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Autore: Lechatvert    16/02/2014    1 recensioni
L’Inghilterra ha gli occhi gonfi di lacrime e i capelli spettinati di chi ha passato ore a disperarsi rannicchiato nell’angolo di una stanza. Odora di sale e polvere, ma il suo orgoglio da Lord le garantisce comunque un aspetto più che dignitoso. Perché lei è forte, perché Elisabetta l’ha sempre voluta così.
| 24 marzo 1603 • Morte di Elisabetta I d'Inghilterra |
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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boh
Il 24 marzo 1603, a Richmond Palace si spense la buona Elisabetta I. Con lei, appassì il fiore di cultura che era sbocciato nel suo regno e aveva visto geni come Shakespeare e Bacone nei panni dei suoi protagonisti.
Ho voluto rendere omaggio a questa meravigliosa era con un piccolo scritto, per altro vecchio di secoli e che già una volta è apparso su questo sito. Spero vogliate perdonarmi la ridondanza.
Ultima cosa: lo so, lo so che Inghilterra andrebbe nonimato senza l'articolo davanti, ma ... chiamiamola licenza poetica. Solitamente non lo faccio, stavolta mi sono presa questa piccola libertà. E' che mi suonava meglio.
Buona lettura :)




Amava la Luna

https://www.youtube.com/watch?v=6zfu_G5eczo





Compagne nel trono e nella tomba, qui noi due sorelle,
Elisabetta e Maria, riposiamo, nella speranza di un'unica resurrezione.



La buona regina Bess alza lievemente il capo dal cuscino di velluto su cui riposa, scrutando con occhi attenti la folla che nell’oscurità aspetta con il fiato sospeso la fine del Regno. Crede di conoscerli, i contadini e le massaie che non osano nemmeno respirare tanta è l’ansia dell’attesa. Volti duri, marcati dal lavoro e dalla fatica, ma anche dalle gioie, dai piccoli piaceri che la quotidianità regala a chi li sa cogliere, dalla speranza e dal coraggio di andare avanti nonostante le difficoltà.
Elisabetta lo desidera tutto per sé, quel coraggio; lo vuole, lo pretende, ne ha bisogno per vivere. Per vivere dove? Quella domanda logora la sua anima da settimane. Parole vane, rassicuranti, forse, ma comunque pochi fatti, monologhi per parlare al vento, nemici e amici che sembrano diventare tutt’uno dietro la maschera dell’ipocrisia.
Sorride, la Regina Vergine, tornando a guardare verso il bordo del suo bel letto a baldacchino, dove dame e cavalieri le danzano intorno, scalzi, intonando la silenziosa melodia di un assurdo girotondo. I volti scuri coperti da maschere, da cuffie di pizzo e colletti di velluto, da sciabole e cappelli. Ogni ballerino intorno a lei sembra sorriderle, socchiudendo gli occhi con il ghigno perverso che il cerone dipinge sulle labbra degli attori. Cantano, ridono in silenzio, i loro passi leggeri sembrano sfiorare appena le assi del pavimento. Il ritmo della nenia che le maschere seguono è lento, musicale, accompagnato con eleganza dai sospiri del popolo al di là delle vetrate.
Elisabetta segue con sguardo attento quell’assurdo teatro, senza lasciarsi sfuggire un solo passo, battendo con grazia le mani ad ogni giravolta che i ballerini fanno fare alle loro compagne.
Uno di loro ama la Luna; la continua a spiare con discrezione dalle finestre della stanza, pur seguendo la danza dei suoi compagni. Sembra avere più riguardi per quello spicchio di cielo bianco che per la sua dama, giovane e agghindata nei pizzi e nei merletti scuri della più sontuosa nobiltà.
La regina li invidia. Sdraiata tra quelle coperte non riesce a sporgersi abbastanza per vedere il cielo scuro e tenebroso della primavera di Londra.
La porta si apre all’improvviso, spezzando l’armonia del girotondo delle maschere, che spariscono all’istante così come sono apparse.
«Elisabetta, mi avete fatto chiamare?»
L’Inghilterra ha gli occhi gonfi di lacrime e i capelli spettinati di chi ha passato ore a disperarsi rannicchiato nell’angolo di una stanza. Odora di sale e polvere, ma il suo orgoglio da Lord le garantisce comunque un aspetto più che dignitoso. Perché lei è forte, perché Elisabetta l’ha sempre voluta così.
Si avvicina preoccupata al letto, inginocchiandosi non appena è abbastanza vicina per prendere la mano della sovrana e sfiorarla con le labbra.
Elisabetta le scocca un’occhiata stanca. Se la sua nazione non ha il coraggio di guardarla negli occhi, lei non ha quello di rispondere alle sue domande.
«Chiamatemi un prete: ho intenzione di morire.»
«Non è ancora la vostra ora, signora. Vi rimetterete.»
Mente, quel ragazzo che finge di essere uomo, quel Paese che gioca a essere mondo, e la buona regina non stenta a capirlo. Dietro quel tono placido e rilassato si cela l’agonia e l’angoscia, ma l’Inghilterra è troppo ingenuamente boriosa per lasciar trapelare emozioni simili. È troppo inglese perché certi sentimenti si manifestino sul suo volto.
La vecchia Elisabetta annuisce piano, distratta dal vessante pensiero della danza delle maschere. A pensarci bene, l’Inghilterra è un po’ come quella che amava la Luna più della sua dama.
Guarda la sua patria respirando appena, studiandone ogni particolare come una madre osserva il figlio, soddisfatta di come l’ha curata. I bei lineamenti del volto, lo sguardo grave e il portamento fiero, la decisione con cui nasconde i suoi sentimenti; Elisabetta è fiera del suo regno.
E appunto perché è fiera della sua bella Inghilterra, decide di chiudere gli occhi e addormentarsi. Sogna, la buona regina Bess, sogna di tempi migliori, di coraggio, di risate e dei raggi solari che le carezzano delicatamente il viso. Ode anche un pianto lontano,  il singhiozzare sommesso di chi è troppo forte per permettere che le lacrime gli solchino il viso, ma nonostante tutto non apre gli occhi.
Elisabetta muore così, adagiando il capo sul cuscino di velluto da cui la danza delle maschere l’aveva destata.
E l’Inghilterra?
L’Inghilterra si alza dal letto di morte della sua regina, muove qualche debole passo verso il balcone che da sulla folla, appoggia la mano sul vetro gelido e alza lo sguardo al cielo buio di Londra. Non una stella, non una luce.
Soltanto la falce argentata che sente di amare.
Osservandone la maestosità, all’improvviso, tutto le pare chiaro.
«Già», mormora, con un sorriso sereno che a poco a poco le illumina il viso stanco provato dal dolore. «Lei amava la Luna.»



   
 
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