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Autore: HerrCat    17/02/2014    0 recensioni
Il primo, vero palco. Suzanne a 22 anni.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Suzanne'
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È questo il momento? Salgo sul palco. Mi hanno detto di non fingere, di parlare col cuore in mano, ma non so quanto ci riesco. Gli altri del Consiglio Direttivo contano su di me, come sempre. «Tu sai scrivere, fai tu.» Ed in più questa è la mia giornata, quindi avrei dovuto parlare comunque. La mia sera. Artisti, musica, attori. Mi hanno chiesto di leggere la mia anima. È un po' la prova del nove, stasera mi presentano come poetessa ufficiale dell'associazione, credo. La sala è buia, la gente è troppa. O troppo poca. Una maledetta luce mi fissa dall'altro lato della platea, mi illumina, a modo suo. Mi acceca, non riesco a pensare ad altro. Le persone in prima fila si aspettano che parli, glielo leggo negli occhi. Maledette lentine, mi fanno vedere tutto. Senza forse sarebbe stato più semplice. Non riesco a percepire altro che questo fastidio immenso della luce che mi arriva sparata dritta negli occhi. Neanche i tacchi mi fanno più di tanto male. 
-Allora, Suzanne, vuoi parlarci un po' della tua opera? - mi chiede la presentatrice.
Guardo ancora la platea, in direzione della videocamera.
- Si presentano meglio da sole, credo. - rispondo un po' burbera. Tiffany è lì dietro, la vedo anche se è troppo vicina alla luce. Stasera è più bella del solito, con il ciuffo nero perfettamente liscio, la camicia di seta color vinaccia e la giacca scura che le sottolinea il punto vita. Faccio passare alcuni secondi di silenzio, cerco di capire chi sia la figura che le sta accanto. Maledetta lei, maledetti i suoi capelli rossi, maledetto il suo braccio attorno alla vita di Tiffany. Ma Tiffany sta guardando me, lo so, non lei. Tutti stanno guardando me. Me, il mio vestito a pois bianco e nero, corto, il mio rossetto rosso, i miei capelli raccolti, le mie scarpe da Charleston. La presentatrice rimane interdetta, probabilmente si aspettava che le dessi una mano, ma non ne ho voglia.
- Bene! - mi risponde dopo un po' con il suo solito tono allegro. - Sei molto sicura di te, vedo! Cosa ci leggerai? -
- Non sono così sicura di me, sono più sicura di loro, a dire il vero. - rettifico - Ad ogni modo la prima si chiama «Le Onde». -
- La vuoi introdurre? -
- Uhm...bè, parla di amore, credo. Un amore che rende liberi, può essere? Una cosa che prima ti annega e poi ti libera, in tema con la serata. - La serata è a tema «amore libero, spezziamo il pregiudizio» - Comunque ascoltate e capirete! - Cerco di sorridere. Ci provo. Guardo la presentatrice, poi un'ultima volta in camera. Non voglio stare lì su. Non voglio parlare, non voglio leggere, non voglio essere lì, voglio essere giù. Tiffany, abbracciami di nuovo. Calmami come poco fa.
«Rischio
di perdermi
in una pozza d'acqua,
così simile al mare.»

Per un attimo chiudo gli occhi. Mi pare di sentirle, quelle onde di cui parlo.
«Temo 
di non essere in grado
di reggere,
di trovare la strada
sott'acqua.»

Più o meno come ora. Perché i sentimenti ritornano sempre? E se nulla andasse in porto? E se non mi pubblicassero mai? A cosa servirebbe leggere stasera?
«Smetto
quasi 
di respirare,
annego
quasi.
Ma»

Guardo di nuovo in camera per un attimo. Non sono sicura di quello che sto per dire, non sono sicura di quello che ho scritto, non sono sicura di nulla. Mi manca la terra sotto i piedi, voglio scendere da lì.
«non è più quel tempo,
non è più il momento.»

Ecco, l'ho detto. Mi guardo intorno. La platea ascolta, i soci ascoltano, gli altri del Consiglio Direttivo ascoltano. Siamo qui per liberarci dalle catene, è per questo che ora ho tanta fiducia nel futuro. Eppure ci sono ancora momenti in cui mi sento annegare, come ora, come qualche mese fa, quando tutto mi sembrava perduto.
«Prendo aria
con
forza,
risalgo
in 
superficie,
guardo
il cielo»

Annaspo come la poesia, come i versi sconnessi. In fondo sto andando bene, no?
«di un blu forte,
così intenso
da farmi male agli occhi,
da ferirli,
la luce del sole
a mezzogiorno
mi fa
perdere il lume»

Sorrido, quasi un sogghigno. «Smirk» si chiama in inglese. Tiffany, Tiffany, cosa hai fatto per meritare questo? Cambiarmi l'ottica è forse abbastanza?
«mi fa
uscire di senno.
Il cielo 
si fonde nel mare,
il mare
si fonde in me.»

Eccola, la mia libertà - sembra quasi che sia sparita ogni traccia di Tiffany qua, eppure lei è lì, mi riprende, ed è ancora nei miei versi, credo. Da qualche parte lì. Ma ora io sto respirando di nuovo, almeno nei ricordi di quando scrivevo. La platea è sparita, sparita la luce, come tutto. Di nuovo quella sensazione. Sentimenti che ritornano.
«Così
dall'alto in basso,
dal basso in alto
in un ciclo
forsennato
e
dolce,
mi sento libera.
Io
sono 
libera.»

Stacco gli occhi dal foglio e sono di nuovo qui, su questo palco. La platea davanti a me sta in silenzio, riesco a sentire il loro sguardo più o meno attonito. Cosa non è chiaro? Sorrido, mi inchino.
- Davvero, si presenta da sola. - dice la presentatrice. Solo ora capisco che non mi ha staccato gli occhi di dosso per tutto il tempo. Come tutti. Ma io non sentivo nulla, nulla, se non i miei ricordi. Parte l'applauso. Ho scelto quella giusta. Uno scroscio di suoni di mani a cascata riempie la sala, mi riempie le orecchie, l'anima. La fidanzata rossa mi guarda interrogativa, quasi in cagnesco, credo. Batte le mani a ritmo lento, come se gli ingranaggi nella sua mente stessero iniziando a prendere una vaga forma. Tiffany accanto applaude forte. La vedo: ride, rossa.
  
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