»

«Ron, per favore», rispose Hermione con il tono teneramente esasperato di chi ha a che fare con un bambino che ha appena detto una cosa sciocca, ma completamente sensata nella sua logica infantile. «Io e te abbiamo smesso di essere una coppia convenzionale il primo settembre del '91. Hai dello sporco sul naso, a proposito, lo sapevi?»

Si portò una mano al viso in uno scatto convulso, sentendo già un pericoloso aumento di temperatura nella regione delle orecchie.

«Stavo scherzando!»

«Non era un granché divertente. Sai come succede di solito, no? Più mi sforzo di far andar bene le cose, più combino pasticci. Volevo che fosse un San Valentino perfetto, quindi probabilmente ora dovrei fare quella che il capo chiama una ritirata strategica e filarmela da qui prima che capiti il peggio».

«Non mi aspettavo un San Valentino perfetto, ma ti assicuro che finora lo è stato».

Un fiotto di calore come di Whisky Incendiario gli invase il petto. «E allora cosa ti aspettavi?»

«Non lo so di preciso, ma ho imparato tanto tempo fa che aspettarsi la perfezione porta solo tanto stress e nessuna gioia. Abbiamo litigato, ci siamo chiesti scusa, e allora? Non è la prima volta e non sarà neanche l'ultima. Tu non sei perfetto, non lo sono neanche io, nessuno lo è, ma non importa. Non so bene cosa sia la perfezione assoluta. Ad essere sincera, non so nemmeno se esista».

Le liste dei piatti giacevano di nuovo dimenticate. «Wow. Certe volte quando sono con te mi sembra di dovermi portare sempre dietro una pergamena per gli appunti».

«Ah, davvero? Perché tu invece mi ricordi che non succede una tragedia se lascio a casa la mia».

«E questo è abbastanza perfetto per te?»

«Assolutamente. È come... aspetta un minuto, i bambini maghi hanno i puzzle?»

«Ci stanno lavorando, credo. Non so se hanno ancora trovato un modo di incorporare le immagini che si muovono senza rendere il gioco impossibile. Che c'entra?»

«Se ne hai mai fatto uno, saprai che aprire la scatola può essere un tantino sconfortante. Ti sembra impossibile orientarti tra tutti quei pezzi. Poi però succede, ed ecco che la figura prende forma».

«Dove vorresti arrivare?»

«È praticamente impossibile trovare tutte le combinazioni giuste subito. Capiterà qualche volta di voler forzare un pezzo in un posto non suo. Fa parte del gioco. L'importante è che prima o poi s'incastrino, non contano gli errori commessi lungo il percorso. Farai confusione cento volte, ti arrabbierai altre cento, ti verrà voglia di buttare tutto all'aria, ma vuoi mettere la soddisfazione quando arrivi alla fine?»

«E quindi, fammi capire, tu pensi che noi siamo come un puzzle?»

«Qualsiasi relazione lo è. E io credo di aver trovato il pezzo che s'incastra col mio».

E fu così che il compassato cameriere dovette ridursi a tossicchiare in un modo che ricordava da vicino i giorni della tirannia della Umbridge per segnalare di essere tornato e separare le loro labbra, che in effetti in quel momento avevano molto in comune con due tessere ben combinate.

 

Note dell'Autrice: e dopo un secolo, finalmente mi faccio viva! Pensavo che l'università mi avesse atrofizzato i muscoli creativi, ma siccome l'uragano dell'intervista alla Rowling per Wonderland Magazine si è scatenato così vicino a San Valentino, ho pensato di combinare le due occasioni.
La storia si basa sul presupposto che Harry e Ron abbiano fatto l'addestramento canonico o almeno, in una situazione di bisogno disperato di braccia (e bacchette), una sua versione condensata. Altrove si dice che grazie all'esperienza in guerra l'abbiano saltato del tutto, ma a me serviva. Se viene fuori che l'altra teoria è quella giusta, prendete questa storia come una “What if...?”.

The Silk Room Restaurant & Champagne Bar, a Newcastle upon Tyne, esiste davvero, parola di TripAdvisor. All'inizio pensavo di inventarmelo del tutto, ma poi mi è saltato il grillo di cercare un riscontro reale e l'ho trovato. Quando si dice il destino...
La scelta di Newcastle è un piccolo omaggio (molto, molto nascosto) alla persona che mi ha dato la spintarella finale verso la stesura di questa storia. Se leggi, sai chi sei.

  
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