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Autore: Inheritance    16/02/2014    2 recensioni
Odiava i matrimoni, Sherlock, senza alcuna eccezione.
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Minimini OS. E' la mia prima ff in questo fandom, ansia. Spero vi piaccia
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E' la mia prima ff in questo fandom, quindi boh...sono parecchio insicura. In ogni caso, è una cosa molto piccola e nata un po' per scherzo lol
Spero vi piaccia. 

Alla mia Crilla, che sa sempre, e non so spiegarmi come, regalarmi un sorriso, 
Her. <3 



Senza alcuna eccezione.




Entrambi vennero con un grido. Quello di Sherlock più acuto, come di solito; quello di John smorzato, come di solito. 
Le braccia del biondo cedettero ed il suo corpo ormai privo di forze atterrò su quello del detective, provocando un preoccupante cigolio della rete del letto. 
Poi, John si lasciò scivolare fuori dall'altro e si rilassò cambiando la sua posizione in una sorta di abbraccio, metà del corpo a sovrastare quello di Sherlock, l'altra metà stretta fra lui e il muro freddo. 
Restarono in silenzio diversi minuti, mentre con l'orecchio poggiato sul petto del più alto cercava di allineare il proprio respiro coi battiti del suo cuore. 
Alla fine chiese:

"Vuoi sposarmi, Sherlock?" 

E sentì un braccio dell'altro sollevarsi e andarsi a posizionare dietro la sua schiena, stringendo il suo corpo accaldato contro il proprio. 

"No."

Disse. 
E lo disse perché Sherlock non credeva nel matrimonio, in un'istituzione completamente falsa e priva di significato, inutile testimonianza di un sentimento che egli stesso non aveva mai esitato a definire illogico. E, sebbene in quel momento della sua vita la sua concezione dell'amore fosse nettamente differente da quanto aveva dichiarato in passato, la sua opinione a proposito del matrimonio non era affatto mutata. Restava l'inutile testimonianza di qualcosa che, se vero, non aveva bisogno di alcuna prova scritta nè tantomeno di celebrazione. 

Odiava i matrimoni, Sherlock, senza alcuna eccezione. 

Odiava anche che John glielo avesse chiesto, pur sapendo esattamente quale sarebbe stata la sua reazione. Odiava che John gli ponesse quella stessa identica domanda ogni giorno da un anno a quella parte, pur sapendo ogni singola volta quale sarebbe stata la sua risposta. 
Odiava soprattutto, Sherlock, la consapevolezza che prima o poi, in un momento di stanchezza delle sue sempre troppo attive facoltà mentali  o in uno di orribile astinenza dalle sue precedenti abitudini autodistruttive, avrebbe risposto di sì. 



Quando quel giorno arrivò non fu esattamente come se lo era figurato. 
Non era stanco, non era provato dalla mancanza di sonno o cibo, e non era, sotto alcun aspetto, vittima di una crisi di astinenza. 
Era solo, se tale espressione possa davvero essere utilizzata per descrivere uno stato reale della condizione di un essere umano, felice. 
Era nel bel mezzo delle indagini per un caso. Una roba grossa, si diceva in giro; uno da sette e mezzo, avrebbe detto lui, ma sarebbe potuto benissimo  diventare un otto in un futuro assai prossimo. Aveva trascorso gli ultimi venti minuti seduto in poltrona a rigirarsi tra le mani una pallina anti stress di gomma mentre fissava la parete cercando di collegare gli indizi che lo avrebbero portato al prossimo pezzo del puzzle. 
Quando ci riuscì, quando anche l'ultimo frammento di informazione scivolò al proprio posto nella sua mappa, si alzò in piedi con un sorriso soddisfatto in volto ed un'esclamazione di giubilo, prima di afferrare per le spalle John, lievemente appisolato sulla poltrona di fronte, e schioccargli un rumoroso bacio sulle labbra. 
L'uomo aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre e, improvvisamente consapevole dell'espressione vittoriosa sul volto del compagno, mutò l'espressione in un ghigno malizioso, prima di chiedere con tono innocente:

"Vuoi sposarmi, Sherlock?" 

 E Sherlock rispose sì quella volta, perché era felice. Ed era felice non perché avesse ancora addosso l'adrenalina per la risoluzione di un enigma, non solo per quello perlomeno, ma perché si trovava nell'appartamento che amava, svolgendo il lavoro che amava a tal punto da esserselo creato da solo, a pochi centimetri dall'uomo che amava, e mai prima di quel momento aveva pensato a quanto tutto questo fosse importante per lui e quanto la sua vita sarebbe stata vuota se non avesse avuto tutto ciò. 
Pensò, poi, nei pochi secondi necessari a John per porre la domanda, che se quello...se un matrimonio fosse altrettanto importante per John, allora glielo avrebbe dato. 
Quasi fece difficoltà a pentirsene, quando John lo baciò. 



Odiava i matrimoni, Sherlock, senza alcuna eccezione. Nemmeno la propria.
 
Odiava essere costretto in quella chiesa quando poteva essere da qualche parte a fare qualcosa di gran lunga più mentalmente stimolante. 
Odiava essere stato  costretto l'intera mattinata lontano da John, quando avrebbero potuto benissimo svegliarsi assieme nello stesso letto e dedicarsi a qualcosa di gran lunga più '
fisicamente stimolante. 
Odiava essere circondato da così tante persone, che poi così tante nemmeno erano. Ma c'era Mycroft fra loro, e ciò in qualche modo sembrava diminuire esponenzialmente il livello di sopportazione di Sherlock. 
L'unica cosa che probabilmente al momento non stava sortendo alcun effetto deleterio sulla sua mente era l'idea che tra pochi attimi John sarebbe arrivato. E poi si sarebbero sposati. E John lo avrebbe baciato e molto probabilmente, quasi sicuramente, avrebbe poggiato la testa sulla sua spalla e avrebbe sussurrato: "Grazie." 
Perché erano cose che a John piacevano, quelle: i matrimoni, le belle parole e i baci. 
Non era neanche questione di romanticheria, la sua. Era più probabilmente tutta una derivazione del suo essere un uomo "all'antica", di quelli con sani valori, di quelli che vanno a sparare e farsi sparare in terre lontane per il bene della patria, di quelli che scelgono di esercitare il mestiere del medico, per aiutare le persone. 

Ad ogni modo, comunque, Sherlock riuscì durante l'intera giornata a trattenersi dall'urlare o dallo scappare via e non poté fare a meno di essere fiero di questa sua conquista quando John, quella sera, decise di mostrargli in quanti modi diversi potesse essere possibile esprimere la propria gratitudine. 

Si trovarono di nuovo abbracciati, alla fine, con John per metà sopra Sherlock e per metà stretto fra lui e la parete ormai non così fredda della stanza. 
Era il mese di Maggio, perché c'era questo detto che dice che i matrimoni vanno celebrati in Primavera. Qualcosa che c'entra con lo sbocciare dei fiori e dell'amore. 
Niente che Sherlock reputasse interessante, in ogni caso. 
John sorrise sul suo petto e disse: 

"Siamo sposati." 

E il detective non riuscì neanche a rimproverarlo per l'ovvietà della sua affermazione. Non era convinto, tuttavia,  che essa richiedesse una risposta di qualche genere, perciò rimase in silenzio per un po'. 
Alla fine, però, quando entrambi si trovavano già semi addormentati, con le palpebre socchiuse e gli arti rilassati, disse:

"Ti amo." 

Perché quello, l'amore, era una cosa che reputava futile ed irrazionale, al pari del matrimonio, ma, in entrambi i casi e per colpa della stessa persona, non era riuscito a sottrarvisi. 

Odiava davvero i matrimoni, Sherlock, senza alcuna eccezione. Tranne, forse, la propria.
  
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