Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: Thiare    17/02/2014    3 recensioni
- Allora hai deciso di partire... -
- Sì, è una grande possibilità per me, questa. -
Fitz non aveva osato ribattere ulteriormente. Conosceva Jemma, conosceva la sua fragilità e una decisione del genere avrebbe potuto soltanto temprarla maggiormente.
- Non ti sembra che le Filippine siano un po' lontane? -
- Lo sono, Fitz, ma non posso dire di no, non capita tutti i giorni di essere assunta in quel laboratorio. -
Jemma piegò un maglioncino blu e lo ripose delicatamente sul suo letto. Si fermò un momento ad osservarlo, ricordava l'ultima volta che lo aveva indossato.
[A WholeDamnTime per il suo compleanno]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jemma Simmons, Leo Fitz, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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I miei più calorosi auguri  a WholeDamnTime, che ieri ha compiuto gli anni! Perché non l'adorerei se non fosse così dolce e solare! Felici ** anni, F! (l'età delle donne non si dice U.U shh ;D)
P.S. sono la dea del ritardo ^^'



- Allora hai deciso di partire... -

- Sì, è una grande possibilità per me, questa. -

Fitz non aveva osato ribattere ulteriormente. Conosceva Jemma, conosceva la sua fragilità e una decisione del genere avrebbe potuto soltanto temprarla maggiormente.

- Non ti sembra che le Filippine siano un po' lontane? -

- Lo sono, Fitz, ma non posso dire di no, non capita tutti i giorni di essere assunta in quel laboratorio. - Jemma piegò un maglioncino blu e lo ripose delicatamente sul suo letto.
Si fermò un momento ad osservarlo, ricordava l'ultima volta che lo aveva indossato.

- Oh, come se ti avessi obbligato a seguirmi da qualche parte. -

- Hai detto, e sto citando letteralmente, "Oh Fitz, è l'opportunità perfetta per noi per vedere il mondo!" -



- E tu invece? Accetterai il lavoro a New York? - chiese con un tocco di esitazione nella sua voce.

- Lavorare per Stark? No, tante grazie. - il ragazzo agitò la mano come per scacciare un pensiero.

- Sembrava ti interessasse. - continuò Simmons. - Pensavo fossi contento. -

- Credo di voler rimanere qui, Coulson ha bisogno di me. -

Jemma gettò di nuovo lo sguardo su quel capo d'abbigliamento perfettamente adagiato sul lenzuolo e, in un impeto di agitazione, lo buttò velocemente in valigia.


- Sei stata accanto a me per tutto il dannato tempo. -


- Con la sconfitta del Chiaroveggente e di Centipede del tuo lavoro resta ben poco. -

- Non si può mai sapere. - 

***


Le diciassette e cinquantaquattro, l'aereo sarebbe partito sei minuti dopo e una ragazza dagli occhiali da sole scuri percorreva velocemente l'ampio corridoio affollato dell'aeroporto. Nessuno ad aiutarla a trasportare quella miriade di valigie che si portava dietro a fatica. Diede un'ultima occhiata all'orologio da polso e ritornò a fissare l'atrio davanti a sé. Immagini e suoni correvano velocemente e desiderò tanto fermarsi e aspettare che qualcosa accadesse, qualcosa che le dicesse se quella era la decisione giusta. Con la mano destra ancorata a un frivolo beauty case fucsia si spostò una ciocca chiara dietro l'orecchio e si asciugò la fronte lucida di sudore. 

"E' davvero quello che vuoi?" la canzonava una voce nella sua testa. E avrebbe voluto rispondere che non lo sapeva, che avrebbe voluto solo pensarci ulteriormente ma il tempo stringeva e non era il momento per tirarsi indietro.

Arrivata all'imbarco passeggeri si liberò del peso delle borse e si concesse qualche minuto per cercare il biglietto nella borsa. "Non è difficile, avanti tesoro, deve stare qui da qualche parte, non può essere sparito. Avanti, è rettangolare, è sottile, è riconoscibile soprattutto!" E i pensieri di quella ragazza si facevano sempre più confusi. - Forse questo è un segno, quello che aspettavi per convincerti una volta per tutte di non partire. - inevitabile coscienza.

La signorina che controllava i biglietti all'imbarco, - magra, slanciata, lineamenti asiatici e capelli lisci e neri come gli occhi - Marina, credeva si chiamasse, assottigliò gli occhi già piccoli e incrociò le braccia sotto il petto.

- Problemi signorina? - chiese con un accento perfettamente inglese.

- Mi scusi, solo un momento, non riesco a trovare... - e di nuovo la sua attenzione era indirizzata alla sua borsa e - appunto mentale: brevettare una formula per la restrizione dei corpi per momenti come questo. 

- Questo dovrebbe essere un segno? No perché in tal caso dovrei venire via con te, sei maledettamente maldestra senza qualcuno che ti guardi le spalle. - una voce calda e conosciuta alle sue spalle le porgeva il biglietto dell'aereo. 

La ragazza si voltò incrociando un paio di occhi chiari e sorridendo.

- Ti sbagli, - cominciò strappandogli il biglietto di mano - sei tu che non puoi fare a meno di guardarmi le spalle. - 

Un sorriso si aprì sul volto di Fitz e le mani ritornarono a occupare le tasche. 

- Credevi di poterti liberare di noi in questo modo? - 

Jemma rise e porse il biglietto all'hostess asiatica. - Era l'ultima cosa che avrei voluto. - Abbandonò le borse in un angolo e si volse del tutto sorprendendo i suoi stessi
occhi, che videro l'intera squadra schierata alle spalle di Fitz. 

- Sicura di voler andare? - la voce di Coulson non traspariva la durezza di un capo ma l'affetto di un amico. 

- Non c'è più bisogno del mio aiuto qui. Questa è una grande opportunità. - 

Phil annuì e si sbottonò la giacca dirigendosi verso di lei. Estrasse qualcosa dalla tasca interna e gliela infilò nel giubbotto. - Ricordati sempre da dove vieni. - e ritornò al suo posto. 

- Il suo volo parte tra pochi minuti, signorina. - le ricordava Marina. 

- Grazie, arrivo subito. - Jemma voltò di nuovo il capo verso quella che era stata per tanto tempo la sua famiglia. Si accorse di stare ad un passo da Leo solo quando sentì il suo respiro sul collo e si rese conto che lo stava abbracciando. 

Tra i suoi capelli ramati, Leo annusava il suo profumo. Gli sarebbe mancato.

Jemma si volse verso la squadra e sorrise, cercava di recuperare tempo ma era inevitabile, quindi fece l'unica cosa che le sembrò più naturale. 
Skye non si rivelò sorpresa da quell'improvviso contatto, ricambiò l'abbraccio che le aveva dedicato l'amica in un impeto di emozione, la strinse forte e assottigliò gli occhi per non piangere. Poi le sussurrò qualcosa all'orecchio sciogliendo il contatto. 


- Ricordati di me quando vorrai sparare a un tuo superiore. -


E i sorrisi schivi e imbarazzanti dominavano l'aria mentre sguardi velati di tristezza cadevano sul pavimento lucido dell'aeroporto. 

- Vedi di non farti ammazzare. - una voce proveniente da chissà dove le ricordava questo semplice concetto. Perché si può smettere di essere un agente dello SHIELD ma non si smette mai di essere una spia. 

- Buona fortuna, Jemma. - ora la voce della May suggeriva neutralità, ma in fondo alla gola quel nodo non voleva sciogliersi. Perché le famiglie non smettono mai di essere tali. - Non combinare guai mentre sei via. - E forse quello era stato l'unico sorriso che Jemma avesse mai visto sul suo volto. 


Ward non disse niente fino alla fine. 
- Il tuo volo sta per partire, - freddo, distaccato. Che Jemma fosse diventata come una sorella minore per lui? - meglio che ti sbrighi. - Mani in tasca, sguardo altrove. 

- Sì, hai ragione. - alzò i tacchi e si voltò di nuovo verso l'hostess asiatica, quando qualcosa la trattene per un braccio. 

Ward...?

- Non ci sarò più io a pararti il culo, Simmons. - lo disse più con divertimento che con nervosismo.

- Ma tu mi hai insegnato come farlo. - Sorrisero, insieme.

- Ti stanno bene gli occhiali. - 


Quando si voltò, Fitz teneva gli occhi sulle punte delle proprie scarpe e le mani ancora nelle tasche dei pantaloni. 
- Fitz... -

- Voglio che tu abbia una cosa. Dicendo ciò scomparì dietro la schiera di agenti. Ritornò poco dopo con una valigetta in mano e un'espressione smarrita. 

- La valigetta.. -

- E' meglio che la tenga tu. -

E quel sorriso sarebbe stato l'ultimo ricordo del suo viso prima di tanti mesi.


***

Su quell'aereo la vista era fantastica. Jemma si chiedeva se avesse fatto davvero bene ad abbandonare tutti. Ovviamente sua madre non era stata d'accordo. Non lo era stata neanche sul fatto di diventare un'agente dello SHIELD ma papà era stato convincente. Forse lui era quello che le sarebbe mancato di più.

Appoggiò la testa sul finestrino e arricciò il naso al sentire il russare del vicino giapponese. Chiuse gli occhi e infilò lentamente le mani in tasca; ne estrasse un piccolo cartellino di riconoscimento plastificato.

Simmons Jemma, biochimica. A grandi lettere c'era scritta la sua storia. 


- Ricordati sempre da dove vieni. -

Phil... Forse lui era l'unico che avesse capito cosa provava.




Quattro settimane dopo... 

Il suo sogno da bambino era quello di diventare un astronauta, voleva anche studiare e diventare così bravo con la tecnologia da riuscire a risolvere il difetto della poltrona con lo schienale regolabile del suo bisnonno. 

Questa maledetta sedia... tossicchiava rauco un vecchietto raggrinzito su se stesso. 

E c'era riuscito, aveva raggiunto il suo sogno, era diventato un ingegnere aerospaziale e la sua fama era stata degna del suo nome. Aveva sperato, combattuto, era riuscito dove gli altri avevano fallito e aveva trovato un avversario degno della sua notorietà. Erano in due, ora, in due a sperare, in due a sparare, in un mondo a loro disposizione.

Dottor Leopold Fitz. Si era guadagnato quel nome e la fama che l'ha accompagnato. Lui che era stato sempre colui che "no, Skye, non si tocca!", colui che "siamo come un'infinita gamma di variazioni che si incastrano a vicenda e non creano magia, creano la scienza". E colui che "c'è sempre una soluzione, la scienza è una donatrice anonima di benessere." Lui che teneva in bella mostra la medaglia d'oro vinta alla Fiera Invenzione&Divertimento, lui che - SCACCO MATTO! - ed esultava come un bambino. 

Erano ormai ore che si trovava davanti a quel gioco da tavola e, per quanto potesse essere divertente giocare con Dexter, era pur sempre un colpo basso alla sua figura da modello da imitare. 

- No Dexter, ho vinto io! E' inutile che fai quella faccia.. no, no! Ti ho detto che ho vinto! Non mi convincerai ad iniziare un'altra parti.. - la sua voce venne interrotta dalla suoneria del suo telefono. Ti sei salvato per questa volta, dottor Fitz..

Dall'altra parte della cornetta, una voce calda lo salutava. 

- Jemma... - il cellulare incastrato tra la spalla e l'orecchio e quella voce che a malapena riusciva a celare la sorpresa. 

- Ciao.. Chiamo solo ora perché qui i contatti con l'esterno sono molto ristretti, non ci è permesso fare più di due telefonate al mese e i miei sono così in pensiero che non mi hanno.. -

- Sono felice di sentirti. - la interruppe con dolcezza il ragazzo.

- Oh. Bé, come vanno le cose lì? - 

- Come al solito: cattivi a cui mettere le manette, missioni senza piano d'estrazione per Ward e May, ieri è persino venuto a farci visita l'agente Sitwell, quell'uomo è ricco di sorprese. - dall'altra parte, Jemma sospirava. - Skye è diversa, è riuscita ad atterrare Ward in un combattimento d'esercitazione, la ferita però le fa ancora male delle volte. May la scorsa settimana è stata convocata al Centro, penso guai in vista. - 

- E tu? -

- Stark mi ha riproposto il lavoro. Più che lui penso sia stato il suo nuovo amministratore delegato. -

- Dovresti accettare. -

- Non credo che tu voglia sprecare i pochi minuti che hai a disposizione per parlare di questo. Più che altro, ti comporti bene lì? -

Jemma emise un flebile sospiro a malapena percepibile. - Sto lavorando alla creazione di un nuovo antidoto, la popolazione di qui è molto soggetta a malattie infettive e contagiose. E' un lavoro duro ma credo di poterlo finire entro i prossimi quindici giorni, io e Dorian ci siamo impegnati a fondo. -

- Dorian..? -

- Sì, il mio nuovo... - le parole le morirono in gola. -..assistente. -

Dall'altra parte Fitz si ritrovò disperatamente ad annuire, quando un urlo lo riportò alla realtà.

- NO DEXTER! UN MOMENTO, SOLO UN MOMENTO! - Leo si strofinò la mano sulla fronte respirando sonoramente.

- E' il tuo nuovo partner? -

- Chi, Dexter? Lui, ehm, lui... - che cosa hai in mente, Fitz? - Sì, lui è il mio nuovo partner. -

Silenzio dall'altra parte. Una fitta di gelosia la colpì dritto allo stomaco. 

- Sono felice per te. Qui Dorian mi fa impazzire, non sa distinguere uno microscopio ottico da un caleidoscopio! Ieri ha confuso i prelievi di urina con la melatonina! -

- Oh, non vanno molto bene le cose.. -

- Ora sono in pausa, il signor Katawane arriverà a momenti e io dovrò mettermi sotto, il governo di qui pretende un antivirus alla svelta. -

Mentre finiva di pronunciare quella parole, un gran vocione si diffuse nell'aria circostante. I due ragazzi si girarono di scatto cercando di capire da dove provenisse. 

- Devo andare.. - pronunciarono in coro. 

- Ciao... - fu Jemma la prima ad attaccare. 

Quando Fitz si alzò dal tavolo del Bus i suoi occhi incontrarono quelli scuri di un uomo sulla trentina. - Chi sei tu? - una domanda retorica.
Lo sguardo di Dexter, lì a fianco, tremò non appena vide quella pistola puntata contro l'ingegnere. 


Poi... il buio.

   Quando Jemma riaprì gli occhi il blackout era finito, Dorian e il signor Katawane erano in piedi accanto all'interruttore. Jemma se lo immaginava più basso e robusto, il suo datore di lavoro. Considerando che non lo aveva mai visto prima, era rimasta non poco sorpresa ritrovandosi di fronte un uomo sulla sessantina alto e muscoloso, con una spruzzatina di grigio tra i suoi capelli mossi. 

- Colpa del maltempo. - disse allora Katawane con una voce rauca. - Ritornate ai vostri doveri. - e Jemma non fece altro che annuire.



Quando Fitz riaprì gli occhi l'infiltrato armato era ammanettato sul pavimento e Ward si stava asciugando la fronte sudata. Il rumore, le grida del compagno, il suono dei pugni sul viso del nemico. Niente, niente era riuscito a convincerlo ad aprire gli occhi. E ora guardava spaesato quell'individuo basso e goffo che lo fissava spaventato. - E va bene Dexter, hai ottenuto la rivincita. -


***

- Non sono quell'eroe... -

- Forse no, ma sei il mio eroe. -


La ragazza si svegliò di soprassalto nel suo letto. Il respiro affannato, i battiti irregolari e la fronte bagnata, poi quel leggero prurito ai lati degli occhi e tutta la sua forza per non piangere. Era pomeriggio inoltrato ma lei non riusciva a dormire da tre notti. Aprì con foga il cassetto in preda alle palpitazioni, mentre le sue mani tremavano e non riusciva ancora a connettere il cervello. Trovò finalmente il cellulare e compose il numero velocemente. Il telefono produsse alcuni suoni ripetitivi e, quando la giovane stava perdendo ormai la speranza, una voce impastata dal sonno le rispose. Flebile che poteva essere confusa con un semplice lamento nella veglia, ma quella voce le rispose. 

- Jemma, che succede? Sono le quattro e mezza del mattino. - Giusto, si era dimenticata del fuso orario. 

Con la voce ancora rotta dai singhiozzi si decise a parlare. - Eri tu, eri tu nel mio sogno! - 

L'interlocutore dall'altra parte ancora non capiva. - Jemma, tesoro, calmati e raccontami tutto, lentamente. - L'uomo si alzò a fatica dal letto e camminò di soppiatto fino al bagno attento a non svegliare chi, ancora, dormiva. 

- Eri tu, eravate tu e la mamma! -

- Ma di che cosa stai parlando? Tesoro calmati. -

Jemma emise un rumoroso sospiro per poi alzarsi completamente dalla sua misera branda e arrivare alla finestra. Fuori lo spettacolo che si vedeva era incredibile, venticinque anni di vita e ancora quella mano davanti alla bocca ogni volta che si sorprendeva. Ormai le lacrime erano cadute, precipitate sulla moquette antica ma Simmons sentì qualcosa cambiare dentro di sé. 

- Jemma..? -

Asciugandosi gli occhi ancora bagnati, la ragazza agguantò il telefono. 

Albert Harvie Simmons non era un uomo sensibile più di tanto, lui era forte e introverso, coraggioso in silenzio, quando nessuno poteva sentirlo. Sua moglie non avrebbe mai ammesso che fosse lui la sua roccia, Julien era molta estroversa e orgogliosa rispetto al marito ma molto più sensibile. Quando però spalancò la porta del bagno alle quattro e mezza di mattina, non trattenne un'esclamazione di sorpresa ritrovandosi davanti suo marito seduto sul water. Albert sollevò di poco gli occhi imbarazzato, alzandosi dalla tavoletta e raggiungendo il soggiorno. 

- Tesoro mi vuoi dire che cosa è successo? - chiese infine a Jemma non appena ritrovata la tranquillità.

- Scusa papà, mi dispiace averti svegliato, non fa niente, ci risentiamo. - detto questo riattaccò incurante delle obiezioni del padre. Dall'altra parte uno sbuffo.

Suo padre però non sapeva che in quel sogno Jemma aveva visto il loro primo incontro, quello dei suoi genitori, lui non era a conoscenza del fatto che lei lo avesse confuso con un'altra visione. I sogni sono magici, risvegliano la parte più nascosta di noi e la camuffano sotto immagini-simbolo. Jemma non avrebbe mai capito il significato di quel sogno.

Asciugandosi le ultime lacrime decise che non si sarebbe riaddormentata, tanto sarebbe valso ritornare a lavoro.



***


Sei mesi dopo...

Quando Fitz si svegliò di soprassalto il suo sogno se l'era già dimenticato. Non cercò il cellulare, non cercò una valvola di sfogo, decise solo che era tardi per dormire ancora.
Quando ancora il Bus era immerso nel silenzio e nel buio, si alzò e si diresse verso la cucina. La stanza di Skye era a pochi passi da lui ed era l'unica da cui proveniva un lieve rumore. Sorrise al sentire quella graziosa ragazza russare come pochi. Arrivò in cucina, si preparò presto una buona tazza di tè caldo e si accoccolò sul divanetto poco distante. Da quanto tempo che non ascoltava quel silenzio, ormai non lo ricordava più.

Un fruscio alle sue spalle interruppe quell'attimo incomparabile. Fitz si voltò e stirò le gambe sul pavimento. 

- Ward, che ci fai qui? -

- Ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare. -

- Wow, buon orecchio. - sbuffò l'ingegnere. - Ok, ritorno alla mia cuccetta. - e così dicendo rovesciò il liquido nel lavandino e ci posò la tazza.

- Non sembra che tu senta la sua mancanza. - sussurrò a quel punto Ward.

- Oh, beh, beh, cosa? - balbettò spaesato.

- Insomma voi eravate FitzSimmons, sembravate inseparabili. -

- Può succedere qualsiasi cosa, a noi è capitato questo ed è andata a finire così, che cosa vuoi da me? - sbottò innervosito Fitz incamminandosi verso la sua stanza.

- Io non l'avrei fatto, Fitz. Non l'avrei lasciata andare. -

Leo fece in tempo ad ascoltare quelle ultime parole e scomparì nel buio di quella notte. 


***

Quando la luce si spense l'ennesima volta, Jemma sentì la presenza di Dorian muoversi nel buio. Il tempo fuori dalla finestra non era dei migliori e forse uno dei motivi per cui il signor Katawane volle far evacuare l'edificio era il forte vento che sembrava volerlo sradicare. Agguantò nell'oscurità la valigetta dei D.W.A.R.F.s e scomparì nella folla fuori dalla costruzione.
     Il capo era stato categorico: dovevano recuperare le materie prime necessarie per i nuovi farmaci che dovevano creare prima che tutto venisse distrutto dallo tsunami. Arrivati nel luogo giusto Jemma si lanciò per terra spalancando la valigetta; davanti ai suoi occhi quell'edificio crollato nascondeva ciò che a loro serviva per portare a termine il lavoro.
Dorian era già pronto a rovistare tra le macerie pur di ritrovare il necessario ma venne bloccato in principio dalla voce dolce ma autoritaria del suo superiore.

-  Campbell, non fare sciocchezze. -

- Cosa intende dottoressa Simmons? -

- Vieni qui, prendi questo, - gli disse porgendogli il tablet per il funzionamento dei D.W.A.R.F.s sotto il suo sguardo allibito. - Attiva Grumpy e Biancaneve, regola l'equilibrio, stabilizza la pressione e traccia il percorso. Rintraccia gli acidi e modula la visione specifica sullo schermo. - disse Jemma non capendo la disperazione nei suoi occhi.

- Eh?! - balbettò appena il giovane.

La biochimica abbassò il capo sbuffando.

"Se solo ci fosse Fitz." pensò con rammarico. Ma i suoi pensieri vennero immediatamente offuscati da un forte colpo. Da quanto ne sapeva i cacciaviti non volano, ma con quel tempaccio tutto era lecito, avrebbe avuto un'altra ferita sul campo da aggiungere alla sua carriera.
 
***

Con un tonfo metallico il cacciavite che Fitz aveva stretto in mano fino a quel momento era precipitato sul pavimento lucido del laboratorio. L'ingegnere si chinò a riprenderlo lanciando uno sguardo alla propria destra... uno spazio vuoto. Lo SHIELD era stato incredibilmente accorto quella volta. A quanto pare quella visita inaspettata sull'aereo nascondeva una storia molto più oscura. E adesso si doveva complimentare con Ward che era riuscito ad atterrare un soldato HYDRA vissuto per tanti anni con i poteri di Captain America.
Era ancora inspiegabile come fosse riuscito ad entrare in possesso della formula di Erskine ma allora lo SHIELD aveva circondato l'ingegnere di scienziati -più che qualificati sembravano bambini che giocavano al "Piccolo Chimico".- a occuparsi del caso.

- Grace passami lo stabilizzatore molecolare. - ordinò Fitz con la mano allungata verso  la sua sinistra. Quella ragazzina dai capelli color sabbia lo guardava con uno sguardo perso mentre cercava nei suoi occhi un suggerimento a cui aggrapparsi. - Agente Grace sai almeno che cos'è? -

- Oh, certo certo. - asserì con convinzione guardandosi attorno.

- Allora non sai dove si trova?! -

- Oh, sa agente Fitz, non sono molto esperta del posto, sono molto più abituata al mio laboratorio. -

Fitz non sapeva se disperarsi o ridere per non piangere.

- Ok Grace, allora porta questo campione di sangue all'agente Mayers, che mi aggiorni sulle analisi. Dì a Ward di controllare il nostro ospite, sembra instabile... parecchio. - disse rivolgendo un'occhiata allo schermo che raffigurava la cella di contenimento.

"Se solo ci fosse Simmons." pensò Fitz guardando con disapprovazione la bionda che correva fuori dal laboratorio. Si volse ancora una volta verso lo schermo e osservò il soldato urlare. Quello era uno strano caso...
 

***

Jemma si svegliò urlando quasi in sincrono con la voce nella sua testa. Ormai non passava notte in cui non facesse incubi.

L'uomo che aveva sognato dubitava di averlo mai visto. Gli sfregi che aveva sul viso, però non promettevano nulla di buono; era cattivo, lei lo aveva capito.
Un urlo, solo un urlo straziante rimase di ciò che era successo quella notte, di ciò che aveva visto e che l'aveva spaventata a morte. 

Come di consueta abitudine la ragazza si fiondò sul cassetto del comodino che aprì con tanta veemenza da scaraventarlo fuori dalla fessura, agguantò il telefono e compose il primo numero che le venne in mente.
Suo padre era ormai abituato alle telefonate pomeridiane -che però dall'altro capo del telefono erano notturne- della figlia. Lui cercava di aiutarla, di capire cosa avesse ma ogni volta Jemma riattaccava con tanta noncuranza da farlo preoccupare.

La voce che però rispose quella volta fu ben diversa,
- Jemma... -

- Leo.. - lo chiamò la ragazza quasi in lacrime. 

- Come stai? - le chiese premuroso il giovane. 

Ormai tra i singhiozzi Jemma non esitò a nascondere il proprio stato d'animo. - Stai bene, Fitz? -

- Oh, beh, io... tu, che ti succede? -

- Stai bene? - alzò sensibilmente la voce ora. Lui non sapeva che cosa aveva visto.

- Sì, sì, voglio dire, tutto come al solito. -

- Mh. - Jemma sorrise riacquistando la calma.

- Come stai tu invece? Scusa ma lì non dovrebbe essere notte? -

- Sto bene. -

- Dal tono di voce non si direbbe, brutta nottata? -

- Brutti sogni. Sarà per la ferita, allucinazioni da convalescenza... -

- Ti fa ancora male? -

- Non sento più il dolore, è cicatrizzata bene. -

- Che strana coincidenza.. l'oggetto con cui hai lavorato per tanti anni è proprio quello che ti ha colpita e messa KO. - Fitz non trattenne una risata. 

- Sei tu quello che lavora con i cacciaviti. -

- A maggior ragione ci volevo io a coprirti le spalle. -

Sorrisero entrambi. 

- Ciao Jemma, devo andare. -

- No.. - emise un suono di allarmata contraddizione.

- Ti chiamo non appena ho finito. -

- Ok, ma non farti uccidere. -

- Non lo farò. -
 

***

Quando Ward rientrò in cucina a quell'ora di notte era certo di trovarci Fitz. E così fu: lo vide accoccolato come ogni notte sul divanetto stringendo la sua tazza di tè. Ora però non scappava più, rimaneva a guardarlo, Fitz, in cerca di risposte, quelle che lui, per la prima volta, non riusciva a trovare.




In piedi davanti a lei Dorian le dava il bentornato. La botta in testa era stata forte ma forse era sincero quel sentimento di nostalgia nei confronti del ragazzino. Jemma però non ricordava che lui l'aveva portata in braccio verso un luogo sicuro prima che il vento portasse via tutto, come poi successe. In mezzo a quel tutto c'erano anche i loro D.W.A.R.F.s. 

Era da quel giorno che non riusciva a dormire.

Quando entrò di nuovo in quel laboratorio le sembrò di rivivere la prima volta che arrivò in accademia. Ricordava perfettamente la prima volta in cui aveva incontrato Fitz: era sotto quella quercia, un pomeriggio di studio nell'enorme giardino, quell'albero che da sempre era stato solo il suo ora si ritrovava a condividerlo. Schiena contro schiena, separati soltanto dal grande tronco dell'albero. Dopo però non c'era stato più nessun albero a separarli. Schiena contro schiena, per la vita. 



Ward lo guardò con affetto prima di afferrare la tazza che ogni notte l'ingegnere preparava per lui e sedersi al suo fianco. Restavano in silenzio finché il sonno non prendeva il sopravvento. Quella notte però Grant parlò.

- Si chiamava Angelica. -

- Cosa? - Fitz lo guardò confuso. 

- E' stata la prima ragazza di cui mi innamorai. Oh era bellissima, la bambina più graziosa che abbia mai visto. Però una serie di sfortunati eventi.. - Ward si interruppe un attimo. - ci separò. -

- Che cosa vorresti dirmi con questo? -

- Oggi sono così grazie anche a quello che successe a quel tempo. -

Fitz spalancò gli occhi e abbandonò presto la cucina rifugiandosi nella sua cuccetta.

"Forse Ward ha ragione.. ho bisogno di lei." pensò nelle coperte.




Quando Jemma si ritrovò immersa nelle coperte non seppe se addormentarsi oppure richiamare quel numero. Di certo non voleva passare un'altra notte di quelle. Si mise a sedere sul letto della sua piccola stanza della sua piccola casa pagata a piccolo prezzo, e aprì lentamente il cassetto. Ne estrasse uno strano foglietto plastificato, lo rigirò tra le dita e lo raccolse al petto, poi lo guardò.

Simmons Jemma, biochimica. Lesse la sua vita in quelle poche lettere. Aveva deciso.




L'hostess dell'aeroporto sobbalzò alla vista di quella giovane personcina che era arrivata tutto ad un tratto alla cassa. Un biglietto esigeva, e anche con gran fretta. 

In due parti del mondo, separate, lontane, due giovani compravano due biglietti.

- Manila, destinazione Manila. - disse il giovane con convinzione.

- New York, destinazione New York. - ripeté la giovane.



Quel viaggio sembrò interminabile. Il tempo di riempire la valigia del minimo indispensabile e imbarcarsi sull'aereo, il resto era il destino a scriverlo. 
Quando all'uscita Jemma incontrò gli occhi sottili di Marina, non seppe se scoppiare a piangere o saltarle al collo, ma ripercorrendo quei pavimenti nessun dubbio le aleggiava nella mente. Questa era la decisione giusta, non si ritornava indietro.

Non le ci volle molto a rintracciare Coulson e gli altri, e quando spalancò le porte del Bus Skye quasi non le saltò addosso.
- Dov'è Fitz? - chiese con convinzione come se l'unico di cui le importasse veramente fosse lui. 

- E' venuto da te.. a Manila. - questa volta fu Phil a rispondere dopo i saluti.

- Allora riparto. -




Quando l'aereo atterrò non gli ci volle molto per rintracciare il laboratorio di Jemma. 

Quando spalancò le porte dell'edificio due uomini abbastanza robusti lo trattennero per le braccia cercando di buttarlo fuori.

- Ehi, ehi, amici! Piano! - urlò. - Sto cercando la dottoressa Simmons! Simmons, la dottoressa, dottores..- le sue grida vennero bloccate da un giovane che comparve timidamente da dietro una porta.

- La dottoressa Simmons è partita molte ore fa per New York. - E gli sembrò che il suo mondo stesse crollando.



L'hostess di colore all'aeroporto di New York non la trattò molto bene ma non le importò più di tanto. - Mi dispiace ma deve fare scalo a Pechino per raggiungere Manila, questa è l'unica possibilità -

- Ok, va bene, lo compro. -



L'hostess asiatica all'aeroporto si dimostrò più gentile del previsto nell'informarlo che l'unico volo disponibile aveva scalo a Pechino. Fitz non discusse oltre, andava bene così. 
Il viaggio si dimostrò più complicato del previsto. Arrivati a Pechino l'ingegnere non seppe più che cosa stesse facendo. Dov'era finito il ragazzo amante della tranquillità? Quello che preferiva rimanere in accademia piuttosto che lavorare sul campo? Che ci faceva a Pechino? Casa. Voleva ritornare a casa.
Ripose il biglietto nella borsa ed alzò lo sguardo, proprio lì davanti, a una decina di metri da lui, c'era lei, con la sua regale bellezza che gli sorrideva incontrando i suoi occhi. Si mise a correre e gli saltò in braccio dalla gioia non appena realizzò che era davvero lui. Inutile, quei lineamenti non li avrebbe mai dimenticati. Anche in aeroporto, anche a migliaia di chilometri di distanza, loro sarebbero rimasti sempre Fitz e Simmons.

Leo la guardò arrossito. - Mi sei mancata. -

- Torniamo a casa. - disse lei con la solita dolcezza. 


 








Camminando fianco a fianco verso il check-in Fitz realizzò. Era sempre stata lei la sua casa, ecco spiegato perché si trovava lì. - Dexter è la mia scimmia. - confessò a quel punto.
Jemma lo colpì ridendo.



Spaziettino piccolino per l'autrice ^^

Come ho già detto all'inizio, dedico questa shot (molto più lunga di una semplice shot *sorry*) alla mia carissima amica WholeDamnTime, che ieri è diventata un anno più vecchia :D Ti voglio bene! 

P.S. So che sembra stupido, ma il titolo è volutamente scorretto. Spero che vi sia piaciuta! <3

Just words, fantasies and fortune
Erika
   
 
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