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Autore: Mia Swatt    14/02/2014    4 recensioni
Secondo la celebre festa degli innamorati, conosciuta da tutti come il giorno di San Valentino, è usanza donare al proprio partner un pegno d’amore. È proprio per questo che Stefano ha deciso di invitare la sua Valentina nella propria casa, per una cena romantica e privata, a lume di candela. Malgrado la gioia iniziale e la fiamma ardente del desiderio, Viola è preoccupata: sono appena due mesi che si frequentano, e non vi sono mai state occasioni così speciali, in quell’asso di tempo. Decide, perciò, di ribaltare i suoi piani. Implora Angelica di convincere Marco ad unirsi a loro, almeno per la prima parte della serata. Ma i due amici accetteranno? Un’atmosfera romantica, arricchita di complicità e dolcezza. Una serata difficile, se non impossibile, da dimenticare.
In attesa della nuova versione di «Violet Soul – Anime Gemelle», un prequel profondamente romantico per (ri)conoscere alcuni dei personaggi più amati della prima stesura, avendo un piccolo assaggio delle novità che riguarderanno il nuovo progetto della mia storia Paranormal Romance.
[ Il genere è "Soprannaturale" soltanto per tenere un filo conduttore con il romanzo riconducibile al racconto. ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Violet Soul – Anime Gemelle.'
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Violet Flame - La fiamma cobalto dell'amore di Mia Swatt è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia
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Mia Swatt


VIOLET FLAME
LA FIAMMA COBALTO DELL’AMORE

 

 

 

Mi trovavo seduta sul granito nero che ricopriva i piani lavoro della cucina. Accanto a me, sulla destra, un bicchiere di succo di mela, fresco. Nonostante il freddo pungente di quella giornata, mi meravigliai di indossare soltanto una magliettina di cotone. Era color testa di moro con scollo a V, dal quale fuoriusciva il colletto di una camicia inesistente. Adoravo quel tipo di t-shirt.
Sebbene fossero passati quasi due mesi, non riuscivo ancora a credere del sorprendente slancio sentimentale che, inaspettatamente, aveva preso la mia vita. Se qualcuno – chiunque – mi avesse confessato di avermi vista come la nuova ragazza fissa di Stefano Ansaldi, probabilmente gli avrei riso in faccia. Eppure, eccomi qui, in casa sua a progettare la cena per il nostro primo San Valentino insieme. Anche se, a dirla tutta, io non stavo facendo alcunché.
Secondo Stefano ero una schiappa ai fornelli, e non potevo dargli torto. Malgrado mia madre e mio padre fossero cuochi provetti – gestori di un ristorante, tra l’altro –, io di cucina non ne sapevo granché. Ero un’appassionata di dolci, quello sì. Era matematico, tuttavia, il teorema nel quale si decantava la certezza assoluta cui un arrosto, se cucinato da Viola Castaldo, sarebbe stato bruciato nella stragrande maggioranza dei casi – se non addirittura in tutti. Ero più capace ed esperta nell’arte della pasticceria. Forse, sostenevano anche i miei genitori, dipendeva dal fatto che rientrava nella categoria delle passioni, anziché in quella dei doveri.
Afferrai il bicchiere e bevvi un sorso sostanzioso di liquido verde. Osservare Stefano ai fornelli era una gioia per gli occhi, ed io stavo degustando ogni suo più piccolo gesto. Indossava una maglietta a maniche corte grigia e un pantalone di qualche tonalità più scura; i piedi erano scalzi, infilati in un paio di infradito nere, e un piccolo grembiule corvino faceva bella mostra sui vestiti chiari, perfettamente in tono con la sua carnagione diafana. Nonostante fosse ugualmente bello abbronzato, lo preferivo così, naturale. Era leggermente ripiegato sul piano scuro, intento ad impanare dei tranci di salmone. Lentamente, notai il piccolo ciuffo di capelli castani ricadergli sugli occhi. Prontamente, aiutandosi con l’avambraccio, Stefano rimise il furbetto a posto.
« Ehi, Aurora, dovresti passarmi lo champagne. » disse improvvisamente, attirando all’istante la mia attenzione. Si voltò subito dopo aver sistemato il salmone su una teglia da forno.
« Mmm… » biascicai, cercando di non fargli capire che, del suo lungo discorso, non avevo sentito neanche mezza parola. « L’ultima volta che ho controllato il mio nome era ancora Viola. » Alzai un sopracciglio, seguendolo con lo sguardo, mentre raggiungeva il lavandino per lavarsi le mani. « Devi dirmi qualcosa, per caso? »
Stefano, di tutta risposta, scrollò le spalle. Afferrò la salvietta bianca per asciugarsi e tornò da me. Gli occhi gli brillavano di uno strano blu intenso, e sulle labbra aveva stampato un sorriso sorprendentemente furbetto.
« Beh, eri soprappensiero e sembravi quasi addormentata. » Incurvò un sopracciglio, appoggiando i palmi sul granito, circondandomi con le sue braccia. « E sei anche molto, molto bella… » Soffiò, infine, sulle mie labbra.
Riuscivo a sentire il suo sapore e il suo respiro caldo solleticarmi maliziosamente. Malgrado tutto, utilizzai quei pochi neuroni per tentare di risolvere la sua ovvietà.
« Mi stai forse paragonando alla Bella addormentata? » domandai, scostandomi un po’ per guardarlo in faccia. « Sei proprio un genio, mio caro. Insieme a Biancaneve, è il film Disney che più detesto. » A quell’affermazione, lo vidi storcere il naso e increspare la fronte.
« Disney a parte, un po’ l’aria assopita ce l’hai… »
« Ma sentitelo! » Ridacchiai, spingendolo via. « Non per contrariarti, ma il Principe Filippo era il più egocentrico e stordito, tra tutti i principi azzurri delle favole. »
« Potrei offendermi. » rispose, assumendo uno sguardo da cucciolo bastonato. Neanche due secondi dopo, tuttavia, mi lanciò lo straccio bagnato, colpendomi dritta in faccia.
Rimasi interdetta per alcuni istanti, intenta a togliermi di dosso lo strofinaccio. Lo fulminai con lo sguardo, mentre Stefano si sbellicava dalle risate. Sovrastato da quell’improvvisa ilarità, si piegò in due, reggendosi lo stomaco con le mani. Dal canto mio, replicai il suo gesto, lanciandogli il panno proprio sopra la testa. Così conciato, sembrava la versione maschile di Cenerentola.
« Divertente. » mormorò, dopo averlo reso partecipe del mio pensiero. « Ma per quanto adori questi giochetti, dovremmo rimandare, e tu dovresti davvero passarmi la bottiglia di champagne. » Lanciò uno sguardo alla pentola posizionata sul fuoco. « Il riso è pronto, ed io devo aggiungerci il vino. »
Senza farmelo ripetere due volte, afferrai la bottiglia voluminosa posta alla mia sinistra, sotto la vetrinetta, e gliela porsi velocemente. L’avevo già aperta, e Stefano non dovette fare altro che versarla a filo, mentre con la mano sinistra mescolava delicatamente il riso.
Non sapevo di questa sua passione e grande abilità nei confronti della cucina, ma dovevo ammettere che fosse realmente bravo. Gli odori che si mischiavano tra quelle mura erano ottimi, inebrianti e ben aromatizzati. L’essenza del vino, poi, si espanse con forza, solleticando le mie narici e anche il mio stomaco. Se mio padre fosse stato qui, sicuramente gli avrebbe offerto un lavoro. Fu in quel momento che mi accorsi che la cucina, ben curata tra l’altro, aveva una veste professionale. Non solo per gli elettrodomestici o i piani cottura in acciaio inox, ma anche, e soprattutto, per la disposizione meticolosa degli spazi e degli arredi.
Collegata direttamente alla sala da pranzo e al salotto, in un open space ben congeniato e arioso, la cucina inglobava in sé uno stile classico e moderno. La struttura, sviluppata in un’ampia costruzione rettangolare, in bianco frassinato laccato, presentava quattro ante con vetrinetta in stile inglese, un colonnato per incassare sia il forno che il frigo, e una cappa d’espressione tirolese. I piani di lavoro, in granito nero lucido, facevano da contrasto al colore candido dell’intera composizione. Il bancone, collegato direttamente al resto dell’arredamento, era piuttosto largo e ampio, e divideva perfettamente gli spazi, lasciati ugualmente connessi tra loro. L’intero piano, infine, sfoggiava un pavimento in marmo fumé, screziato con pietruzze ebano.
« Ti sei persa di nuovo, Aurora? »
« No. » risposi prontamente, arrossendo come un peperone. « Stavo osservando la tua cucina, in verità. È molto bella. »
« Oh. » Lo sentii brontolare, intento a sminuzzare un grosso blocco di cioccolato fondente. « Io credevo che ti sarebbe piaciuto osservare, non so, me. »
« Ne riparleremo quando poserai quel coltello, chef. » affermai, sentendolo ridacchiare divertito. La sua abilità continuava a lasciarmi sbigottita.
Si muoveva come un vero esperto, passando con destrezza da una pentola all’altra, fino al forno, per poi tornare a sminuzzare con meticolosità e rapidità le spezie o gli ingredienti per il dessert.
« Sei davvero molto bravo. » Cominciai a parlare, alcuni minuti più tardi. « Dico davvero, sembri un grande cuoco. Sei così esperto… Come se non avessi fatto altro in tutta la tua vita. », sorrisi, « Io è già tanto se riesco a non bruciare un uovo. » Ci pensai meglio, comprendendo immediatamente la mia esagerazione. « D’accordo, magari un uovo no, fin lì ci arrivo. »
Malgrado la mia rettifica, Stefano ridacchiò, forse immaginando la scena: la sottoscritta intenta a bruciare un semplice e innocente uovo.
« Non hai mai visto Marco, allora. » La sua risata divenne ancora più fragorosa. « Mi aveva chiesto una mano, l’anno scorso, per il compleanno di Angelica. » spiegò, fermando quello che stava facendo. « Voleva una mano per il dolce, e sapendo che me la cavo mi ha chiesto aiuto. Ti dico solo una cosa: nell’impasto, invece dello zucchero, ci ha messo il sale. E sai come si è giustificato? Dicendo che era colpa mia, in quanto i barattoli – senza etichetta – erano identici, come il loro contenuto. » Toccò a me scoppiare a ridere, cadendo quasi all’indietro per il troppo slancio. Ringraziai il cielo di non essere presente in quella circostanza.
« Allora ho qualche speranza! » constatai, tra una risata e l’altra.
« Puoi dirlo forte! »
« Scusa, ma alla fine? », domandai curiosa, « Cioè, ha portato il dolce ad Angie? »
« Ringraziando il cielo, no. » rispose, facendomi sospirare di sollievo. « Lo stampo scelto era piccolo, perciò ne avanzò una piccola parte. Per non sprecarlo, lo versai in un altro stampo. Poco prima di andarsene, mi venne la brillante idea di assaggiarlo. »
« Non oso immaginare il sapore. » dissi, riprendendo a ridere rumorosamente.
« Ecco, e non farlo. Era orribile. »
Sembrava che quell’aria di leggerezza non volesse lasciarci andare. Continuammo a ridere per diverso tempo, raccontandoci aneddoti che entrambi ignoravamo, e non solo sui nostri amici, ma anche di noi stessi. Io e Stefano eravamo stati per lungo tempo grandi amici, migliori amici, ma erano impensabili le cose che ancora non conoscevo di lui. Erano impensabili le cose che non mi aveva mai rivelato o, più precisamente, il modo in cui lo aveva sempre fatto. Molto spesso, infatti, sembrava bloccato da qualcosa. Qualcosa che non riuscivo a capire. Anche io, senza rendermene realmente conto, avevo il suo stesso comportamento. La differenza, forse sostanziale, era che non mi ero mai resa conto di essermi innamorata di lui, mentre lui lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Mi aveva rivelato che, per lui, fu un vero e proprio colpo di fulmine, il giorno in cui Marco – venuto a prendere Angelica al nostro liceo, ormai due anni prima – ci aveva presentati. Malgrado ciò, non fece mai niente. Non riuscivo ancora a capirne il motivo.
Io e Angie avevamo conosciuto Marco qualche anno prima. A dirla tutta, fu lei a conoscerlo, per caso, una sera d’inverno, durante un temporale pazzesco. Era senza ombrello, come suo solito, e decise di passare per il parco pubblico, ritagliando un po’ di strada. Non aveva pensato agli alberi, però. Arrivata alla fermata dell’autobus, era più bagnata di un pulcino annacquato, e fu allora che incontrò Marco. L’automobile era dal meccanico per la revisione. Decise, perciò, di aiutare la damigella in difficoltà, coprendola con il suo ombrello. Nessuno si presentò, in quell’occasione, ma cinque giorni dopo, Angelica lo rincontrò in copisteria. Quell’incontro segnò le loro vite. Cominciarono a sentirsi, poi a frequentarsi e, pochi mesi più tardi, iniziò la loro frequentazione. Angelica continuò a ripetere che era stato il destino a farli incontrare e, in un certo senso, non potei che essere più d’accordo.
« È stata mia madre a tramandarmi l’amore per la cucina. » La voce lontana e improvvisa di Stefano mi fece ritornare alla realtà. « Per dare una spiegazione alle tue perplessità. » spiegò, regalandomi un sorriso forzato.
Spalancai gli occhi, capendo in meno di un secondo il motivo per il quale non fosse incline ad aprire l’argomento.
Héloïse Dubois, la madre di Stefano, morì quando lui aveva quattordici anni. Non ne avevamo mai parlato molto, ma, da quel che ne sapevo, era stato un melanoma alla pelle a strapparla alla vita, lentamente, costringendola a spegnersi davanti agli occhi di suo figlio e di suo marito. Quest’ultimo non se l’era mai perdonato. Da chirurgo, si accorse del problema della moglie quando ormai era troppo tardi. Nemmeno i diversi cicli di chemioterapia riuscirono a risolvere il problema: il melanoma si era esteso eccessivamente, e non ci fu più nulla da fare.
« Sapevo qualcosa… » dissi, pronunciando le parole con assoluta cautela. « Ma non ne abbiamo mai parlato apertamente. A dirla tutta, non parli mai troppo di tua madre. » Lo vidi annuire.
« Hai ragione, è vero. », confermò la mia affermazione, « Non perché non la ami, tutto il contrario. Parlare, ricordare… riaprono cicatrici ancora troppo aperte. In tutta sincerità, ho dovuto imparare a stare zitto. »
« Come? » Quell’ultima frase mi lasciò interdetta. « Perché?  Non capisco. »
« L’argomento è troppo delicato da affrontare con mio padre. », spiegò, « Si da la colpa per quello che è successo e, se devo essere onesto, una parte di me non può che dargli ragione. » La sua verità mi raggelò. « Lo so, è stupido da parte mia, e il raziocinio me lo fa capire da solo, ma fin da adolescente ho sempre cercato un responsabile, qualcuno a cui dare la colpa per la sua morte. Dio è troppo lontano per sfogarsi contro di lui. », sospirò a grandi polmoni, « Insomma, è il più grande chirurgo del Piemonte. L’Italia intera, spesso e volentieri, lo chiama nei suoi ospedali, ed è conosciuto anche a livello internazionale. Come diamine può aver commesso un tale errore? Era sua moglie! Capisci? Era mia madre! Salva più gente di quella che non riesce ad aiutare, ma non l’ha fatto con la sua famiglia. » Chiuse gli occhi, tentò di calmarsi e poi riprese a parlare.
« Eppure non posso dargli colpe. Il suo lavoro lo ha sempre tenuto parecchio fuori casa, a volte anche per settimane intere. E mamma era il tipo che cercava di nascondere ogni più piccolo problema; era brava a non farlo preoccupare. »
Saltai giù dal bancone e mi avvicinai lentamente, appoggiando il mento contro la sua spalla. Lasciai vagare le mani sulle sue braccia, regalandogli una carezza leggera. Non lo avevo mai visto così triste e abbattuto. In tutta sincerità, non avevo mai visto nessuno in quelle condizioni, né avevo mai provato un dolore così profondo. Ma non avevo mai perso veramente qualcuno. Come si fa ad andare avanti, quando il destino ti porta via una persona che ami più di te stesso?
« Parlami dei ricordi belli. » Lo incitai, pregando di non dire una sciocchezza. « Dell’amore per la cucina, ad esempio. » Stefano sorrise, e mi bastò quel piccolo gesto per capire che non avevo aperto la bocca a sproposito.
« Mia madre combatté contro il tumore per molti anni. Si spense lentamente, e non in modo indolore, anzi. Era un’arredatrice d’interni… » Spostò lo sguardo dietro di noi, inclinando la testa verso il resto della casa. « È stata lei ad arredarla, infatti. E aveva buongusto, non trovi? » Annuii, ma quasi non se ne accorse. « Oltre all’amore per il suo lavoro, possedeva una passione sincera e profonda per la cucina. Adorava qualsiasi cosa, dagli antipasti ai dolci più strani. Mio padre, tuttavia, era sempre in ospedale, con turni quasi assurdi – e lo vedi da te, anche ora non c’è. Così, invece di uscire con gli amici o andare al parco con loro, restavo con lei. Era sempre molto debole, non solo a causa della chemio, quindi dovevo finire io ciò che iniziava. Lei mi dava le dritte, però, e pian piano la sua passione è diventata la mia. », sorrise al ricordo, « Devo ammetterlo, non avrei mai creduto che la cucina sarebbe diventata anche una mia passione. Fin da piccolo amavo le costruzioni, per questo ho intrapreso la strada dell’architettura, ma la cucina è una passione che mi accompagna tutt’ora. Mi piace pensare che sia stato un suo ultimo regalo, che mia madre – morendo – abbia donato a me la sua innata abilità, rendendomi un grande cuoco. »
Rimasi in silenzio per tutto il racconto, ammaliata dalle sue parole e dal legame intenso e sincero che, fino all’ultimo, aveva legato lui e sua madre. La sofferenza che provava, che avrebbe provato sempre, forse, non riuscivo ad immaginarla. Malgrado ciò, doveva essere dannatamente immensa e profonda.
« Ho finito anche la mousse. » Mi informò poco dopo, sporcandomi il naso con la ganache fondente.
Prima ancora che potessi dire qualcosa, percepii le sue labbra a contatto con la mia pelle. La sua lingua, calda e inebriante, leccò via il cioccolato, regalandomi palpitazioni irregolari e furiose. Le sue mani, grandi e forti, si posarono sui miei fianchi, attirandomi a sé. La mia gola divenne secca e le mie gambe molli.
« Sei la cosa più bella che mi sia capitata, in questi ultimi anni. » La fermezza nella sua voce mi fece attorcigliare lo stomaco. Erano forse quelle, le farfalle che tanto decantavano tutti?
« Potrei dire lo stesso. » risposi, cercando di non balbettare eccessivamente.
Stefano, di tutta risposta, mi baciò gentilmente la fronte, nemmeno fossi fatta di cristallo. Le sue accortezze, la sua delicatezza… erano attenzioni tanto reali e sincere, quanto inaspettate a travolgenti. Da fuori, nessuno avrebbe mai lontanamente sospettato che in lui, un ragazzo benestante e all’apparenza strafottente, potesse annidarsi così tanta dolcezza e romanticismo.
« Sono le sei. » Mi avvertì, scostando i nostri corpi. « Forse è meglio se vai a preparati, Angelica e Marco arriveranno intorno alle sette. Io sistemo la cucina e apparecchio il tavolo in salotto, poi vado anche io a cambiarmi. »
« Ma hai già fatto tutto tu! » Mi lamentai, corrugando la fronte a causa del disaccordo. « Lascia che sistemi io, qui, e pensi alla tavola. Poi… »
« Con tutto il rispetto, Aurora, ma non sei solo addormentata, sei anche lenta come un bradipo. » Feci due passi indietro e spalancai la bocca, formalmente offesa.
« Ma sei perfido. » sibilai, facendolo scoppiare a ridere. « Ti dovrei picchiare fino a domani. »
« Mmm, io non mi lamenterei. Sai come si dice, vero? » domandò, ma il mio silenzio gli fece capire che non avevo la benché minima idea di cosa stesse dicendo. « La violenza porta irrimediabilmente al sesso. »
« Perfido e porco. » affermai, scuotendo la testa. Tuttavia, la mia reazione lo fece ridere ancora più forte.
Lo lasciai in cucina, dirigendomi verso la scalinata bianca pronta a raggiungere la mia meta: la sua camera da letto. Nonostante andasse all’università, viveva ancora a casa con il padre. In molti gli criticavano quella scelta; per me, invece, era soltanto da ammirare. Nonostante avessero molti soldi, non li buttavano al vento. Certo, si permettevano alcuni lussi – come le automobili o un’abitazione su quattro livelli –, ma non sperperavano il denaro per inutilità.
Situata nella zona precollinare, sulla Strada Comunale dal ponte Isabella a San Vito, la villa padronale della famiglia Ansaldi era assolutamente spettacolare. Era stata costruita negli anni ’70, elegante ed essenziale, con esterni color salmone e tetto spiovente, dislocava al suo interno due piani vivibili, più una taverna e un’ampia soffitta. Il giardino sul retro era ben curato, e sfoggiava anche una grossa piscina costantemente riscaldata – per i mesi più caldi, ovviamente.
Arrivata davanti ad una porta in legno di rovere scuro, mi fermai. Era posta in fondo al corridoio, sulla sinistra. Di fronte, se non ricordavo male, c’era quella di suo padre. Abbassai la maniglia e vi immersi, rendendomi conto di non esserci più entrata, da quando avevamo cominciato a frequentarci come coppia. L’ultima volta che ci avevo messo piede, svariati mesi prima, ero solamente Viola l’amica, ora ricoprivo il ruolo di Viola la ragazza ufficiale. Nonostante quella differenza che, per me, sembrava enorme, la camera da letto di Stefano era esattamente come l’ultima volta che l’avevo vista.
L’ampio armadio, laccato nero, ricopriva l’intera parete parallela a quella dell’entrata. Sulla sinistra, il grande letto in pelle, sempre nero, sfoggiava lenzuola del medesimo colore scuro, sulle quali era appoggiata una coperta color tortora, che si intonava perfettamente alla vernice adoperata per tinteggiare i muri. Davanti ad esso, una grande libreria faceva bello sfoggio degli svariati libri,
CD e volumi di testo dell’università. Incassata tra quelle mensole, la scrivania aveva un aspetto serio e professionale, sulla quale era adagiato un laptop e un blocco per gli appunti. Sull’ultima parete erano affisse diverse tipologie di chitarra, dalla classica a quella elettrica, e un poltrona sceslong scura, in pelle anch’essa, chiudeva l’arredamento, insieme al tappeto circolare che impediva all’acciaio di graffiare il pregiato parquet in rovere moro. Uno spazio spartano, quasi essenziale, che avevo sempre trovato perfetto e adatto a lui.
Entrai mesta, richiudendomi la porta alle spalle. Continuai a guardarmi intorno, ma, contro ogni pronostico, non trovai da nessuna parte il mio vestito. Percorsi la grande metratura ad ampie falcate, facendo scorrere la porta del bagno che, abilmente mimetizzata, si confondeva a regola d’arte con i muri della stanza. Come avevo sospettato, ancora avvolto nel cellofan e appeso all’attaccapanni della porta, c’era il mio vestito. Era blu, un misto di seta e chiffon. Lo avevo comprato con i saldi, in centro, insieme ad Angelica. Era corto, ma non eccessivamente, con scollo a cuore, senza spalline e con un decoro argentato sotto il seno. La gonna cadeva morbida a balze fino al ginocchio, ma senza coprirlo. Le scarpe, spronata da quella pazza della mia migliore amica, erano un decolté tacco quattordici.

Pensaci, Viola! Così potrai guardarlo in faccia, almeno una volta.
Avrei voluto strozzarla, in quel momento.
Era vero, ero una nana. Il mio metro e sessantacinque, appena, era un’inezia se messo a confronto con il suo metro e ottantotto. Quei dannati ventitre centimetri mi fregavano, e anche parecchio.
Scossi la testa con vigore, lasciando che i miei superflui pensieri mi scivolassero via di dosso. Chiusi la porta alle mie spalle e mi apprestai a cambiarmi. Dovevo sbrigarmi, non solo per evitare di scendere in ritardo, come mio solito, avevo un conto in sospeso con il mio maledetto ragazzo. Un conto che dovevo assolutamente aggiudicarmi. 

* * *

Il campanello suonò alle sette e dieci. Io, fortunatamente, ero già pronta. Stefano, al contrario, non era ancora uscito dal bagno. Sghignazzai tra me e me, lieta di averlo azzittito, una volta tanto.
« Vado io! » Lo avvertii, non prima di aver sistemato anche il candelabro come centrotavola.
Mi avviai alla porta, pregando di non inciampare sui tre gradini che dividevano l’ingresso dalla zona diurna. Quando feci scattare la serratura, l’aria gelida della sera mi colpì in pieno, facendomi rabbrividire.
« Viola! » urlò Angelica, abbracciandomi di slancio. « Questa me la paghi, amica mia. È San Valentino, e prima di festeggiare a modo mio dovrò passare la serata insieme a te e al tuo ragazzaccio. » Non fu certamente il discorso auspicante che mi aspettavo, ma era pur sempre meglio di niente.
« Ti voglio bene anche io. » mormorai, ricambiando il gesto.
« Ciao, Viola. » Salutò Marco, dandomi due baci sulle guance.
Entrambi erano di casa ormai, da quel che ne sapevo. A differenza mia, Angelica conosceva bene Fabrizio Ansaldi, padre di Stefano, nonché fratello maggiore di Liliana, la madre di Marco. Ero l’unica, a conti fatti, a non averlo mai visto neanche di sfuggita. Nemmeno quando bazzicavo per casa, da amica, ero mai riuscita ad incontrarlo. Non seppi se sentirmi sollevata, a causa dei racconti della mia amica, o delusa. D’altronde, ero io la ragazza di suo figlio, adesso. Com’era possibile che, in due mesi, non fossi riuscita nemmeno ad incrociarlo per sbaglio?

Beh, è la prima volta che rimetti piede in casa sua, genio.
Anche quello era vero.
« Viola, stai benissimo. » Si complimentò Marco, togliendo il soprabito ad Angie.
« Concordo, amica. » Lo spalleggiò. « Fortuna che mi hai dato retta, immagino che il depravato ti sia già saltato addosso. » Il suo occhiolino mi fece roteare gli occhi.
« Veramente non mi ha ancora visto. » confidai, invitandoli a seguirmi in salotto.
La tavola era apparecchiata magnificamente. La tovaglia era bianca, con decorazioni floreali molto leggere di un panna più caldo, e su di essa erano adagiate quattro tovagliette rettangolari rosse. Sparsi per tutta la superficie, piccoli petali di rose scarlatte ornavano il ripiano e, esattamente al centro, il grande candelabro in argento sosteneva cinque candele cremisi.
« Ah, quel ragazzo… » biascicò, alzando gli occhi al cielo. Mi voltai impettita, inclinando la testa e poggiando i pugni sui fianchi.
« Non ho ancora capito come fai ad adorare Raffaele e non sopportare Stefano. »
« Ma non è vero che non lo sopporto… »
« Oh, io me ne tiro fuori. » avvertì Marco, alzando le mani in segno di resa.
Stavamo per dire qualcos’altro, ma in quell’esatto momento, la porta del bagno si spalancò, lasciando che Stefano si unisse finalmente a noi.
Notai la sua espressione mutare. Svariate emozioni comparirono sul suo viso, dallo stupore, alla sorpresa, fino ad arrivare all’adorazione e infine alla malizia. Potei scorgere lo scintillio di eccitazione fargli brillare gli occhi, e le labbra incurvarsi in un sorriso da denunciare, per quanto sfacciato.
Stefano, dal canto suo, era bellissimo. Indossava un completo grigio perla, spezzato soltanto dal colore della camicia: un blu scuro, che si intonava perfettamente alla tonalità dei suoi occhi. Non portava la cravatta, e i bottoncini del colletto erano slacciati. Era un mix perfetto di eleganza e informalità.
« Sei fantastica. » sussurrò, soffiando sulle mie labbra. Non mi ero nemmeno accorta che avesse messo fine alla nostra distanza.
Lasciammo che Marco e Angelica prendessero posto, l’uno davanti all’altra. Avevamo usufruito del salotto, perciò del tavolo in cristallo rettangolare. Secondo Stefano veniva usato troppo poco, quindi avremmo fatto meglio ad approfittare dell’assenza di suo padre. Presi posto accanto alla mia migliore amica, mentre Stefano si adagiò di fianco a Marco, esattamente di fronte a me.
Il mio ragazzo aveva preparato un piccolo banchetto, dagli antipasti al dessert. Inoltre, sapendo quanto Angelica fosse allergica alle fragole, aveva optato per una mousse al cioccolato e lamponi. Lanciai una breve occhiata alla mia amica, intenta a prenderlo in giro, e mi domandai se fosse seria, a volte, in quello che diceva. Di Stefano si potevano dire molto cose, almeno in apparenza, ma quei piccoli accorgimenti erano senz’altro un campanellino che indicava quanto, in fondo, tenesse anche a lei.
« Stef mi ha raccontato della tua avventura ai fornelli, Marco. » dissi, poco dopo aver portato a tavolo il primo piatto: un riso allo champagne favoloso.
« Cosa?! » domandò Marco, lanciando occhiate torve al cugino. « Ma che bastardo, avevi detto che restava in famiglia! »
« Beh, è in famiglia. » rispose Stefano, afferrando il bicchiere di vino, iniziando a sorseggiarlo con noncuranza.
« Sei uno sporco traditore. »
« Qualcuno vuole spiegarmi? » chiese Angelica, ingoiando una forchettata.
« Certo! » Mi offrii, ignorando palesemente le proteste di Marco che, nel frattempo, se la stava prendendo con il suo vicino.
Raccontai nei minimi dettagli tutto quello che Stefano aveva precedentemente confidato a me. Angelica, dal canto suo, non poté fare altro che scoppiare a ridere. Di tutta risposta, Marco fece il finto offeso, e non bastarono i complimenti disinteressati della sua ragazza a fargli cambiare idea. Minacciò perfino di non consegnarle il regalo, ma, anzi, di riportarlo al negozio e prendere qualcos’altro per se stesso.
Dovevo ammettere che erano semplicemente stupendi. Non solo nei loro bellissimi vestiti – un monospalla oro per lei e un completo nero, informale quanto quello di Stefano, per lui –, ma anche, e soprattutto, come coppia.
« Come sei permaloso. » Lo canzonò Stefano, prendendosi un sonoro scappellotto. Fu il mio turno di scoppiare a ridere.
« Vogliamo parlare di Stefano? » chiese Marco, facendo strozzare il cugino, a causa della sua inaspettata domanda.
« Oh, sì! Ti prego, amore! » Angelica per poco non si mise a saltellare sulla sedia. « Qualcosa di torbido con cui potrò ricattarlo a vita. »
« Torbido non saprei, ma da telefilm per adolescenti senz’altro. »
« Che cavolo stai escogitando, dannato? » Stefano tentò di capirci qualcosa, ma fallì clamorosamente. La mia curiosità, adesso, era giunta alle stelle.
« Quando ve l’ho presentato, la sera stessa, mi chiamò nel cuore della notte perché non riusciva a dormire. » A quel punto, Stefano cominciò a tappargli la bocca, ma Marco non sembrava propenso a smettere di parlare. « Mi fece un terzo grado su di te, Viola! Ci mancò poco che mi domandasse anche il tuo codice fiscale! »
« Uh, questo mi interessa. »
« A me mica tanto. » Angelica sbuffò. « Sono cose di cui ero già a conoscenza, e comunque risulta quasi adorabile. » Si complimentò, ma quell’affermazione costrinse il mio ragazzo a spalancare bocca e occhi.
« Lo hai detto anche a lei?! »
« Tanta resta in famiglia, cugino. » A quella risposta, Stefano non poté fare altro che ingoiare il rospo, lasciando che Marco illustrasse le sue folli telefonate notturne.
Mi sorprese scoprire quanto grande fosse stato il suo interesse per me. Mi aveva già accennato qualcosa, ma non conoscevo l’intera storia; non tutti i dettagli, almeno. Malgrado ciò, mi stupii scoprire che fu proprio Marco ad incitarlo a lasciarmi stare, conoscendo le inclinazioni poco serie di suo cugino. Da quel che ci confidò, Angelica gli aveva raccontato che, in quel periodo, avevo preso una bella batosta in campo sentimentale. Per non incrinare i nostri rapporti, consigliò a Stefano di tenere le mani a posto, oltre che tutto il resto.
La serata proseguì in tranquillità, tra risate e aneddoti divertenti – oltre a quelli profondi e inaspettati. Si fecero le dieci senza che ce ne accorgessimo, decisi perciò di servire il dolce. Sia Marco che Angelica sarebbero andati via alle dieci e mezza, pronti a continuare, e concludere, il loro San Valentino altrove. Era una sorpresa, il dove, che la rossa non poteva nemmeno immaginare.
« Questa mousse è incantevole. » Fu proprio Angelica a parlare. « È opera tua, vero, Viola? Le tue manine sono magiche, quando si parla di dolci! »
Stavo per intervenire, ma Stefano mi soffiò la parola.
« Veramente l’ho fatta io. » rispose lui, sganciando la bomba. Angelica per poco non si strozzò con la crema soffice.
« Tu? Davvero? »
« Ma chi credi che abbia cucinato, scusa? » Le domandò, alzando un sopracciglio. « Non ho messo cianuro nella tua coppa, puoi stare tranquilla. » Finì, regalandole un sorrisone da Oscar.
« Che spiritoso! Non intendevo questo. », sbuffò, « Mi sorprende la tua bravura in cucina. Insomma, era tutto ottimo. »
« Lo prenderò come un complimento, allora. » sghignazzò, assaporando un altro cucchiaino di dessert.
« Sì, ma non ti ci abituare. » controbatté Angelica, facendolo scoppiare a ridere.
Scossi il capo, sorridendo. Quei due erano come cane e gatto, chissà se sarebbero mai andati d’accordo, un giorno.
« Mi duole interrompere i vostri maturi battibecchi… » Marco si alzò lentamente, scostando la sedia che strisciò sul pavimento, senza causare però alcun fastidioso rumore. « Noi dovremmo andare, peste. »
« Così mi fai sentire una bimba. » ribatté lei, imitando i gesti del ragazzo.
« Una bellissima bimba, allora. » A quella frase, notai Angelica arrossire sulle gote. Abbassò la testa, evitando di mostrarci il suo imbarazzo.
Accompagnai i due ragazzi all’ingresso, mentre Stefano andò a recuperare i cappotti. Ringraziai la mia migliore amica a bassa voce. Tuttavia, il cuore non attese oltre per schizzarmi in gola. Ero agitata. Ed era stato questo l’unico motivo che mi aveva spinto ad implorare Angelica per quella cena. Non avevo la benché minima idea di cosa Stefano si aspettasse da me e, a dirla tutta, non sapevo cosa aspettarmi da me stessa. In due mesi, a parte qualche bacio e qualche sfioramento più deciso, non ci eravamo mai spinti oltre. Quella sera, però, le cose sarebbero potute cambiare. Ma ero pronta per quel passo? Non ne avevo idea. Sinceramente, non sapevo se fosse il caso di concedermi a Stefano così presto. In fin dei conti, era un playboy. Chi mi assicurava che dopo qualche mese non si sarebbe stufato di me, passando a qualcun’altra o, peggio ancora, tornando da Marianella?

Stai tentennando.
Sì, lo sapevo.

Ti stai riempiendo di scuse! Questo argomento lo avete già affrontato, e tu lo sai. Il suo amore per te è sincero. Smettila di farti assalire dai dubbi.
Sospirai pesantemente. Purtroppo, era più facile a dirsi che a farsi.
« Ehi, scricciolo, a che stai pensando? » Saltai inaspettatamente per aria, quando avvertii le sue braccia circondarmi da dietro. « Tutto bene? »
« Sì, scusa, mi ero persa. »
« Ma non mi dire… » rispose sornione, trascinandomi nuovamente in salotto.
« Non fare allusioni, signorino! San Valentino non è ancora finito, potrei decidere di lasciarti e tornarmene a casa. »
Cademmo entrambi, di peso, sul divano.
« C’è un problema nel tuo fantastico piano. »
« Ah, sì? E quale? » Lo sfidai, lasciando che mi baciasse astutamente il collo.
« Sono io, il tuo autista. E non ho alcuna intenzione di farti andare via, stanotte. »
Quella confidenza bastò per farmi venire la pelle d’oca. Era come se non avessi più il controllo del mio corpo e della mia mente, in quel preciso istante. Tutti i miei dubbi e le mie paure, dopo quella frase, vennero spazzati via come vernice fresca sotto l’acqua. In quel momento, provai una sensazione mai provata prima: frenesia.
« Ho una sorpresa per te. » Soffiò sulle mie labbra, alzandosi. « Tu rilassati qui, io sparecchio – e faccio sparire le prove che ci incolpano di aver usato il tavolo intoccabile di papà – e poi saliamo di sopra. »
« No, voglio darti una mano! Hai fatto tut… » Mi interruppe, posando un dito sulla mia bocca.
« Sei mia ospite, Viola. » Era perentorio. « Non alzerai un dito, mi hai capito? Resta qui, ci metto dieci minuti. La lavastoviglie è un’invenzione magica! » Mi fece un occhiolino e cominciò a sfaccendare.
Dal canto mio, ero ancora ferma alla sua frase: «…poi saliamo di sopra. » 

Se c’era una cosa che proprio detestavo, era l’impossibilità di vedere. In quel momento, tuttavia, mi ritrovavo esattamente in quella condizione. Stefano, prima di trascinarmi con sé, aveva preteso di bendarmi. E servirono a poco le mie lamentele. Ci ritrovavamo di sopra, ora, ma frastornata com’ero, non seppi dire esattamente dove ci trovassimo, in quella grande casa. Mi era sembrata una strada troppo lunga perché fossimo giunti in camera sua, ma avrebbe anche potuto depistarmi.
« Sei pronta? »
« Se intendi essere completamente sbendata, allora sì, sono pronta. » Lo sentii sghignazzare, ma non disse altro. Avvertii le sue dita litigare con qualcosa dietro la mia nuca, che capii successivamente essere la benda. Quando essa cadde, quello che vidi mi lasciò a bocca aperta.
Ci trovavamo in soffitta, una stanza totalmente diversa da quello che immaginavo. Sparse per essa, un numero spropositato di candele bianche, unica fonte di luce. Sul pavimento in legno, erano sparsi petali di rose blu e di un altro fiore che non riuscii ad individuare – almeno non subito. Il tetto spiovente lasciava che il soppalco rimpicciolisse man mano che vi entravi maggiormente. Nell’angolo più piccolo e appartato, un divanetto a pouf era adibito a letto, con tanto di cuscini e coperte, sulle quali era appoggiata una scatoletta di velluto viola, con un grosso fiocco blu al centro, e un mazzo di fiori misti.
Ero rimasta senza parole.
Lasciai che Stefano mi trascinasse come una bambolina, troppo stupita e sorpresa. Mi domandai quando lo avesse preparato e, in quell’istante, una lampadina di accese nel mio cervello.
« È per questo che ci hai messo un mucchio di tempo a cambiarti. », sussurrai, « Mentre io mi vestivo, tu hai sistemato tutto questo. »
« Smascherato. » sorrise, invitandomi a sedermi. « Mi spiace che le candele si siano consumate più del dovuto, ma spero che l’atmosfera non ne abbia risentito. »
« Stefano, è tutto splendido. » Non riuscivo a smettere di guardarmi intorno.
« Questo è per te. » disse, porgendomi la scatoletta quadrata che avevo visto.
Afferrai quel regalo come se fosse la cosa più preziosa del mondo. Scostai il fiocco con gentilezza, poi la aprii. Al suo interno, c’era un bracciale.
Era in argento chiaro, realizzato con una catenina di media larghezza. Al centro, era posto il simbolo dell’infinito, decorato con tanti piccoli brillantini bianchi. Le luci delle candele accentuavano la loro lucentezza.
« È davvero bellissimo. » sussurrai, pregando che mi uscissero le parole. Il termine “emozionata” non spiegava assolutamente niente di me, in quel momento.
« Un’inezia paragonato a te, credimi. » ribatté, offrendosi di mettermelo al polso. Addosso era anche meglio.
Con la coda dell’occhio, osservai distrattamente il mazzo di fiori. Era una composizione fantastica, unica. E mi sorpresi scoprire quanto mi conoscesse.
« Peonie bianche e rose blu. » Notai, accarezzandone i petali. Lo vidi annuire.
« Non ami la rosa rossa, preferisci la blu. E i tuoi fiori preferiti sono le peonie bianche. » Annuii a mia volta, incantata dalla bellezza di quei dettagli.
Non ne avevamo mai parlato prima.
« Sono tulipani, vero? »
« Sì, tulipani rossi, per l’esattezza. » precisò, accarezzandomi con il pollice il dorso della mano. « Conosci il significato dei fiori? »
« A dire il vero, no. » ammisi, arrossendo imbarazzata.
« La rosa blu non esiste in natura. » Mi rivelò, assumendo un tono straordinariamente serio e profondo. « Viene colorata dall’uomo, per questo è rara. Secondo il linguaggio dei fiori, la rosa blu rappresenta l’amore unico ed eterno. La sua rarità determina la serietà di quel legame e la sua eternità. » Lo ascoltavo ammaliata. « La peonia è un fiore tipicamente orientale, ma viene usata spesso per i matrimoni, da noi. Viene chiamata anche Regina dei fiori, in seguito alla sua regalità. Il bianco rappresenta la purezza e la… verginità. » Toccò a lui arrossire, questa volta. « È questo il motivo principale per cui viene assegnata alle spose. »
Tacque per lungo tempo, forse in attesa che dicessi qualcosa. Dal canto mio, non avevo ancora finisco di ascoltarlo. Anelavo di sentire ancora la sua voce, come un essere umano anela al suo ossigeno.
« E i tulipani? » Mi sentii chiedere.
« Ammetto di essere imbarazzato… » Lo guardai, senza realmente capirne il motivo. « Era una bella storia, quella dei tulipani, ma non la ricordo. Mi sono documentato su Google, prima di recarmi dal fioraio, e avevo trovato una leggenda fantastica sui tulipani rossi, ma, al momento, proprio non la ricordo. »
Osservai il suo volto angosciato, e non riuscii a trattenere una risata.
« Allora anche Stefano Ansaldi non è infallibile. »
« Non sono infallibile quando si tratta di te. » Mi rivelò, avvicinandosi sempre più pericolosamente. « Tu mi mandi in corto, Viola. »
Eravamo l’uno di fronte all’altra. I piedi nudi, intrecciati tra loro, mentre le sue labbra avevano iniziato a sfiorarmi la spalla nuda. Non mi stava baciando, ma quel tocco appena accennato mi provocava brividi anche più intensi. Il mio fiato cominciava a risultare pesante, quasi corto, e il cuore batteva a più non posso.
« E… » Ingoiai un po’ di saliva, pregando di riuscire a porre la mia domanda. « E cosa vuol dire? Almeno questo… questo te lo ricordi? »
Sentivo le sue mani accarezzarmi le caviglie, risalendo lentamente verso le ginocchia e sempre più in alto…
« Amore perfetto. » La sua voce aveva assunto un tono rauco. « Il tulipano rosso significa amore perfetto. »
Le sue labbra lasciarono la mia spalla, dirigendosi verso il collo, per poi proseguire fin dietro l’orecchio. I tocchi accennati divennero baci più decisi e intensi, che mi costrinsero a chiudere gli occhi per assaporarne meglio il sentore.
« E p-perché lo hai scelto per noi? »
Sentii le sue labbra incurvarsi sulla mia pelle, e quel gesto mi causò un ulteriore brivido.
« Perché è quello che voglio per noi, scricciolo. » Si bloccò, allontanandosi giusto il necessario per fissarmi negli occhi. « Lo so che la nostra storia è agli inizi, almeno per te, ma sono innamorato di te da tanto tempo. Ed è questo che voglio per noi: un amore perfetto, una relazione perfetta. Una storia ricca e serena, piena di discussioni, perché so di non essere un santo, ma di giornate ricche di sole per poter fare pace e chiarirci. Una storia lunga, magica, dove non ameremo solo i pregi dell’altro, ma anche, e soprattutto, i suoi difetti. Una relazione vera, matura e duratura… Voglio tutto questo per noi, Viola, e anche molto altro. »
« È esattamente quello che voglio anche io. »
Suggellammo quella tacita promessa e il nostro amore con un bacio. Dapprima, fu leggero, delicato e straordinariamente dolce, ma ben presto si tramutò in qualcos’altro. Divenne carico di passione e di voglia, quel contatto, e di un’altra infinità di sensazioni che scoprii quella notte, con Stefano, in quella soffitta che ricordava lo scenario di una favola.
Quando le dita del ragazzo dagli occhi cobalto provarono a sfilare il mio vestito, non opposi resistenza. Al contrario, mi avventai sui bottoni della sua camicia, incitandolo a liberarsene il prima possibile. Era bello, Stefano, e le ore di palestra e la cura di se stesso lo rendevano ancora più attraente.
Lasciai che i polpastrelli seguissero le linee del suo petto, mentre le sue mani, esperte, raggiungevano posti del mio corpo mai azzardati prima. Il desiderio era palpabile, quasi travolgente, man mano che i nostri corpi si scoprivano, esplorandosi lentamente. Ringraziai il cielo di essere sdraiata, consapevole che sarei finita a terra, in caso contrario, non riuscendo a sentire più la forza nelle gambe, diventate ormai di burro. Istintivamente, inarcai la schiena, quando avvertii le labbra di Stefano lambirmi la pancia e l’ombelico.
I suoi baci, le sue carezze, le sue parole sussurrate, erano un balsamo che riduceva i miei dubbi e le mie paure in frammenti piccolissimi, quasi del tutto inesistenti. In quel preciso istante, mentre i nostri abiti e la nostra biancheria finivano sul pavimento, lontani dai nostri corpi, non pensai a niente. Solo quel momento era importante, solo lui era importante. I suoi gesti, le sue premure e i suoi occhi.
Come una fiamma corrosiva, lasciai che quella notte mi consumasse; che consumasse entrambi. Eravamo diventati due leghe fuse da forgiare, e le nostre essenze, le nostre anime, non persero occasione per unirsi, rinascendo come una soltanto. Bruciammo insieme, lasciando che la fine della mia innocenza, per mano dell’unico ragazzo che avessi mai realmente amato, diventasse un nuovo inizio.
« Ti amo, Viola. »
« Ti amo anche io, Stefano. »
Persa in quel perfetto attimo, mi resi finalmente conto che la persona che stavo aspettando, che stavo cercando, forse, ora dormiva beatamente accanto a me. Stretta nel suo possente abbraccio, invitai la notte ad avvolgerci con il suo manto scuro, pregando Morfeo di imprigionare entrambi. Insieme.

Ora sono un donna…, pensai scioccamente.
E col sorriso sulle labbra, cullata dal caldo respiro di Stefano, mi addormentai beata, protetta e al sicuro.

 

LA STORIA CONTINUA IN «VIOLET SOUL – ANIME GEMELLE»
IL ROMANZO SARÀ DISPONIBILE NEI PROSSIMI MESI DEL 2014,

SUL BLOG INTERAMENTE DEDICATO ALLA STORIA.

RINGRAZIAMENTI:
Ho scritto questo prequel in soli due giorni. Con la revisione e le svariate correzioni, questo piccolo racconto, degno della giornata degli innamorati, è nato in appena quattro/cinque giorni. Ritrovare i personaggi di Viola e Stefano, di Angelica e Marco mi fa sempre piacere, ed è proprio per questo che ho riversato sulla decisione di proporvi un ulteriore prequel della storia di partenza, Violet Soul - Anime Gemelle, di genere Paranormal Romance, che sta per essere revisionata completamente, non solo a livello grammaticale o sintassico, ma anche di trama e di particolari all'apparenza insignificanti. Questo prequel è per tutti coloro che hanno sentito, in questo lasso di tempo, la mancanza di questa storia e dei suoi personaggi, facendovi entrare nell'ottica di questa nuova versione. Una versione più ricca, più particolareggiata, più studiata; insomma, una versione totalmente nuova. Inoltre, il personaggio di Stefano è quella che ha subito più mutamenti, perciò mi faceva piacere farvelo conoscere meglio, pensando anche, e soprattutto, che nella versione di base, nella storia vera e proprio, il suo personaggio non compare, e chi ha letto la trama ne conosce anche il motivo. Passando ai ringraziamenti veri e propri, voglio ringraziare di cuore la mia Angelica, la mia migliore amica. Come avevo già scritto nei ringraziamenti del primo prequel, lei c'è sempre per le mie pazzie, anche alle due di notte, quando sta per arrivarmi una nuova idea e ho bisogno di un parere disinteressato e schietto. La ringrazio perché è stata lei a supportarmi quando la prima versione della storia sopracitata è stata mandata a svariate case editrici, ma, perché reputata troppo romantica, scartata; almeno, questa è stata l'unica risposta negativa arrivatomi, nel vasto mare di silenzio di tutte le altre. Ti voglio un bene dell'anima, tesoro. Grazie infinte per esserci sempre! Sia nei giorni belli che in quelli brutti. Voglio ringraziare anche i miei lettori, oggi, soprattutto quelli che, nonostante il poco tempo e il caos della vita, riescono a ritagliarsi sempre un po' di tempo per leggere le mie storie. Grazie a tutti voi, di cuore!
Detto questo, AUGURO BUON SAN VALENTINO A TUTTI GLI INNAMORATI E ANCHE I SINGLE! :) Che questo piccolo prequel possa riscaldare il cuore di tutti voi.

ANGOLO AUTRICE:
Per chi fosse interessato, lascio di seguito i miei contatti al di fuori di EFP, nel caso qualcuno volesse contattarmi altrove. Se foste, inoltre, interessati a leggere anche il primo prequel pubblicato (ove protagoniste sono Angelica e Viola), vi basterà cliccare su: Violet Christmas - Alla ricerca del regalo perfetto. Comunico, inoltre, che ho pubblicato un'altra storia, di genere Urban Fantasy. Essa è conclusa, e fa parte di una trilogia. Se foste interessati, il titolo è Underworld (il primo capitolo della serie The Different Worlds).

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Blog personale:
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Da poco ho fatto anche Ask. Se qualcuno volesse farmi qualche domanda o conoscermi meglio, vi lascio il mio profilo: ask.fm/MiaSwatt

Mando un bacio a tutti voi!
Mia Swatt.

  
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