Nome
su forum: Ameliawitch
Nome
su EFP: Ameliawitch
Titolo: “Di
lei in lui”
Rating: verde
Tipo
di Coppia (se c'è): Nessuna
Tipologia
di storia: One-shot
Pacchetto: Pallini
acidi
Avvertimenti: Missing
moments
Genere: Angst
Note
Autore: Mi
sono sempre domandata come Silente sapesse
che Harry dormiva in un sottoscala, perciò ho deciso di dare
una mia
spiegazione alla cosa, coinvolgendo il caro professor Piton.
Era riuscito ad ignorare
quell’assurda curiosità
per anni e poi, a così poco dall’inevitabile
incontro, aveva ceduto a quell’insano
desiderio di vederlo con i suoi occhi.
Senza neanche sapere come, aveva
abbandonato il
suo letto per smaterializzarsi a notte fonda in quel quartiere babbano,
con il
volto coperto e con il cuore impegnato in una lotta furibonda con la
sua
ragione.
Severus digrignò i denti in un moto di
rabbia.
Sarebbe dovuto essere
più cauto quel
pomeriggio. Quando Albus Silente ti invitava nel suo studio per un
tè, la
voglia di condividere una tazza di quella bevanda scura era, di solito,
l’ultima
intenzione di quel vecchio pazzo.
Lui lo sapeva, eppure come un
ingenuo
alle cinque precise era entrato nell’ufficio del Preside.
“Sempre meravigliosamente
puntuale,
Severus.” lo aveva salutato l’anziano mago, senza
però distogliere l’attenzione
da un ammasso di carte colorate sparse davanti a lui. “Prego,
accomodati.” Aveva
continuato indicando con un gesto distratto della mano la poltrona
davanti alla
sua.
Lui aveva obbedito, reprimendo a
fatica
una smorfia. Sul tavolino da caffè infatti facevamo bella
mostra di sé ogni
varietà di dolciumi che il mondo magico potesse offrire,
tutti scartati e
meticolosamente adagiati sui loro involucri come se fossero esposti.
Le abitudini da bambino di Albus
Silente lo facevano innervosire oltre misura.
Proprio mentre osservava
contrariato il
suo superiore, Fanny era planata da una finestra, che Albus di solito
lasciava
aperta durante la bella stagione,
per
andarsi a posare sul suo trespolo.
Quel comportamento
l’aveva stupito,
anche se non troppo. Le fenici erano animali da compagnia devoti, per
non dire
affini, ai loro padroni. Quindi era ovvio che anche il volatile che di
solito
amava svolazzargli intorno ed infastidirlo, come Albus
d’altronde, quel giorno
lo ignorasse imitando il suo padrone.
Scocciato aveva accavallato le
gambe e
gli occhi azzurri di Silente lo avevano inchiodato da sopra gli
occhiali a
mezzaluna, costringendolo a distogliere lo sguardo.
“Il tè
è pronto, ragazzo mio.” Aveva
esordito improvvisamente il preside prima di far lievitare sul
tavolino, già
stracolmo, due tazze e una teiera dal cui beccuccio fuoriusciva del
vapore
argenteo al profumo di fiori.
“Del latte al cioccolato
sarebbe stato
più appropriato.” Aveva sibilato senza
più trattenersi.
“Caro Severus, ho fatto
arrivare dai
mercati orientali questo tè bianco per il tuo palato
raffinato. Mi stupisce
questo tuo repentino cambiamento di preferenze … non credevo
che avessi
conservato gusti fanciulleschi.” Gli aveva sorriso il vecchio
preside. Un lampo
di malizia aveva attraversato
i suoi
occhi.
“Qui, Albus,
l’unico fanciullo sei
tu.” Il
sorriso di Silente si era fatto ancora più
ampio, gli fu chiaro solo più tardi che quello era il segno
che tutto stava
andando secondo i suoi piani. “Perché mi hai
chiesto di venire qui.” aveva
proseguito. Non sopportava l’eterno tergiversare di
quell’uomo.
“Ovvio, per questo
squisito tè dal
costo imbarazzante.” Aveva risposto l’anziano mago,
versando con un volteggio
di bacchetta in entrambe le tazze una generosa dose di liquido
profumato, poi alla
sua occhiata furibonda e diffidente aveva
aggiunto “E perché voglio chiederti un
parere.”
“Riguardo a
cosa?” per la prima volta
in quel pomeriggio, si
era sentito curioso
e non infastidito.
“Temo che troverai la mia
richiesta
irritante.” Aveva sentenziato il preside e lui aveva alzato
gli occhi al cielo.
“Vai al punto,
Albus.”
“Come ben sai, ogni anno
scolastico è
mia prassi cambiare la parola d’ordine del mio ufficio
…” Aveva trattenuto una
risposta acida portandosi la sua tazza alle labbra.
“… Immagino tu voglia
ribattere che è presto, che la scuola è terminata
da poco tempo, ma io credo
nella necessità di prepararsi per tempo. Tu non trovi sia
dannatamente
fastidiosa la sensazione di smarrimento che si prova quando non si
è pronti?”
Gli occhi azzurri di Silente lo
fissavano brillanti attraverso quegli occhiali dalla forma ridicola.
Probabilmente quello era lo stesso sguardo di un ragno davanti ad una
mosca troppo
vicina alla sua ragnatela.
“Cosa vuoi che faccia,
Albus?” aveva
sospirato, senza sapere che quello era l’ultimo momento in
cui avrebbe potuto lasciare
la stanza e mettere più spazio possibile tra lui e quel
burattinaio dalla barba
bianca e gli occhi da ragazzino.
“Molto bene. Vorrei che
tu mi dessi un
consiglio … quale preferisci tra questi dolci?”
aveva esordito Silente studiando
l’ammasso di dolcetti tra loro.
Aveva sgranato gli occhi, poi aveva
pensato che lo stesse prendendo in giro ma rendendosi conto che la
richiesta vera e seria
non arrivava, si era infuriato. “Non
assaggerò queste
porcherie al posto tuo.” aveva ringhiato, Albus invece aveva
risposto con una
risatina. “Mi hai frainteso. Vorrei solo sapere quale di
questi sceglieresti.
Una preferenza dovrai pur averla. Metti per una volta da parte la tua
reticenza.”
Si era passato una mano sul viso
nel
tentativo di trascinare via un briciolo di nervoso, ma invano.
“Penso che
questa stupidaggine tu la possa fare da solo.” Aveva
sentenziato, alzandosi
dalla poltrona.
“Hai accettato di
aiutarmi.” Lo aveva
ripreso Albus con tono da capriccio, impedendogli di allontanarsi.
“Perché
credevo che sarebbe stata una
cosa seria.” Aveva sbottato rabbioso, dimenticando di aver
davanti un uomo a
cui doveva il più profondo rispetto.
“È
una cosa seria.” Aveva replicato Albus. L’aria da
bambino era sparita,
lasciando solo un mago adulto, potente e molto serio.
Senza aggiungere altro, aveva
ripreso
posto sulla sua poltrona e come per magia anche il volto del preside si
era
rischiarato.
“Bene. Ora dimmi, quale
preferisci?” Gli
aveva sorriso in modo incoraggiante l’anziano preside.
L’unica cosa che gli era
rimasta da
fare lì, sprofondato in quella poltrona e prigioniero di
quel pazzo, era
assecondare i suoi desideri. Perciò aveva gettato uno
sguardo annoiato ai dolci
di Mielandia. C’erano api frizzole, scarafaggi a grappolo,
topoghiacci e
pallini acidi. Li riconosceva perché
un’infinità di tempo prima anche lui era
stato ragazzo.
Quel pensiero gli aveva serrato
brutalmente lo stomaco. Non gli piaceva ricordare anni in cui ancora
credeva che
tutto sarebbe potuto andare per il meglio.
“In realtà,
Albus, per me uno o l’altro
non fa differenza.” Si costrinse a dire, cercando di suonare
educato. Aveva
sperato che quella risposta, se pur scarna gli potesse bastare.
Silente però lo aveva
guardato deluso,
forse un po’ troppo per una semplice scelta di dolci.
“Pensavo che avresti
scelto i Pallini Acidi.”
“Perché
mai?” era saltato su, convinto
che quelle parole contenessero una velata offesa.
“Sono verdi …
e anche un po’ acidi.” Lo
aveva preso in giro il preside, osservandolo poi con una strana
espressione in
volto.
“Beh, non mi piacciono,
anche se sono verdi.”
Aveva sibilato, rifugiandosi poi
dietro la tazza di tè ormai freddo ma comunque
più gradevole di quella
conversazione senza senso.
“Dimenticavo che a te
piacciono altre
tonalità di verde.” Aveva mormorato Albus criptico.
“Il verde della mia Casa
non assomiglia
certamente a quello di questi dolci da quattro soldi. Dovresti
ricordartelo.”
Aveva ribattuto, inconsapevole di essere caduto nella trappola.
“Certo, Severus. Io
però mi riferivo al
colore degli occhi di Lily.”
Al suono di quel nome si era
irrigidito
a disagio, dopo si era infuriato con se stesso per essersi fatto di
nuovo
raggirato da quell’uomo. Controllando il respiro, aveva
appoggiato la tazza sul
suo piattino, quindi aveva abbandonato la sua poltrona. Non avrebbe
avuto
quella conversazione e sembrava che anche Albus fosse disposto a cedere
per
quella volta, dal momento che non l’aveva fermato mentre
avanzava a rapide
falcate verso la porta. Purtroppo non aveva ancora posato la mano sulla
maniglia che le parole serie e decise del preside lo pugnalarono alle
spalle.
“Sono passati dieci anni.
A Settembre
inizierà a frequentare la scuola. Credi di essere pronto ad
affrontare la
realtà quando ancora scappi al solo suono del nome di sua
madre?”
Aveva architettato tutto fin
dall’inizio quel vecchio infido. Il tè, le
chiacchiere sull’essere pronti,
perfino i dolciumi sul suo maledetto tavolino da caffè.
“È solo un
moccioso.” Aveva sibilato,
mentre la sua mano stringeva la maniglia con tanta forza da far
sbiancare le
nocche.
“È anche suo
figlio. Cosa capiterà
quando vedrai qualcosa di lei in lui? Te ne andrai? Mi sembra
già di sentire gli
studenti parlare di come l’impassibile professor Piton
impallidisce davanti al
Bambino che è Sopravvissuto.”
“Io
non mi farò impressionare dal figlio di James
Potter.” Era esploso, stavolta
rivolto direttamente a Silente che se ne stava in piedi a pochi passi
da lui.
“Ma fuggirai davanti al
figlio di Lily
Evans.” Aveva sospirato l’anziano mago
“Ascoltami, ragazzo mio. Puoi farcela.
Puoi imparare a celare l’amore per lei, anche con la rabbia
se per te è la
soluzione più appropriata, ma ce la farai solo se smetterai
di far finta che
quel bambino non esiste.” Con cautela Silente gli aveva
toccato il braccio con
una stretta gentile “Hai promesso che mi aiuterai a
proteggerlo …”
“E lo farò
…” la mano alzata di Silente
l’aveva zittito.
“So che non verrai meno
al nostro patto
e che per questo sarai condannato a prove ben oltre la portata di tanti
uomini.
Perciò lascia che ti aiuti a combattere i demoni del tuo
passato.”
“Ci
penserò.”
Con quelle due parole aveva
lasciato lo
studio del Preside e aveva ingombrato la sua mente con ogni sorta di
pensiero.
Alla fine della giornata aveva creduto di essere riuscito a relegare
quella
conversazione in un angolo della sua mente.
Ovviamente si sbagliava, visto
quello
che era in procinto di fare.
Mentre si muoveva lento lungo
Privet
Drive, Severus si sistemò di nuovo il bavero del mantello ai
lati del volto
nonostante la brezza calda che soffiava quella notte di fine Luglio.
Era l’unico
ad essere in movimento nella staticità di quel quartiere
composto da case che
si susseguivano in modo ripetitivo. Non gli fu tuttavia difficile
trovare il numero
civico quattro.
Il professore si concesse qualche
secondo per studiare l’anonima villetta. Dalle finestre, a
causa dell’eccessivo
uso di tendine ricamate, si notava solo che tutte le stanze erano
immerse nel
buio, perciò sperò che tutti i componenti della
famiglia fossero profondamente
addormentati e non che la sfortuna lo avesse portato lì
proprio quando non
c’era nessuno.
Avanzò verso il retro
dell’abitazione,
sentendo distintamente l’erba del giardinetto scricchiolare
sotto la pressione
dei suoi stivali.
Forse quel
babbano la mattina successiva avrebbe notato le sue tracce.
Fu facile entrare
dall’ingresso di
servizio. La porta infatti si aprì obbediente al suo
Alohomora con un piccolo
cigolio e lui scivolò silenzioso all’interno di
quella che capì subito,
nonostante la poca luce che filtrava dall’esterno, essere
un’asettica cucina.
Uno sgradevole russare al piano
superiore mise i suoi sensi all’erta. Erano in casa.
Facendosi guidare da quel
grottesco rumore, raggiunse le scale e salì al piano
superiore dove su un breve
corridoio si affacciavano il resto delle stanze della casa.
Avrebbe fatto in fretta. Gli
sarebbe
bastato trovare la sua camera e guardarlo quel tanto che bastava a
placare
l’inquietudine che Albus aveva risvegliato nel suo animo.
Nessuno avrebbe
scoperto quel suo piccolo cedimento.
“Lumos”
mormorò e una tenue luce nacque sulla punta della sua
bacchetta.
Come una nebbia invisibile, senza
produrre alcun suono iniziò la sua ricerca
all’interno delle stanze.
Quella da cui proveniva
l’insistente russare
aveva la porta semiaperta, perciò si limitò a
sbirciarci dentro. Un lampione
della strada gli dava l’illuminazione giusta per osservare i
volti di proprietari
di casa.
Riconobbe subito Petunia Evans che
dormiva profondamente accanto a suo marito ignara del pericolo che
incombeva su
di lei. Si avvicinò al letto e accostò la luce
della bacchetta al volto ossuto
della donna.
Ora che era un mago adulto avrebbe
potuto vendicarsi di tutte le umiliazioni che aveva subito a causa di
quella
orribile babbana. Per anni lo aveva denigrato agli occhi della sua
amata Lily e
non aveva mai perso l’occasione per ricordargli quanto poco
lo amasse la sua
famiglia e quanto ancor meno meritasse la compagnia di sua sorella.
Un grugnito scomposto
dell’uomo lo
trascinò di nuovo nella realtà, attentamente
arretrò ed uscì velocemente dalla
camera. Nella stanza adiacente vide il figlio della coppia, un
bamboccio,
certamente molto simile al padre, che sbavava sul cuscino su cui
affondava il
viso paffuto e arrossato dalla calura. Con una smorfia di disgusto se
ne andò
anche da lì e ben presto si rese conto che non
c’era nessun altro posto in cui
cercarlo.
Il ragazzo non c’era.
Possibile che lo
avessero mandato via e che nemmeno Silente fosse a conoscenza di quel
guaio? Se
le cose stavano così lui avrebbe dovuto avvertirlo e
perciò confessare di esser
stato lì.
Rabbioso ripercorse il corridoio,
controllando che non gli fosse sfuggita una porta, si accorse vagamente
di aver
urtato un mobiletto con sopra l’ennesimo centrino e una foto
di famiglia dei
Dursley. Scese le scale ormai incurante dei padroni di casa con la
frustrazione
che lo pungolava più forte ad ogni scalino su cui posava
pesantemente il piede.
Una volta al piano terra
notò qualcosa,
un bagliore si irradiava nella cucina che però rimaneva
comunque immersa nel
buio.
“Nox.”
Ordinò alla bacchetta per nascondersi nella totale
oscurità della casa, poi
entrò in stanza. Lo sportello del frigo era appena aperto e
in ginocchio
accanto a quel piccolo fascio di luce un ragazzino smilzo, nascosto da
dei
vestiti troppo grandi, era intento a sbocconcellare da un piatto degli
avanzi
di arrosto. Ignaro di essere osservato il bambino continuò
il suo spuntino per
un po’ e Severus stette immobile sulla soglia come
ipnotizzato. Purtroppo da
dove si trovava non poteva studiarlo come avrebbe voluto,
perciò presto cedette
alla tentazione di fare qualche passo avanti,
accostandosi lentamente all’isola che
stava al centro della cucina che gli permetteva di celarsi al Bambino
Sopravvissuto che in quel momento stava masticando piano qualche
pezzetto di
carota.
Niente era andato secondo i suoi
piani.
Il ragazzino sarebbe dovuto essere addormentato così che lui
avrebbe potuto
facilmente osservarlo, invece era lì sveglio e talmente
sbadato da non
accorgersi di una presenza estranea a pochi passi da lui.
Inspirò con rabbia
intuendo troppo
tardi il suo sbaglio, il bambino infatti si voltò nella sua
direzione
spaventato perdendo la presa sul piatto dell’arrosto che si
sarebbe frantumato
sul pavimento se non l’avesse fatto lievitare, commettendo
l’ennesimo errore.
Harry infatti di fronte a quel fenomeno inspiegabile arretrò
sbattendo contro
il frigorifero, lo sportello del quale si spalancò
illuminando entrambi.
“Sta’ fermo,
stupido ragazzino.” soffiò,
temendo che l’abbondante contenuto del frigo si fracassasse
interamente sul
pavimento ad un altro scossone.
Severus pensò al peggio,
il bambino si
sarebbe sicuramente messo a piagnucolare per poi fuggire a svegliare i
suoi zii.
Harry invece, seduto sui talloni, si limitò
a guardarlo con una strana smorfia sul volto ancora,
notò frustrato,
nascosto dal gioco di ombre della casa.
Non sapendo bene che fare, Severus
fece
volteggiare il piatto di avanzi fino al ripiano libero del frigo ed
Harry lo
stupì con un borbottio sorpreso.
“Sei un ladro?”
pigolò il bambino.
“No.” Si
costrinse a rispondere
Severus. Un suo silenzio infatti avrebbe certamente allarmato di
più quel
moccioso.
“Sei un
alieno?” bisbigliò Harry nella
sua direzione. Al suo della voce del bambino ebbe l’istinto
di nascondersi ma
si rese conto che ormai era già stato scoperto, quindi si
fece più avanti anche
se ancora preoccupato della reazione che quello sconsiderato ragazzino
sembrava
non avere.
“Allora? Forse non
capisci bene la mia
lingua?” insistette Harry, inclinando la testa da un lato.
“Comprendo benissimo la
tua lingua
perché è anche la mia, sciocco.”
Sospirò Severus, avvilito per il casino in cui
si era cacciato. Forse avrebbe dovuto veramente fargli credere di non
essere
umano.
“Wow.”
Mormorò Harry vagamente
eccitato, poi parve corrucciarsi “Ma … sei
comunque un alieno.” Disse, come se
quella fosse l’unica spiegazione logica.
Un basso ringhio scappò
delle labbra di
Severus ed Harry si appiattì contro il mobile della cucina.
“Non volevo
offenderti.” Si scusò il
bambino stringendosi nelle spalle e non tornando nella posizione
precedente
come avesse paura di essere punito per qualcosa.
Severus si prese la base del lungo
naso
adunco tra l’indice e il pollice, cercando di controllarsi.
“Sono un essere
umano.” Chiarì ma Harry non sembrava nè
convinto né tranquillo. “Gli umani non
fanno volare le cose.”
“Quelli come noi si.” Ribattè il
professore.
Quei discorsi erano insulsi,
sicuramente il ragazzo produceva magia involontaria da anni eppure
continuava quella
sceneggiata, anche se
doveva ammettere che il suo stupore sembrava genuino.
Harry infatti soppesò
quelle parole poi
tornò a guardarlo serio. “Io non ho mai conosciuto
persone che sapessero far
volare le cose.” Il ragazzino si sporse verso di lui ma
Severus arretrò,
ritenendo più sicuro mantenere qualche passo di distanza.
“Qualche volta Dudley
guarda alla tv programmi che gli zii gli hanno vietato dove
c’è gente che
sposta le cose con la mente, che cammina sul fuoco o addirittura se lo
mangia. Una
volta da dietro la poltrona su cui era seduto sono riuscito a spiare
qualcosa e
parlavano dei vampiri che ipnotizzano le persone e
…” il ragazzo sembrò come
illuminato e lo guardò dal basso con
apprensione“Sei … sei un vampiro?
Perché …
tu non … io non sono buono, sono magrolino e
piccolo” deglutì a vuoto “Al piano
di sopra c’è mio cugino che ti assicuro ha grasso
in abbondanza, è succulento e
se te lo mangi a me sta bene, anche se dovrei sopportare zia Petunia
che quando
piange fa degli strilli così acuti che ti rompono i timpani
… certo, se potessi
evitare di vampirizzarlo ti dovrei un favore perché mi
tormenta già così e se
tu gli dai anche la supervista, i canini appuntiti e tutto il resto poi
sarà
veramente un problema seminarlo a scuola.” Harry gli
lanciò uno sguardo
dubbioso e Severus gliene restituì uno severo.
Cominciava a credere che quel
ragazzino
si stesse facendo beffe di lui, anche se sembrava molto più
spaventato in quel
momento che quando si era accorto della sua presenza.
“Ti ho già
assicurato di essere un
umano. Quante volte pensi che te lo debba ripetere?”
“I vampiri, dicevano alla
televisione,
hanno gli occhi rossi” replicò ostinato e
vagamente petulante Harry “E poi tu
ci assomigli proprio, ad un vampiro intendo.”
Borbottò, poi allungò la mano
verso Severus per tirargli il mantello.
L’uomo
sospirò. Forse avrebbe dovuto
semplicemente andarsene e lasciare che quel ragazzino bugiardo, o
stolto,
continuasse a blaterare da solo. C’era però
qualcosa di magnetico che lo teneva
lì, una brama di sapere che lo costringeva a sopportare quel
bambino irritante
che lo stava spingendo sempre più a fondo in quel disastro.
“Visto che sei
così ottuso, ragazzino,
accendiamo la luce così potrai constatare che i miei occhi
sono di un banale
nero.” E io potrò
finalmente vederti,
pensò mentre con un colpo di bacchetta faceva brillare le
lampadine del
lampadario di vetro con motivi floreali che pendeva dal soffitto.
Con ormai la piena visione
dell’ambiente circostante, Severus chinò
trionfante la testa ai suoi piedi dove
però il bambino se ne stava rannicchiato con la testa
protetta della braccia.
“Spegni, spegni, ti prego
spegni.”
Singhiozzò Harry dalla sua trincea “Se zio Vernon
si sveglia ci fa a fettine.”
“Tuo zio non
può farmi niente.” sibilò
mentre la delusione serpeggiava nel suo animo. Sovrastava il piccolo
Potter e
nonostante le braccia, fin troppo esili, poteva ben vedere i capelli
neri e
arruffati come quelli dell’odiato genitore. Per il resto, il
ragazzino non era
molto diverso da come aveva potuto intuire nella penombra, anche se
aveva un
aspetto trascurato e trasandato che parve eccessivo anche a lui al
quale i
bambini non erano mai sembrati puliti ed ordinati.
Turbato dal notare come il bambino
tremasse lo rassicurò. “Non ti voglio fare dal
male. E se mi guardi vedrai che
non ho gli occhi rossi e non sono un vampiro.” Harry non
ubbidì.
Severus perciò si
piegò sulle lunghe
gambe per trovarsi quasi all’altezza del volto di Harry, ben
nascosto nel
groviglio di stoffa del pigiama che avanzava in ogni punto del suo
corpicino
ossuto. Il professore giudicò che quell’indumento
non potesse essere suo.
“Guardami.”
Ordinò in modo perentorio
ma il ragazzino non si mosse. Un miscuglio di frustrazione ed
aspettativa si
mosse nel suo stomaco. Avrebbe voluto prendere quel piccolo maledetto
resto
della progenie Potter e costringerlo a mostrargli il suo viso. Lo
avrebbe
tirato per i capelli se fosse stato necessario. “I tuoi zii
non possono nulla
contro di me.” Ribadì con forza, sperando che
quelle parole servissero a
qualcosa. “Dovresti saperlo, loro temono quelli come noi,
sono solo degli
anonimi …”
Un colpo di tosse e un grugnito
più
forte provenne dal piano di sopra, immobilizzandolo.
“La luce.”
bisbigliò Harry, sempre più
rannicchiato.
“Nox.”
A quella formula la cucina fu sommersa da una densa cappa di
oscurità che
rendeva gli occhi abituati alla luce ciechi.
Severus potè sentire le
molle del letto
nella camera padronale cigolare sotto il peso dell’uomo che
sembrava essersi
svegliato. I suoi sensi erano più che mai allerta, non
perché temesse quel
grasso babbano ma per le conseguenze che sarebbero scaturite se
avessero
scoperto lui, mangiamorte, nella casa del Bambino Sopravvissuto.
Quest’ultimo
dal canto suo non pareva avere molte riserve nei suoi confronti, si
accorse
infatti che il ragazzino aveva lasciato la posa fetale per nascondersi
alle sue
spalle tremante. Era assurdo solo pensarlo ma il bambino sembrava
più
spaventato dallo zio che da un estraneo come lui.
Dei passi, attutiti da un tappeto,
si
mossero al piano superiore verso quello che probabilmente era il bagno.
Amareggiato, Severus si convinse
che
l’unica cosa da fare fosse andare via. In fondo aveva
già visto troppo di James
Potter in quel bambino per avere un motivo per rimanere. Con un
movimento
fluido si rimise in piedi. “E’ ora che me ne
vada.” Disse.
“No, ti prego
…” singhiozzò Harry. “Se
… se …”
“Se
tuo zio mi trova qui dovrò dare così
tante spiegazioni che non basterà una
vita di un elfo.” sibilò, infastidito
“Tu te la caverai con un rimprovero.” Lo
liquidò
ma Harry non era dello stesso parere. Gli arpionò infatti il
mantello,
strattonandolo con forza tale da impedirgli di smaterializzarsi.
“Mollami
ragazzino.” Sibilò con tutta la rabbia
che aveva in corpo e pensò di averlo
convinto quando lo vide
tremare
leggermente.
Harry però
rinsaldò la presa sul
tessuto nero e alzò la testa verso di lui determinato.
“Non te ne andare, zio
Vernon mi punirà …”
“Non dire sciocchezze,
stupido.” Sibilò
Severus, ripresosi dallo stupore. “Una ramanzina per essere
sgattaiolato fuori
dalla tua camera per uno spuntino di mezzanotte non ti
ucciderà e, comunque, è
quello che meriti.” Aggiunse cattivo, memore di come il suo
acerrimo nemico,
padre di quel ragazzino, avesse l’abitudine di aggirarsi di
notte per i
corridoi di Hogwarts sprezzante delle regole.
Harry deglutì
rumorosamente. “Mi
picchierà.” Pigolò piano, mentre lo
scarico dell’acqua li avvisava che il
padrone di casa stava per scendere.
Un brutto brivido corse lungo la
schiena di Severus. Non doveva assolutamente essere visto. Con gesto
violento
tirò il mantello per strapparlo alla presa di Harry che,
perso il contatto con
il tessuto, gli aggrappò addosso quasi furiosamente,
conficcandogli le dita nei
fianchi e la testa nell’addome. Avrebbe voluto urlare. In
quel modo non avrebbe
potuto smaterializzarsi senza portarlo con sé, allo stesso
tempo però doveva trovare
un modo per non farsi scoprire.
Mentre i passi del babbano si
facevano
più vicini, Severus afferrò Harry, ancora stretto
a lui, per i pantaloni del
pigiama e lo trascinò con sé verso quello che
sembrava uno sgabuzzino proprio a
ridosso delle scale. In fretta si schiacciò dentro
quell’angusto sottoscala
insieme ad Harry che ormai tremava come una foglia ed attese. Pochi
istanti
dopo sentì delle pantofole strascicate e dei passi pesanti
passare accanto al
loro nascondiglio, poi l’interruttore della cucina scattare e
la luce della
stanza filtrare sotto la porta del sottoscala.
Severus immaginò che
Vernon stesse
perlustrando la cucina girando intorno all’isola centrale, lo
sentì perfino
aprire il frigo e borbottare qualcosa, poi il respiro affannato
dell’uomo si
fece di nuovo vicino fino ad essere esattamente dall’altro
lato della porta. In
un’altra occasione Severus non si sarebbe fatto scrupoli ad
affatturare quel
grasso babbano ansante ed uscire finalmente da quella casa ma
lì, in
quell’angusto spazio sotto le scale, era come paralizzato,
conscio che quello
non era un uomo qualunque, quello era lo zio di Harry Potter colui che
aveva
sconfitto l’Oscuro Signore e il cui cuore adesso batteva
furiosamente poco
sopra l’ombelico, tanto il suo corpicino del bambino era
premuto contro il suo.
“Petunia si è
dimenticata di
chiuderlo.” Brontolò aspro Vernon prima di girare
violentemente il chiavistello
della porta e sbatterci sopra il pugno grassoccio. Dopo di che i suoi
passi si
allontanarono e Severus li seguì mentre facevano
scricchiolare impietosi il
legno delle scale.
Liberò il respiro
trattenuto solo quando
la porta della camera padrone fu chiusa e le molle del letto
cigolarono.
Tornando furiosamente alla realtà costrinse Harry a
staccarsi da lui per quanto
quello spazio angusto lo permettesse, strappandogli un mugolio
terrorizzato.
“Guarda in che guaio ci
hai cacciato.”
Ringhiò a poca distanza dal viso del ragazzino
“Come pensi di uscire adesso che
tuo zio ti ha chiuso a chiave? Pensi che non capirà cosa hai
combinato
trovandoti qui e non nel tuo letto?”
Ovviamente Severus sapeva che
avrebbe
facilmente potuto aprire la porta, come del resto avrebbe dovuto sapere
anche
Potter, ma visto che fino a quel momento il ragazzino aveva fatto finta
di conoscere
la sua natura di mago e non gli aveva creato altro che guai, si era
voluto
prendere una rivincita spaventandolo un po’. Un ghigno si
aprì sulle sue labbra
quando Harry trattenne il respiro.
“Io
…” balbettò l’eroe del mondo
magico
“In realtà il problema è far uscire te.
Zio Vernon e zia Petunia sicuramente
penserebbero che è colpa di qualche mia stramberia se sei
qui ed allora sarebbe
stato meglio farsi punire per aver mangiato
l’arrosto.”
“Dannato ragazzino, dacci
un taglio con
questa commedia.” Severus arpionò un braccio di
Harry che produsse un verso
strozzato. “I tuoi zii se mi vedessero capirebbero
semplicemente che appartengo
al tuo stesso mondo, perché sanno esattamente, come lo sai
tu, cosa sei.” Ovviamente
lui non aveva
nessuna intenzione di farsi trovare lì.
“Il mio stesso
mondo?”domandò Harry,
improvvisamente avido. “Quindi conoscevi i miei
genitori?” la voce di ragazzino
aveva una nota tragicamente estasiata e Severus cominciò a
sentirsi
claustrofobico. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Ogni sua parola avrebbe
avuto
un effetto devastante sul ragazzo e addirittura su di lui. Con un
semplice
colpo di bacchetta la porta si aprì, permettendogli di
sgusciare fuori. Notò
solo dopo che ebbe
ripreso il controllo
di sé che Harry non lo aveva seguito.
“Il giretto notturno
è finito,
tornatene in camera tua.” Gli ordinò, scrutando il
buio sottoscala dal quale il
bambino non si muoveva. “Allora?”
Aveva ormai rinunciato a soddisfare
la
sua curiosità. Doveva essere dannato se rimaneva in quella
casa un minuto di
più.
Il tintinnio di una catenella
accompagnò il fioco bagliore di una lampadina che
illuminò il ripostiglio e il
suo occupante.
Harry Potter, un ragazzino di poco
più
di dieci anni, smilzo, con i capelli corvini e disordinati, tale e
quale a suo
padre, se ne stava in piedi davanti a lui con gli occhi bassi a fissare
i piedi
scalzi, appena coperti dal pigiama usurato.
“Signore …
questa è la mia camera.”
Il tono di Harry non era
canzonatorio,
anzi la voce era intrisa di un sentimento che Severus aveva imparato
negli anni
a conoscere fin troppo bene, la vergogna.
Osservò un attimo
l’ambiente che
circondava il bambino. Un materasso a malapena coperto da un lenzuolo e
una
coperta giaceva contro il muro, sulla mensola più alta
c’era un libro e un paio
di disegni spiegazzati, su quella più bassa un paio di
calzini blu scolorito
che penzolavano, il tutto illuminato timidamente da una lampadina che
sfiorava
appena i ciuffi neri sulla testa del ragazzo.
“Stavi mangiando di
nascosto?” disse a
fatica ed Harry annuì piano.
Quello
era sbagliato.
Un sapore amaro gli
impastò la lingua e
per un attimo Severus non riuscì a parlare o a muoversi.
Aveva imparato sulla sua pelle il
significato di un’infanzia ferita e mai avrebbe creduto
possibile che quella
sorte toccasse proprio a quel bambino che, era certo, sarebbe stato
così tanto
amato dalla sua amata Lily. Eppure tutto quello spiegava molte cose che
lui non
avrebbe voluto sapere.
Forse il comportamento del ragazzo
non
era una messinscena, non stava fingendo di non sapere di essere un
mago, ne era
veramente all’oscuro. Petunia non aveva mai fatto mistero
dell’odio e della
gelosia che serbava nei confronti di Lily a causa dei suoi poteri.
“Signore?” La
voce timida di Harry lo
fece sussultare.
Non si era accorto di aver serrato
gli
occhi, nel vano tentativo di non vedere l’ultimo appiglio di
Lily alla vita,
mortificato da una sorella indegna e della sua orribile famiglia.
“Cosa?”
gracchiò, aprendo gli occhi e
scoprendo che Harry in quel momento lo fissava senza più
l’oscurità od altro
ostacolo a nascondere il suo volto.
Quegli
occhi. Avrebbe
ucciso per quegli occhi verdi e limpidi come il mare, perché
ogni volta che si
erano posati su di lui il suo cuore era tremato e quelle poche
sicurezze che
aveva racimolato si erano disperse come sabbia al vento.
Vide una lacrima increspare quella
superficie di smeraldo, rotolare lungo la guancia e la rincorse con lo
sguardo
fino a quando non si infranse sul pavimento. Con in un vuoto
d’aria Severus precipitò
di nuovo nel mondo reale, dove lui
non era davanti alla donna che amava ma si trovava sulla porta di un
sottoscala
con gli occhi di un bambino, così stonati sul volto
sgradevolmente somigliante
a quello del padre, puntati su di lui con un’aspettativa che
lo turbò.
“Se …
” Harry esitò “Posso venire con
te?”
“Cosa? No
…” Severus esalò quelle
parole con terrore. Lui non voleva e non poteva. “Me ne devo
andare.” Sentenziò
allora, mentre Harry si fece più vicino con quegli occhi,
ricordo di quelli che
tanto amava, già sommersi di una nuova marea di lacrime.
“Farò il
bravo.” Singhiozzò il piccolo
Potter allungando una mano per afferrare quella di Severus che si
scansò come
scottato. “Tu sei come me e forse anche come i miei genitori
… quindi non ti
arrabbierai se qualche volta farò capitare degli incidenti,
perché ti giuro che non
lo faccio di proposito.
Magari non mi odierai, come invece fa la mia famiglia ...”
“Non essere sciocco, tu
devi restare
qui perché questa è casa tua che ti piaccia o
no.” Lo freddò Severus. Si
sentiva disumano ma almeno aveva detto la verità. Harry
doveva continuare a
vivere con i Dursley fino alla maggiore età, non
c’erano alternative e, se ci
fossero state, lui certamente non si sarebbe immischiato.
Harry sembrò incassare
quel suo rifiuto
con la triste dignità di chi ci è abituato,
infatti indietreggiò di qualche
passo prima di tornare a guardarlo. “Perché sei
venuto qui?”
“Perché dovevo
controllare che tu fossi
… vivo.” Disse preso alla sprovvista. Harry
sgranò gli occhi “C’è
qualcuno che
crede che io sia morto insieme ai miei genitori?” chiese
spaventato e Severus
si maledisse un’altra volta. “ Si, alcuni lo
pensano … Ora comunque che ho
compiuto il mio dovere, devo andarmene. Voglio però
assicurarmi che tu ti metta
a dormire e non voglio sentire altre domande.” Lo
avvertì deciso, prima di
estrarre la bacchetta.
Il bambino mise il broncio ma
ubbidì.
Si chinò e tirò verso di sè il
materasso che atterrò sul pavimento con un
tonfo, poi si infilò sotto le coperte guardando Severus
inginocchiato accanto a
lui. L’uomo si concesse un ultimo sguardo a quegli occhi, poi
fece ad Harry
segno con il mento di chiuderli, provando una stretta al cuore quando
vide il
verde scomparire sotto le palpebre, e spense la luce.
Il bambino posò una mano
morbida e
piccola su quella fredda di Severus che non si ritrasse.
Il professore emise un respiro
spezzato
a causa dei rimescolamenti della sua anima, mentre attendeva che quello
del
ragazzino si regolarizzasse con l’avvento del sonno.
Non poteva permettersi di
lasciargli il
ricordo di quella notte, perché avrebbe solo allungato la
lista dei dolori
della sua vita ancora così breve.
“Avevo sperato che mi
avresti potuto portare
dai miei genitori.” Mormorò Harry ad un tratto con
la voce già impastata dal
sonno.
Quando la mano di Harry
scivolò giù
dalla sua, Severus gli accostò la punta della bacchetta alla
fronte su cui
spiccava rossa la cicatrice a forma di saetta.
“Oblivion.”
Sussurrò e il vapore argenteo dei ricordi del loro incontro
scivolò lontano dal
bambino prima di dissolversi.
Rapido, Severus chiuse la porta del
sottoscala e con le dita che tremavano fece scattare la serratura di
quella
gabbia. Arrancò fuori dalla villetta di Privet Drive
instabile sotto della
consapevolezza che la sua colpa era ben più grande di quello
che aveva sempre
creduto.
Aveva sofferto per essersi
macchiato
della morte di Lily ed aveva sopportato la dipartita di suo marito
perché
l’odio nei suoi confronti lo accecava, ma cosa avrebbe fatto
adesso sapendo che,
svelando la profezia al Signore Oscuro, non aveva spezzato due vite ma
tre?
Senza fiato si aggrappò
alla recinzione
che isolava il giardino dei Dursley da quello dei vicini.
“Buonasera, ragazzo
mio.” L’istinto di
difendersi fu più veloce della sua mente e si
trovò a puntare la bacchetta
contro il viso di Albus Silente. Il preside lo osservava senza alcuna
traccia della
giovialità di quel pomeriggio. “Vedo che hai
ascoltato il mio consiglio. Ne
sono felice.” Costatò l’anziano mago
mentre Severus riponeva la bacchetta sotto
il mantello. “Penso però sia l’ora di
andarsene, perché ti sei trattenuto
veramente molto e l’alba è vicina.”
“Sei così poco
impegnato da avere il
tempo di pedinarmi.” Sibilò Severus, abbandonando
il suo appoggio e procedendo
verso la strada.
“Perdonami, Severus. Ero
solo curioso
di scoprire cosa avresti deciso, talvolta sai essere molto complicato
da
capire.” Spiegò Silente, stranamente attratto del
tosaerba del signor Dursley
parcheggiato accanto a delle siepi perfettamente squadrate, mentre
Severus si
allontanava.
“Immaginavo che saresti
stato
amareggiato.” Continuò il mago, una volta
raggiunto Severus. La villetta era
già alle loro spalle.
“Come ti è
sembrato il ragazzo?”
Silente era determinato ad avere
una
conversazione che lui non aveva intenzione di sostenere, gli sarebbe
bastato
trovare un posto sicuro per smaterializzarsi per sfuggirgli.
“Magrolino ed
irritante.”
“Come suo padre James,
immagino.”
“Appunto.”
Spuntò Severus, mentre la
possibilità di andarsene da lì svaniva a causa
del camion dei netturbini che
svuotava i cassonetti nel vicolo dove era apparso quella notte. Si
fermò perciò
in attesa che i babbani finissero e gli lasciassero via libera, mentre
Albus
camminava verso di lui con le mani incrociate dietro la schiena e lo
sguardo
pensieroso.
“Quindi il piccolo Harry
sembra aver
ereditato tutto dal padre.” Severus grugnì. Albus
non pareva per nulla persuaso
dalle sue parole. “Come pensi quindi di comportarti con il
ragazzo?”
“Come con qualsiasi
studente. Credi
forse che mi farò influenzare dalla grande
celebrità?” Rispose Severus aspro,
distogliendo gli occhi dalla figura del Preside. Aveva sempre il timore
che
quell’uomo potesse scrutargli l’animo se solo
avesse abbassato le difese.
“Non lo penso, ragazzo
mio, ma chi può
dirlo … potresti scoprire molto di lei in lui se ti
soffermassi ad osservarlo.”
“E perché mai
dovrei sprecare il mio
tempo in quel modo?”
“Perché gli
occhi sono lo specchio
dell’anima, Severus.”
Come quel pomeriggio Albus era
riuscito
ad intrappolarlo. Era impossibile prevedere quando il vecchio sapesse e
quando
invece fosse all’oscuro dei fatti. Era come avere a che fare
con un esperto
burattinaio che tirava i fili delle sue marionette a suo piacimento,
per poi
lasciarle al loro destino una volta che aveva ottenuto ciò
che voleva.
Possibile che non si rendesse conto
di
aver tra le mani persone di carne e sentimenti che amavano e
soffrivano, mentre
lui giocava a fare il padrone del mondo?
Con la scusa di controllare se il
vicolo, dove ancora un netturbino svuotava stancamente
l’ultimo bidone, si fosse
liberato, voltò le spalle al vecchio mago per nascondere una
smorfia di dolore
che non era stato in grado di celare.
“Hai altro da dirmi,
Severus?” Il tono
di Silente era diventato lieve, quasi dolce, come se avesse compreso di
aver
oltrepassato il limite.
“Lo fanno vivere in un
sottoscala,
Albus.” Parlò piano Severus.
“Di questo me ne
rammarico.” La
voce di Silente alle sue spalle cambiò di
nuovo, diventando amara e triste.
Forse dopo tutto qualcosa che quel
grande mago non sapeva c’era ancora …
“Avevo sperato che
accogliessero Harry
come un figlio, ma purtroppo gli uomini non sempre riescono a mettere
da parte
sciocchi asti e cattivi pregiudizi.”
Quelle parole si insinuarono nelle
ferite che quella notte aveva riaperto nella sua anima.
“Devi affidarlo a qualcun
altro.” Lily non merita questo.
“Non è
possibile, anche se la
situazione è peggio di quanto credessi. Harry deve rimanere
con i Dursley per
la sua sicurezza. Possiamo solo sperare che possieda la grande
virtù del
perdono.” Il camion dei rifiuti apparve dal vicolo con un
piccolo rombo
comprendo alcune parole di Silente, poi veloce di allontanò.
“Suppongo che in
questo momento tu voglia stare da solo.” Il professore di
pozioni si strinse
nelle spalle, sentendosi, per la prima volta dopo tanto tempo, fragile.
Si
domandò quale aspetto dovesse avere in quel momento.
“Non pentirti di stanotte.
Hai fatto la cosa giusta, Severus. Buonanotte.”
Detto ciò il mago
scomparve, lasciando
Severus con i sentimenti in subbuglio su un marciapiede vuoto e buio.
La mattina seguente Harry si
svegliò
con un forte cerchio alla testa ma cercò di far finta di
niente per non
attirare le mire maligne di Dudley e l’irritazione dei suoi
zii che era già
alle stelle per l’essere nelle stessa stanza con lui.
Stavano facendo colazione in
religioso
silenzio, quando lo scatto della cassetta delle lettere
risvegliò l’attenzione
di tutti.
“Vai a prendere
la posta, Dudley” ordinò
Vernon ancora convinto che il figlio gli avrebbe obbedito.
“Mandaci Harry”
Harry avrebbe
sbuffato se non fosse stato pericoloso.
“Vai a prendere la posta,
Harry.”
“Mandaci Dudley” si era
arrischiato a dire, con il risultato di dover evitare i colpi di
bastone di suo
cugino ed essere spedito alla porta da uno strillo di Petunia che
temeva più
per le credenze piene di orride porcellane che per la testa di suo
nipote.
Sullo zerbino Harry
trovò qualcosa che
lo stupì, insieme ad una bolletta e ad una cartolina della
sorella di suo zio Vernon
una busta dall’indirizzo bizzarro:
Signor
H. Potter
Ripostiglio
del sottoscala
Privet
Drive 4
Little
Whinging
Surrey
Chi mai poteva aver inviato una
lettera
a lui?