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Autore: topstiel    17/02/2014    2 recensioni
“Cos'è una medicina?” chiese subito Castiel, aggrottando le sopracciglia, guardando Dean roteare gli occhi al cielo.
“È una cosa che ti fa stare bene.” rispose il bambino, appoggiandosi al ceppo con la schiena.
{OS | Destiel | Fawn!Castiel/Hunter!Dean}
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Titolo: Mother Nature's Son
Autrice: topstiel
Parole: 1763
Rating: Verde-smeraldoso-occhi-di-Dean.
Warnings: AU, Castiel è un fauno (o una specie? idk guys), Major Character Death (ops, i did it again).
Note: Ho pubblicato questo schifino solo per ricordarvi che non sono morta, ops. Ero troppo emozionata per aspettare di farmela betare, quindi gli errori sono tutti miei e della mia mente malata che ha sfornato questo cazzino tra mezzanotte e le due del mattino, nonostante dovessi svegliarmi alle cinque e mezzo. YEAH HARDCORE. Quindi, uhm, enjoy?






                                                                   
✿ Mother Nature's Son 

all day long i'm sitting
singing songs for everyone


 
Si perse nei boschi nel fiore della sua infanzia. Il suo viso era costellato da piccole lentiggini e, per raggiungere i pomelli delle porte, doveva sollevarsi sulle punte dei piedi ed allungare le mani il più che poteva. 

Si perse nei boschi, Dean, quando suo padre lo portava ad insegnargli il mestiere del cacciatore, indicando radici e ascoltando l’orchestra della natura attorno a sé, avvertendolo di fare attenzione ai suoi passi e parlandogli di come funzionasse il mondo.

Il sole filtrava a malapena attraverso la fitta vegetazione, il pomeriggio in cui Dean si perse. 

Chiazze di luce guidavano il suo cammino e, da qualche parte, un cinguettio si sollevava melodioso, accompagnato dal lento frusciare delle foglie mosse dal vento.

"Il bosco non è tuo amico." gli aveva detto suo padre, un giorno, e Dean avrebbe dovuto ascoltarlo meglio.

Ma lì, proprio quel giorno, in quel momento, Dean seguiva le tracce brillanti che tanto gli ricordavano le macchioline sulla sua pelle, saltando da una pozza di luce all’altra con entusiasmo. 

Uno scoiattolo fuggì nel proprio nascondiglio, facendo cadere un ramo a terra, e ciò attirò l’attenzione di Dean verso una manciata di fiori che ornavano la distesa verde che lo circondava. I suoi pensieri rotolarono goffamente verso sua madre, e, prima che potesse accorgersene, le sue mani stringevano un mazzo di bianche margherite.

Seguì il percorso fornitogli dal mondo, lasciando che i suoi palmi si colorassero di verde e che i petali ornassero la sua maglietta, impigliandosi, per poi cadere a terra lasciando una scia.

Quando finalmente alzò lo sguardo dagli steli d’erba, sentì un uccello abbandonare il suo nido, allarmato. I suoi occhi si ingrandirono dalla sorpresa, seguendo un raggio di sole che illuminava ciò che ne rimaneva di un albero. 

Due iridi incontrarono le sue e, per un momento, Dean avvertì lo spavento della creatura. La presenza invisibile di suo padre gli respirò sul collo, ma prima che potesse afferrarne la base e tornare con i piedi a terra, l’essere sul ceppo si mosse, rilassato.

I suoi piedi avanzarono verso di esso, i suoi passi improvvisamente attenti, e Dean gettò nel dimenticatoio gli avvertimenti di suo padre.

"Buongiorno." disse la Creatura, la voce bassa e roca, non abituata all’approccio umano. La curva dei suoi occhi era soffice e una corona formata da diversi fiori rallegrava la sua figura. Dai suoi capelli, selvaggi e scompigliati, sporgevano due minuscoli corni adornati da piccole radici attorcigliate attorno ad essi, e tra le mani teneva giovani e verdastri rami, intento ad incastrarli tra di loro per formare una corona.

"Ciao." rispose Dean, scrutandolo con curiosità. Si sedette sull’erba, tenendo il capo sollevato verso di lui. Poi, ignorando il rossore delle proprie guance, porse alla Creatura il discreto mazzo di fiori che aveva raccolto. "Ti piacciono? Sono per la mia mamma."

Gli rivolse la propria attenzione, Lui, e coprì le mani di Dean con le proprie, grandi e con il manto decorato da chiazze bianche. Sorrise, accennando un segno positivo con il capo, e rimase a guardare il bambino per un lungo attimo, con il ruscello a pochi passi da lì che ricordava loro della sua presenza con il suo impetuoso sgorgare.

Lasciò le sue mani per potersele portare sulla nuca, sfilandosi un fiore dai capelli per poterlo sistemare tra quelli biondo cenere di Dean.

 “Il mio nome è Castiel,” gli mormorò, assicurandosi di poter essere udibile nonostante la sinfonia recitata dal bosco. “Sono stato privato della compagnia di chiunque da molto tempo.” Piegò i rami e infilò i fiori che si trovavano sulla sua testa gradualmente, compiaciuto dalla sensazione di due grandi occhi verdi puntati su di lui. “La gabbia che imprigiona la bestia che è il mio cuore sanguina spesso, addolorata dalla solitudine. Cigola fastidiosamente e disturba la quiete della mia mente.” Si portò le ginocchia contro il petto dopo essersi sistemato la corona tra i due corni, e i suoi zoccoli raschiarono quasi impercettibilmente sulla corteccia morta. 

Dean piegò le labbra in una smorfia, poi sporse una mano verso di lui, sfiorandogli una gamba. “Se qualcosa ti fa male, dice la mia mamma, basta metterci sopra la medicina e non pensarci.” gli suggerì, aggiungendo un timido sorriso alla fine.

“Cos’è una medicina?” chiese subito Castiel, aggrottando le sopracciglia, guardando Dean roteare gli occhi al cielo.

“È una cosa che ti fa stare bene.” rispose il bambino, appoggiandosi al ceppo con la schiena. 

Ricevette un semplice “oh” da Castiel, che, successivamente, fece scivolare le dita tra i capelli di Dean, giocandoci e carezzando i petali della campanula lasciata pendere accanto al suo orecchio.

“Il fiore che ti dono è simbolo di gratitudine.” sussurrò Castiel, inclinando il capo e fissando con affetto Dean e la sua innocenza. Contando le margherite tra le proprie mani, Dean annuì, il sole che illuminava il suo volto e il piacevole peso delle mani della Creatura su di lui.

“Gratitudine per cosa?” chiese poi, aprendo gli occhi e girando appena la nuca in modo da poterlo guardare.

“Per essere la mia medicina.”

Da qualche parte, un uccello cantò alle uova che dovevano ancora schiudersi. Uno scoiattolo si affrettò a raccogliere le provviste per l’inverno e un coniglio si abbeverava nei pressi del ruscello, pronto a scappare al minimo suono. Appoggiato ai resti di un albero e circondato da fiori, Dean sorrideva e, nonostante la voglia di spiegare alla Creatura che una medicina assomiglia più ad una pillola o ad una disgustosa bevanda amara, taque, felice.


Castiel avvertì l’arrivo di un estraneo quando il respiro di Dean si fece più pesante, una sua mano aggrappata a lui e la propria gamba usata a mo’ di cuscino.

Silenziosamente, seppure di fretta e terrorizzato, piantò un soffice bacio sulla fronte del bambino, prima di scomparire tra il fogliame.

“Dean!” chiamò John, in un tono misto tra il sollevato e l’arrabbiato. Accorse verso il figlio, il quale aprì gli occhi, stordito. Si guardò attorno, Dean, stringendo i fiori tra le mani, la campanula ancora impigliata tra i suoi capelli, ed una sola parola scivolò dalle sue labbra. 

“Cas?”

 
Non successe perché si perse. Quella volta, Dean non saltò nelle pozze di luce, accompagnato dal canto del bosco, né raccolse margherite lungo la propria via.

Quella volta, il peso del fucile sulla sua spalla tenne Dean con i piedi a terra, così come la scatola di cartucce dentro la sua tasca, e l’unico motivo per cui la sua attenzione era completamente dedicata al terreno, era per evitare di calpestare qualsiasi cosa che potesse spaventare la selvaggina.

I suoi occhi raccattavano qualsiasi movimento attorno a sé; gli scoiattoli non si nascondevano al suo passaggio, né gli uccelli abbandonavano i nidi, ignari della silenziosa presenza del cacciatore.

Successe nello sbocciare della sua età adulta. Le lentiggini sul suo volto erano oscurate da tratti seri e spigolosi di un uomo cresciuto duramente, incapace di distinguere un sogno da un evento realmente accaduto. Una campanula secca e protetta da due strati di plastica restava nella tasca posteriore dei suoi pantaloni e la stretta delle sue mani era sicura sulle armi, eppure debole al contatto altrui.

Lo trovò seduto su un vecchio ceppo non molto lontano da un ruscello, e, a sua sorpresa, non si sorprese.

Castiel cantava assieme alla natura, rivolgendogli fiduciosamente la schiena maculata. I suoi corni erano più grandi, appena sopra le orecchie sporgenti verso i lati, e la corona di rami e fiori che riposava sulla sua nuca era più elaborata di quella che tempestava i sogni di Dean. Ancora una volta, alcun vestito copriva il suo corpo, e le sue dita erano intente a giocare con dei fili d’erba.

"Buongiorno." parlò per prima Castiel, voltandosi per incrociare lo sguardo del cacciatore. La soffice linea dei suoi occhi non si irrigidì nemmeno alla vista del minaccioso fucile.

Dean avanzò con passo deciso, fermandosi davanti a lui. Non disse nulla mentre infilò la cartuccia nella canna della propria arma, e Castiel si limitò a sorridere. "Capisco." affermò, e Dean percepì chiaramente il disappunto nella voce della Creatura.

Rafforzò la presa sul fucile, scacciando i petali che si insinuavano casualmente nei suoi pensieri. "Ma prima... lascia che-" Castiel si alzò dal ceppo, e camminò fino a che la canna non si poggiò contro il suo petto, e la sensazione del materiale pesante sulla sua pelle lo fece rabbrividire per un istante.

Allungò le braccia, i suoi movimenti cauti e gentili, come nei ricordi di Dean, e poggiò una ghirlanda di fiori gialli sulla sua nuca. Lo guardò con affetto, poi una sua mano scivolò fino a posarsi su una guancia di Dean, solleticata dalla presenza di un appena visibile strato di barba. 

"Cos’è, questa volta?" parlò Dean, finalmente, e la Creatura si stupì di quanto fosse cambiata la sua voce. Di come fosse rimasto affascinante e di come la natura fosse stata clemente con lui, figlio di un cacciatore e uno di loro lui stesso. Di come il suo lavoro avesse preso a calci l’innocente bambino che si era presentato a lui anni prima e di come fosse inevitabile e ironico preoccuparsi per l’uomo che avrebbe messo fine al dolore della sua esistenza. Prese un profondo respiro, incerto su come esprimersi con gli umani. "È un’adonide, sta per ricordo doloroso." 

Prima che poté rendersene conto, Dean rise. “E dimmi, cosa c’è di così tanto doloroso?”

La risposta di Castiel fu immediata, detta con tono soffice e stupito. “Averti dovuto lasciare andare. Guardarti mentre cercavi di convincere tuo padre della mia esistenza. Vedere le creature del bosco soffrire per mano tua mentre divenivi tu stesso un cacciatore. La realizzazione di ciò che ne sarebbe stato di me una volta che mi avresti trovato. E la cosa peggiore? Non poter fare nulla.”

“Se ti fa male, mettici sopra la medicina.” sussurrò Dean, dopo essersi leccato le labbra, pensieroso. Spostò di poco la canna del fucile, fino a puntarla direttamente verso il cuore di Castiel.

Quest’ultimo sorrise, capendo il riferimento, poi si sporse con il viso verso Dean, fino a posare le labbra sulle sue, in un amaro contatto.

Uno sparo echeggiò tra gli alberi, i quali facevano filtrare il sole tra i loro rami, immagini indefinite di luce che si proiettavano sul terreno. Da qualche parte, un uccello lasciò il suo nido. Uno scoiattolo alzò la testa per guardarsi attorno, spaventato, e un coniglio si sporcò le zampe con il fango del ruscello, scappando verso la valle.

Da qualche parte, Dean Winchester coprì il corpo senza vita di Castiel con fiori di magnolia, simbolo di amore verso la natura.

Il bosco non è tuo amico.” gli aveva detto suo padre, un giorno, e Dean aveva imparato ad ascoltare.





Fauni, coroncine di fiori e angst.
Ho abbandonato gran parte dei miei lavori e mi dispiace, ma sto attualmente lavorando ad una long destiel e ci tengo a scrivere tutti i capitoli, prima di pubblicarla. Purtroppo, ho frequenti sbalzi di umore e con ciò, blocchi d'autore, finendo così per sclerare e avere attacchi isterici il 104% delle volte in cui provo a scrivere. Chiedo venia.
Vorrei anche ringraziare le persone che, attraverso i vari social network, mi hanno incoraggiata e sostenuta. Se non fosse stato per voi a questo punto avrei abbandonato completamente la scrittura. 

 
 
 
 
   
 
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