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Autore: Crystallic Rain    17/02/2014    2 recensioni
Mezzo addormentato, John dice a Sherlock di amarlo, così quest'ultimo cerca di trovare il modo per sentirselo dire di nuovo..
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Enjoy, Ronnie. 

Link al capitolo originale: 
https://www.fanfiction.net/s/9931752/1/Words-Are-Not-My-Strength

 

 





I’m aware that the world sees me as a strange,
but never once have you wanted me to change;
you take me as I am..
 
I’ve grown to finally under stand
That someone could love me as I am
And I can finally be
Free.
[‘Free’, Stuart Matthew Price]
 
 
Era confortevole, questo. Anche con il dubbio che il sonno sarebbe potuto arrivare, e con la consapevolezza che sarebbe scivolato fuori dal letto a un orario impossibile, la mattina successiva, lasciando un comprensivo John a sonnecchiare nelle coperte aggrovigliate. Ancora, era un rituale a cui Sherlock non dispiaceva prender parte, questo stringersi l’un l’altro dopo l’orgasmo e sonnecchiare fino a che John non fosse stato preso dal sonno. Sherlock aveva perfettamente calcolato il tempo preciso in cui il respiro di John si appianava, momento in cui poteva districarsi dalla stretta dell’altro senza svegliarlo.
 
Era approssimativamente arrivato a contare il numero duecento tredici, quando John sospirò felicemente, seppellendo il suo naso ancor più profondamente nei ricci dell’altro.
 
“Mhh,” canticchiò, e Sherlock poté sentire il sorriso sulle sue labbra, pressate contro il cuoio capelluto. “Ti amo, Sh’lock.”
 
Immediatamente, Sherlock si congelò. Aprì gli occhi, guardando John nell’oscurità. Deglutì, il cuore che martellava, mentre cercava di capire come avrebbe agito.
 
 John aveva detto che lo amava. Certo, questo non era il tipo di cose per cui John avrebbe potuto mentire. Ancora in quella che poteva essere tecnicamente considerata ‘foschia post-orgasmica’, cercò di ritrovare la ragione e, ancora mezzo addormentato, senza considerare il fatto che lui era il passivo, Sherlock pensò che quelle parole andassero considerate cautamente, recepite con moderazione.
 
Realizzò, quindi, che era rimasto in silenzio, rimuginando sulle cose per parecchi minuti, e non aveva più idea di dove fosse arrivato nel suo conteggio del non-svegliare-John. I suoi dati erano ora imprecisi, incerti sulle probabilità di John di essere almeno semi conscio, mentre diceva quello che aveva detto e ora, incerto sul rispondere oppure no.
 
Non aveva importanza quello che avrebbe potuto prendere in considerazione come risposta.
 
Un piccolo test era d’obbligo.
 
“John?” mormorò, abbastanza tranquillo che il suo partner non lo avrebbe notato, se fosse stato effettivamente addormentato.
John non rispose, e Sherlock emise un piccolo sospiro. Non poteva fare niente, allora. Non fino al mattino successivo. Almeno, stabilì ironicamente, questo gli dava il tempo di formulare opportunamente un piano d’azione..
 
 
 
 
“Mmh.. sei rimasto tutta la notte?” chiese John assonnato, e Sherlock sbatté le palpebre in risposta.
Ah. Sì. Mattino. Era stato troppo impegnato, per notarlo.
 
“Hai dormito?” chiese John, tirandosi l’altro più vicino.
“No,” mormorò Sherlock. John emise un piccolo suono di disappunto, ma l’argomento fu, come al solito, fatto cadere. Invece, posò fermamente una mano alla base della schiena di Sherlock, reggendolo e tenendolo fermo, mentre l’altra mano andò ad accarezzargli i grovigli scuri, le dita che scendevano fino al suo orecchio, e poi la guancia e la curva del collo, per poi fare un piccolo giro prima di riprendere il loro viaggio nuovamente sui capelli, ricominciando il ciclo. Sherlock rabbrividì e gemette, fissando mentalmente la sensazione, e la prese come un incentivo a passare di nuovo tutta la notte con John, fino al suo risveglio o, almeno, a ritornare a letto prima che si svegliasse. Questo livello di affetto era accettabile: sensuali ma pigri tocchi. Sì, questo sarebbe rimasto.
 
Quello, quindi, sarebbe stato un buon momento per ricambiare la confessione di John della sera prima.
 
“John?”
“Mmh?”
 
Sherlock lo guardò in viso, mentre questi continuava ad accarezzargli la pelle, e non poté fare a meno che provare piacere per il modo in cui gentili scintille di elettricità lo scuotevano mentre John lo faceva, scintille che partivano dalle dita dell’altro e attraversavano tutto il suo corpo.
 
“Io..”
 
Ma cosa avrebbe potuto dire? Sì, era abbastanza soddisfatto della sua abilità di affermare fatti ovvi senza mezzi termini, di parlare di qualsiasi cosa lui volesse senza nessun riguardo per le conseguenze.
 
Ma questo era diverso.
 
Sentimenti.
 
“Sì, Sherlock?”
 
Era quindi necessario un approccio diverso. Aveva bisogno che John lo dicesse un’altra volta. Quindi sarebbe stato logico, e avrebbe semplicemente accelerato le cose. Avrebbe fatto a sua volta la sua confessione. Sicuramente, era solo questione di tempo, prima che lo dicesse di nuovo. Avrebbe soltanto ridotto i tempi, per far credere a John che un’ammissione del genere fosse appropriata. Che cosa facevano le persone in questi casi?
 
“Mi stavo semplicemente domandando se volessi del the, prima di dover andare in ambulatorio,” disse quindi.
 
La mano di John si fermò, e questi lo guardò dritto negli occhi. “Ti stai offrendo?” chiese cautamente.
 
“Certo,” rispose, lievemente offeso.
 
“Beh, mi stavo solo accertando che questo non fosse un  ‘prendilo, perché ne voglio una tazza anche io’, ma se sei sicuro, sì. Mi piacerebbe.” Disse ghignando.
 
Sherlock sorrise in risposta. Per un breve momento rimpianse di essersi offerto, visto che questo significava sottrarsi a quella vicinanza, ma pensò che, in fin dei conti, poteva potenzialmente essere un più vantaggioso e appagante risultato, se avesse avuto successo con la sua missione.
 
Poco dopo, John lo raggiunse in cucina, già lavato e vestito. Sherlock gli mise la tazza tra le mani.
 
John aprì la bocca per parlare, un po’ diffidente e scettico, ma Sherlock lo zittì.
 
“Niente zucchero, solo una goccia di latte,” lo rassicurò.
 
“Proprio come piace a me,” rispose l’altro impressionato.
 
“Naturalmente.” disse facendo uscire quel commento a forza, e prendendo la sua tazza. Quindi guardò John, in attesa. Questi prese un sorso e alzò un sopracciglio, sorpreso.
 
“E’ buono,” disse preso alla sprovvista, l’espressione del volto mite e attonita. “Davvero buono. Perché non lo fai più spesso, allora?”
 
Sherlock si fermò prima di rispondere, come al solito, ‘noioso’, in favore di un semplice verso, che non esprimesse nessun tipo di commento, e che non avrebbe sprigionato nessun tipo di inconvenienza. A questo, John sembrò placarsi e, poco dopo finì di bere il suo the e prese la tazza dal manico per sciacquarla brevemente, quindi la lasciò lì per lavarla come si deve una volta essere tornato.
 
“Ci vediamo dopo, quindi,” disse, girandosi verso Sherlock. “Cerca di non far saltare in aria l’appartamento, mentre non ci sono, okay?” sorrise scherzosamente, sporgendosi poi per dare all’altro un veloce bacio sulle labbra.
 
“Sarà ancora tutta intera, quando tornerai,” lo rassicurò Sherlock, ottenendo soltanto un sopracciglio alzato da parte dell’altro, probabilmente dovuto alla mancanza di una risposta sfacciata, o un casuale ‘nessuna promessa’. Tuttavia, John non rispose. Prese semplicemente il giubbotto e lasciò l’appartamento.
 
Una volta che fu uscito, Sherlock aggrottò le sopracciglia. Il the, evidentemente, non era sufficiente, e nemmeno le risposte più educate. Diede una rapida occhiata al suo orologio. Aveva approssimativamente otto ore e quattordici minuti per fare il suo gioco. Meglio cominciare presto che tardi, suppose quindi, se voleva davvero impressionare John.
 
 
 
 
Quando John tornò quella sera, come al solito alle sei e ventidue, Sherlock era immensamente soddisfatto delle vista che avrebbe accolto l’altro uomo.
 
Tutti i suoi esperimenti erano stati ripuliti dalla cucina, le apparecchiature, confinate in quella che ora era ‘la camera da letto in più’, ma che prima era il posto dove si supponeva Sherlock facesse i suoi esperimenti. (Il che, in parte era una richiesta di John, visto che la cucina era fatta per il cibo, e sostanze chimiche potenzialmente pericolose non si mischiano bene con questo concetto).
 
Aveva anche lavato il bancone della cucina e il tavolo con il disinfettante, raccolto e lavato tutte le tazze sporche disseminate per l’appartamento, e aveva fatto il bucato, o meglio, aveva insistito perché la signora Hudson facesse il bucato, ma non appena aveva puntualizzato che tutto questo era per far piacere a John, lei aveva accettato di buon grado con un sospiro e un mormorato ‘voi, stupidi uomini’.
 
Stava giusto finendo di preparare la cena quando John raggiunse la cima delle scale. Ci fu una pausa nella sua salita. Doveva, quindi, essere arrivando nel soggiorno pulito. Ascoltò come i passi continuassero in direzione della cucina.
 
“Tu hai cucinato?!” chiese a Sherlock, incapace di nascondere la sorpresa nella sua voce.
 
“E’ un semplice piatto di pasta alla Bolognese,” disse Sherlock, con tono dimesso.
 
“Sì, ma, beh, hai cucinato tutto tu, non è vero?” chiese lui, e Sherlock annuì.
 
“E..?”
 
“E sono impressionato,” continuò John. “Questa mattina mi hai fatto il the, e adesso mi stai preparando la cena. Non sapevo neanche se sapessi cucinare. La montagna di take away che compriamo dice altrimenti.”
 
“E’ semplice chimica,” rispose Sherlock, ponendo la pasta e il sugo in un piatto, mettendoci poi sopra del formaggio. Si girò e porse il piatto a John.
 
“Grazie,” mormorò lui, prendendo il piatto e ponendolo a tavola. “E hai pulito anche questo,” puntualizzò. “Questo è.. fantastico, da parte tua. Grazie.”
 
Sherlock annuì, mentre si serviva una porzione di pasta, anche se era un po’ più piccola di quella che aveva dato a John. Non si sentiva poi così affamato, ma non stava risolvendo un caso, e a John sembrava piacere quando mangiava con lui. Spense il gas e si sedette a tavola, di fronte al posto di John, mentre quest’ultimo prendeva due bicchieri dal mobile.
 
“Solo acqua, per te?” chiese.
 
“Sì, grazie,” disse Sherlock, e John prese una bottiglia d’acqua dal frigorifero, versandola per lui.
 
Poggiò il bicchiere di fronte a Sherlock, quindi tornò davanti al frigo e prese una bottiglia di vino economico comprata da Tesco, permettendosi un piccolo bicchiere. Rimise l’acqua e il vino nel frigorifero, quindi si sedette.
 
Sherlock lo guardò con aspettativa mentre assaggiava il primo boccone e, di nuovo, il sopracciglio dell’altro si inarcò attonito. “Questa è.. wow. È fantastica, Sherlock,” disse poi.
 
Sherlock scrollò le spalle, mezzo intenerito dal complimento, e mangiò anche lui un boccone. Non voleva che il suo volto lo tradisse e mostrasse quanto davvero fosse compiaciuto, per quelle parole.
 
La successiva mezzora fu riempita da chiacchiere leggere sulla giornata di John, anche se, a quel punto, entrambi sapevano benissimo che Sherlock avrebbe facilmente potuto dedurre tutto quello che era successo durante uno dei suoi turni, ma per qualche ragione, a John piaceva raccontarglielo. Qualcosa a che fare con i sentimenti e la vita domestica, supponeva. Ma se rendeva John felice, allora Sherlock lo costrinse a farlo.
 
Quindi Sherlock lavò piatti e pentole, mentre John riponeva gli avanzi, felice di poter portarsi dietro qualcosa per il pranzo del giorno successivo, invece di correre fuori durante la pausa.
 
Quando ebbe finito, apparve alle spalle di Sherlock, che era ancora davanti al lavello, e gli diede un bacio su una guancia.
 
“Grazie, di nuovo,” disse. “E’ stata davvero una bella sorpresa.”
 
Sherlock canticchiò in risposta, mente chiudeva il rubinetto e asciugava i piatti rimasti, mettendoli poi da parte. Non appena si fu girato, John ne approfittò per  sollevarsi, data l’altezza dell’altro, e lo baciò sulle labbra. Sherlock rispose velocemente, le sue mani che si posizionavano sulla vita di John e se lo tiravano istintivamente più vicino. Era così dolce, e sapeva di sugo alla Bolognese e vino economico, e qualcos’altro, che era senza ombra di dubbio John, senza una ragione precisa.
 
Dopo un po’, John si fece indietro sorridendogli e, per un breve momento. Sherlock seppe che sarebbe stato quello il momento.
 
“Che ne dici di qualche stupido programma in TV?” chiese John. “Posso fare il the e prendere dei biscotti.”
 
Ma, Sherlock ricordò a sé stesso, anche lui sbagliava, all’occasione.
 
“Prendo una coperta,” disse in risposta, e il sorriso di John si aprì nel suo bellissimo sorriso a labbra dischiuse, quello così spontaneo che, Sherlock sapeva, non sarebbe mai stato in grado di fingere, anche se lo avesse voluto. Quindi, ragionò, anche se John non aveva detto quelle parole, stava comunque facendo progressi.
 
 
 
 
Tuttavia, mentre i giorni passavano, Sherlock si ritrovò ad essere sempre più frustrato. Era, a quel punto, a corto di idee, per quanto riguardava trovare altri modi con cui avrebbe potuto convincere John a fare la sua confessione.
 
Notò anche che, mentre John era ancora felice per le cose che Sherlock faceva, sembrava anche che stesse diventando sospettoso. Quindi, difficilmente fu sorpreso quando John si fermò davanti alla cucina, dove aveva trovato dei biscotti fatti in casa.
 
“Che sta succedendo?” chiese John, e Sherlock si girò verso di lui. “Intendo, non che io non apprezzi tutto questo,” si affrettò a chiarire. “Fai del the buonissimo, e la tua cucina è molto meglio del take away, e avere un posto dove mangiare, beh, è fantastico, ma..”
 
“Ma?”
 
“Non lo so,” sospirò John. “Intendo, tu non fai queste cose, di solito. Mi sembra come.. non lo so. Tu non stai per dirmi qualche cattiva notizia, vero?” disse avvicinandosi a Sherlock, un paio di passi avanti dentro la cucina, invece di continuare a stare sulla soglia. “Sono abbastanza certo che tu non voglia troncare le cose, quindi cosa? Stai facendo un esperimento di nascosto che io non approverei, e non vuoi che io lo sappia? O Greg ti ha tagliato fuori da i casi per un po’? Oppure, oh Dio, la signora Hudson non ci sta buttando fuori, vero?”
 
“No,” rispose Sherlock.
 
“E allora che cos’è?” chiese John. “Lo apprezzo, Sherlock, davvero, ma.. solo dimmi che cosa sta succedendo, perché mi sento perso.”
 
Sherlock emise un suono frustrato, piantando fermamente le mani sul bancone. “Voglio solo che tu lo dica di nuovo!” disse forzatamente, e John alzò un sopracciglio.
 
“Dire cosa?” chiese, lo stupore totale inciso sui suoi lineamenti. “Che cosa ho detto?”
 
Sherlock sospirò, afferrandosi i capelli con entrambe le mani, per poi lasciarle nuovamente cadere sul bancone per un momento, prima di girarsi completamente verso John.
 
“Sei notti fa,” chiarì Sherlock con la veloce, reale voce con cui solitamente indicava le sue deduzioni. “Tu ti stavi addormentando, quando hai detto.. qualcosa, e io non sono stato capace di dire qualsiasi cosa intendessi o no dire. Ho cercato..” la voce impostata ora era sparita, e l’impazienza si insinuò nel suo tono. “Di ricreare il momento favorevole in cui ti saresti convinto a dirlo di nuovo. Quindi ho pulito, ho cucinato, ho anche tolto tutte le parti del corpo dal frigo e ho comprato il latte. Ma ancora, tu non me lo dici!”
 
John si schiarì leggermente la gola. “Sherlock, che cosa ho detto?” chiese, la voce leggermene preoccupata.
 
Sherlock raddrizzò le spalle. “Hai detto di amarmi.”
 
Le guance di John si colorarono. “Oh,” disse incerto. Di nuovo, si schiarì la gola, mordendosi il labbro nervosamente. “Io.. Sherlock, io.. io non intendevo.. lo sai..”
 
Oh.” Quelle parole colpirono Sherlock duramente. Quindi lui non aveva intenzione di dirglielo. Era molto peggio di quanto avesse pensato. Sollevò leggermente il mento, sperando che, per una volta, John non lo avrebbe letto come un libro aperto, anche se sapeva che lo avrebbe fatto. Quello era John, e John lo conosceva.
 
Avrebbe posto uno spazio tra loro, quindi, fino a che non avesse potuto modificare adeguatamente le cose nella sua testa, razionalizzare tutto quello con la logica, perché i sentimenti erano semplicemente così inutili quanto aveva pensato all’inizio. “Bene.” Fece per andare in salotto, ma John lo afferrò per il bicipite con entrambe le mani.
 
“No, no, no,” si affrettò a dire. “Non è che.. Voglio dire che non intendevo dirtelo così,” chiarì. “Sai, mezzo addormentato e dopo.. uhm..”
 
“Dopo il sesso.”
 
“Sì, dopo il sesso,” disse annuendo. “Non avrei voluto farlo normalmente. Non che questo abbia importanza, per te, ma cerco, generalmente, di essere un po’ romantico, o almeno dolce, o intimo, o qualcosa. Non quando sono mezzo addormentato.” La sua lingua schizzò fuori a bagnarsi le labbra.
 
“Ma questo non significa che non sia vero.” Sorrise di un sorriso, sempre bellissimo, ma forzato, nervoso, a labbra strette. “E tu non hai bisogno di pulire  l’appartamento o prepararmi la cena, o il the, per farmi dire che ti amo. Perché questo non sei tu, e in entrambi i casi, che ci siano o no delle dita dei piedi nel frigo, è vero. È così.” Prese un respiro profondo con il naso. “Amo te, Sherlock.”
 
Sherlock lo fissò per un momento, la sua mente che provava a processare interamente le sue parole.
John non poté impedirsi una piccola risata. “Volevi sentirtelo dire, sì?”
 
“Sì,” disse piano. “Sì. Sì, lo volevo.”
 
“Bene,” disse John, e si sollevò per baciarlo.
 
E fu allora che la realtà della situazione e tutti i suoi dettagli e implicazioni colpirono Sherlock.
 
John lo amava. John-lo-amava. E lui aveva disperatamente provato per sei giorni a costringerlo a dire quelle parole, parole di cui non gli era mai importato prima. E dopo questo, anche dopo la confessione di John, questi non lo aveva guardato in aspettativa, come se avesse bisogno di sentirselo dire in cambio. Non gli importava di aver messo in mostra il suo cuore per l’altro dicendo tre minuscole, ma ancora in qualche modo così potenti, parole.
 
Parole che sapeva non essere probabilmente necessarie, specialmente con Sherlock, ma lo aveva fatto comunque, soltanto perché lui glielo aveva chiesto.
 
Era così John che faceva male. E non semplicemente John, quello che aveva visto con diverse donne o altri in altre circostanze. No, quello era il suo John, quello che agiva solo per Sherlock. E John non si aspettava da lui niente di diverso, anche se questo avesse significato rendere la sua vita più facile. Lui voleva solo Sherlock, non aveva importanza cosa questo significasse.
 
E non era nemmeno solo quello.
 
“Quindi tu lo sai,” disse Sherlock, e John ghignò. “Che.. che anche io..”
 
“Sì, lo so,” disse John. “Non c’è bisogno che tu lo dica.”
 
“Ma voglio farlo,” lo assicurò Sherlock, e lasciò che la sua mano raggiungesse la vita di John, così da tirarselo più vicino. Le braccia di John andarono d’istinto sulle spalle di Sherlock, sollevandosi sulle punte, in modo da poter incontrare le sue labbra in un bacio dolce. “Ti amo, John,” sussurrò Sherlock, scostandosi di un paio di centimetri, per poter essere in grado di guardarlo negli occhi, e calcolare la sua reazione senza dover smettere di stringerlo. “Il mio caro John.”
 
E c’era uno sguardo di assoluta felicità sul volto dell’altro, che sembrava completamente sereno. Era un espressione che Sherlock sarebbe stato felice di vedere sul suo viso di nuovo, a qualsiasi costo.   
 
 
 
  
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