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Autore: BurningIce    16/02/2014    4 recensioni
La caccia alle streghe, a Borgonero, infuria più che mai.
Per le ragazze che sono riuscite a sfuggire alla morte sul rogo, l'unico posto sicuro si trova sottoterra.
La Colonia ospita le presunte streghe e dona loro rifugio, ma adesso la loro segretezza è irrimediabilmente compromessa.
Troveranno la chiave del loro problema con l'arrivo di Matt, studente universitario americano, catapultato misteriosamente nel tempo e nello spazio fino al loro covo sotterraneo.
Ginevra, il capo della Colonia, e Matt scopriranno di essere stati legati dal destino fin dalla nascita.
E capiranno che, forse, quella magia a cui nemmeno le ragazze della Colonia credono esiste davvero.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piazza del Giudizio, Borgonero, 1614
 
 
 
La piazza del borgo era gremita di gente, quella sera. Uomini e donne, perlopiù vestiti di stracci, si affollavano curiosi dietro i più fortunati che detenevano i posti d’onore – ricchi commercianti e membri del consiglio cittadino, bardati nei loro abiti variopinti, in macabro contrasto con i cenci del popolo.
Una delle guardie sollevò una fiaccola proprio lì vicino, gettando ombre scure e raccapriccianti sui volti che illuminava. Le fiamme delle torce crepitavano tutt’intorno, presagio nefasto di un fuoco ben più pericoloso che si sarebbe acceso nel giro di pochi minuti.
Ragazzini che piangevano, uomini alla taverna dell’angolo che esultavano, guardie armate che pattugliavano le vie circostanti, lo sguardo vigile alla luce delle fide torce. 
Era il giorno del rogo. 
 
Le file che la precedevano si spinsero tumultuosamente in avanti quando due guardie scortarono una ragazzina che non poteva avere più di quindici anni al centro di un palchetto in legno, ai cui piedi erano stati depositati tre mucchi di rami secchi. Un edificio diroccato proiettava la sua ombra scura su gran parte della piazza, contrastando quasi il luminoso plenilunio. 
Era una sera di giugno resa ancora più calda dalle fiaccole della folla pronta ad esplodere come il mare prima di una tempesta devastante.
Ginevra si guardò nervosamente intorno. Non c’era alcuna traccia delle altre. Rischiavano di mandare a monte l’intera operazione. 
Si fece spazio tra la folla scalpitante, mentre un uomo dall’aspetto pomposo iniziava a leggere una lunga pergamena. Lo odiò dal primo momento in cui lo vide: baffi neri tagliati con la massima precisione, innumerevoli anelli d’oro e occhi porcini.
«Come stabilito dalla seicentesima legge approvata dal nostro Consiglio, in risposta alle direttive della Sacra Inquisizione…»
Ginevra superò un manipolo di marmocchi che si alzavano in punta di piedi per godersi lo spettacolo, come se fossero a un’esibizione di saltimbanchi.
«Ogni donna giudicata rea di stregoneria dal Tribunale Speciale, dovrà essere arsa al rogo per non meno di sessantasei minuti, davanti agli occhi del popolo contro cui ha tramato…»
Una donna si gettò in avanti e tentò di afferrare l’uomo per una manica, ma fu presto riportata indietro da due guardie. Ginevra capì subito che doveva trattarsi della madre della ragazzina, perché avevano gli stessi capelli biondo rame e soprattutto perché il volto della donna era intriso di autentica disperazione.
“Coraggio, compagne, la cerimonia sta quasi per iniziare…” Pensò, non cogliendo alcun segno di vita delle ragazze.

«Ergo, è mio spiacevole dovere…» L’uomo prese una torcia e la avvicinò ai rami. Era troppo tardi. «…sottoporre la qui presente sposa del Diavolo alla punizione a cui è stata condannata.»
La ragazza si agitò inutilmente: era legata da spesse corde dall’aria estremamente resistente e tenuta sotto controllo da una ventina di guardie armate. Le lacrime le solcavano il viso sporco e pallido.
«Confessi, Beatrice, figlia di Artemio, di avere avuto rapporti carnali con il Demonio e di essere stata colta in flagrante dalle tue sorelle mentre celebravi uno dei riti proibiti?»
«NO!» Urlò Beatrice, «No, vi prego! Sono innocente, lo giuro» Scoppiò a piangere, continuando a gridare con voce rotta dal pianto che lo giurava su quanto aveva di più caro. «Vi prego… vi prego!»
Cercò lo sguardo di qualcuno in particolare tra la folla, ma si rabbuiò ulteriormente non appena anche la sua ultima speranza svanì. Le sue sorelle, le sue care sorelle, che l’avevano tradita e portata al Tribunale, erano impassibili. 
Seccate, forse, ma impassibili.
«La strega mente!» Ringhiò qualcuno alle spalle di Ginevra, supportato da versi di consenso.
«Al rogo!» Esclamò una donna alla sua destra.  Era bassa, gobba e probabilmente molto invidiosa dei bei riccioli fluenti e dei lineamenti delicati della ragazza che stava per essere bruciata viva.
I rami più in basso presero fuoco. La ragazzina emise un urlo acuto e terrorizzato che non distolse l’uomo dal suo compito. Né la folla dalle urla trionfanti, colme di rabbia, e dai bisbigli pieni di paura. Un’anziana signora stava dicendo alla vicina che era una vera fortuna che il Tribunale fosse così attivo e prolifico, in quel periodo. Le creature del Demonio si moltiplicavano con una forza che nessuno avrebbe creduto possibile.
Ginevra sapeva bene che l’unica cosa a moltiplicarsi era l’ignoranza di quelle genti volgari e prive di istruzione, nonché di un intelletto degno di nota. Gli uomini attorno a lei agitarono le torce pericolosamente, rischiando di appiccare un altro incendio. Avanzò ancora di qualche metro, col cuore in gola. La piccola spada nascosta sotto la gonna lunga sembrava pesare come un'intera armatura.

Poi accadde. 
Le ragazze apparvero finalmente sul tetto dell’edificio in rovina, che un tempo doveva essere stata la cattedrale principale della cittadina. Nascoste dietro le statue alate, scoccarono le loro frecce ripetutamente e colpirono ogni bersaglio con feroce esattezza. L’uomo che reggeva la pergamena fu trafitto da una freccia proprio in mezzo al cranio e stramazzò in mezzo alle fiamme sempre più alte, contorcendosi per il dolore. Le due guardie lo seguirono a ruota, mentre le prime file si ritiravano improvvisamente, accecate dalla paura. Qualcuno scappò, qualcuno cercò di riprendere in mano la situazione, qualcun altro urlò di non allarmarsi.
Le guardie erano disorientate. Si guardavano intorno, ma non vedevano nient’altro che ombre. Spinsero con violenza qualche individuo dall’aria sospetta, poi cominciarono a controllare i tetti degli edifici circostanti, ma le ragazze sferravano i loro colpi e tornavano dietro le statue minacciose degli angeli, che puntavano il dito contro la piazza.
Il volto di una guardia si illuminò per un attimo di comprensione, ma il suo sguardo si spense per sempre l’attimo dopo.
“Minerva” Pensò. “Solo lei può essere così rapida e pronta.”
Ginevra lottò contro la corrente di persone che andavano nella direzione opposta alla sua e si diresse verso il rogo, oltrepassandolo ed entrando indisturbata nella vecchia cattedrale. Probabilmente qualcuno l’aveva vista e aveva cercato di fermarla; ancora più probabilmente era stato ucciso da una freccia il momento dopo, da una dei suoi venticinque arcieri scelti.
Scese nella cripta, agguantando una torcia che avevano apprestato i giorni precedenti. Era stato piuttosto difficile intrufolarsi nella chiesa in piena notte, senza incappare in nessuna guardia. Ma avevano studiato un piano dettagliato ed erano passate per le uniche vie sicure: sottoterra. Si precipitò nel passaggio che avevano scavato fin sotto al palchetto di legno, pregando che le pareti non cedessero, e ripose la torcia in un anello metallico decisamente meno rovinato degli altri. Le ragazze avevano pensato proprio a tutto. 
Le travi di legno sembravano precarie e minacciose, in quel momento. Ma non c’era tempo. La ragazza stava per bruciare.

Quando sbucò all’interno della costruzione in legno dovette lottare contro il fumo che appestava l’aria, rendendola irrespirabile, e contro il timore che le avessero scoperte. Non sapeva come stava procedendo quella faccenda in superficie. Per quanto le riguardava, le sue amiche potevano anche essere morte. Il legno era debole e sottile, pronto ad essere arso velocemente, ma le fiamme non erano ancora arrivate a carpirlo del tutto. Si aprì un varco nel palchetto con la spada e si arrampicò in prossimità di una trave che faceva da pilastro. Teoricamente, non avrebbe dovuto cedere sotto il suo peso. In pratica, le fiamme si presero la prima metà del palco e il pilastro cedette. Evidentemente c’era un errore di progettazione – loro, loro non l’avrebbero commesso.
Poi fece qualcosa di geniale e irragionevole. Troncò il pilastro sul quale si reggeva il palo di Beatrice e la ragazza precipitò giù, credendo di essere spacciata. In realtà si trovò in un piccolo spazio cavo invaso dal fumo. A Ginevra mancavano ormai le forze. Non riusciva a respirare, ma non poteva interrompere il recupero proprio in quel momento… mai. Tagliò anche le altre corde e afferrò la mano della sconvolta ragazzina, trascinandosi sullo sterrato e infilandosi nel buco a grandezza di diciassettenne da cui era uscita.
Qualche secondo dopo, si lasciarono cadere sul pavimento all’interno della cripta. Anche gli scheletri distesi sulla pietra sembravano figure rassicuranti, dopo aver rischiato di essere incenerite, soffocate o entrambe le cose. Ginevra chiuse gli occhi, ansante. Solo dieci secondi. Poi dovevano scappare.
«Come...» Esordì Beatrice. «Come faccio a trovarmi qui?» Le tremava ancora la voce. Ginevra si rialzò a fatica.
«Non ha importanza, adesso. Tutti credono che tu sia stata divorata dalle fiamme. Perciò faremo meglio a sparire» Sentenziò, secca. Le indicò un altro percorso sotterraneo, dalla parte opposta della cripta. La ragazza sembrava ansiosa di uscirne. Ginevra la seguì, non prima di sottrarre un anello allo scheletro più vicino all’ingresso del passaggio. Quello le sarebbe fruttato parecchio, al mercato nero.
A pochi metri di distanza, gli spettatori erano ancora un’unica voce infiammata.

 
 
*
 
 
Columbia University, New York, 2014
 
 
La voce infiammata di Kelly sussurrò parole lascive al suo orecchio, mentre Matt si chiudeva rapidamente la porta della camera alle sue spalle, ansioso di scaraventarla sul letto in fondo alla stanza. La baciò con passione, stringendole con forza i capelli, e la intrappolò contro il muro. Andava bene anche quella superficie, a pensarci bene. Kelly gli avvolse le lunghe gambe intorno alla vita e artigliò la camicia della divisa, continuando a baciarlo con trasporto.
Adorava l’università.
Scese a baciarle il collo, mentre lei sospirava di piacere – esagerata e teatrale, in fin dei conti – e le slacciò la camicetta azzurra con nonchalance. La ragazza non protestò. Era una biondina dall’aria espansiva che aveva incontrato in mensa… pochi minuti prima.
In quel momento, Feeling Good dei Muse si irradiò dalla tasca dei suoi jeans. Dannato cellulare.
«Scusa…» Ansimò. «Scusa, Kelly»
Lei alzò gli occhi al cielo, ma rimase saldamente ancorata con le gambe alla vita di Matt, che nel frattempo ringhiò parole non molto carine nei confronti della disturbatrice, alias la sua iperprotettiva, assillante e asfissiante madre.
Spense il telefono senza nemmeno prendersi la briga di ignorare la chiamata, poi lo gettò a terra a fare compagnia a un mucchio di altre cose che facevano parte della tappezzeria della stanza da parecchie settimane a causa della sua pigrizia cronica, e tornò a dedicarsi a Kelly con tutte le dovute attenzioni.

 
 
*
 

«Non può continuare così» Sbottò Ginevra. «Tra poco vivremo nella miseria. Le provviste stanno finendo e non abbiamo la più pallida idea di come procurarcene delle altre»
Le torce rischiaravano il suo viso pallido. Forse era così perché non vedeva quasi mai la luce del sole. Le più grandi del gruppo erano riunite attorno a una protuberanza di pietra che, grosso modo, poteva sembrare simile ad un tavolo. Sedevano a terra, a gambe incrociate, alcune imbronciate, alcune distratte, altre visibilmente preoccupate. Avevano decorato la stanza delle riunioni, per loro semplicemente nota come la Grotta, con alcune pelli di animali e con tessuti palesemente appartenuti a qualche abito da signora. Le poche ragazze che erano fuggite di casa ed erano capitate lì si erano portate dietro gran parte degli oggetti che occupavano la stanza: un orologio d’oro ammaccato, degli specchietti con elaborate decorazioni o semplicissimi contenitori di legno. Era il loro bottino. In un cofanetto aperto spiccava l'anello che Ginevra aveva sottratto allo scheletro la sera prima.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi fece un verso di disappunto, poi si sporse sul tavolo e sibilò:
«Noi abbiamo fatto del nostro meglio. Non è colpa nostra se la vecchia è scomparsa»
«Lavinia, un po’ di rispetto» Intervenne un'altra all’angolo più in ombra del tavolo. Aveva i capelli corti come quelli di un ragazzo e una piccola cicatrice sul sopracciglio destro. Aveva scelto di chiamarsi semplicemente Edera, alla cerimonia di Iniziazione. Diceva che le piaceva quella pianta, principalmente perché era velenosa. «la vecchia era una delle nostre poche alleate sicure» 
Si riferivano ad un’anziana signora che si occupava di erbe mediche; anche di lei, in realtà, si vociferava che fosse una strega. Aveva dato loro medicine, provviste e un sacco di altre cose utili.

«Dobbiamo tornare a rubare» Mormorò mesta una ragazzina di circa dodici anni. Era Minerva, piccola ma letale.
«Dovrei radunare le altre al più presto» Le sue amiche, tutte minute e di età non superiore ai tredici anni, erano delle ladre provette. Nemmeno le altre ragazze si fidavano molto di loro. Eppure erano state le principali responsabili del salvataggio del giorno precedente, abbattendo circa una decina di guardie.
Beatrice dormiva ancora: aveva bisogno di riposo e di tempo per metabolizzare la sua nuova condizione di emarginata.
«E quanto dureremmo? Un mese, due?» Intervenne nuovamente Lavinia. «Oh, quanto vorrei essere nata in un altro posto. E non vivere in questa topaia»
«Già» Concordò una ragazza dai lineamenti dolci vicino a lei. «Qualsiasi altro posto. Magari in un altro continente… ci pensate?»
«Gli uomini sono sciocchi e limitati in ogni angolo della terra, Francesca» Sentenziò Ginevra. «Non basterebbero trecento anni a cambiarli»
«Lo dici solo perché nessun ragazzo ti ha mai rivolto la parola» Intervenne acida un’altra. Si udirono dei risolini sparsi. 
Era Giulia, una quattordicenne altezzosa che aveva rischiato di essere bruciata proprio il giorno del suo compleanno; si era montata la testa da quando l’avevano inviata a prendere l’acqua al ruscello e un ragazzo le aveva dimostrato delle inattendibili attenzioni che poi lei aveva amplificato a dismisura e raccontato praticamente a tutto l’accampamento sotterraneo. 
E, considerando che ormai erano circa ottanta ragazze, si era data un bel da fare.
«Lo dice perché è la pura verità» Replicò Angelica, una delle fondatrici della colonia. Di angelico non aveva niente: i suoi occhi neri erano fonti inesauribili di malizia e i suoi lineamenti marcati erano spesso contratti in smorfie rabbiose. Le più piccole del gruppo avevano una paura matta di lei e della sua spada. Era la loro migliore combattente.

Subito si scatenò un dibattito. Molte ragazze credevano ancora di poter uscire dall’ombra, un giorno. Di poter vivere normalmente. Ginevra, a volte, non se la sentiva di spiegar loro che ormai erano delle reiette per il resto della loro vita. Sottoterra, ecco dov’era il loro posto. 
Lì, nei loro rifugi di pietra, tutto era sicuro.
Nessuna persecuzione. Nessuna presunta stregoneria. Nessuna sorella invidiosa che ti denunciava ai genitori.
Ben presto si arrivò all’assurdo: Lavinia sosteneva che nel giro di duecento anni le donne avrebbero finalmente preso il controllo della situazione; Francesca era convinta che bastassero quattrocento anni esatti, non uno in più, non uno in meno. Altre rilanciavano di anno in anno come ad un’asta.
Ginevra le lasciò sfogare un attimo – erano ragazze, avevano bisogno delle loro sciocchezze e dei loro piccoli litigi – ma quando si cominciò a parlare di cercare alleati tra i ragazzi del villaggio, magari rapendoli a uno a uno, capì che la situazione era degenerata.
«Ragazze!» Urlò sopra tutto quel frastuono. Nessun risultato. 
«Colonia, ordine!» Sbraitò, ma ottenne soltanto qualche occhiata infastidita. In quel momento capì che, in fondo, erano solo delle ragazzine spaurite. E che la colonia sarebbe presto stata distrutta, in un modo o nell’altro.
 
 
*
 

Matt sbatté le palpebre un paio di volte prima di svegliarsi del tutto. Era buio, lì dentro, eppure ricordava di aver lasciato la finestra aperta. Scosse la testa e cercò di tornare a dormire, ma notò che qualcosa non andava. L’odore… l’odore che sentiva non era quello della sua stanza. Pessimo, certo, ma non da camera distrutta da uno studente al primo anno del college. Era come… come trovarsi all’interno di una grotta. Sottoterra. Stava sicuramente sognando. Si alzò a sedere e cercò di distinguere qualcosa nell’oscurità. Poi si ricordò che nel ventunesimo secolo esisteva la luce artificiale – il suo cervello era di una lentezza esasperante, appena sveglio – e cercò l’interruttore sulla parete alla sua sinistra. Solo che non c’era nessun interruttore. E nessuna parete. Solo… pietra. Cominciò ad agitarsi. Se quello era un sogno, era dannatamente realistico e spiacevole. Desiderò ardentemente qualcosa che facesse luce sulla stanza e sulla vicenda e il suo desiderio fu esaudito nel giro di pochi attimi.
Da un telo non molto distante, fece capolino la testa di una ragazza all’incirca della sua età, illuminata dalla luce di una torcia. Solo che Kelly non andava spesso in giro trascinandosi dietro torce accese. Non indossava abiti… medievali, forse, o qualcosa del genere.
E, dettaglio ancor più importante, quella decisamente non era la ragazza che quella notte aveva dormito nel suo letto. 



Ciao ragazze (e ragazzi, se ce ne sono)! Eccomi tornata con questa specie di cosa strana... non so da dove mi sia uscita in realtà! Spero soltanto che vi piaccia, ci tengo molto ai miei due protagonisti, sapete? Si sono materializzati così, dal nulla, e li ho amati da subito. Spero lo farete anche voi. Come avrete capito, la Colonia è un gruppo di ragazze che sono riuscite a sfuggire alle persecuzioni. Non sono vere streghe - forse - ma ragazze particolarmente dotate che, mal sopportate da una comunità chiusa e maschilista, vengono costrette alla fuga. Beh, ahimé, oggi non è cambiato niente, mi sa! Certo, non veniamo bruciate al rogo... ma siam lì per lì. Dopo questo pessimismo, vi lascio! Un bacio, -Iv.
  
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