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Autore: BarbaraGherman    15/02/2014    0 recensioni
Tempo fa mio padre mi chiese di scrivere questa breve storia che parla di lui bambino. La conservava in un quadernone assieme ad altre piccole storie che ho scritto in base ai suoi racconti ed appunti da luis tesso dettati, ma soprattutto seguendo il suo desiderio. Ti voglio bene papà!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La nostra generazione è cresciuta onorando e rispettando valori che oggi sono posti in secondo piano.

Fin dai primi giorni di scuola, prima di cominciare le lezioni, si faceva il segno della Croce e si salutavano le più alte cariche che rappresentavano la Nostra Nazione.

La fede e l’amor di patria crescevano in noi, ogni cittadino era orgoglioso di essere italiano. Ed io mi sono sempre sentito tale.

 

Il 3 maggio 1945 avevo undici anni, vivevo a Fiume con la mia famiglia: quel giorno un popolo invasore occupò la nostra città.

Iniziarono mesi di soprusi ed angherie per la popolazione italiana, l’invasore non risparmiava nessuno.

Mio zio, don Severino Scala, che era sacerdote, subì il carcere; mio nonno morì d’infarto in seguito all’esproprio della nostra casa e delle nostre terre.

Ovunque sventolava la bandiera jugoslava, ma anche quella italiana con al centro la stella rossa.

Mi dissi: la mia bandiera non è così, non ha una stella rossa nel mezzo.

Crebbe l’astio verso quella stella, simbolo di sofferenza e di angherie, verso quell’offesa perennemente esposta ad ogni balcone.

Decisi di rimediare a quell’odiosa stortura, a quell’oltraggio imposto dall’invasore al mio Tricolore.

Di nascosto sottrassi una forbice, mi assicurai che fosse ben affilata, e, tenendola in tasca, vagai per le vie della città tagliando da ogni bandiera italiana quell’orrore rosso. Rimaneva un buco.

Dedicai parecchi mesi alle mie sortite, di giorno, di notte, ed ad ogni taglio pensavo al “piccolo tamburino” del libro “Cuore”. Ma fui visto e mio padre e mia madre furono convocati dalla Milizia slava.

Fui accusato di offesa al popolo liberatore: essendo minorenne ero esentato dal carcere, ma mi fu ordinato l’internato in un collegio di correzione a Belgrado.

I miei genitori, peraltro all’oscuro delle mie attività, uscirono disperati da quell’udienza, ma decisi a trovare un’alternativa all’internamento. Dopo notti insonni trovarono una soluzione: un amico di mio padre accettò di ospitarmi per un mese, abitava a venti chilometri da Fiume.

Una notte fui svegliato, mi fecero vestire in fretta di pesante, era gennaio. Vidi arrivare un camioncino, due uomini scendere in fretta ed allargare le tavole del pianale di carico. Mi fecero distendere nello spazio sottostante, poi richiusero le tavole e sopra vi deposero pacchi di giornali de “La voce del Popolo” che erano diretti a Trieste.

Così giunsi in Italia, ammaccato ed infreddolito, fui accolto dal Comando Inglese d’occupazione.

Pensavo alla mia famiglia lontana, al dolore procuratole con la mia impresa, ma mi sentivo ugualmente contento di aver onorato la mia bandiera.

Eppure quel buco nel bianco del Tricolore esiste ancora e vi rimarrà finché Fiume non tornerà alla Madre Patria.

Oggi ho settant'anni, la mia bandiera, quella che tengo in casa, è il Tricolore col buco nel mezzo.

  
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