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Autore: Elikin    14/02/2014    1 recensioni
- Sono felice quando Mai è felice! Lei è felice con Tate, quindi a me va bene! Mh!-
- A volte mi chiedo se tu in realtà non sia la più matura di tutte noi...- mormorai tra me e me con un mezzo sorriso, ma bastò tornare ad alzare lo sguardo verso Mikoto e il suo tentativo di toccarsi il naso con la lingua per farmi ricredere quasi immediatamente.
Sospirai scuotendo la testa e cercai qualcosa su cui concentrarmi nell'attesa, visto l’impegno che la mia compagna metteva nella sua attività, ma non ne abbi bisogno perché quella parlò di nuovo.
- Perché Natsuki non è felice?-
[Dal Primo Capitolo - "Tutto è bene quel che finisce bene"]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Shizuru Fujino, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'She's just my most important person.'
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Chiedimi se sono felice
Capitolo 8 – La paura non esiste

 
La neve alla fine era arrivata come annunciato dai notiziari. La città sembrava essere ricoperta da un sottile strato di bianco che per qualche motivo mi aveva sempre ricordato le guarnizioni delle torte che a volte mia madre portava a casa per festeggiare qualche evento particolare. Era questo l’unico ricordo felice legato ad essa.
Sbuffando irritata cercavo di scrollarla dagli stivali appoggiandomi ad una vetrina con una mano. Era congelata, e per poco non mi si incollarono le dita ad essa. Mi sembrava quasi innaturale riuscire a concentrarmi su cose così stupide come la pulizia dei miei scarponi a dire il vero, non pensavo neanche che sarei riuscita a gestire in quel modo la mia rabbia e il mio dolore. D’altronde ogni volta che chiudevo gli occhi rivedevo gli eventi del giorno prima come se non fosse passato nemmeno un secondo da allora.
Portai una mano alla guancia con delicatezza mentre mi rimettevo dritta. Con delicatezza si, perché Mai quando mi aveva schiaffeggiata prima di andare via da casa mia sbattendo la porta non lo era di certo stata. Non avevo risposto a quell’aggressione fisica come avrei fatto in passato, in parte perché sapevo di essermelo meritato, ma soprattutto perché quello schifo riassumeva esattamente quello che avrei desiderato da parte della persona che invece di darmelo aveva preferito chiudersi ancora una volta in se stessa.
La stessa persona che io avevo nuovamente ferito e stavolta dubitavo che sarebbe bastato chiederle scusa per rimettere le cose al loro posto.
Dopo essere stata lasciata sola da Mai, che era andata via subito dopo lo schiaffo e un paio di parole di delusione e rabbia nei miei confronti, ero rimasta immobile per non so quanto tempo, a fissare le nostre due tazze ancora appoggiate sul mio tavolino. Senza dire una parola le avevo prese e messe a lavare, le avevo poi asciugate e rimesse al loro posto. Mi ero dunque diretta sul divano e mi ero lasciata cadere là sopra.
Non ricordo bene come passai il resto della serata, a giudicare dai ricordi spezzettati e confusi probabilmente caddi in uno stato di dormiveglia per tutta la notte.
Una specie di coma condito da incubi che però sapevo non essere solo sogni, ma frammenti di realtà. La mia coscienza stavolta, proprio come era successo la notte prima della fine del Karnival,  non mi avrebbe permesso di sfuggire alla verità e alle mie responsabilità. Ne ero stata consapevole sin dal mattino, quando controllando dalla finestra mi ero accorta che aveva iniziato a nevicare. Avevo maledetto la mia sfortuna, visto che mai come allora avrei voluto poter salire a cavallo della mia moto per lasciarmi i miei problemi alle spalle. A quel punto non avevo fatto altro che afferrare un cappotto ed uscire da quella casa, così piena di lei da aver mantenuto persino il suo profumo nonostante fosse passata una notte intera. All’inizio il freddo mi aveva intontito, ma passo dopo passo non aveva fatto altro che amalgamarsi perfettamente al mio stato d’animo e diventare una sorta di compagno.
Avevo girato per ore, mangiando qualcosa al volo per pranzo, e poi continuando a camminare senza mai fermarmi, certa che se mi fossi fermata i pensieri mi avrebbero raggiunto e avrei ripreso a soffrire. Sfuggire alla realtà era la mia tecnica per evitarlo più frequente del resto. Mi ero concessa di fermarmi solo per osservare da lontano il piccolo Tokiha e Okuzaki Akira passeggiare tranquillamente a braccetto. Quella scena mi aveva fatto nascere spontaneamente un sorriso sulle labbra. Ricordavo perfettamente gli atteggiamenti distaccati e a volte violenti che aveva Akira prima del Karnival, o anche nei giorni che l’avevano seguito. Vederla vivere così spensierata una cosa di cui prima aveva una paura così estrema da annichilirla mi faceva uno strano effetto.
Li avevo poi persi di vista tra la folla ed avevo continuato ad avanzare.
Tutte le HiME avevano smesso di nascondersi, chi in un modo e chi nell’altro. Avevano tutte deciso di vivere al pieno la loro esistenza con chi amavano dopo aver sperimentato cosa voleva dire perderli. Mentre io, che ero pure morta durante quell’orribile giostra architettata dal Principe d’Ossidiana, non riuscivo ancora a lasciarmi alle spalle la vecchia me per riuscire a rinascere e godermi a pieno la vita come avevano fatto tutte loro.
Dove era finita la mia spavalderia la sera prima mentre pur di non far sapere a Mai - non ad una qualunque ma a quella che potevo considerare la mia migliore amica - di tenere a Shizuru come un uomo tiene ad una donna, mi ero ritrovata a rifiutarla per l’ennesima volta, distruggendola e umiliandola?
Ma forse stava proprio in questo il mio problema. Il mio continuo vivere nell’ombra, il nascondere la vera me stessa per tutti quegli anni non aveva fatto altro che avvelenarmi, finendo per contaminare tutto quello che toccavo e quel poco di buono che c’era in me. Finendo per allontanare da me anche le persone alle quali tenevo di più al mondo.
Mi era venuta voglia di urlare, di prendere a pugni qualcosa, ma mi ero trattenuta. Avevo continuato a camminare fino al bar dove lavorava Mai. Infilando le mani gelate in tasca per riscaldarle mi ero messa ad osservare il caos frenetico all’interno del locale, ero certa che nessuno mi avrebbe notata in tutta quella confusione. Probabilmente un’altra persona sarebbe entrata, avrebbe chiesto scusa a Mai e avrebbe ascoltato i suoi consigli, facendosi consolare, ma io preferii rimanere là fuori mentre i fiocchi di neve si posavano sul mio giaccone scuro.
Era così facile per loro abbandonare i pregiudizi passati ed andare avanti. Perché per me doveva essere così difficile invece?
Non so se sarei riuscita a perdonare Mikoto o Shizuru per quello che avevano fatto durante il Karnival, come avevano fatto le altre, se queste mi avessero fatto del male come l’avevano fatto a loro. Come non avrei perdonato Miyu se mi fossi trovata al posto di Higurashi Akane. Era questo che mi differenziava da loro. Io non ero una persona che riusciva facilmente ad abbattere i muri che la separavano dagli altri, da se stessa e dai pregiudizi. Se si fosse trovata Mai nella mia situazione avrebbe di sicuro agito nel migliore dei modi. Si sarebbe dichiarata a Shizuru, avrebbe passato il Natale con lei e tutte quelle cose che facevano le coppie normali; e l’avrebbe fatto già un anno fa.
Affondando il viso nel colletto del cappotto mi ero chiesta cosa significasse davvero quella parola per me. Normale. Da un po’ non riuscivo più a distinguere cosa lo fosse e cosa no, se prima quella differenza era stata uno dei cardini della mia vita ora sembrava essere sfumato.
Normale prima era vivere nell’ombra senza preoccuparsi degli altri, non era normale chi si abbandonava a schiocche frivolezze come i patemi d’amore.
Normale era odiare chiunque, anche me stessa, lo era chiudersi in quella stupida vendetta. Non era normale interessarsi alle vite degli altri o a qualcosa che non fosse la distruzione del Primo Distretto.
Non era normale che due uomini o due donne stessero assieme, sarebbe stato sconveniente e disdicevole. Non sarebbe mai stato amore, e se qualora lo fosse stato, allora neanche amare sarebbe stato normale.
Ora invece cosa era cambiato? Cosa era diventato normale e cosa no?
Fissando il mio debole riflesso sul vetro mi chiesi fino a quando avrei permesso a quei pregiudizi e convinzioni di continuare a decidere per me. Se ero riuscita ad accettare l’amore e l’affetto nella mia vita, se finalmente potevo essere una ragazza come tutte le altre perché continuavo a pormi dei limiti. Perché continuavo a voler farmi del male? La cosa peggiore, mi ritrovai ad ammettere, era che con quel modo di fare finivo per far soffrire anche quelli che mi stavano attorno. Pareva così diversa dalla sera prima, Mai, mentre chiacchierava con Akane e Mikoto. Sembrava serena, priva di qualunque preoccupazione. Eppure ieri sera era furiosa, ma non perché le avessi fatto qualcosa, ma perché lo avevo fatto a me stessa ancora una volta. Per quanto potesse trovare Shizuru una piacevole compagnia in una serata invernale non l’avrebbe mai definita sua amica e i suoi sentimenti non le sarebbero mai importati più di tanto. Era per me che aveva perso il sorriso e che aveva urlato. Era per colpa della mia stupidità e del mio bigottismo che avevo sferrato a Shizuru la stoccata finale.
Strinsi i pugni con forza, in balia della rabbia. Una rabbia pura e genuina: quella verso me stessa. Ringraziai mentalmente Mai per avermi già schiaffeggiata la sera prima, o l’avrei fatto io stessa in quel momento. Mi allontanai dalla vetrina indietreggiando mentre nella mia mente finalmente si disegnava una sorta di linea che univa assieme tutti gli eventi che si erano susseguiti dal giorno in cui avevo conosciuto Shizuru fino ad arrivare a quel momento, a quella rabbia davanti alla vetrina. Riuscivo come a vederne il filo conduttore, un’entità nascosta dietro a quegli sviluppi, a quell’avvicinamento lento e graduale. Non era stata solo lei a volersi avvicinare a me, anche io l’avevo voluto, altrimenti l’avrei allontanata come avevo sempre fatto con quelle come lei. No, non come lei, simili a lei. Nessuno sarebbe mai stato in grado di eguagliarla, di riprendere ogni sua mutevole sfaccettatura.
Avevo quindi gettato uno sguardo allarmato all’orologio appeso al muro all’interno del locale. Erano ancora le sei e mezzo, forse non era ancora troppo tardi. Incominciai a correre, senza badare molto degli sguardi incuriositi che le persone mi rivolgevano. No, quello che stavo facendo non era normale, lo sapevo, ma era necessario. Non c’era più solo il bianco o solo il nero. Esisteva il grigio, e quello sarebbe stato il mio compito negli anni a venire, sondare ogni parte contenuta in esso. Non avrei più permesso che qualcuno mi controllasse. Nessuno, nemmeno me stessa.
 
I polmoni in fiamme, il giubbotto sporco e il viso arrossato. Ecco come mi ritrovai una volta che arrivai nello spiazzale che precedeva l’entrata nel palazzo dove viveva Shizuru. Appoggiandomi alle ginocchia maledissi la neve, non ci sarebbe stato bisogno di correre in quel modo se avessi potuto usare la Duran Mark IV, poco male, quella corsa era stata una sorta di toccasana per me. Non ero certa che correndo sulla moto e distacca nomi da quello che avevo intorno sarei riuscita ad essere abbastanza lucida da rendermi conto del problema e da voler cercare una soluzione. Sarei solo scappata. Per l’ennesima volta, ed ero stanca di farlo.
Emisi un enorme sbuffo rimettendomi dritta e voltando la testa verso la porta di vetro dell’ingresso del palazzo. Senza pensare a nulla mossi qualche passo in quella direzione, varcando l’entrata e beandomi del caldo al suo interno. Cercai di scrollarmi la neve di dosso, ma invano. Ormai il mio cappotto poteva considerarsi completamente zuppo per mia enorme sfortuna. Eccola qui, come sempre. La mia compagna di viaggio.
Non osai specchiarmi per evitare di prendere un infarto e decisi di andare subito al dunque, incamminandomi verso le scale con una decisione tale da non sembrare nemmeno io. Tra qualche minuto sarebbe arrivata l’ora della verità. Avrei sistemato ogni cosa. Il mio destino sarebbe stato deciso dalle mie prossime mosse. Quella sensazione mi fece sentire come una scarica elettrica attraversarmi le membra e condensarsi sul mio ventre. Immaginai che fosse una sorta di fenomeno di “farfalle nello stomaco” in forma tremendamente aggravata, ed in effetti poteva esserlo.
Mentre correvo in quella direzione con i piedi doloranti e il fiato corto non avevo avuto modo di preoccuparmi o di spaventarmi. Avevo agito d’istinto e basta, come preferivo sempre fare per evitare di farmi prendere dal panico. Il piano però non stava funzionando a dovere visto che l’ansia era stata solo momentaneamente rimandata. Tuttavia sorprendentemente questo non bastò a fermarmi, anzi mi diede un motivo per velocizzare il mio passo fino a ritrovarmi davanti alla porta dell’appartamento di Shizuru.
Poggiai istintivamente il palmo della mano sul legno chiaro e regolare, ringraziando di essere riuscita a vederlo di nuovo. Mi trasmetteva una sorta di senso di sicurezza, come tutto in quel palazzo o in quella casa, persino la porta riusciva a ricordarmi Shizuru e farmi sentire protetta. Un sorriso leggero si disegnò sul mio volto mentre mi abbandonavo a quella considerazione, ma venne quasi subito cancellato da una considerazione spaventosa. Ero arrivata, ed ero persino in tempo forse. Restava un solo problema. Un piccolo insignificante problema: cosa le avrei detto?
Durante tutto il tragitto non avevo fatto altro che pensare ad arrivare, non avevo mai riflettuto su cosa le avrei detto una volta che mi fossi trovata lì. Sbiancai istintivamente mentre vedevo il mio piano fallire prima ancora di iniziare. Cosa si doveva dire ad una persona che hai rifiutato anche se non lo si pensava veramente? Bastavano delle scuse? Avrebbe preteso una dichiarazione? No, non era da Shizuru. Per lei sarebbe stata una cosa semplice, magari un sorriso. Un sorriso e poi amiche come prima? No. Non andava bene. Il tornare “come prima” era proprio quello che volevo evitare. Ma allora cosa avrei dovuto fare?
Mi dissi quindi che forse sarebbe stato meglio tornare un altro giorno, che avrei creato un discorso di scuse con un senso compiuto, che sarei tornata con dei vestiti decenti e magari non zuppa di neve e sudata per la corsa di prima, ma il destino - o la mia stupidità, siate liberi di definirlo come vi pare - aveva già deciso per me.
Senza rendermene conto nella mia indecisione non avevo fatto altro che colpire la porta, ritrovandomi a bussare involontariamente. Quando sentii i suoi passi muoversi verso di me fu chiara una cosa: non ci sarebbe stata un’altra occasione. Il mio futuro sarebbe stato deciso di lì a qualche minuto.
 
O meglio secondo. Non avrò altro prima che lei apra questa porta. Secondi, che decideranno il mio presente. Penso e ripenso, scervellandomi su cosa potrei dire o fare per farle comprendere ciò che provo. Per farle capire che i miei sentimenti sono sinceri. Continuo a scervellarmi, fino a che lei non apre la porta.
È stupenda come sempre, ed è visibilmente sorpresa. Non dice niente ma vedo che le sue labbra articolano il mio nome in un muto richiamo. Indossa già i vestiti che porterà durante il viaggio per tornare a casa dai suoi genitori, e intravedo dietro di lei una valigia già pronta. Quello che però attrae la mia attenzione sono i suoi occhi gonfi e le sue mani tremanti. Nonostante cerchi di nasconderlo dietro la sua bellezza e perfezione quella che ho di fronte è una donna distrutta, una donna che crede di aver perso tutto.
Tutto per colpa mia.
Sondo i suoi occhi rossi con i miei. Cercano delle risposte, vogliono sapere perché mi trovo qui. Vogliono sapere qual è la vera Natsuki, se i suoi incubi continueranno o se finalmente potrà dormire in pace.
È così strano, ora che ce l’ho di fronte tutta la paura è andata via, come risucchiata da quell’inferno cremisi. Mi chiedo come sia possibile non aver capito per tutto questo tempo chi fosse la persona alla quale tenessi di più, ma soprattutto quale fosse la cosa più importante.
Mi viene facile finalmente riuscire a classificare le sensazioni provate quando sto con lei, e riuscire a capire quello che lei prova per me da anni non è più così difficile.
La mia mano cerca una delle sue, tremante, e con estrema calma la porta al mio volto, facendola appoggiare sulla guancia proprio come quella volta. Sembra passato così tanto tempo da allora. Quando qualche sera prima le avevo chiesto se fosse felice, Shizuru aveva risposto in questo modo. Mi aveva mostrato i sentimenti che provava con una classe ed eleganza che difficilmente sarebbero stati eguagliati da qualcun altro. Non erano servite parole, era bastato quel suo gesto e quel suo sguardo adorante per farmi capire come la sua felicità fossi sempre stata  io stessa.
Il palmo di Shizuru è caldo e morbido, mi piace la sensazione che fa a contatto con la mia pelle. Alzo appena lo sguardo per incrociare di nuovo i suoi occhi spalancati dalla sorpresa, ne colgo ogni sfumatura rossastra e mi beo della consapevolezza che non guarderanno mai nessun altro così, e lo stesso faranno i miei.
Sorrido appena prima di parlare mentre stringo più forte la sua mano.
- Chiedimi se sono felice.-


 
 
 


Siamo finalmente giunti alla fine della Fic. Spero che il finale sia stato di vostro gradimento, durante la stesura di questi otto capitoli la scena finale era l'unica che avessi in mente sin dall'inizio :3 Vorrei ringraziare chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite, chi mi ha recensito o anche solo letto! Per me significa molto :3 Detto questo vorrei ringraziare più specificamente le due persone più importanti della mia vita. 

Ringrazio la mia Gnocconana per essere stata sempre presente e aver letto paragrafo per paragrafo man mano che li sfornavo (anche alle quattro dle mattino, facendomi arrivare notifiche improbabili xD). Grazie bella, ti vogghiu bene <3

Perultima, ma non di certo per importanza vorrei ringraziare Benedetta, la mia dolce metà, alla quale è dedicata la storia. So che doveva essere un regalo di Natale... ma quando il blocco dello scrittore parte non c'è nulla da fare T.T Ti ringrazio di esistere, davevro. Senza di te tutte le cose che scrivo, invento o anche solo penso non sarebbero belle la metà. Sei la mia musa e spero che rimarrai tale per sempre. Buon San Valentino, ti amo.

 
P.S. Ogni commento o critica (soprattutto le critiche) è ben accetta! E ricordiamo che i termini che vi sfuggono trovano una traduzione alla fine dei capitoli precedenti!

 
   
 
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