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Autore: brenzo88    15/02/2014    0 recensioni
Il dramma interiore di Paolo, costretto a scegliere l'alternativa migliore ma non per questo la più facile. [questa è la prima storia originale che carico su efp, spero vi piaccia]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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– Mi sono guardato intorno, ma non ho visto nulla.

– Aspetta, sei sicuro che sia il caso di essere così…

– Sì. Per favore, non interrompermi.

– Va bene. Continua pure.

Si schiarì la gola e le idee. Riprese a parlare con la sua voce calma e persuasiva.

– Mi sono guardato intorno, ma non ho visto nulla. Era tutto buio. Sono andato in salotto, sperando che un buon libro mi aiutasse a passare la giornata. Ho frugato nella libreria, affannato e impacciato. Alla fine ho trovato qualcosa di interessante. Lentamente sono tornato indietro, fino alla poltrona. Mi sono seduto e ho appoggiato il libro sopra le mie ginocchia. C’è voluto un po’ di tempo prima che mi decidessi ad aprirlo: la cosa mi faceva sentire sempre molto a disagio, e non ero affatto sicuro che prima o poi sarei riuscito ad abituarmici. Sentivo le lancette dell’orologio appeso in camera scandire il tempo con indifferenza. Mi sono portato la mano destra alla fronte e poi giù verso la guancia, come facevo sempre nei momenti di riflessione. Questo almeno non è cambiato.

Quando ho iniziato a leggere, non ho potuto trattenere le lacrime. Ho pianto, ho pianto a dirotto come un bambino, inconsolabile. Una crisi non del tutto inaspettata. Non è stata la prima, infatti, anche se è possibile che sia stata l’ultima. Mi sono persuaso che dovevo fare qualcosa per rimediare a questa situazione. Mi hanno detto che non c’è niente da fare, ma io so che tutti si sbagliano: c’è sempre un’alternativa. Bisogna soltanto crederci. Crederci fino in fondo.

Così, dopo essermi asciugato il viso alla meglio con la manica del maglione, ho fatto un profondo respiro e mi sono messo a leggere. Credo di aver letto per almeno una mezzora, anche se a me, per la fatica che ho fatto, è sembrato un intero pomeriggio: tre, quattro, dieci pagine? Proprio non saprei. Dopo aver riposto il libro nello scaffale, urlando ho chiamato mia moglie. L’ho sentita salire le scale in fretta, preoccupata. Ho sentito anche il suo sospiro di sollievo quando le ho spiegato che in realtà non c’era niente di male. Non è facile convincerla, mi conosce da ormai quasi trent’anni, ho perso la possibilità di mentirle senza essere scoperto. Le ho urlato ancora, sebbene fossimo nella stessa stanza. Le ho urlato cose orribili, di cui mi sono vergognato; ma lei, pur sentendosi accusata, non ha smesso di parlarmi dolcemente. Mi sono alzato e le sono andato incontro, lei deve aver fatto lo stesso. Ci siamo abbracciati, il mondo è tornato bello per un istante. Poi purtroppo è dovuta tornare via. Mi ha chiesto di seguirla per aiutarla a sbrigare qualche faccenda. Ho detto che non ne avevo voglia, sebbene pensassi il contrario.

Vorrei fare una pausa, se non ti dispiace.

– Va bene. Riprendiamo quando vuoi.

Si alzarono, lamentandosi del mal di gambe. A una certa età stare per molto tempo seduti può diventare un problema. Durante quella pausa non parlarono. Gli argomenti di discussione non sarebbero certo mancati, dato che erano amici da una vita, ma parlare sarebbe stato comunque inutile. Talvolta tutto è inutile. Il tempo di fumare una sigaretta, ed entrambi si accomodarono nuovamente, uno in poltrona, l’altro su una scomoda sedia. Paolo bevve un sorso d’acqua e, dopo essersi tolto gli occhiali, tornò a parlare.

– Ci siamo?

– Un secondo… Ecco, quando vuoi, sono pronto.

– Dove eravamo arrivati?

– Quando hai detto a tua moglie di non volerla aiutare.

– Giusto.

Dopo che se ne è andata, sono rimasto ancora un poco in salotto. Non avevo più voglia di leggere, così ho acceso la radio. Da quel che so, quasi nessuno utilizza più la radio, invece io la ritengo un’invenzione ben più importante di qualunque altra. Ma questa è la mia opinione, molto probabilmente sbagliata. A forza di cercare, ho trovato una stazione che trasmetteva vecchie canzoni per nostalgici. Ho cambiato subito: quel ritmo fuori dal tempo mi faceva solo stare peggio. Al diavolo la radio, ho detto. Al diavolo tutto, ho pensato.

Ho aperto la finestra. Gli uccellini fuori cinguettavano allegramente, doveva essere senz’altro una bella giornata. Avrei voluto fare una passeggiata, spingermi oltre la città come facevo prima. Ho urlato nuovamente. Mia moglie, stavolta senza salire le scale, mi ha chiesto cosa volessi. Le ho risposto che volevo andare a camminare fuori. C’è stato un momento di silenzio. Prima che potesse dirmi qualcosa, le ho ripetuto che volevo andare fuori, ma con un tono più aspro. Volevo che si sentisse in colpa, che esplodesse. Purtroppo, niente del genere è successo. Mi ha promesso che mi avrebbe accompagnato fuori in qualunque momento avessi desiderato. Le ho detto che non volevo sentirmi un peso né volevo la sua carità. L’ho mandata al diavolo. Vacci tu a fare una passeggiata se hai voglia, le ho detto, perché a me è passata. Nuovamente il silenzio, nessuna esplosione.

È stato proprio in quel momento che ho avuto l’illuminazione. Non c’è niente di più forte dell’amore, ho pensato, convincendomene senza doverlo ripetere. Mia moglie mi ama, così come io amo lei. So con certezza che non mi lascerà mai, qualunque cosa possa dirle, per quanto in colpa possa riuscire a farla sentire e per quanto in colpa possa suo malgrado effettivamente sentirsi. Ho tentato in tutti i modi di trovare una soluzione meno dolorosa. Ho tentato, ho tentato davvero. Mi dispiace di non essere stato più forte. Mi dispiace, ho scelto l’alternativa.

Adesso lascia uno spazio bianco, va bene?

– Va bene.

La voce gli tremava. Tuttavia, dal giorno dell’incidente in poi non si era mai sentito così sicuro di sé. Doveva farlo. Doveva farlo per lei. Proseguì e finì di dettare: i dettagli, gli aspetti tecnici della lettera, elementi di secondaria importanza.

– Bene, abbiamo finito.

– Sì.

– So che non è facile, ma vorrei che tu me la rileggessi.

Paolo ascoltò nelle parole dell’amico il fluire dei propri pensieri e ricordi.

– Grazie. Sei stato davvero un buon amico. E grazie anche per non aver tentato di fermarmi o di farmi cambiare idea.

– Sarebbe stato inutile, giusto?

– Sì, inutile, te lo giuro. Non c’è niente più forte dell’amore. Coraggio, andiamo.

Come d’accordo, mano nella mano l’amico guidò Paolo verso la finestra e l’aprì. Entrambi tremavano. Non si dissero nient’altro. Mentre l’amico controllava che non ci fossero passanti, Paolo salì sul davanzale. Sentì il calore del sole. Spalancò gli occhi e si guardò intorno, senza vedere nulla. Lasciò la mano. Scelse l’alternativa.

  
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