Violet Flame - La fiamma cobalto dell'amore di Mia Swatt è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia
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Mia
Swatt
VIOLET
FLAME
Mi trovavo seduta sul granito nero
che ricopriva i
piani lavoro della cucina. Accanto a me, sulla destra, un bicchiere di
succo di
mela, fresco. Nonostante il freddo pungente di quella giornata, mi
meravigliai
di indossare soltanto una magliettina di cotone. Era color testa di
moro con scollo
a V, dal quale fuoriusciva il
colletto di una camicia inesistente. Adoravo quel tipo di t-shirt.
Sebbene fossero passati quasi due mesi, non
riuscivo ancora a credere del sorprendente slancio sentimentale che,
inaspettatamente, aveva preso la mia vita. Se qualcuno –
chiunque – mi avesse
confessato di avermi vista come la nuova ragazza
fissa di Stefano Ansaldi, probabilmente gli avrei riso in
faccia. Eppure,
eccomi qui, in casa sua a progettare la cena per il nostro primo San
Valentino
insieme. Anche se, a dirla tutta, io non stavo facendo
alcunché.
Secondo Stefano ero una schiappa ai fornelli, e non
potevo dargli torto. Malgrado mia madre e mio padre fossero cuochi
provetti –
gestori di un ristorante, tra l’altro –, io di
cucina non ne sapevo granché.
Ero un’appassionata di dolci, quello sì. Era
matematico, tuttavia, il teorema nel
quale si decantava la certezza assoluta cui un arrosto, se cucinato da
Viola
Castaldo, sarebbe stato bruciato nella stragrande maggioranza dei casi
– se non
addirittura in tutti. Ero più capace ed esperta
nell’arte della pasticceria.
Forse, sostenevano anche i miei genitori, dipendeva dal fatto che
rientrava
nella categoria delle passioni,
anziché in quella dei doveri.
Afferrai il bicchiere e bevvi un sorso sostanzioso
di liquido verde. Osservare Stefano ai fornelli era una gioia per gli
occhi, ed
io stavo degustando ogni suo più piccolo gesto. Indossava
una maglietta a
maniche corte grigia e un pantalone di qualche tonalità
più scura; i piedi
erano scalzi, infilati in un paio di infradito nere, e un piccolo
grembiule
corvino faceva bella mostra sui vestiti chiari, perfettamente in tono
con la sua
carnagione diafana. Nonostante fosse ugualmente bello abbronzato, lo
preferivo
così, naturale. Era leggermente ripiegato sul piano scuro,
intento ad impanare
dei tranci di salmone. Lentamente, notai il piccolo ciuffo di capelli
castani ricadergli
sugli occhi. Prontamente, aiutandosi con l’avambraccio,
Stefano rimise il
furbetto a posto.
« Ehi, Aurora,
dovresti passarmi lo champagne. » disse improvvisamente,
attirando all’istante
la mia attenzione. Si voltò subito dopo aver sistemato il
salmone su una teglia
da forno.
« Mmm… » biascicai, cercando di non
fargli capire
che, del suo lungo discorso, non avevo sentito neanche mezza parola.
« L’ultima
volta che ho controllato il mio nome era ancora Viola. »
Alzai un sopracciglio,
seguendolo con lo sguardo, mentre raggiungeva il lavandino per lavarsi
le mani.
« Devi dirmi qualcosa, per caso? »
Stefano, di tutta risposta, scrollò le spalle.
Afferrò la salvietta bianca per asciugarsi e
tornò da me. Gli occhi gli
brillavano di uno strano blu intenso, e sulle labbra aveva stampato un
sorriso
sorprendentemente furbetto.
« Beh, eri soprappensiero e sembravi quasi addormentata.
» Incurvò un sopracciglio,
appoggiando i palmi sul granito, circondandomi con le sue braccia.
« E sei
anche molto, molto bella…
» Soffiò,
infine, sulle mie labbra.
Riuscivo a sentire il suo sapore e il suo respiro
caldo solleticarmi maliziosamente. Malgrado tutto, utilizzai quei pochi
neuroni
per tentare di risolvere la sua ovvietà.
« Mi stai forse paragonando alla Bella
addormentata? » domandai, scostandomi
un po’ per guardarlo in faccia. « Sei proprio un
genio, mio caro. Insieme a Biancaneve,
è il film Disney che più
detesto. » A quell’affermazione, lo vidi storcere
il naso e increspare la
fronte.
« Disney a parte, un po’ l’aria assopita
ce l’hai…
»
« Ma sentitelo! » Ridacchiai, spingendolo via.
«
Non per contrariarti, ma il Principe Filippo era il più
egocentrico e stordito,
tra tutti i principi azzurri delle favole. »
« Potrei offendermi. » rispose, assumendo uno
sguardo da cucciolo bastonato. Neanche due secondi dopo, tuttavia, mi
lanciò lo
straccio bagnato, colpendomi dritta in faccia.
Rimasi interdetta per alcuni istanti, intenta a
togliermi di dosso lo strofinaccio. Lo fulminai con lo sguardo, mentre
Stefano
si sbellicava dalle risate. Sovrastato da quell’improvvisa
ilarità, si piegò in
due, reggendosi lo stomaco con le mani. Dal canto mio, replicai il suo
gesto,
lanciandogli il panno proprio sopra la testa. Così conciato,
sembrava la
versione maschile di Cenerentola.
« Divertente. » mormorò, dopo averlo
reso partecipe
del mio pensiero. « Ma per quanto adori questi giochetti,
dovremmo rimandare, e
tu dovresti davvero passarmi la bottiglia di champagne. »
Lanciò uno sguardo
alla pentola posizionata sul fuoco. « Il riso è
pronto, ed io devo aggiungerci
il vino. »
Senza farmelo ripetere due volte, afferrai la
bottiglia voluminosa posta alla mia sinistra, sotto la vetrinetta, e
gliela porsi
velocemente. L’avevo già aperta, e Stefano non
dovette fare altro che versarla
a filo, mentre con la mano sinistra mescolava delicatamente il riso.
Non sapevo di questa sua passione e grande abilità
nei confronti della cucina, ma dovevo ammettere che fosse realmente
bravo. Gli
odori che si mischiavano tra quelle mura erano ottimi, inebrianti e ben
aromatizzati. L’essenza del vino, poi, si espanse con forza,
solleticando le
mie narici e anche il mio stomaco. Se mio padre fosse stato qui,
sicuramente
gli avrebbe offerto un lavoro. Fu in quel momento che mi accorsi che la
cucina,
ben curata tra l’altro, aveva una veste professionale. Non
solo per gli
elettrodomestici o i piani cottura in acciaio inox, ma anche, e
soprattutto,
per la disposizione meticolosa degli spazi e degli arredi.
Collegata direttamente alla sala da pranzo e al
salotto, in un open space ben congeniato e arioso, la cucina inglobava
in sé
uno stile classico e moderno. La struttura, sviluppata in
un’ampia costruzione
rettangolare, in bianco frassinato laccato, presentava quattro ante con
vetrinetta in stile inglese, un colonnato per incassare sia il forno
che il
frigo, e una cappa d’espressione tirolese. I piani di lavoro,
in granito nero lucido,
facevano da contrasto al colore candido dell’intera
composizione. Il bancone,
collegato direttamente al resto dell’arredamento, era
piuttosto largo e ampio, e
divideva perfettamente gli spazi, lasciati ugualmente connessi tra
loro.
L’intero piano, infine, sfoggiava un pavimento in marmo
fumé, screziato con
pietruzze ebano.
« Ti sei persa di nuovo, Aurora? »
« No. » risposi prontamente, arrossendo come un
peperone. « Stavo osservando la tua cucina, in
verità. È molto bella. »
« Oh. » Lo sentii brontolare, intento a sminuzzare
un grosso blocco di cioccolato fondente. « Io credevo che ti
sarebbe piaciuto
osservare, non so, me. »
« Ne riparleremo quando poserai quel coltello, chef.
» affermai, sentendolo ridacchiare
divertito. La sua abilità continuava a lasciarmi sbigottita.
Si muoveva come un vero esperto, passando con
destrezza da una pentola all’altra, fino al forno, per poi
tornare a sminuzzare
con meticolosità e rapidità le spezie o gli
ingredienti per il dessert.
« Sei davvero molto bravo. » Cominciai a parlare,
alcuni minuti più tardi. « Dico davvero, sembri un
grande cuoco. Sei così
esperto… Come se non avessi fatto altro in tutta la tua
vita. », sorrisi, « Io
è già tanto se riesco a non bruciare un uovo.
» Ci pensai meglio, comprendendo
immediatamente la mia esagerazione. « D’accordo,
magari un uovo no, fin lì ci
arrivo. »
Malgrado la mia rettifica, Stefano ridacchiò, forse
immaginando la scena: la sottoscritta intenta a bruciare un semplice e
innocente uovo.
« Non hai mai visto Marco, allora. » La sua risata
divenne ancora più fragorosa. « Mi aveva chiesto
una mano, l’anno scorso, per
il compleanno di Angelica. » spiegò, fermando
quello che stava facendo. « Voleva
una mano per il dolce, e sapendo che me la cavo mi ha chiesto aiuto. Ti
dico
solo una cosa: nell’impasto, invece dello zucchero, ci ha
messo il sale. E sai
come si è giustificato? Dicendo che era colpa mia, in quanto
i barattoli –
senza etichetta – erano identici, come il loro contenuto.
» Toccò a me
scoppiare a ridere, cadendo quasi all’indietro per il troppo
slancio.
Ringraziai il cielo di non essere presente in quella circostanza.
« Allora ho qualche speranza! » constatai, tra una
risata e l’altra.
« Puoi dirlo forte! »
« Scusa, ma alla fine? », domandai curiosa,
« Cioè,
ha portato il dolce ad Angie? »
« Ringraziando il cielo, no. » rispose, facendomi
sospirare
di sollievo. « Lo stampo scelto era piccolo,
perciò ne avanzò una piccola
parte. Per non sprecarlo, lo versai in un altro stampo. Poco prima di
andarsene,
mi venne la brillante idea di assaggiarlo. »
« Non oso immaginare il sapore. » dissi,
riprendendo a ridere rumorosamente.
« Ecco, e non farlo. Era orribile. »
Sembrava che quell’aria di leggerezza non volesse
lasciarci andare. Continuammo a ridere per diverso tempo, raccontandoci
aneddoti che entrambi ignoravamo, e non solo sui nostri amici, ma anche
di noi
stessi. Io e Stefano eravamo stati per lungo tempo grandi amici,
migliori
amici, ma erano impensabili le cose che ancora non conoscevo di lui.
Erano
impensabili le cose che non mi aveva mai rivelato o, più
precisamente, il modo in
cui lo aveva sempre fatto. Molto spesso, infatti, sembrava bloccato da
qualcosa. Qualcosa che non riuscivo a capire. Anche io, senza
rendermene
realmente conto, avevo il suo stesso comportamento. La differenza,
forse
sostanziale, era che non mi ero mai resa conto di essermi innamorata di
lui,
mentre lui lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Mi aveva rivelato che,
per lui, fu
un vero e proprio colpo di fulmine, il giorno in cui Marco –
venuto a prendere
Angelica al nostro liceo, ormai due anni prima – ci aveva
presentati. Malgrado
ciò, non fece mai niente. Non riuscivo ancora a capirne il
motivo.
Io e Angie avevamo conosciuto Marco qualche anno
prima. A dirla tutta, fu lei a conoscerlo, per caso, una sera
d’inverno,
durante un temporale pazzesco. Era senza ombrello, come suo solito, e
decise di
passare per il parco pubblico, ritagliando un po’ di strada.
Non aveva pensato
agli alberi, però. Arrivata alla fermata
dell’autobus, era più bagnata di un
pulcino annacquato, e fu allora che incontrò Marco.
L’automobile era dal
meccanico per la revisione. Decise, perciò, di aiutare la
damigella in
difficoltà, coprendola con il suo ombrello. Nessuno si
presentò, in
quell’occasione, ma cinque giorni dopo, Angelica lo
rincontrò in copisteria. Quell’incontro
segnò le loro vite. Cominciarono a sentirsi, poi a
frequentarsi e, pochi mesi più
tardi, iniziò la loro frequentazione. Angelica
continuò a ripetere che era
stato il destino a farli incontrare e, in un certo senso, non potei che
essere
più d’accordo.
« È stata mia madre a tramandarmi
l’amore per la
cucina. » La voce lontana e improvvisa di Stefano mi fece
ritornare alla
realtà. « Per dare una spiegazione alle tue
perplessità. » spiegò, regalandomi
un sorriso forzato.
Spalancai gli occhi, capendo in meno di un secondo
il motivo per il quale non fosse incline ad aprire
l’argomento.
Héloïse Dubois, la madre di Stefano,
morì quando
lui aveva quattordici anni. Non ne avevamo mai parlato molto, ma, da
quel che
ne sapevo, era stato un melanoma alla pelle a strapparla alla vita,
lentamente,
costringendola a spegnersi davanti agli occhi di suo figlio e di suo
marito.
Quest’ultimo non se l’era mai perdonato. Da
chirurgo, si accorse del problema
della moglie quando ormai era troppo tardi. Nemmeno i diversi cicli di
chemioterapia riuscirono a risolvere il problema: il melanoma si era
esteso
eccessivamente, e non ci fu più nulla da fare.
« Sapevo qualcosa… » dissi, pronunciando
le parole
con assoluta cautela. « Ma non ne abbiamo mai parlato
apertamente. A dirla
tutta, non parli mai troppo di tua madre. » Lo vidi annuire.
« Hai ragione, è vero. »,
confermò la mia
affermazione, « Non perché non la ami, tutto il
contrario. Parlare, ricordare…
riaprono cicatrici ancora troppo aperte. In tutta sincerità,
ho dovuto imparare
a stare zitto. »
« Come? » Quell’ultima frase mi
lasciò interdetta.
« Perché? Non
capisco. »
« L’argomento è troppo delicato da
affrontare con
mio padre. », spiegò, « Si da la colpa
per quello che è successo e, se devo
essere onesto, una parte di me non può che dargli ragione.
» La sua verità mi
raggelò. « Lo so, è stupido da parte
mia, e il raziocinio me lo fa capire da
solo, ma fin da adolescente ho sempre cercato un responsabile, qualcuno
a cui
dare la colpa per la sua morte. Dio è troppo lontano per
sfogarsi contro di
lui. », sospirò a grandi polmoni, «
Insomma, è il più grande chirurgo del
Piemonte. L’Italia intera, spesso e volentieri, lo chiama nei
suoi ospedali, ed
è conosciuto anche a livello internazionale. Come diamine
può aver commesso un
tale errore? Era sua moglie! Capisci? Era mia madre! Salva
più gente di quella
che non riesce ad aiutare, ma non l’ha fatto con la sua
famiglia. » Chiuse gli
occhi, tentò di calmarsi e poi riprese a parlare.
« Eppure non posso dargli colpe. Il suo lavoro lo
ha sempre tenuto parecchio fuori casa, a volte anche per settimane
intere. E
mamma era il tipo che cercava di nascondere ogni più piccolo
problema; era
brava a non farlo preoccupare. »
Saltai giù dal bancone e mi avvicinai lentamente,
appoggiando il mento contro la sua spalla. Lasciai vagare le mani sulle
sue
braccia, regalandogli una carezza leggera. Non lo avevo mai visto
così triste e
abbattuto. In tutta sincerità, non avevo mai visto nessuno
in quelle
condizioni, né avevo mai provato un dolore così
profondo. Ma non avevo mai perso
veramente qualcuno. Come si fa ad andare avanti, quando il destino ti
porta via
una persona che ami più di te stesso?
« Parlami dei ricordi belli. » Lo incitai, pregando
di non dire una sciocchezza. « Dell’amore per la
cucina, ad esempio. » Stefano
sorrise, e mi bastò quel piccolo gesto per capire che non
avevo aperto la bocca
a sproposito.
« Mia madre combatté contro il tumore per molti
anni. Si spense lentamente, e non in modo indolore, anzi. Era
un’arredatrice
d’interni… » Spostò lo
sguardo dietro di noi, inclinando la testa verso il
resto della casa. « È stata lei ad arredarla,
infatti. E aveva buongusto, non
trovi? » Annuii, ma quasi non se ne accorse. «
Oltre all’amore per il suo
lavoro, possedeva una passione sincera e profonda per la cucina.
Adorava
qualsiasi cosa, dagli antipasti ai dolci più strani. Mio
padre, tuttavia, era
sempre in ospedale, con turni quasi assurdi – e lo vedi da
te, anche ora non
c’è. Così, invece di uscire con gli
amici o andare al parco con loro, restavo
con lei. Era sempre molto debole, non solo a causa della chemio, quindi
dovevo
finire io ciò che iniziava. Lei mi dava le dritte,
però, e pian piano la sua
passione è diventata la mia. », sorrise al
ricordo, « Devo ammetterlo, non
avrei mai creduto che la cucina sarebbe diventata anche una mia
passione. Fin
da piccolo amavo le costruzioni, per questo ho intrapreso la strada
dell’architettura, ma la cucina è una passione che
mi accompagna tutt’ora. Mi
piace pensare che sia stato un suo ultimo regalo, che mia madre
– morendo –
abbia donato a me la sua innata abilità, rendendomi un
grande cuoco. »
Rimasi in silenzio per tutto il racconto, ammaliata
dalle sue parole e dal legame intenso e sincero che, fino
all’ultimo, aveva
legato lui e sua madre. La sofferenza che provava, che avrebbe provato
sempre,
forse, non riuscivo ad immaginarla. Malgrado ciò, doveva
essere dannatamente
immensa e profonda.
« Ho finito anche la mousse. » Mi
informò poco
dopo, sporcandomi il naso con la ganache fondente.
Prima ancora che potessi dire qualcosa, percepii le
sue labbra a contatto con la mia pelle. La sua lingua, calda e
inebriante,
leccò via il cioccolato, regalandomi palpitazioni irregolari
e furiose. Le sue
mani, grandi e forti, si posarono sui miei fianchi, attirandomi a
sé. La mia
gola divenne secca e le mie gambe molli.
« Sei la cosa più bella che mi sia capitata, in
questi ultimi anni. » La fermezza nella sua voce mi fece
attorcigliare lo
stomaco. Erano forse quelle, le farfalle che tanto decantavano tutti?
« Potrei dire lo stesso. » risposi, cercando di non
balbettare eccessivamente.
Stefano, di tutta risposta, mi baciò gentilmente la
fronte, nemmeno fossi fatta di cristallo. Le sue accortezze, la sua
delicatezza… erano attenzioni tanto reali e sincere, quanto
inaspettate a
travolgenti. Da fuori, nessuno avrebbe mai lontanamente sospettato che
in lui,
un ragazzo benestante e all’apparenza strafottente, potesse
annidarsi così
tanta dolcezza e romanticismo.
« Sono le sei. » Mi avvertì, scostando i
nostri
corpi. « Forse è meglio se vai a preparati,
Angelica e Marco arriveranno
intorno alle sette. Io sistemo la cucina e apparecchio il tavolo in
salotto,
poi vado anche io a cambiarmi. »
« Ma hai già fatto tutto tu! » Mi
lamentai,
corrugando la fronte a causa del disaccordo. « Lascia che
sistemi io, qui, e
pensi alla tavola. Poi… »
« Con tutto il rispetto, Aurora, ma non sei solo
addormentata, sei anche lenta come un bradipo. » Feci due
passi indietro e
spalancai la bocca, formalmente offesa.
« Ma sei perfido. » sibilai, facendolo scoppiare a
ridere. « Ti dovrei picchiare fino a domani. »
« Mmm, io non mi lamenterei. Sai come si dice,
vero? » domandò, ma il mio silenzio gli fece
capire che non avevo la benché
minima idea di cosa stesse dicendo. « La violenza porta
irrimediabilmente al
sesso. »
« Perfido e porco. » affermai, scuotendo la testa.
Tuttavia, la mia reazione lo fece ridere ancora più forte.
Lo lasciai in cucina, dirigendomi verso la
scalinata bianca pronta a raggiungere la mia meta: la sua camera da
letto.
Nonostante andasse all’università, viveva ancora a
casa con il padre. In molti
gli criticavano quella scelta; per me, invece, era soltanto da
ammirare. Nonostante
avessero molti soldi, non li buttavano al vento. Certo, si permettevano
alcuni
lussi – come le automobili o un’abitazione su
quattro livelli –, ma non
sperperavano il denaro per inutilità.
Situata nella zona precollinare, sulla Strada
Comunale dal ponte Isabella a San Vito, la villa padronale della
famiglia
Ansaldi era assolutamente spettacolare. Era stata costruita negli anni
’70,
elegante ed essenziale, con esterni color salmone e tetto spiovente,
dislocava
al suo interno due piani vivibili, più una taverna e
un’ampia soffitta. Il
giardino sul retro era ben curato, e sfoggiava anche una grossa piscina
costantemente riscaldata – per i mesi più caldi,
ovviamente.
Arrivata davanti ad una porta in legno di rovere
scuro, mi fermai. Era posta in fondo al corridoio, sulla sinistra. Di
fronte,
se non ricordavo male, c’era quella di suo padre. Abbassai la
maniglia e vi
immersi, rendendomi conto di non esserci più entrata, da
quando avevamo
cominciato a frequentarci come coppia.
L’ultima volta che ci avevo messo piede, svariati mesi prima,
ero solamente
Viola l’amica, ora
ricoprivo il ruolo
di Viola la ragazza ufficiale.
Nonostante quella differenza che, per me, sembrava enorme, la camera da
letto
di Stefano era esattamente come l’ultima volta che
l’avevo vista.
L’ampio armadio, laccato nero, ricopriva l’intera
parete parallela a quella dell’entrata. Sulla sinistra, il
grande letto in
pelle, sempre nero, sfoggiava lenzuola del medesimo colore scuro, sulle
quali
era appoggiata una coperta color tortora, che si intonava perfettamente
alla vernice
adoperata per tinteggiare i muri. Davanti ad esso, una grande libreria
faceva
bello sfoggio degli svariati libri, CD e volumi di testo
dell’università. Incassata tra quelle
mensole, la scrivania aveva un aspetto serio e professionale, sulla
quale era
adagiato un laptop e un blocco per gli appunti. Sull’ultima
parete erano
affisse diverse tipologie di chitarra, dalla classica a quella
elettrica, e un
poltrona sceslong scura, in pelle anch’essa, chiudeva
l’arredamento, insieme al
tappeto circolare che impediva all’acciaio di graffiare il
pregiato parquet in
rovere moro. Uno spazio spartano, quasi essenziale, che avevo sempre
trovato
perfetto e adatto a lui.
Entrai mesta, richiudendomi la porta alle spalle.
Continuai a guardarmi intorno, ma, contro ogni pronostico, non trovai
da
nessuna parte il mio vestito. Percorsi la grande metratura ad ampie
falcate,
facendo scorrere la porta del bagno che, abilmente mimetizzata, si
confondeva a
regola d’arte con i muri della stanza. Come avevo sospettato,
ancora avvolto
nel cellofan e appeso all’attaccapanni della porta,
c’era il mio vestito. Era
blu, un misto di seta e chiffon. Lo avevo comprato con i saldi, in
centro,
insieme ad Angelica. Era corto, ma non eccessivamente, con scollo a
cuore,
senza spalline e con un decoro argentato sotto il seno. La gonna cadeva
morbida
a balze fino al ginocchio, ma senza coprirlo. Le scarpe, spronata da
quella
pazza della mia migliore amica, erano un decolté tacco
quattordici.
Pensaci,
Viola! Così potrai guardarlo in faccia, almeno una volta.
Avrei voluto strozzarla, in quel momento.
Era vero, ero una nana. Il mio metro e
sessantacinque, appena, era un’inezia se messo a confronto
con il suo metro e
ottantotto. Quei dannati ventitre centimetri mi fregavano, e anche
parecchio.
Scossi la testa con vigore, lasciando che i miei
superflui pensieri mi scivolassero via di dosso. Chiusi la porta alle
mie
spalle e mi apprestai a cambiarmi. Dovevo sbrigarmi, non solo per
evitare di
scendere in ritardo, come mio solito, avevo un conto in sospeso con il
mio
maledetto ragazzo. Un conto che dovevo assolutamente aggiudicarmi.
*
* *
Il campanello suonò alle
sette e dieci. Io,
fortunatamente, ero già pronta. Stefano, al contrario, non
era ancora uscito
dal bagno. Sghignazzai tra me e me, lieta di averlo azzittito, una
volta tanto.
« Vado io! » Lo avvertii, non prima di aver
sistemato anche il candelabro come centrotavola.
Mi avviai alla porta, pregando di non inciampare
sui tre gradini che dividevano l’ingresso dalla zona diurna.
Quando feci
scattare la serratura, l’aria gelida della sera mi
colpì in pieno, facendomi
rabbrividire.
« Viola! » urlò Angelica, abbracciandomi
di
slancio. « Questa me la paghi, amica mia. È San
Valentino, e prima di
festeggiare a modo mio dovrò passare la serata insieme a te
e al tuo
ragazzaccio. » Non fu certamente il discorso auspicante che
mi aspettavo, ma
era pur sempre meglio di niente.
« Ti voglio bene anche io. » mormorai, ricambiando
il gesto.
« Ciao, Viola. » Salutò Marco, dandomi
due baci sulle
guance.
Entrambi erano di casa ormai, da quel che ne
sapevo. A differenza mia, Angelica conosceva bene Fabrizio Ansaldi,
padre di
Stefano, nonché fratello maggiore di Liliana, la madre di
Marco. Ero l’unica, a
conti fatti, a non averlo mai visto neanche di sfuggita. Nemmeno quando
bazzicavo per casa, da amica, ero mai riuscita ad incontrarlo. Non
seppi se
sentirmi sollevata, a causa dei racconti della mia amica, o delusa.
D’altronde,
ero io la ragazza di suo figlio, adesso. Com’era possibile
che, in due mesi,
non fossi riuscita nemmeno ad incrociarlo per sbaglio?
Beh,
è la
prima volta che rimetti piede in casa sua, genio.
Anche quello era vero.
« Viola, stai benissimo. » Si
complimentò Marco,
togliendo il soprabito ad Angie.
« Concordo, amica. » Lo spalleggiò.
« Fortuna che
mi hai dato retta, immagino che il depravato ti sia già
saltato addosso. » Il
suo occhiolino mi fece roteare gli occhi.
« Veramente non mi ha ancora visto. » confidai,
invitandoli a seguirmi in salotto.
La tavola era apparecchiata magnificamente. La
tovaglia era bianca, con decorazioni floreali molto leggere di un panna
più
caldo, e su di essa erano adagiate quattro tovagliette rettangolari
rosse.
Sparsi per tutta la superficie, piccoli petali di rose scarlatte
ornavano il
ripiano e, esattamente al centro, il grande candelabro in argento
sosteneva
cinque candele cremisi.
« Ah, quel ragazzo… »
biascicò, alzando gli occhi
al cielo. Mi voltai impettita, inclinando la testa e poggiando i pugni
sui
fianchi.
« Non ho ancora capito come fai ad adorare Raffaele
e non sopportare Stefano. »
« Ma non è vero che non lo sopporto…
»
« Oh, io me ne tiro fuori. » avvertì
Marco, alzando
le mani in segno di resa.
Stavamo per dire qualcos’altro, ma in quell’esatto
momento, la porta del bagno si spalancò, lasciando che
Stefano si unisse
finalmente a noi.
Notai la sua espressione mutare. Svariate emozioni
comparirono sul suo viso, dallo stupore, alla sorpresa, fino ad
arrivare
all’adorazione e infine alla malizia. Potei scorgere lo
scintillio di
eccitazione fargli brillare gli occhi, e le labbra incurvarsi in un
sorriso da
denunciare, per quanto sfacciato.
Stefano, dal canto suo, era bellissimo. Indossava
un completo grigio perla, spezzato soltanto dal colore della camicia:
un blu
scuro, che si intonava perfettamente alla tonalità dei suoi
occhi. Non portava
la cravatta, e i bottoncini del colletto erano slacciati. Era un mix
perfetto
di eleganza e informalità.
« Sei fantastica. » sussurrò, soffiando
sulle mie
labbra. Non mi ero nemmeno accorta che avesse messo fine alla nostra
distanza.
Lasciammo che Marco e Angelica prendessero posto,
l’uno davanti all’altra. Avevamo usufruito del
salotto, perciò del tavolo in
cristallo rettangolare. Secondo Stefano veniva usato troppo poco,
quindi avremmo
fatto meglio ad approfittare dell’assenza di suo padre. Presi
posto accanto
alla mia migliore amica, mentre Stefano si adagiò di fianco
a Marco,
esattamente di fronte a me.
Il mio ragazzo aveva preparato un piccolo
banchetto, dagli antipasti al dessert. Inoltre, sapendo quanto Angelica
fosse
allergica alle fragole, aveva optato per una mousse al cioccolato e
lamponi.
Lanciai una breve occhiata alla mia amica, intenta a prenderlo in giro,
e mi
domandai se fosse seria, a volte, in quello che diceva. Di Stefano si
potevano
dire molto cose, almeno in apparenza, ma quei piccoli accorgimenti
erano
senz’altro un campanellino che indicava quanto, in fondo,
tenesse anche a lei.
« Stef mi ha raccontato della tua avventura ai
fornelli, Marco. » dissi, poco dopo aver portato a tavolo il
primo piatto: un
riso allo champagne favoloso.
« Cosa?! » domandò Marco, lanciando
occhiate torve
al cugino. « Ma che bastardo, avevi detto che restava in
famiglia! »
« Beh, è in famiglia. » rispose Stefano,
afferrando
il bicchiere di vino, iniziando a sorseggiarlo con noncuranza.
« Sei uno sporco traditore. »
« Qualcuno vuole spiegarmi? » chiese Angelica,
ingoiando una forchettata.
« Certo! » Mi offrii, ignorando palesemente le
proteste di Marco che, nel frattempo, se la stava prendendo con il suo
vicino.
Raccontai nei minimi dettagli tutto quello che
Stefano aveva precedentemente confidato a me. Angelica, dal canto suo,
non poté
fare altro che scoppiare a ridere. Di tutta risposta, Marco fece il
finto
offeso, e non bastarono i complimenti disinteressati della sua ragazza
a fargli
cambiare idea. Minacciò perfino di non consegnarle il
regalo, ma, anzi, di
riportarlo al negozio e prendere qualcos’altro per se stesso.
Dovevo ammettere che erano semplicemente stupendi.
Non solo nei loro bellissimi vestiti – un monospalla oro per
lei e un completo
nero, informale quanto quello di Stefano, per lui –, ma
anche, e soprattutto,
come coppia.
« Come sei permaloso. » Lo canzonò
Stefano,
prendendosi un sonoro scappellotto. Fu il mio turno di scoppiare a
ridere.
« Vogliamo parlare di Stefano? » chiese Marco,
facendo strozzare il cugino, a causa della sua inaspettata domanda.
« Oh, sì! Ti prego, amore! » Angelica
per poco non
si mise a saltellare sulla sedia. « Qualcosa di torbido con
cui potrò
ricattarlo a vita. »
« Torbido non saprei, ma da telefilm per
adolescenti senz’altro. »
« Che cavolo stai escogitando, dannato? » Stefano
tentò di capirci qualcosa, ma fallì
clamorosamente. La mia curiosità, adesso,
era giunta alle stelle.
« Quando ve l’ho presentato, la sera stessa, mi
chiamò
nel cuore della notte perché non riusciva a dormire.
» A quel punto, Stefano
cominciò a tappargli la bocca, ma Marco non sembrava
propenso a smettere di
parlare. « Mi fece un terzo grado su di te, Viola! Ci
mancò poco che mi
domandasse anche il tuo codice fiscale! »
« Uh, questo mi interessa. »
« A me mica tanto. » Angelica sbuffò.
« Sono cose
di cui ero già a conoscenza, e comunque risulta quasi adorabile. » Si
complimentò, ma quell’affermazione costrinse
il mio ragazzo a spalancare bocca e occhi.
« Lo hai detto anche a lei?! »
« Tanta resta in famiglia, cugino. » A quella
risposta, Stefano non poté fare altro che ingoiare il rospo,
lasciando che
Marco illustrasse le sue folli telefonate notturne.
Mi sorprese scoprire quanto grande fosse stato il
suo interesse per me. Mi aveva già accennato qualcosa, ma
non conoscevo
l’intera storia; non tutti i dettagli, almeno. Malgrado
ciò, mi stupii scoprire
che fu proprio Marco ad incitarlo a lasciarmi stare, conoscendo le
inclinazioni
poco serie di suo cugino. Da quel che ci confidò, Angelica
gli aveva raccontato
che, in quel periodo, avevo preso una bella batosta in campo
sentimentale. Per
non incrinare i nostri rapporti, consigliò a Stefano di
tenere le mani a posto,
oltre che tutto il resto.
La serata proseguì in tranquillità, tra risate e
aneddoti divertenti – oltre a quelli profondi e inaspettati.
Si fecero le dieci
senza che ce ne accorgessimo, decisi perciò di servire il
dolce. Sia Marco che
Angelica sarebbero andati via alle dieci e mezza, pronti a continuare,
e
concludere, il loro San Valentino altrove. Era una sorpresa, il dove,
che la
rossa non poteva nemmeno immaginare.
« Questa mousse è incantevole. » Fu
proprio
Angelica a parlare. « È opera tua, vero, Viola? Le
tue manine sono magiche,
quando si parla di dolci! »
Stavo per intervenire, ma Stefano mi soffiò la
parola.
« Veramente l’ho fatta io. » rispose lui,
sganciando la bomba. Angelica per poco non si strozzò con la
crema soffice.
« Tu? Davvero? »
« Ma chi credi che abbia cucinato, scusa? » Le
domandò, alzando un sopracciglio. « Non ho messo
cianuro nella tua coppa, puoi
stare tranquilla. » Finì, regalandole un sorrisone
da Oscar.
« Che spiritoso! Non intendevo questo. »,
sbuffò, «
Mi sorprende la tua bravura in cucina. Insomma, era tutto ottimo.
»
« Lo prenderò come un complimento, allora.
»
sghignazzò, assaporando un altro cucchiaino di dessert.
« Sì, ma non ti ci abituare. »
controbatté
Angelica, facendolo scoppiare a ridere.
Scossi il capo, sorridendo. Quei due erano come
cane e gatto, chissà se sarebbero mai andati
d’accordo, un giorno.
« Mi duole interrompere i vostri maturi
battibecchi… » Marco si alzò
lentamente, scostando la sedia che strisciò sul
pavimento, senza causare però alcun fastidioso rumore.
« Noi dovremmo andare,
peste. »
« Così mi fai sentire una bimba. »
ribatté lei,
imitando i gesti del ragazzo.
« Una bellissima bimba, allora. » A quella frase,
notai Angelica arrossire sulle gote. Abbassò la testa,
evitando di mostrarci il
suo imbarazzo.
Accompagnai i due ragazzi all’ingresso, mentre
Stefano andò a recuperare i cappotti. Ringraziai la mia
migliore amica a bassa
voce. Tuttavia, il cuore non attese oltre per schizzarmi in gola. Ero agitata. Ed era stato questo
l’unico
motivo che mi aveva spinto ad implorare Angelica per quella cena. Non
avevo la
benché minima idea di cosa Stefano si aspettasse da me e, a
dirla tutta, non
sapevo cosa aspettarmi da me stessa. In due mesi, a parte qualche bacio
e
qualche sfioramento più deciso, non ci eravamo mai spinti
oltre. Quella sera,
però, le cose sarebbero potute cambiare. Ma ero pronta per
quel passo? Non ne
avevo idea. Sinceramente, non sapevo se fosse il caso di concedermi a
Stefano
così presto. In fin dei conti, era un playboy. Chi mi
assicurava che dopo
qualche mese non si sarebbe stufato di me, passando a
qualcun’altra o, peggio
ancora, tornando da Marianella?
Stai
tentennando.
Sì, lo sapevo.
Ti
stai
riempiendo di scuse! Questo argomento lo avete già
affrontato, e tu lo sai. Il
suo amore per te è sincero. Smettila di farti assalire dai
dubbi.
Sospirai pesantemente. Purtroppo, era più facile a
dirsi che a farsi.
« Ehi, scricciolo, a che stai pensando? » Saltai
inaspettatamente per aria, quando avvertii le sue braccia circondarmi
da
dietro. « Tutto bene? »
« Sì, scusa, mi ero persa. »
« Ma non mi dire… » rispose sornione,
trascinandomi
nuovamente in salotto.
« Non fare allusioni, signorino! San Valentino non
è ancora finito, potrei decidere di lasciarti e tornarmene a
casa. »
Cademmo entrambi, di peso, sul divano.
« C’è un problema nel tuo fantastico
piano. »
« Ah, sì? E quale? » Lo sfidai,
lasciando che mi
baciasse astutamente il collo.
« Sono io, il tuo autista. E non ho alcuna
intenzione di farti andare via, stanotte. »
Quella confidenza bastò per farmi venire la pelle
d’oca. Era come se non avessi più il controllo del
mio corpo e della mia mente,
in quel preciso istante. Tutti i miei dubbi e le mie paure, dopo quella
frase,
vennero spazzati via come vernice fresca sotto l’acqua. In
quel momento, provai
una sensazione mai provata prima: frenesia.
« Ho una sorpresa per te. » Soffiò sulle
mie
labbra, alzandosi. « Tu rilassati qui, io sparecchio
– e faccio sparire le
prove che ci incolpano di aver usato il tavolo intoccabile di
papà – e poi
saliamo di sopra. »
« No, voglio darti una mano! Hai fatto tut…
» Mi
interruppe, posando un dito sulla mia bocca.
« Sei mia ospite, Viola. » Era perentorio.
« Non
alzerai un dito, mi hai capito? Resta qui, ci metto dieci minuti. La
lavastoviglie è un’invenzione magica! »
Mi fece un occhiolino e cominciò a
sfaccendare.
Dal canto mio, ero ancora ferma alla sua frase:
«…poi
saliamo di sopra. »
Se c’era una cosa che
proprio detestavo, era
l’impossibilità di vedere. In quel momento,
tuttavia, mi ritrovavo esattamente
in quella condizione. Stefano, prima di trascinarmi con sé,
aveva preteso di
bendarmi. E servirono a poco le mie lamentele. Ci ritrovavamo di sopra,
ora, ma
frastornata com’ero, non seppi dire esattamente dove ci trovassimo, in quella grande
casa. Mi era sembrata una
strada troppo lunga perché fossimo giunti in camera sua, ma
avrebbe anche
potuto depistarmi.
« Sei pronta? »
« Se intendi essere completamente sbendata, allora
sì, sono pronta. » Lo sentii sghignazzare, ma non
disse altro. Avvertii le sue
dita litigare con qualcosa dietro la mia nuca, che capii
successivamente essere
la benda. Quando essa cadde, quello che vidi mi lasciò a
bocca aperta.
Ci trovavamo in soffitta, una stanza totalmente
diversa da quello che immaginavo. Sparse per essa, un numero
spropositato di
candele bianche, unica fonte di luce. Sul pavimento in legno, erano
sparsi
petali di rose blu e di un altro fiore che non riuscii ad individuare
– almeno
non subito. Il tetto spiovente lasciava che il soppalco rimpicciolisse
man mano
che vi entravi maggiormente. Nell’angolo più
piccolo e appartato, un divanetto
a pouf era adibito a letto, con tanto di cuscini e coperte, sulle quali
era
appoggiata una scatoletta di velluto viola, con un grosso fiocco blu al
centro,
e un mazzo di fiori misti.
Ero rimasta senza parole.
Lasciai che Stefano mi trascinasse come una
bambolina, troppo stupita e sorpresa. Mi domandai quando lo avesse
preparato e,
in quell’istante, una lampadina di accese nel mio cervello.
« È per questo che ci hai messo un mucchio di
tempo
a cambiarti. », sussurrai, « Mentre io mi vestivo,
tu hai sistemato tutto
questo. »
« Smascherato. » sorrise, invitandomi a sedermi.
«
Mi spiace che le candele si siano consumate più del dovuto,
ma spero che
l’atmosfera non ne abbia risentito. »
« Stefano, è tutto splendido. » Non
riuscivo a
smettere di guardarmi intorno.
« Questo è per te. » disse, porgendomi
la
scatoletta quadrata che avevo visto.
Afferrai quel regalo come se fosse la cosa più
preziosa del mondo. Scostai il fiocco con gentilezza, poi la aprii. Al
suo
interno, c’era un bracciale.
Era in argento chiaro, realizzato con una catenina
di media larghezza. Al centro, era posto il simbolo
dell’infinito, decorato con
tanti piccoli brillantini bianchi. Le luci delle candele accentuavano
la loro
lucentezza.
« È davvero bellissimo. » sussurrai,
pregando che
mi uscissero le parole. Il termine “emozionata” non
spiegava assolutamente
niente di me, in quel momento.
« Un’inezia paragonato a te, credimi. »
ribatté,
offrendosi di mettermelo al polso. Addosso era anche meglio.
Con la coda dell’occhio, osservai distrattamente il
mazzo di fiori. Era una composizione fantastica, unica.
E mi sorpresi scoprire quanto mi conoscesse.
« Peonie bianche e rose blu. » Notai,
accarezzandone i petali. Lo vidi annuire.
« Non ami la rosa rossa, preferisci la blu. E i
tuoi fiori preferiti sono le peonie bianche. » Annuii a mia
volta, incantata
dalla bellezza di quei dettagli.
Non ne avevamo mai parlato prima.
« Sono tulipani, vero? »
« Sì, tulipani rossi, per l’esattezza.
» precisò,
accarezzandomi con il pollice il dorso della mano. « Conosci
il significato dei
fiori? »
« A dire il vero, no. » ammisi, arrossendo
imbarazzata.
« La rosa blu non esiste in natura. » Mi
rivelò,
assumendo un tono straordinariamente serio e profondo. «
Viene colorata
dall’uomo, per questo è rara. Secondo il
linguaggio dei fiori, la rosa blu
rappresenta l’amore unico ed eterno. La sua rarità
determina la serietà di quel
legame e la sua eternità. » Lo ascoltavo
ammaliata. « La peonia è un fiore
tipicamente orientale, ma viene usata spesso per i matrimoni, da noi.
Viene
chiamata anche Regina dei fiori, in
seguito alla sua regalità. Il bianco rappresenta la purezza
e la… verginità. »
Toccò a lui arrossire, questa volta. «
È questo il motivo principale per cui
viene assegnata alle spose. »
Tacque per lungo tempo, forse in attesa che dicessi
qualcosa. Dal canto mio, non avevo ancora finisco di ascoltarlo.
Anelavo di
sentire ancora la sua voce, come un essere umano anela al suo ossigeno.
« E i tulipani? » Mi sentii chiedere.
« Ammetto di essere imbarazzato… » Lo
guardai,
senza realmente capirne il motivo. « Era una bella storia,
quella dei tulipani,
ma non la ricordo. Mi sono documentato su Google, prima di recarmi dal
fioraio,
e avevo trovato una leggenda fantastica sui tulipani rossi, ma, al
momento,
proprio non la ricordo. »
Osservai il suo volto angosciato, e non riuscii a
trattenere una risata.
« Allora anche Stefano Ansaldi non è infallibile.
»
« Non sono infallibile quando si tratta di te. » Mi
rivelò, avvicinandosi sempre più pericolosamente.
« Tu mi mandi in corto,
Viola. »
Eravamo l’uno di fronte all’altra. I piedi nudi,
intrecciati tra loro, mentre le sue labbra avevano iniziato a sfiorarmi
la
spalla nuda. Non mi stava baciando, ma quel tocco appena accennato mi
provocava
brividi anche più intensi. Il mio fiato cominciava a
risultare pesante, quasi
corto, e il cuore batteva a più non posso.
« E… » Ingoiai un po’ di
saliva, pregando di
riuscire a porre la mia domanda. « E cosa vuol dire? Almeno
questo… questo te
lo ricordi? »
Sentivo le sue mani accarezzarmi le caviglie,
risalendo lentamente verso le ginocchia e sempre più in
alto…
« Amore perfetto. » La sua voce aveva assunto un
tono rauco. « Il tulipano rosso significa amore perfetto.
»
Le sue labbra lasciarono la mia spalla, dirigendosi
verso il collo, per poi proseguire fin dietro l’orecchio. I
tocchi accennati
divennero baci più decisi e intensi, che mi costrinsero a
chiudere gli occhi
per assaporarne meglio il sentore.
« E p-perché lo hai scelto per noi? »
Sentii le sue labbra incurvarsi sulla mia pelle, e
quel gesto mi causò un ulteriore brivido.
« Perché è quello che voglio per noi,
scricciolo. »
Si bloccò, allontanandosi giusto il necessario per fissarmi
negli occhi. « Lo
so che la nostra storia è agli inizi, almeno per te, ma sono
innamorato di te da
tanto tempo. Ed è questo che voglio per noi: un amore
perfetto, una relazione
perfetta. Una storia ricca e serena, piena di discussioni,
perché so di non
essere un santo, ma di giornate ricche di sole per poter fare pace e
chiarirci.
Una storia lunga, magica, dove non ameremo solo i pregi
dell’altro, ma anche, e
soprattutto, i suoi difetti. Una relazione vera, matura e
duratura… Voglio
tutto questo per noi, Viola, e anche molto altro. »
« È esattamente quello che voglio anche io.
»
Suggellammo quella tacita promessa e il nostro
amore con un bacio. Dapprima, fu leggero, delicato e straordinariamente
dolce,
ma ben presto si tramutò in qualcos’altro. Divenne
carico di passione e di
voglia, quel contatto, e di un’altra infinità di
sensazioni che scoprii quella
notte, con Stefano, in quella soffitta che ricordava lo scenario di una
favola.
Quando le dita del ragazzo dagli occhi cobalto
provarono a sfilare il mio vestito, non opposi resistenza. Al
contrario, mi
avventai sui bottoni della sua camicia, incitandolo a liberarsene il
prima
possibile. Era bello, Stefano, e le ore di palestra e la cura di se
stesso lo
rendevano ancora più attraente.
Lasciai che i polpastrelli seguissero le linee del
suo petto, mentre le sue mani, esperte, raggiungevano posti del mio
corpo mai azzardati
prima. Il desiderio era palpabile, quasi travolgente, man mano che i
nostri
corpi si scoprivano, esplorandosi lentamente. Ringraziai il cielo di
essere
sdraiata, consapevole che sarei finita a terra, in caso contrario, non
riuscendo a sentire più la forza nelle gambe, diventate
ormai di burro. Istintivamente,
inarcai la schiena, quando avvertii le labbra di Stefano lambirmi la
pancia e
l’ombelico.
I suoi baci, le sue carezze, le sue parole
sussurrate, erano un balsamo che riduceva i miei dubbi e le mie paure
in
frammenti piccolissimi, quasi del tutto inesistenti. In quel preciso
istante,
mentre i nostri abiti e la nostra biancheria finivano sul pavimento,
lontani
dai nostri corpi, non pensai a niente. Solo quel momento era
importante, solo lui era
importante. I suoi gesti, le sue
premure e i suoi occhi.
Come una fiamma corrosiva, lasciai che quella notte
mi consumasse; che consumasse entrambi. Eravamo diventati due leghe
fuse da
forgiare, e le nostre essenze, le nostre anime, non persero occasione
per
unirsi, rinascendo come una soltanto. Bruciammo insieme, lasciando che
la fine
della mia innocenza, per mano dell’unico ragazzo che avessi
mai realmente
amato, diventasse un nuovo inizio.
« Ti amo, Viola. »
« Ti amo anche io, Stefano. »
Persa in quel perfetto attimo, mi resi finalmente
conto che la persona che stavo aspettando, che stavo cercando, forse,
ora
dormiva beatamente accanto a me. Stretta nel suo possente abbraccio,
invitai la
notte ad avvolgerci con il suo manto scuro, pregando Morfeo di
imprigionare
entrambi. Insieme.
Ora
sono un
donna…,
pensai scioccamente.
E col sorriso sulle labbra, cullata dal caldo
respiro di Stefano, mi addormentai beata, protetta e al sicuro.
LA STORIA
CONTINUA IN «VIOLET SOUL – ANIME GEMELLE»
IL ROMANZO
SARÀ DISPONIBILE NEI PROSSIMI MESI DEL 2014,
SUL BLOG INTERAMENTE DEDICATO ALLA STORIA.
RINGRAZIAMENTI:
Ho scritto questo prequel in soli due giorni. Con la revisione e le
svariate correzioni, questo piccolo racconto, degno della giornata
degli innamorati, è
nato in appena quattro/cinque giorni. Ritrovare i personaggi di Viola e
Stefano, di Angelica e Marco mi fa sempre piacere, ed è
proprio per questo che ho riversato sulla decisione di proporvi un
ulteriore prequel della storia
di partenza, Violet Soul - Anime Gemelle,
di genere Paranormal Romance, che sta per essere
revisionata
completamente, non solo a livello grammaticale o sintassico, ma anche
di
trama e di particolari all'apparenza insignificanti. Questo prequel
è per tutti coloro che hanno sentito, in questo lasso di
tempo, la mancanza di questa storia e dei suoi personaggi,
facendovi entrare nell'ottica di questa nuova versione. Una
versione più ricca, più particolareggiata,
più studiata; insomma, una versione totalmente nuova.
Inoltre, il personaggio di Stefano è quella che ha subito
più mutamenti, perciò mi faceva piacere farvelo
conoscere meglio, pensando anche, e soprattutto, che nella versione di
base, nella storia vera e proprio, il suo personaggio non compare, e
chi ha letto la trama ne conosce anche il motivo. Passando ai ringraziamenti veri e
propri, voglio ringraziare di cuore la mia Angelica, la
mia migliore amica. Come avevo già scritto nei
ringraziamenti del primo prequel, lei c'è sempre per le mie
pazzie, anche
alle due di notte, quando sta per arrivarmi una nuova idea e ho bisogno
di un parere disinteressato e schietto. La ringrazio perché
è stata lei a
supportarmi quando la prima versione della storia sopracitata
è stata mandata a svariate case editrici, ma,
perché reputata troppo romantica, scartata; almeno, questa
è stata l'unica risposta negativa arrivatomi, nel vasto mare
di silenzio di tutte le altre. Ti voglio un bene dell'anima, tesoro.
Grazie infinte per esserci sempre! Sia nei giorni belli che in quelli
brutti. Voglio ringraziare anche i miei lettori, oggi, soprattutto
quelli che, nonostante il poco tempo e il caos della vita, riescono a
ritagliarsi sempre un po' di tempo per leggere le mie storie. Grazie a
tutti voi, di cuore!
Detto questo, AUGURO
BUON SAN VALENTINO A TUTTI GLI INNAMORATI E ANCHE I SINGLE! :) Che
questo piccolo prequel possa riscaldare il cuore di tutti voi.
ANGOLO AUTRICE:
Per chi fosse interessato, lascio di
seguito i miei contatti al di fuori di EFP, nel caso qualcuno volesse
contattarmi altrove. Se
foste, inoltre, interessati a leggere anche il primo prequel pubblicato
(ove protagoniste sono Angelica e Viola), vi basterà
cliccare su: Violet
Christmas - Alla ricerca del regalo perfetto.
Comunico, inoltre, che ho pubblicato un'altra
storia, di genere Urban Fantasy. Essa è conclusa, e fa parte
di una trilogia. Se foste interessati, il titolo
è Underworld
(il primo capitolo della serie The
Different Worlds).
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Mia Swatt
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Tumblr: honey_mi_
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Blog personale: Violet Moon (Blog).
Da poco ho fatto anche Ask.
Se qualcuno volesse farmi qualche domanda o conoscermi meglio, vi
lascio il mio profilo: ask.fm/MiaSwatt
Mando
un bacio a tutti voi!
Mia
Swatt.