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Autore: RobyWiccan    17/02/2014    0 recensioni
Questo è il primo capitolo di una FanFiction che vede come protagonisti Billy e Teddy, con l'unica particolarità che non hanno nulla a che fare con l'universo Marvel.
Billy è un ragazzo che non ha mai conosciuto suo padre e la cui madre è misteriosamente scomparsa tempo fa, lasciandolo con un tutore che potremmo associarlo al patrigno di Percy Jackson (per chi ha letto la saga). A scuola è il tipico sfigato emarginato mentre a casa viene costantemente picchiato dal patrigno.
Teddy al contrario è popolare a scuola, è un campione della squadra di football, vive nei quartieri agiati con degli splendidi genitori. Eppure nessuno sa che gli piacciono i ragazzi, e ha paura di quello che succederebbe se dovesse scoprirlo qualcuno.
Due persone tanto diverse non hanno molte occasioni di incontrarsi, eppure una di queste è anche la più strana e inaspettata..
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billy Kaplan/Wiccan, Teddy Altman/Hulkling
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ecstasy - Terzo Capitolo

Non ho idea di come ho fatto ad arrivare tutto intero a casa. La vista annebbiata dalle lacrime, avrò rischiato fra i cinque e i sei incidenti dalla casa di Teddy a qui. Già, la casa di Teddy. Avrei voluto dirgli che lo amo, avevo sperato che fosse lui a dirmelo. Ora non capisco più nulla. Cosa diavolo è successo?
Arrivato a casa salgo le scale e  filo in camera come se avessi le ali attaccate ai piedi. Il mio patrigno sta dormendo sul divano e non si accorge che ho sbattuto la porta così forte da far tremare le finestre. Ci sarebbe mancato solo lui.
Mi butto sul letto. Guardo il soffitto e le piccole crepe intorno alla lampadina che spero mi siano tanto familiari da rassicurarmi. Ma non é cosi, ci metto dieci minuti a capire cosa è appena accaduto. Teddy appiccicato a Liz, sul suo letto. Che diavolo pensava di fare? Perché diamine mi  aveva chiamato se voleva andarci con Liz? Non capisco più niente. Spengo la luce e  mi stendo, tenendo la testa tra le mani, sperando che tutto questo si dissolva e di svegliarmi proprio qui e accorgermi che è stato tutto un sogno. Ma le lacrime che mi rigano le guance sono reali, come il groppo che ho in gola. Non oso guardare la finestra dove solo qualche ora prima mi ero reso conto di non essere così solo al mondo. Ed era proprio lì che mi sbagliavo, non sono mai stato solo come ora. Mi sento come se uno scheletro freddo come il ghiaccio mi stesse strizzando il cuore riducendolo in mille pezzi e facendoli cadere nel mio stomaco. Come è potuto succedere a me? Un attimo prima ero nel baratro, ma era una cosa a cui ero abituato. Poi è arrivato lui e non ho capito più niente. Ero felice, stavo per dirglielo.
Ero felice quando mi hanno invitato a passare il Natale da loro. Ero in imbarazzo ma David e Karen sono stati gentilissimi, come sempre. Non avevo comprato regali o cose del genere, non sapevo esattamente cosa comprare ad un amico per il compleanno, figuriamoci a due adulti. Ma avevo comunque trovato qualcosa. Nel garage che avevo messo avevo notato un vecchio casco da motocicletta, e avevo notato gli occhi malinconici di Dave mentre lo guardava. Senza farmi vedere un giorno l’avevo portato a casa insieme a qualche attrezzo e.. Be’, un po’ di pulizia era bastata. Credo che sopra ci fosse la polvere degli anni ’60. Come minimo. Ma Dave era rimasto entusiasta. Karen in realtà mi aveva già preso da parte.
“Prendimi qualcosa per Natale e giuro su Dio che ti faccio mangiare da solo tutto quanto.” Non dubito che lo avrebbe fatto, ma siamo scoppiati a ridere entrambi. Di Teddy avevo già scoperto la squadra preferita di Football Americano da tempo, e mi sono ricordato di una rivista che c’era in camera di mia madre, tra le cose che aveva conservato di mio padre. Era davvero vecchia, ma a Teddy erano quasi venute le lacrime agli occhi. Loro tutti insieme mi avevano regalato una felpa e un paio di scarpe nuove. Le scarpe erano delle converse rosse e il commento di Dave era stato “Così finalmente la smetterai di sembrare un.. Come dite voi? Un Emo!”. Avrei potuto morire credo per le risate. La felpa dovevano avermela comprata quando siamo andati tutti insieme all’Hard Rock Café. Era di un bel verde-marroncino col simbolo rosso in centro. Dentro era caldissima. L’ho adorata. Penso di non aver mai passato un Natale più bello in vita mia. Adesso a ripensarci mi viene da piangere.
Stavo per dirtelo Teddy, che ti amo. Che ero felice con te. Che i tuoi genitori sono fantastici, che vorrei essere con te quando glielo dirai. Vorrei che mi presentassi di nuovo a loro, ma come tuo ragazzo. Che non mi interessa del mio patrigno, che avrei aspettato la mia maggiore età per avere finalmente la mia casa. Che l'avrei rimessa a nuovo solo. Che magari un giorno ci saremo venuti a vivere insieme. Ora cosa ti dirò?
Non voglio dirgli niente, proprio niente. So già che, se ora sono triste, domani potrò solo essere furioso, amareggiato e poi entrambe le cose. Ora dovrò tornare alla mia vecchia vita ed era una cosa, un capitolo che finalmente reputavo chiuso. Le botte tornano, William, solo per te. Ora sarebbe stato anche peggio. Di notte faccio un incubo. Sono in bicicletta, tra una miriade di strade scure. Sto scappando da mille risate, musica, e mi sembra di sentire una voce. Ma per quanto io speri sia quella di mia madre alla fine è sempre e solo il mio patrigno, che ride nella mia testa.
"Dove scapperai William?”
Non so dove scappare, la notte avanza, mentre io mi sento sparire.

-

Finalmente ero riuscito a scansarmi da quella scocciatura umana chiamata Liz. Ma mezzo secondo prima sarebbe stato meglio. Avevo incrociato il suo sguardo per un secondo e in quel secondo ci ho letto il dolore di una vita intera. È stato orribile. Io sono stato orribile. Sono sceso a tutta velocità, non mi importava chi mi vedesse e cosa pensasse. Ma non sono arrivato in tempo. L'ho visto sparire nella notte come un animale selvatico, come un filo di fumo. Non sono riuscito a fermare la persona più importante della mia vita. Già, perché in quel momento mi ero finalmente reso conto di amarlo. Volevo dirglielo. E non sono riuscito a fermarlo.
Rimango fermo immobile finché non sento le braccia di Kate ed Eli, e le voci di Cassie e Nate che mi si avvicinano per vedere se sto bene. No, non sto bene. Ma entro lo stesso in casa, più simile ad un robot che ad un essere umano. Negli occhi ho ancora l'immagine di lui sulla sua bicicletta scalcagnata che scappa, scappa lontano da tutto quello che sono e che ho fatto. E ora che ci penso é un'ottima domanda. Cosa ho fatto? Non lo so più nemmeno io. Un momento prima c'era lui, poi è arrivata Liz. E poi lui non c'era più. Perché non l'ho fermato?
La domanda che ora mi assillava più delle altre era la peggiore di tutte.
E adesso?

-
 
Mi sveglio di soprassalto. Ho fatto un incubo. Abituatici William, perché d'ora in poi saranno sempre con te, e peggiori di prima.
Getto le coperte in fondo al letto e filo in bagno. Accendo la luce e alzo lo sguardo allo specchio.  Il ragazzo pallido e smagrito di qualche mese fa è sparito ma dal riflesso nello specchio si capisce perfettamente che non ci impiegherà molto a tornare. l fantasmi della notte passata non hanno abbandonato il mio viso e pesanti ombre scure si affacciano minacciose sotto gli occhi. Tutto questo non fa altro che ricordarmi la sera prima e un moto di rabbia e tristezza mi attraversa da capo a piedi. Vorrei rompere quel dannato specchio ma preferisco andarmene da lì. Lussarmi la mano non mi farebbe stare meglio. La porta del bagno si chiude con un tonfo.
Giù il vecchio sta russando dalla sera prima, meglio così. Nel salotto aleggia una puzza tremenda di alcol e droga ma non è diverso dal solito schifo. Ero solo più abituato a starne lontano, e questo mi ricorda dove invece passavo il tempo, così cerco di pensare alla colazione.
Entro in cucina e apro lo sportello del frigo. Basso e sporco, semivuoto come sempre. L'unica cosa commestibile sembra essere del latte che ha ancora l'onore di potersi definire tale e nella credenza riesco a rimediare quanto c'è di più simile ad un pacco di cereali. É una magra consolazione sapere che qui è cambiato ben poco. Mi giro solo un'ultima volta per dare un saluto alla vecchia e unica cosa che mi è rimasta di mia madre, la casa in rovina. Con lei sarebbe stato tutto più facile.
“Ciao mamma..”
I genitori di Teddy sono tornati presto di domenica e io ho qualcosa da dirgli. Sono davanti alla sua porta. Quella sua porta verde. Verde come lui, come la sua divisa di Football, verde come la speranza. È l'ultima volta che la vedrò infatti, quanta ironia.
Mi viene quasi un infarto al pensiero che potrebbe aprire Teddy. Alla porta mi apre invece sua madre, come la prima volta, e mi riesce difficile frenare un sorriso. Mi invita ad entrare ma si scusa per l’assenza di Teddy, è agli allenamenti. Rifiuto e spero che non abbia notato che il mio cuore abbia ripreso a battere, ma ne dubito. Anche lei perde il sorriso sebbene abbia declinato l'invito con cortesia. Ha già capito che c’è qualcosa che non va, anche se mi sta guardando negli occhi so che non le è stato difficile notare la mia faccia.
Le dico che purtroppo non potrò più venirli a trovare, né a lavorare al garage, sebbene sia praticamente in ordine. Per tutta risposta lei dice che dispiace più a lei, e Dio solo sa se sembra che sappia ogni cosa, e alla fine mi dà un bacio sulla guancia e mi stringe. Per la prima volta mi rendo conto di cosa significhi avere una madre.. e anche il non averla mi pesa il doppio. Prima che le lacrime minaccino di presentarsi giro i tacchi e me ne vado. In quella casa ci sono troppe cose che mi mancano, troppi ricordi che ora riescono a rendermi tutt'altro che felice.

-

Kate, Eli e gli altri sono rimasti a darmi una mano a pulire tutto quando se ne sono andati tutti. Cassie si era messa a parlare con Nate ed Eli prima che i due potessero avvicinarsi. Scommetto che Kate le ha detto cos’è successo sul serio e vuole assicurarsi che non dicano cose sbagliate. Come se servisse a qualcosa, mi sento già uno schifo di mio. Kate ha mandato via Liz come solo lei riesce a fare. Credo che se non trovo il cadavere di Liz in camera mia sono ancora fortunato. Alla fine se ne vanno anche loro, e poche ore dopo arrivano i miei. Non voglio parlare con loro, così mi invento una scusa dicendo che il coach ci ha avvisati all’ultimo momento di un allenamento importante. Mia madre deve essere stanca per il viaggio, oppure sono migliorato come attore, perché non si rende conto che sto mentendo spudoratamente. Ho solo bisogno di starmene un po’ solo, e vado a piedi fino a Sheepshead Bay Road. So già che non lo troverò lì, ma continuo a sperare che voglia sapere cos’è successo davvero. Anche se agli occhi di chiunque sarebbe fin troppo chiaro.  In quel momento mi rendo conto che non ho idea di dove abiti. Non me lo ha mai detto, devo averglielo chiesto un giorno ma deve aver sviato la mia domanda. Ci riusciva benissimo. Mi manca l’idea che non sia qui a spiegarmi perché non dovrei nascondermi dai miei genitori, o che le equazioni di secondo grado non sono poi così difficili, perfino filosofia diventava interessante con lui. Qualsiasi cosa diventava interessante con lui. E io l’ho buttata nel cesso. E pensare che è in un cesso che sono riuscito a contattarlo la prima volta. Quanta ironia. Non ho smesso di camminare, ora mi ritrovo di nuovo a casa. Mi salta il cuore in gola quando vedo William uscire dal vialetto con la bicicletta e andarsene. Non mi ha visto. Ma rinuncio all’idea di seguirlo quando lo vedo schizzare via a bordo della bici.
Rassegnati Teddy, d’ora in poi sarà sempre così che lo vedrai. Gli hai voltato le spalle, ora lui fa lo stesso con te.
Il giorno dopo vado a scuola, sebbene non ne abbia alcuna voglia. L’unica cosa che vorrei fare adesso sarebbe rintanarmi in casa e non uscire mai più. Ma non mi sento ancora pronto ad affrontare il mio patrigno, continuerò a fargli credere che lavoro i pomeriggi, così almeno avrò un minimo di respiro. Ma i soldi a casa devo portarli comunque, e ho cancellato tutti i numeri in giro per la città. A meno che non mi contatti qualcuno di quelli vecchi non vedrò soldi per un bel po’, e in ogni caso dubito che richiameranno. Quando lavoravo da Tedd- da Karen e Dave, non voglio nemmeno più pronunciare quel nome, avevo bloccato tutti i vecchi numeri. Anche se adesso li sbloccassi tutti non spererei che qualcuno di quelli mi richiami. Quanto sono stato senza quel lavoro? E’ cominciato tutto a ottobre, ora siamo a marzo. Sei mesi. Non mi richiamerà nessuno. E i risparmi del lavoro a casa Altman non basteranno per più di un mese scarso, perfino se tagliassi la droga del vecchio. Rubare? Perché no? Ma dove, con cosa? La gente non si difende contro un ragazzo con un coltello da cucina in un vicolo buio la notte. No, è troppo rischioso. Lavorare? E chi mi prenderebbe? Devo trovare un’altra soluzione.
“Ehi sfigato! Guarda dove vai invece di pensare a Liz e Teddy!”
Se non avesse avuto dei riflessi tutto sommato buoni si sarebbe rotto il naso nella caduta. Lo sgambetto ci mancava per cominciare bene la giornata, mi sono sbucciato per bene i palmi e i gomiti sul selciato. Oh, ma tu guarda. Greg. Ci mancava proprio lui. So che gli occhi non possono incenerire la gente, ma mi stupisco lo stesso di non vedere un mucchietto di cenere al suo posto per quanto male lo sto guardando.
“Insomma siamo gelosi di Altman! Dovresti puntare a qualcosa di più alla tua portata, Liz non verrebbe con te nemmeno se diventassi il capitano della squadra.”
Risate. Non so cosa mi faccia più incazzare. Il fatto che mi abbia fatto cadere o che respiri semplicemente. Non so cosa succeda esattamente ma quando riapro gli occhi si sta tenendo il naso per i sangue e mi fa un sacco male la mano. Ha appena il tempo di capire cos’è successo che mi ributto addosso a lui a pugni stretti, non volevo rompergli il naso. Avrei preferito fracassarglielo direttamente. Ho appena scoperto che ho la stoffa per fare il kamikaze. E’ un vero peccato che prima che possa colpirlo lo fa uno dei suoi due compagni, che subito mi prendono per le braccia e per la gola tenendomi fermo. Sto ringhiando peggio di un cane rabbioso ma non mi interessa. Greg si è appena rialzato e so già dove colpirà. Prima che possa calciarlo nello stomaco mi colpisce lui proprio nello stesso punto con un pugno che quasi mi fa sputare sangue. Crollo sulle ginocchia mentre i tre se la svignano e tutti i curiosi si dileguano. Sta arrivando un insegnante ma me la filo a tutte gambe prima che possa anche accorgersi chi sono. Passerò la giornata in biblioteca, lì almeno non ti fanno domande imbarazzanti e l’ultima persona che potresti incontrare è un giocatore di football o un’oca pettegola.

-

Quando entro a scuola mi sento strano. Tutto mi sembra così privo di senso. Le ragazze che parlano di quanto si sono divertite alla festa, i miei compagni che mi chiedono quando ce ne sarà un'altra. Solo Kate,Eli e gli altri mi guardano come se fosse effettivamente successo qualcosa. E qualcosa é successo. Ho fatto soffrire una persona. Non sono nemmeno stato capace di fermarlo e spiegare l'accaduto. Oggi non è nemmeno a scuola, come faccio a spiegargli che non è come sembra, che non voglio Liz? "Sei tu che voglio, Liz non è nessuno, lo sanno tutti. Voleva solo un'occasione per dove a tutti che c'era andata con il vice capitano della squadra." Non poteva davvero pensare che tra lui Liz ci fosse qualcosa. "Ma non era ovvio, Theodore? Le stavi appiccicato, nel tuo letto, ad una festa. Come puoi pretendere che abbia pensato diversamente?”
 Non mi importa che sia una ragazza, in questo momento romperei volentieri qualche osso a Liz. Non sopporto come mi guarda, con quel sorrisetto malizioso sulle labbra truccate. Giro la testa verso l'insegnante ma non video riesco comunque a stare attento alla lezione. l numeri scritti sul quaderno mi sembravano così semplici quando era lui a spiegarmeli, ora sono solo una massa informe di simboli sconnessi.  Dovrei andare da lui, dirgli che mi dispiace, ma ora che ci penso non so nemmeno dove abiti. La lezione procede che è uno strazio, anche perché non riesco a pensare né alla lezione né a William. Quando finalmente suona la campanella sono il primo ad uscire e quando i corridoi cominciano ad affollarsi io sono già fuori.
O meglio, sarei già stato fuori se Greg non mi avesse bloccato all'uscita.
"Ehi Casanova! Gira voce che hai fatto incazzare quella povera checca di Mr. Invisibile!”
 Anche se fossi stato nel pieno delle mie capacità mentali non avrei comunque capito di cosa diamine stava parlando.. e in ogni caso non avevo molta voglia di starlo a sentire. Non mi accorgo nemmeno del suo naso gonfio.
"Di cosa diavolo parli?”
 "Di Kaplan ! Tutti dicono che aveva una cotta per Liz, che alla tua festa abbia tentato di farsi avanti ma che tu gli avevi già soffiato il posto! Se n'è andato dalla festa piangendo come una bambina!"
Avrei voluto spezzargli il collo seduta stante per tutte le cazzate che aveva appena detto ma non era decisamente il momento né il luogo adatto.
"Chi si è inventato tutte queste boiate?"
Gli chiedo semplicemente, sperando che non colga l'evidente raptus omicida che ho nei suoi confronti ora.
“Boiate!? Ma secondo te perché mi ha preso a pugni stamattina appena ho nominato la storia?” mi urla indicandosi il naso.
“Ti ha.. picchiato?” quell’uomo è un genio, chissà perché non l’ho già fatto io. Greg ammutolisce per un secondo, evidentemente è rimasto offeso nello spirito per quello che è successo. Sarei quasi dispiaciuto per lui se non fosse un totale idiota.
“Mi ha dato un pugno, l’infermiera dice che non è rotto. E ti credo, colpisce come una checca! Comunque gli abbiamo dato una lezione ed è scappato via. La prossima volta gli spezzo le gambe così ci pensa due volte prima di scappare. Avrei davvero voluto vederlo portare via dagli insegnanti.” okay, ora lo prendo a calci sul serio.
"Stronzate, non ci sono andato con Liz. È un po' troppo troia per i miei gusti." Taglio il discorso prima di colpirlo seriamente. Lui non è Liz ma spero che si offenda comunque. E prima che possa aggiungere qualcosa mi dirigo verso il Pick-Up.

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Non sono più tornato in biblioteca dopo quella volta. Credo che mi tenessi appena in piedi, perfino la bibliotecaria mi aveva guardato in modo strano. Prima che potesse chiedermi qualcosa ho girato i tacchi e me ne sono andato.
Ora che il mio patrigno mi vede più spesso a casa non perde mai un'occasione per picchiarmi o ricordarmi della sua dannata droga. Le botte ora sono insopportabili, perché spesso mi capita di portare molti meno soldi a casa. La vita che mi ero costruito con Teddy ha reso impossibile quella a cui ero stato costretto a tornare. Meno clienti, meno soldi, meno droga, più botte, voti bassi, più assenze. A volte sono conciato così male che non vado nemmeno a scuola per paura che qualcuno faccia qualche domanda. Oggi è uno di quei giorni, e mi fanno male talmente tante parti del corpo che ho paura a fare un elenco. Il vecchio bastardo aveva scoperto che tagliavo la sua roba per fargli credere che ce ne fosse di più, ma in quel modo aveva abbastanza droga in corpo per reggersi in piedi, e più che sufficiente per picchiarmi tanto forte che non pensavo sarei riuscito a trascinarmi fino alla camera. Domani dovrò portargli il doppio dei soldi e non mi sembra poi così stupido pensare che questa volta riesca a farmi secco se scopre che tocco di nuovo la sua roba.
A scuola le cose vanno peggio di prima e non solo per i voti. A quanto pare in giro si è sparsa la voce che io abbia una cotta per Liz e che alla festa lei si fosse fatta il mio migliore amico, strano pensare che abbiano anche ipotizzato che io avessi un amico. Da Mr. Invisibilità sono diventato il povero sfigato rifiutato dalla figa della scuola. Alle volte diventa quasi più piacevole rimanere a casa a sorbirsi le botte o in strada a vendersi per soldi. No, sto scherzando. Non so cosa sia peggio.
Non voglio perdere l’anno ma alcune lezioni non sono proprio in grado di sostenerle. Evito tutte quelle in comune con Teddy. E’ un miracolo se riesco a schizzare fuori da scuola prima che possa beccarmi. L’ho visto qualche volta tentare qualche agguato fuori dal portone ma me la sono sempre svignata. Forse è solo perché non mi importa più di tanto se mi investe un auto per strada. Non voglio parlargli, cosa avrebbe da dirmi? Scusa? E di cosa? Se gli piace Liz a me non importa un bel niente. Probabilmente finirei per picchiare anche lui. Invitarmi a salire solo per farmi vedere un bello spettacolo di loro due che se la spassano a letto? Che diavolo gli passa per il cervello non lo voglio sapere. Ne ho abbastanza di farmi prendere in giro.
 
-

Ogni volta che lo vedo scappare via da me mi sento sempre più un mostro. E non sono così sicuro di poter affermare il contrario. Però voglio rimediare almeno in parte. Così il giorno dopo so cosa fare. Nella mia ora buca prima della campanella vado in segreteria e aspetto che arrivi Megan. Megan è la segretaria più dolce che si possa avere. Sembra tanto acida e severa ma appena le si chiede per favore con aria implorante non riesce a dirti di no e puoi farti dare il numero di qualsiasi insegnante per uno scherzo telefonico. Prima di entrare incrocio per sbaglio il bidello, lui è arcigno per davvero. Ma ho la testa tra le nuvole e sto per scivolare sul pavimento bagnato e lui mi riprende.
“Piantala di pensare a rose e fiori e guarda dove vai!”
Rose e fiori? Perché dovrei pensare a rose e fiori. Sto per rispondergli che non sono una stupida checca ma mi guarda in un modo talmente strano che richiudo la bocca e me ne vado. Ha l’aria di chi sa tutto.
Chiudo la porta alle mie spalle e Megan mi chiama con la sua vocina stridula. E’ piccola e vecchia, ma un tempo doveva essere stata una bellissima donna. I capelli bianchi e grigi sono legati stretti dietro la testa in una crocchia con i ciuffi che si ribellano vicino alla orecchie e alcuni sulla fronte, tanto che quando qualcuno non la vede soffia semplicemente per ributtarseli indietro. È uno spettacolo imperdibile. Gli occhialetti a mezzaluna sono grigi come il cordino che li tiene legati. Bisogna sporgersi oltre il computer per vederla bene e quasi nessuno lo fa, molti trovano spiacevole parlare con lei ma io la trovo troppo divertente per perdermela.
“Theodore!” mi chiama con quel nome solo quando sa che non c’è nessuno intorno “Cosa posso fare te giovincello? Non provare a chiedermi di nuovo il numero di Mrs. Hudson perché è venuta a lamentarsi, per fortuna non c’ero io qui.”
Ridacchia tutta contenta. Mi sembra che sia rimasta una ragazzina, in fondo si diverte un sacco quando vengo a parlarle degli scherzi che giochiamo agli insegnanti ma non lo ammetterà mai.
“Tutt’altra cosa Megan, ho bisogno dell’indirizzo di uno studente.”
“O misericordia, non vorrete fargli dei graffiti sul portone di casa? Perché se è così è fuori discussione!” Protesta ancora con quella vocina. Non era così felice di contribuire a scherzi fatti ai ragazzi della scuola quanto per gli insegnanti. È una delle cose che adoro di più di lei.
“Niente affatto! Devo.. andare a dargli i miei appunti ma sta male, così glieli lascio nella cassetta della posta.”
Sarebbe stata una scusa perfetta se io prendessi veramente degli appunti, e lei sa benissimo che non è così.
“Mi serve l’indirizzo di Kaplan. Ti prego, è importante!” La imploro, so che non può resistere ad uno studente implorante.
“Oooh, devi fare una sorpresa alla tua dolce metà eh?” Ridacchia con fare complice. Mentre comincia a trascriverlo su un foglietto.
“No! Kaplan è un ragazzo!”
“E con questo?”
Sorride tutta contenta mettendomi il bigliettino in mano e facendomi cenno di andare. Ma perché tutti sembrano sapere tutto?

-

È morto. Il vecchio è morto di overdose e McLowes è stato arrestato per spaccio. Sono tornato a casa da un’altra serata appostato sotto il ponte a camminare sul marciapiede al freddo. Sapevo che tornato a casa mi avrebbe pestato di brutto e invece ho trovato le sirene ad aspettarmi. Hanno portato via una barella coperta da un lenzuolo e prima che potessi capire che cos’era successo mi chiedono se abito qui. Rispondo di sì, mi mettono in una macchina e mi portano in centrale. Mi mettono una coperta e una tazza di cioccolata tra le mani. Non capisco perché, sono ancora troppo scosso per connettere quello che ho visto e formulare un pensiero compiuto. Mi dicono che è morto e si dispiacciono. Ma io non sono per niente dispiaciuto, solo stranito. Sembro un drogato perché cominciano a farmi mille domande. Mi limito a rispondere. Ti sei drogato anche tu? No. Faremo delle analisi. Non c’è problema. Da quanto tempo succede? Da sempre. Non lo hai mai denunciato? Mi picchiava.
A quel punto uno degli agenti, una donna, li manda via tutti e chiude la porta. Mi fa sedere sulla poltrona più comoda e mi mette una mano sulla spalla. Mi chiede da quanto tempo mi picchiava. Rispondo alla stessa maniera, da quando mia madre è andata via. Sanno che non è il mio vero padre, sembra una favola per loro, quella del patrigno cattivo. Sembra Cenerentola, almeno lei viveva in una casa pulita. Sembra quasi che non ci creda, così sollevo la maglietta. Anche i poliziotti fuori dalla stanza cominciano a parlottare preoccupati. Io sono apatico, però la signora è simpatica. Rispondo a tutte le sue domande con sincerità. Se la prendevo io la droga, come, da chi. Le rispondo che mi ha costretto a prostituirmi all’età di 13 anni quasi perché ero gay, e se non portavo a casa i soldi mi picchiava, perché quelli come me non servono niente, che dovevo solo ringraziarlo perché mi rendevo utile a qualcosa. La donna è sconvolta ma continua a farmi domande, mi piace ma non è un agente in realtà, leggo sul suo pass che si chiama Donovan, è una psicologa. Mi chiede se anche lui abbia abusato di me e mi viene da ridere quando le dico di no. Le dico anche che la droga non la compravo io. La portava l’avvocato che mi aveva in custodia per i controlli. Le dico il nome ma non rimane sorpresa. Non lo conosce ma è determinata e fa un cenno ai suoi colleghi, uno di loro si affaccia e lei ripete il nome, poi l’agente se ne va, quindi le parlo ancora. Mi chiede se mi abbia picchiato anche lui qualche volta, le rispondo di no. Dice che faranno comunque degli esami del sangue e delle urine anche a me e che mi faranno visitare per vedere se ho delle contusioni o fratture non curate correttamente. Aggiungo che se serve possono avere il mio cellulare per rintracciare i vari numeri di telefono. Mi dice le cose come stanno, e questo mi fa piacere. Però aggrotto la fronte. Le dico che nell’ultimo periodo gli diluivo le dosi di qualsiasi cosa arrivasse a casa ma poi ho smesso quando mi ha quasi rotto le costole per le botte. Le chiedo se lo ucciso in qualche modo, ma non mi interessa sapere molto la risposta. Se anche lo avessi ucciso non mi sentirei in colpa. Lei risponde che era solo questione di tempo ma sembra sincera. Però questo la spinge a farmi un’ultima domanda, mi ha chiesto se ho mai provato a difendermi.
“Se lo avessi fatto mi avrebbe picchiato più forte la volta dopo. Avrei dovuto ucciderlo se volevo farlo smettere.”
Donovan mi fa una smorfia di orgoglio e mi da un abbraccio prima di uscire. Mi saluta dicendo che gli altri agenti vengono a prendermi fra pochi minuti per fare le analisi.
Dopo un paio di giorni mi portano in tribunale dopo tre o quattro giorni circa, non ricordo esattamente, per condannare McLowes. Per gli altri “clienti” non occorreva la mia testimonianza, mi era bastato fornire il telefono ed era una prova più che sufficiente. McLowes era accusato di favoreggiamento alla prostituzione, detenzione di sostanze stupefacenti, corruzione e spaccio. Gli avrebbero dato come minimo vent’anni. Per quanto riguarda me, mancava poco meno di un mese al mio diciottesimo compleanno e quindi il giudice acconsentì a farmi vivere da solo, sotto tutela di Alicia Donovan, che sarebbe stata anche la mia psicologa per tutto il tempo di cui avrei avuto bisogno. Ero felice dopotutto. Ora finalmente non dovevo lavorare, McLowes aveva dovuto pagarmi un risarcimento danni di tanto denaro che non avrei saputo cosa farmene in una vita intera. Io in realtà avevo altri programmi. Quei soldi bastavano per rimettere la casa a nuovo e Dio solo sa se non avrei riavuto indietro la mia vecchia casa. Alicia si fermava da me ogni tanto, cenavamo insieme, mi aiutava con i presunti traumi, semplicemente c’ero abituato ma lei era felice anche solo di stare un po’ con me. Ho cominciato a parlarle di Teddy, e lei ascoltava e basta. Ma quello andava benissimo già così com’era.
Mancava solo una cosa. Teddy.

-

È troppo. Non mi interessa cosa penseranno i miei. Vorrei farmi perdonare da Billy almeno un po’. Manca da scuola da settimane, e quando c’è non riesco a fermarlo per parlargli. Sono a cena con i miei, non siamo molto in vena di chiacchiere da quando William non è qui a farci compagnia. Mi mancano i nostri discorsi, le risate con i miei. Ogni tanto mi lanciano occhiate, sanno che sto per dire qualcosa ma fanno finta di niente. Non gli riesce molto bene. Se non comincio adesso penso che non lo farò mai.
“Mamma, papà.. Vorrei dirvi una cosa di me e Billy. Del perché non si fa più vedere.”
“Era ora che ti decidessi!” Sbotta mia mamma.
“Karen!” Mio papà non urla mai, ma ora sta riprendendo mia madre, e non urla mai nemmeno lei. “Fai finire il ragazzo!”
Mi sento un po’ spaesato, mi hanno preso alla sprovvista, ma mi sarei sentito così in ogni caso. Ora sono però decisamente confuso.
“Decidessi?” Chiedo con un filo di voce. Lo sapeva già? Esattamente, cosa sapeva!?
“Dai, guardalo! E’ in crisi!” I miei genitori mi stanno turbando non poco in questo momento.
 “Io voglio sentirlo dalla sua bocca, Karen.” E prendono a fissarmi entrambi, non c’è un solo rumore in casa in questo momento. Credo di essermi appena paralizzato, spero non sia permanente.
“M-mi piacciono i ragazzi.” Azzardo con la voce rotta.
“Sbagliato!”
“Karen!”
“Ma che avete voi due!?” Mi stanno veramente gettando in panico, che problemi hanno!?
“A te piace UN ragazzo! E quel ragazzo è William!” Mio padre si schiaffa una mano in faccia, esasperato da mia madre. Io sono semplicemente tanto rosso in viso che faccio invidia al sugo della pasta.
“Non fare quella faccia Dave, è colpa tua se non ce lo ha ancora detto.”
“Colpa mia!?”
“E’ risaputo che i ragazzi hanno paura di dire di essere gay perché hanno paura della reazione del padre!”
“Io non sono gay!”
La frase mi viene in automatico, anche se è una bugia. Di solito quando sento quella parola a scuola questa è la mia prima reazione. E infatti i miei mi stanno guardando con una faccia che in una situazione normale sarebbe ridicola. Ma questa NON è una situazione normale.
“Certo certo, Theodore. Ora mi spieghi che avete combinato quella sera? Sì signorinello, so benissimo che avete fatto festa con tanti amici, sono stata giovane anche io! Ora voglio sapere cosa hai fatto a quel povero ragazzo che non vuole nemmeno più vederti! Glielo hai chiesto in modo troppo esplicito!?”
“Cosa- NO!”
Non so chi sia più in imbarazzo tra me e mio padre ma la risposta è sulla mia faccia.. Quindi vuoto il sacco. Mia madre non parla per i seguenti dieci minuti e sia io che mio padre ne siamo più che felici.
Quando finiscono ci sono momenti interminabili di silenzio, ora è perfino troppo. Ma l’espressione di mio padre è cambiata e prende subito parola.
“E si può sapere cosa stai aspettando a chiedere scusa al mio futuro genero!?”
“DAVE!”
 Adoro i miei genitori.

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Sto studiando sul mio letto, c’è solo la luce della scrivania sul tavolo a fare luce e so che non è abbastanza per leggere. Anche se ci fosse la luce del sole proprio sopra la mia testa non servirebbe a niente. Non riesco a concentrarmi. Così butto tutto per terra, e cadono sul tappeto  libri, quaderni e penne. Mi getto sul letto di faccia e mugugno lamentoso sulle coperte, mi metto le cuffie, così magari riesco a non uccidermi da solo per quanto mi sto lamentando. Non riesco a concentrarmi. La storia di Teddy mi tormenta ancora, non ne ho ancora parlato con Donovan- Alicia, in un certo senso ho paura che possano accusare anche lui insieme agli altri clienti nel mio telefono. Per fortuna avevo cancellato il suo numero tempo prima, ero ancora arrabbiato con lui.
Ma che sto dicendo!? Sono ancora arrabbiato con lui! Ha fatto veramente una grande stronzata, non lo sopporto. O meglio, vorrei non sopportarlo, ma non ci riesco. Mi manca. Chissà come se la cava in matematica ora che non gli do più una mano. Chissà se Dave è riuscito a tenere il garage è ancora in ordine. Mi stringo nella felpa che mi hanno regalato per Natale. Manca una settimana al mio compleanno e lo festeggerò da solo. Non ho risposto alle chiamate di Kate, Eli, Cassie o Nate. Per fortuna nessuno sa dove abito. So già cosa mi direbbero, che non è come penso. Ah sì? Allora perché l’unico a non chiamarmi è proprio Teddy? Non voglio sentirmi dire bugie. Però vorrei davvero rivederlo. Vorrei che non fosse mai successo niente di tutto.. Be’, quello che è successo quella sera. Ma non ho ancora il potere di cambiare il corso degli eventi. Ci sto lavorando.
Avevo preso in considerazione l’idea che Liz ci abbia provato spudoratamente con lui e lo avesse attirato di sopra dopo avermi fatto il cenno di salire ma sono stato fin troppo cieco. Anche se fosse vero non saprei come riavvicinarlo. Sono un disastro.
In quel momento sento un rumore alla finestra. Qualcuno si è messo a lanciare sassolini alla mia finestra. Mi ha beccato nel momento sbagliato e non risponderò delle mie intenzioni visto che sono incazzato come una iena. Alzo la finestra di scatto e urlo prima di vedere chi c’è nella strada buia.
“Tirane un altro e giuro che ti faccio pentire di essere nato!”
“Non era per quello che ero venuto a chiedere scusa però.. Scusa per i sassi, non rispondevi alla porta.”
Qualcuno troverà il mio cadavere stecchito sulla finestra perché il mio cuore non sta più battendo. Capisco di chi è quella voce prima di fare attenzione a chi c’è in mezzo alla strada. Teddy.
Mi catapulto giù dalle scale alla velocità della luce, sarebbe molto ironico se inciampassi adesso e mi rompessi l’osso del collo. Grazie a Dio non succede ma impreco per la catenella alla porta. Quando riesco ad aprirla mi ricordo di essere a piedi nudi ma non mi interessa. Ci fossero dei chiodi a tre punte sulla strada non perderei tempo a mettermi le scarpe. Mi lancio in strada schizzando sul selciato finché non sbatto contro di lui, gettandogli le braccia al collo. Grazie al cielo è un giocatore di football dalla stazza notevole altrimenti avremmo rischiato di finire sulla strada lunghi e distesi.
Prima che possa dire qualsiasi cosa mi prende il viso e mi bacia. Non era così che avevo immaginato le sue labbra ma in quel momento non potrei immaginare nessun’altra cosa che lui. Teddy è qui. Non ho idea di come abbia trovato casa mia ma non mi interessa. E’ la prima volta che mi abbraccia e le sue braccia sono veramente grandi, non mi ricordavo quasi più l’odore di casa che ha con sé. Mi era mancato fin troppo. Sono fin troppo felice e l’ultima cosa che potrebbe importarmi è il prima e il dopo. C’è solo il presente. Ed è qualcosa di bellissimo.




 
Scusate se vi ho fatto aspettare secoli (sì, sono secoli, non ho scuse!) ma proprio avevo un periodo che non riuscivo a scrivere niente. Poi stamattina mi sono messa d'impegno e ho finito anche il terzo capitolo.
Nella mia idea originale c'era posto per soli tre capitoli ma credo che metterò un epilogo, che è in fase di lavoro:)
Spero vi sia piaciuta o se siete arrivati fino qui per pena potete anche dirmelo, non mi offendo.

In realtà sto già macchinando qualche terribile tortura per quelli a cui non è piaciuta quindi attenti a voi.

P.s.: Solo io mi sono immaginata la faccia dei genitori in stile "Are you fucking kidding me?"?
  
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