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Autore: Brooke Davis24    15/02/2014    0 recensioni
Crossover. Una strana maledizione è piombata sugli abitanti della Foresta Incantata nelle sembianze di una bellissima giovane donna, il cui nome è Malefica. Ma Malefica non è sempre stata tale! Diversi anni prima, era conosciuta come Emma, la figlia del re promessa in sposa al giovane figlio di un altro sovrano. E sarà proprio questo giovane, Killian Jones, a tentare l'assurda impresa di riportare in vita Emma e scacciare via lo spettro che l'ha trasformata nel mostro che tutti temono.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sarà stato San Valentino, sarà stata la canzone, sarà stata l'ispirazione e basta... Sta di fatto che questo capitolo è uscito fuori più romantico di quanto non avessi previsto e mi auguro vi piaccia. Un ringraziamento speciale va a ITSPULCINA, che mi ha suggerito un video che aveva come sottofondo "In my veins" con la quale ho scritto il capitolo. A proposito, vi consiglio di ascoltarla durante la lettura, se potete, e scusatemi per gli errori, ma, per l'ennesima volta, è tardi e mi sarà sicuramente sfuggito qualcosa. :]
Buona lettura!



Capitolo Quarto
Paura e malinconia

 http://www.youtube.com/watch?v=GSYnOeO5rdk

Contraddizione. Era tutto quello che avrebbe saputo dire della sua vita, della sua condizione se qualcuno gliel’avesse chiesto, se qualcuno si fosse, assai improbabilmente, arrischiato a raggiungerlo nel castello che tutti evitavano. Tutti eccetto lui. Perché, per quanto gli costasse ammetterlo, era consapevole di aver peccato di superficialità e di superbia, il giorno in cui aveva deciso di partire all’avventura nella speranza di salvare Emma e senza aver nemmeno ponderato adeguatamente le conclusioni alle quali era pervenuto di punto in bianco. Come sempre, spinto dall’eccessiva sicurezza di cui si era spesso vantato, non aveva prestato ascolto ai consigli dei propri genitori, né a quelli dei genitori di Emma, che lo avevano scongiurato di non compiere un errore che avrebbe potuto aumentare il numero delle vittime della follia di Malefica, e si era armato della sua spregiudicatezza alla volta di un'avventura di cui stava pagando caro il prezzo.
Di quella sicurezza di sé che aveva guidato buona parte delle sue azioni per tutta la vita, però, non era rimasto quasi nulla, sostituita dall’incertezza che la contraddizione della sua esistenza pareva sbattergli in faccia a muso duro tutte le volte in cui era possibile. Era prigioniero di Malefica, ma non era legato da nessuna catena, né l’ingresso della sua camera era stato sbarrato da qualsivoglia inserviente per prevenire la sua fuga. Aveva sacrificato la sua vita per la persona che credeva essere l’amore della sua vita, ma l’aveva invitata a dimenticarlo, a farsi un avvenire senza di lui, ad amare ancora qualcuno che non fosse lui; aveva sacrificato la sua vita per una persona che aveva avuto tutta l’opportunità di amare a suo tempo, ma che aveva respinto in nome di un’indipendenza che, al di là delle sue più ferme convinzioni, non gli era bastata per essere felice. Aveva visto e toccato Emma, finché non erano stati costretti a separarsi, ma continuava a cercare e trovare sfaccettature di lei nella donna che avrebbe dovuto odiare. Avrebbe dovuto odiare Malefica e, in parte, così era, ma non era sicuro del fatto che sarebbe stato mai in grado di alzare un dito su di lei, né del fatto che sarebbe rimasto inerme se qualcuno avesse tentato di farle del male. Non ne era più sicuro dalla sera del ballo.
Ma che senso aveva tutto ciò? Quale spiegazione si nascondeva dietro tanta confusione, dietro l’antinomia di cui la sua esistenza era pervasa? Aveva bisogno di una ragione, di una misera soluzione che sciogliesse i nodi che, di momento in momento, si aggrovigliavano sui denti di una spazzola ormai incapace di compiere il suo mestiere. Perché di quell’incertezza non avrebbe potuto vivere, perché Killian Jones non era un uomo che permetteva al destino di fare il suo corso, arrendendosi alla forza soprannaturale con cui tutti solevano giustificare errori, accidia, timori.
Sdraiato sul letto della camera cui aveva fatto l’abitudine, sospirò e chiuse gli occhi per un attimo, nel tentativo di placare il flusso inarrestabile delle riflessioni con le quali non aveva smesso un solo istante di tormentarsi. Per quanto desiderasse porre fine a quel supplizio, la sua mente continuava a riproporgli le immagini di quella serata ancora e ancora e ancora e, in una delle contraddizioni più grandi cui si trovava in balia da che era arrivato in quel castello, si era arreso ad esse e aveva rivissuto più di una volta quei frangenti, fino a che il suo animo non ne era stato sopraffatto e la solitudine non era divenuta un’occasione per tornare in quel salone per l’ennesima volta.
Le sue mani ricordavano nitidamente il tocco della pelle di Malefica sulla sua, il modo in cui le dita di lei erano rimaste inermi tra le sue per lungo tempo e il modo in cui, a poco a poco, erano state pervase dal tepore di Killian fino a scaldarsi. I suoi occhi ricordavano l’espressione, dapprima, sgomenta e, in seguito, incerta di lei e le memorie del timore che aveva letto su quel volto erano per l’uomo un tormento e un sollievo, al contempo. Come aveva potuto una creatura di simile crudeltà essere spaventata dalla sua vicinanza? Come aveva potuto una strega, i cui poteri avevano portato devastazione e desolazione fino a funestare un’intera popolazione e più di un regno, guardarlo con una tale confusione, con un’espressione tanto smarrita?
Quando Killian aveva improvvisamente fatto ingresso nel salone e l’aveva presa tra le braccia, non aveva riflettuto, non aveva pensato a niente e si era lasciato guidare da un istinto nel quale aveva sempre avuto piena fiducia. Quell’istinto, tuttavia, pareva avergli giocato un enorme tiro mancino, perché danzare con lei non aveva intaccato soltanto i suoi pensieri ma, sorprendentemente, anche la sua sfera emotiva. Nel momento in cui Malefica si era rilassata e, sospinta da una forza che, al pari di lui,  neppure ella doveva essere stata in grado di spiegarsi, gli aveva concesso di farsi più vicino e condurla per il salone al ritmo di una melodia che era risuonata nelle loro menti, Killian aveva realizzato che le ragioni alla base del suo gesto erano molteplici e non tutte riconducibili alla spiegazione che Malefica potesse essere Emma; e ne aveva avuto l’assoluta certezza quando l’aveva vista sfilarsi dalla sua presa e, non trovandone lo sguardo, l’aveva osservata allontanarsi da lui ed essere inghiottita dall’oscurità, nessuna torcia a rischiarare il suo cammino, stavolta.
Ricordava di aver sospirato pesantemente, come se avesse trattenuto il respiro per tutto il tempo in cui l’aveva stretta a sé, e ricordava altrettanto nitidamente la sensazione di fastidio da cui tutto il suo corpo era stato investito. Benché le mani di Malefica fossero parse gelide al contatto col calore delle sue, come qualunque altro essere umano, la sua figura emanava un piacevole tepore di cui Killian aveva approfittato, quasi col desiderio di fuggire al freddo e alla solitudine dell’ultima settimana, e, per un brevissimo istante, aveva creduto di averne realmente sentito la mancanza, perché, prima che la ragione riprendesse il pieno possesso delle proprie facoltà, il suo stomaco si era stretto in una morsa ferrea nel vedere sparire la figura della giovane oltre l’arco del salone. Era questo che voleva fargli, mettere così sotto pressione i suoi nervi da spingerlo a credere di provare una certa affezione per lei? O si stava servendo della magia per un suo perverso piacere, per un suo inutile sfizio? Ma Killian sapeva che quelle supposizioni erano senza senso, che non poteva esservi nulla di credibile in esse perché contraddicevano la ragione alla base della sua servitù e, cioè, l’idea di saperlo infinitamente innamorato di Emma e lontano da lei per il resto della vita.
Contraddizione. Era ancora lì, sempre lì, bloccata lì. E bloccava anche lui, costringendolo ad aggirarsi per la stanza come un’anima in pena senza via d’uscita da un labirinto di quesiti cui non era in grado di dare risposta. Alzandosi di scatto dal letto, lanciò una rapida occhiata all’esterno e colse il solito chiarore mattutino che, in altre circostanze, avrebbe visto il sole farsi vanto del suo splendore, sole che, da tempo, non sfiorava la Foresta Incantata e i suoi regnucoli; quel chiarore era tutto ciò che il cielo, coperto da una fitta rete di nebbia e nuvole, poteva contro la magia di Malefica e si aveva l’impressione che, nonostante tutto, il giorno combattesse la sua ardua battaglia per riuscire a far filtrare un minimo di luminosità oltre quel pesante mantello. Le sue gambe trovarono la via che conduceva fuori dalla camera per conto loro e, una volta che ebbe oltrepassato l’uscio e si fu immesso nel corridoio, poté sentire tutto il corpo rilassarsi e gli interrogativi dargli tregua, come un uomo che avesse rischiato di affogare e, infine, fosse riuscito ad emergere dall’acqua e respirare.
I suoi passi si mossero rapidi, sicuri, consapevoli della meta. Killian Jones non era un uomo abituato a fuggire e non avrebbe cambiato strategia neppure stavolta. Per questa ragione, quando ebbe raggiunto la porta che immetteva nella stanza di Malefica e la trovò spalancata, seppe di aver fatto bene a seguire il suo istinto quando gli aveva suggerito di andare da lei, di non fuggirla, di non chiudersi nelle proprie contraddizioni e incertezze ma di conoscere il proprio nemico da vicino. Se il nemico più terribile fosse il suo stesso animo o la giovane, bellissima donna, non avrebbe saputo dirlo con certezza. Accostandosi allo stipite della porta e poggiandovi una spalla, incrociò le braccia al petto e i suoi occhi blu si soffermarono sulla figura al balcone, i lunghissimi capelli mossi dal vento, il profilo assorto in chissà quale riflessione. La bellezza aveva sempre avuto un forte effetto su di lui, ma non era quello a tenerlo inchiodato lì, sul posto, con un’ambigua sensazione alla bocca dello stomaco.
«Hey!» Ancora una volta, le sue labbra si mossero prima che potesse avere qualunque controllo su di esse. Malefica si voltò di scatto, colta di sorpresa, ma la sua espressione si rilassò presto e gli sorrise quasi dolcemente, nessuna traccia dell’insano, spasmodico male cui entrambi erano ormai abituati. Erano passati giorni dalla sera in cui avevano ballato insieme.
«Hey!» fece lei di rimando e Killian ridacchiò, chinando e scuotendo il capo, finché i suoi occhi non furono di nuovo su di lei.
«Ho interrotto qualcosa?» chiese, scostandosi dallo stipite e facendo definitivamente ingresso nella stanza. Era una camera essenziale, elegante, fredda, una camera che, sotto molti aspetti, rispecchiava la sua occupante e, sotto altri, non avrebbe potuto essere più diversa. Quando passò accanto al letto matrimoniale ove si supponeva dormisse lei, il suo sguardo vi indugiò qualche istante di troppo senza alcuna ragione apparente, i pensieri congelati, troppo confusi perché l’uomo fosse in grado di prestarvi attenzione e darvi un’etichetta chiara.
«No, nulla che avesse senso continuare a fare.» rispose e, quando egli la raggiunse, lo vide fermarsi a qualche passo dalla balaustra ove ella era accostata. Quegli occhi così quieti, così profondi erano, in quel momento, belli di una nostalgia che straziava anima e cuore e Killian la rivide, quella fragilità, quella delicatezza che lo aveva portato a stringerla per quasi una mezz’ora sui passi di una musica inesistente. Istintivamente, inarcò un sopracciglio come a chiederle spiegazioni. «Ricordate di avermi chiesto se avessi mai vissuto con qualcuno?» L’uomo annuì, lo sguardo fermo in quello dell’altra. «Io vi ho risposto di non ricordare e non stavo mentendo. Così, in questi giorni, ho provato a richiamare alla memoria momenti, luoghi, persone, ma è come se fosse tutto sfocato.» S’interruppe un istante e Killian comprese di non essere stato l’unico ad aver subito gli effetti del loro ultimo incontro; una parte di lui fu sollevata da quella rivelazione, un’altra profondamente allarmata perché, per quanta consolazione gli desse l’idea di non essere da solo in quello strano vortice di sensazioni inspiegabili e per quanto rassicurante fosse il pensiero che Malefica non stesse evidentemente usando alcun mezzuccio contro di lui, non era sicuro del significato di quell’improvvisa connessione che si era instaurata tra loro. «Vedete la nebbia?» Gli occhi di lei abbandonarono i suoi e, quando ella si fu voltata, si poggiarono sul paesaggio mortifero nel tentativo di indicarglielo. Killian avanzò finché non fu appena dietro di lei e poté sentire la stoffa del lungo vestito e i capelli, mossi dalla fredda brezza, sfiorargli rispettivamente il tessuto dei pantaloni e il volto. «E’ come se il mio passato fosse avvolto dalla stessa, identica nebbia, solo più fitta, al punto tale da impedirmi di vedere nitidamente cosa ci sia lì. Scorgo sagome, contorni ma nulla di distinto.» Ella tacque ancora e l’uomo ebbe l’impressione che stesse facendo un altro sforzo atto a diradare la nebbia cui tutti i suoi ricordi erano in balia.
«E’ così importante per voi ricordare?» le domandò e, a poco a poco, la osservò girare su se stessa finché non furono l’uno di fronte all’altra, più vicini di quanto non fossero mai stati in una circostanza tanto pacifica e priva di minacce o di notizie stravolgenti. Quando avevano danzato, ad un certo punto i loro volti si erano accostati, guancia contro guancia, senza mai sfiorarsi davvero e i loro passi si erano fatti più lenti, i loro respiri più regolari, ma i rispettivi pensieri più rapidi, così rapidi che avrebbero a stento sentito l’altra persona se avesse osato parlare. Ripensandoci, Killian avrebbe voluto sorridere, se non avesse avuto la consapevolezza dell’inappropriatezza di un simile gesto in quel momento.
«Provate a immaginare una vita in cui non sapete come siete diventato quello che siete, Killian, una vita di cui non trovate nessun ricordo, pur sapendo di averne. Vi renderebbe felice?» fece lei, lo sguardo ancora quieto, e a Killian piacque quella versione di Malefica perché trasparivano un’umanità e una saggezza che non avrebbe mai creduto possibile, non per la creatura che aveva mostrato di essere, non per la giovane età.
«Siete infelice, dunque?» si arrischiò a chiedere e, come lui qualche minuto prima, ella ridacchiò e guardò altrove, sfiorando le pareti esterne del castello con quegli occhi color della pece. Possibile che fossero simili, al di là delle apparenti, insormontabili differenze?
«Non lo sono mai stata, che io ricordi. Quindi, non so come ci si senta. Posso solo dirvi che quest’incertezza non basta ad intaccare la mia attuale felicità, ma mi fa comunque riflettere.» gli rispose e la sua sincerità lo sconcertò profondamente, perché si sarebbe aspettato tutto ma non una spiegazione tanto genuina rispetto ad una condizione così personale e che comportava altrettanto dolore negli individui che aveva vittimizzato. Quando gli occhi di Malefica tornarono nei suoi, tuttavia, scorse quel fuoco maligno del quale non aveva sentito la mancanza riaccendersi e si allarmò. Non voleva che quel momento finisse, non era ancora pronto a lasciarla andare.
«Sapete, ci sono cose del mio passato che vorrei non ricordare.» proruppe e lasciò di stucco tanto lei quanto se stesso. Possibile che appena due settimane di prigionia e solitudine lo avessero cambiato a tal punto da fargli desiderare così intensamente una conversazione con altro essere umano, lui che di solitudine aveva saputo nutrirsi a lungo e ostinatamente? Le parole della fatidica serata risuonarono nella sua mente:  “Ma poco importa! Amo la solitudine. Non mi pesa.” «Ad esempio, il fatto di essere fuggito dalla mia famiglia, da casa mia come fosse una prigione, come fosse la peggiore delle torture viverci ed essermi reso conto, a distanza di tempo, che non fosse il posto ad essere sbagliato. Ero io ad esserlo!» I suoi occhi blu rimasero fermi in quelli di lei, quasi il loro azzurro potesse avere la meglio su tanta oscurità, come l’acqua sul fuoco.
«E rimpiangete di aver lasciato indietro Emma e di essere tornato quando era troppo tardi.» completò le sue frasi e, sospirando, Killian scosse la testa, le labbra inclinate in un sorriso divertito. Un giorno, avrebbe capito se si trattasse di mera perspicacia o di lettura della mente. Un giorno, forse, avrebbe detto Malefica.
«Già. Anche quello.» fece lui.
«Perché siete andato via, se l’amavate tanto? Perché suppongo che doveste già amarla prima di partire, altrimenti non sarebbe stato possibile o sensato il sacrificio che avete fatto.» lo incalzò lei, sincera curiosità in quegli occhi che cominciavano a piacere tanto a Killian. Ridacchiando, egli aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione che da tempo non gli capitava di riprodurre, una sfrontata e curiosa che, nella sua genuinità, gli apparteneva più di qualunque altra fosse mai stato in grado di assumere da diversi anni a quella parte. Senza rendersene conto, si morse il labbro inferiore e vi passò sopra la lingua, in un gesto che era solito fare quando si sentiva sotto pressione.
«Ah sì? Supponete?» domandò e lei rise, bella da togliergli il fiato.
«Non potevate mica provare un simile sentimento soltanto per il ricordo di Emma. Se anche fosse accaduto, non durerebbe a lungo e il vostro sacrificio sarebbe stato davvero cavalleresco ma da sciocco.» Si interruppe, mentre lui rideva e la guardava con occhi brillanti come mai li aveva avuti da che lo aveva conosciuto. «Perciò, mi auguro per voi che l’amaste da prima e che il vostro sia vero amore.» Una strana malizia si impossessò di quel blu solitamente tempestoso, rendendolo più giovane di quanto non fosse mai apparso.
«Devo supporre che cominciate ad avermi a cuore, Malefica?» Killian la guardò ridere e, per un solo istante, ebbe l’impressione che fossero due persone come tante altre, un uomo ed una donna piacenti che si conoscevano per la prima volta e si stuzzicavano a vicenda.
«Ah sì? Supponete?» lo canzonò.
«Touché!» le fece eco a sua volta e Malefica rise, non ancora pronta a dargliela vinta tanto presto.
«Devo cominciare a pensare che mi abbiate a cuore per ricordare tanto bene le mie parole, Killian?» Entrambi risero e, se mai qualcuno si fosse accidentalmente trovato ad osservare quella scena, avrebbe stentato a credere ai suoi occhi. I genitori di lui avrebbero dubitato che quello fosse loro figlio, se non fosse stato per il suono della risata; l’ultima volta che avevano avuto modo di udirla, non era stato che un bambino.
«E se un giorno accadesse?» le domandò, il sorriso ancora sulle labbra.
«Cosa?» chiese di rimando lei, un’innocenza sul viso che rese impossibile a Killian credere fosse un tentativo di falsa modestia. Killian era un bell’uomo che aveva da poco superato la soglia della trentina e il suo bell’aspetto gli aveva garantito spesso conquiste facili, donne e ragazze che non aveva impiegato più di qualche giorno, nella peggiore delle ipotesi, a fare sue; ed ognuna di esse aveva assunto atteggiamenti tipici e prevedibili che gli avevano reso il gioco semplice, quasi scontato. Malefica era tutta un’altra storia sotto molti punti di vista.
«Se, un giorno, forse,» la canzonò e le labbra cremisi di lei gli regalarono un altro sorriso. «dovessi avervi a cuore? Se mi innamorassi di voi?» La giovane inarcò un sopracciglio, ma la sua espressione rimase gioviale.
«Perché dovreste?» domandò e l’espressione di Killian si addolcì a tal punto che Malefica rimase confusa, a tratti spaventata. Era un’emozione che ella non conosceva, ma seppe che era diversa rispetto a quella che aveva capeggiato sul volto dell’uomo la sera che l’aveva sorpresa a ballare e si era unito a lei; la sera che ella, per quanto se lo fosse ripetuta, non era riuscita ad allontanarsi da subito, la sera che era rimasta tra le sue braccia più del dovuto e si era sentita diversa, come mai prima d’allora; la sera che aveva avuto paura come mai in vita sua.
«Non è qualcosa che si controlla. E’ qualcosa che succede e basta. Non si può decidere se, quando e come innamorarsi di una persona.» tentò di spiegarle, ma la vide perplessa e non poté impedirsi di ridere un po’. «Non vi è mai capitato di provare una cosa simile per qualcuno, eh?»
«Non vorrei risultare pignola, lo giuro, ma credete sul serio che io abbia avuto modo di frequentare molta gente da quando sono arrivata qui?» fece e, con un gesto naturale al punto tale da non crederci, indicò lo sfacelo che aveva causato col suo arrivo. Killian avrebbe dovuto essere adirato con lei, lo sapeva, e lo era in parte, ma non fu quello il sentimento che affiorò nel suo animo a quella risposta.
«E non vi piacerebbe provarlo?» le chiese, curioso all’idea della risposta che avrebbe potuto sentirle pronunciare. Piano, si morse le labbra e, nell’attesa, i suoi occhi le sfiorarono il viso. Non avrebbe dovuto pensarlo, ma la trovava incantevole nella sua sincerità ed era una boccata di aria fresca, mentre si stagliava su uno sfondo tanto lugubre.
«Intendete dire se mi piacerebbe essere così interessata a qualcuno o al suo ricordo da barattare la mia vita, invitandolo a farsene una nuova, mentre io patisco la solitudine in un luogo tanto estraneo, lontana da altre persone a cui potrei tenere?» Nel farlo, aveva portato una mano al mento, quasi stesse soppesando la portata di una simile evenienza. Killian rise, per l’ennesima volta da che aveva fatto ingresso nella sua stanza, e si domandò come fosse possibile che il suo umore fosse tanto cambiato nel giro di una manciata di minuti e che la ragione di quel cambiamento fosse proprio la fonte del suo turbamento.
«Messa così, ha un aspetto veramente orribile.» rispose lui. Una brezza di vento spirò attorno a loro e tra di loro e, ancora una volta, i capelli di lei gli sfiorarono il viso, prima che Malefica fissasse una ciocca dietro l’orecchio.
«Adesso, sapete quale aspetto avete agli occhi degli altri.»
«Siete sempre così pungente?» chiese, sul viso di nuovo quell’espressione malandrina, sfrontata che aveva usato con più di una donna e che aveva sempre raggiunto lo scopo. Quella era la prima volta che l’assumeva senza un intento specifico, solo per essere se stesso, soltanto perché era in quel modo che si sentiva.
«Oh no! Solo quando non sono raccapricciante e crudele!»
A quelle parole, Killian rise di cuore e, per qualche frangente, ebbe l’impressione che i suoi affanni fossero stati soltanto un brutto sogno. Un sogno come quello che aveva fatto su di lei la notte in cui non era riuscito ad impedirsi di essere avventato, quando, tornato in camera e poggiata la testa sul cuscino, aveva sognato di averla ancora tra le braccia, sulle lenzuola del letto ove aveva dormito in quegli ultimi giorni e di baciarla fino a perdere quasi i sensi; e la morbidezza di quella pelle era stata così tangibile, i sussurri affannati così vicini, il corpo longilineo così suo che era stato sopraffatto dalla veridicità delle immagini e, quando si era svegliato nel cuore della notte, aveva dovuto sciacquarsi con l’acqua gelata per placare i sentimenti contrastanti da cui si era sentito sopraffatto. Non era stata l’idea di desiderarla a sconvolgerlo ma il fatto che avesse sognato di fare l’amore con lei, il fatto che le avesse riservato una tenerezza che il suo cuore non aveva mai provato per nessuna donna con cui fosse andato a letto. E aveva fatto l’amore con Malefica, non con l’Emma che avrebbe potuto nascondersi in lei. Rendersi conto di quel particolare era stato il punto di partenza del tormento degli ultimi giorni.
«Killian,» fece lei e, com’era già accaduto prima d’allora, il nome di lui assunse un sapore diverso sulla bocca di Malefica. L’uomo le prestò la massima attenzione e sul suo volto si riflesse la stessa espressione seria dell’altra, il fuoco ancora spento in quegli occhi neri come l’oblio. «quando siete arrivato, volevate chiedermi qualcosa. Di cosa si trattava?»
«C-Come..?» Killian la guardò sbigottito e non poté fare a meno di domandarsi come fosse possibile una cosa simile, se davvero Malefica possedesse il dono di leggere nella mente e, se così era, se fosse in grado di sapere del suo sogno e del suo tormento su di lei. Ella gli sorrise appena, comprensiva quasi in modo materno.
«I vostri occhi sono limpidi, Killian, il che significa che, anche laddove non voleste condividere qualcosa, i vostri occhi vi tradirebbero.» S’interruppe un istante, osservando lo sgomento in quelle iridi blu così diverse dalle proprie. «E’ una bella cosa!» A quelle parole, l’uomo parve rilassarsi e le sorrise di rimando.
«C’è molto di Emma in voi, fisicamente intendo. Mi è capitato di notarlo più volte e mi chiedevo come fosse possibile.» disse semplicemente e le sue labbra riprodussero una smorfia quasi colpevole, come temesse di farle un torto nell’ammettere un simile pensiero; ma Malefica gli sorrise con la stessa comprensiva dolcezza.
«Lo avevo immaginato, perché, quando mi parlate, a volte, nei vostri occhi c’è una strana… Tenerezza, penso sia questa la parola corretta.» gli comunicò, prendendosi poco sul serio e sorridendogli un po’ di più. La sensazione alla bocca dello stomaco tornò improvvisamente a molestare Killian, ma vi era una connotazione differente in questo caso, una sfumatura di dispiacere e le sue labbra avrebbero nuovamente preso il controllo della situazione, se ella non fosse intervenuta; questo gli permise di ponderare il significato delle frasi delle di lei e il forte riverbero che esse avevano avuto sul suo animo. «Non so dirvi perché questo accada, Killian.» Ancora una volta, quel nome assunse una connotazione diversa sulle labbra di lei. «Forse, l’amate così tanto da avere bisogno di trovarla da qualche parte e io sono la cosa più vicina ad una donna che ci sia da queste parti.»
In quel momento, nell’ascoltare le parole di lei, l’uomo realizzò qualcosa che mai avrebbe pensato di poter acquisire, perché non lo riteneva possibile: Malefica non era nemmeno vagamente consapevole della propria bellezza, non ne teneva conto, non riusciva a vedersi con gli occhi di qualunque altro essere umano; non avvertiva il potere della propria avvenenza, del proprio aspetto e questo la portava a non ritenersi piacente. Ma, soprattutto, non credeva fosse possibile che qualcuno la trovasse gradevole, che apprezzasse l’idea di trascorrere del tempo con lei, che desiderasse averla accanto. Nell’osservarla, Killian ebbe l’impressione che non si ritenesse abbastanza, in tutti i sensi: non abbastanza bella, non abbastanza accattivante, non abbastanza brillante, non abbastanza divertente, non abbastanza dolce, non abbastanza normale, non abbastanza perfetta, non abbastanza umana. Semplicemente non abbastanza.
«Dio!» esalò lui e la sua mano si alzò finché non si fu poggiata sulla guancia di lei; i polpastrelli incastrati tra la fulgida chioma della giovane, iniziò a carezzarle dolcemente il viso col pollice e la sua bocca le regalò di nuovo un sorriso di tenerezza, che Malefica lesse come nostalgia per quello che sarebbe potuto essere con la sua Emma. Quando il fuoco che, al momento sopito, ardeva all’interno del suo animo si sarebbe risvegliato, quel ricordo le avrebbe regalato un piacere senza precedenti. «Non è così, non è sempre così.» sussurrò come se lo stesse ammettendo più a se stesso che non a lei. «Oggi, non ho pensato ad Emma, nemmeno quando l’abbiamo nominata. Stavo pensando a voi, stavo parlando con voi, la mia tenerezza era per voi.»
«Killian…» fece lei e le dita della sua mano si chiusero sul polso di lui, allontanandolo dal suo volto con un’espressione indecifrabile in viso. Inaspettatamente, la mano di Killian scivolò finché non fu entro quella di Malefica e non poté stringerla a sua volta.
«Non andate via, lasciate che sia io ad andarmene.» Era consapevole che spiegarle qualcosa che neppure lui avrebbe saputo tratteggiare non avrebbe avuto senso. Per adesso, andava bene così.
«Perché?» chiese lei, la voce un alito appena percettibile, e, per la prima volta da che si erano conosciuti, fu lei a sentirsi inchiodata sul posto dagli occhi di lui.
Perché odio vedervi andare via da me” avrebbe voluto dirle, ma serrò le labbra e le sorrise. Lentamente, si chinò sulla mano della giovane finché non vi ebbe posato la bocca e, chiusi gli occhi, vi lasciò un bacio tenero, carico di indugi e, ad esso, seguì un sospiro, prima che potesse  costringersi a lasciarla andare e, senza incontrarne lo sguardo, riuscisse ad avviarsi verso la porta.
Quando l’ebbe oltrepassata, attorno al castello si levò un forte vento e il suo ululato echeggiò per le stanze del palazzo a lungo, occupandole di un suono sinistro come una litania urlata, nessuna parola, nessuno strumento. E quello stesso strazio molestò gli abitanti della Foresta Incantata e dei regnucoli vicini con altrettanta virulenza, costringendoli a chiudersi in casa, a sbarrare porte e finestre, a pregare qualunque mago, divinità, santo cui avrebbero voluto affidare la loro anima di risparmiare almeno i loro figli. C’era paura in loro come nel vento e nel suo grido. Paura e malinconia.

 
  
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