Taking her heart again
Sbagli giovanili
Settembre 2007
«L’estate sta ormai
volgendo al termine» osservo notando i primi segnali
dell’autunno, già alle porte, che ne danno conferma e sentendo il leggero vento
settembrino pizzicare lievemente il mio viso mentre guido il mio scooter
diretto verso l’università.
Guidare lo scooter
nella fresca brezza mattutina mi ha sempre rilassato; trovo che sia un modo perfetto
per svuotare la mente, soprattutto quando la strada è sgombera davanti a te,
evento nient’affatto consueto per gli standard della metropoli di Milano.
Ho sempre pensato che
le mattinate di metà Settembre fossero piacevoli; il sole riscalda al punto
giusto, la città inizia lentamente a ripopolarsi con i primi rientri delle
vacanze, e nessun clacson seguito da un insulto gratuito nel dialetto locale ti
rovina il resto della giornata.
Sopraggiungendo
all’incrocio, noto il semaforo passare dal verde al giallo e accelero
istintivamente sorpassando molto elegantemente una vecchia Fiat 500.
Questa mattina mi pesa
poco varcare l’ingresso della facoltà di Economia.
Cosa piuttosto rara
per uno studente come me, che a stento ha frequentato le lezioni e ha passato
gli esami del primo anno dopo diversi tentativi falliti miseramente,
riuscendoci solo grazie ad un’estate trascorsa fra appunti, diapositive e
libri, senza scordarsi dei continui esercizi somministrati da una bisbetica
secchiona, come se fossero medicine contro un’allergia al polline.
Sorrido pensando che
la bisbetica secchiona non è affatto male fra le lenzuola. Non avrei mai
pensato che avrei unito l’utile al dilettevole quest’estate; eppure era
successo, quasi per caso, e finora era stata un’esperienza del tutto
rispettabile.
Sono avvolto nei miei
pensieri quando mi accorgo di essere arrivato a destinazione, parcheggio il mio
bolide avviandomi a passo vincente verso lo studio del professor Lazzini per convalidare il mio meritato e sudato ventisette
in Microeconomia.
Mentre salgo i gradini
diretto al secondo piano, il mio occhio cade di sfuggita su un volantino che
pubblicizza l’ennesima festa organizzata da un’associazione studentesca della
facoltà appeso alla bacheca.
«Potrebbe essere interessante.
Lo proporrò a Caro..» valuto dopo averlo letto.
Il nome della mia
bisbetica secchiona è Carolina; io mi diverto a chiamarla Caris,
soprattutto nei nostri momenti d’intimità, nonostante lei non sembri molto
gradire.
Intravedo a metà
corridoio il gruppetto di ochette del mio corso ridere fintamente con l’unico
scopo di attirare l’attenzione e sbuffo; incrocio le dita sperando che non mi
fermino ed inventandomi un’inespugnabile scusa per l’eventualità. La loro
compagnia oggi mi risulterebbe indigesta, non potrei ascoltarle blaterare sulle
loro vacanze con tanto di racconti dettagliati riguardo le seratine
in discoteca e bagni notturni seminude.
Mentre passo davanti a
loro, faccio un lieve cenno con il capo a mo’ di saluto e accelero la mia
andatura.
Avverto i loro sguardi
puntati sulla mia schiena al mio passaggio e le sento sghignazzare alla
battutina di una di loro, su cui non ho dubbi, riguardi il mio fondoschiena.
Sono consapevole di
piacere ad Alessandra, l’ultima arrivata nel loro gruppo. Senza ombra di
dubbio, si tratta una bellissima ragazza, contesa in facoltà dai maschietti e
invidiata dalle sue false amiche.
D’altra parte, lei
stessa sa di essere desiderabile e non prova a nasconderlo.
Ama giocare con il suo
sguardo sensuale, puntandoti addosso i suoi grandi occhioni
castani, mentre fa ondeggiare la sua folta chioma color del grano e accavalla
le lunghe e sottili gambe fasciate nei suoi jeans attillati.
Tuttavia, togliendo il
suo essere appetibile, non mi trasmette nulla, a differenza di Carolina.
Lei è diversa in tutto
da Alessandra, non soltanto nel suo aspetto estetico che non può considerarsi
affatto degno di nota. È un po’ rotondetta, anche se trovo abbia le curve nei
punti giusti.
Non è affatto abile
nell’arte della seduzione, a causa del suo essere impacciata ed insicura.
Passa inosservata la
maggior parte delle volte, destando l’attenzione del pubblico solo con le sue
plateali cadute o interventi a lezione. Tutti appropriati e apprezzati dai
professori, ovviamente.
Carolina è il tipo di
ragazza che non noti a prima vista, né ti colpisce particolarmente; appartiene
alla categoria delle brave ragazze che devi scoprire pian piano per
affezionarti.
Quelle che vedi solo
come amiche o, nel mio caso, come il passaporto per un buon voto.
Simpatica ed
intelligente, dotata di autoironia e brillante sarcasmo; capace di lanciare
sottili frecciatine che pochi erano in grado di cogliere. Di sicuro, con
Carolina non potevi annoiarti.
Ho realizzato in
pochissimo tempo che trovavo incredibilmente piacevole trascorrere intere
giornate con lei e la cosa mi aveva colto di sorpresa; ricordo che mi ero
ritrovato ad applicare una leggera pressione sulle sue labbra, a schiudere le
mie e ad entrare nella sua bocca senza minimamente accorgermene.
Ci eravamo baciati a
lungo nel mio appartamento deserto un pomeriggio di luglio inoltrato durante
una pausa studio e da quel momento non avevamo più smesso.
Molto probabilmente ad
avere la meglio su di me erano state le pozze blu che aveva al posto degli
occhi, capaci di leggerti dentro, di trafiggerti l’anima con lo sguardo.
D’altro canto, sebbene
lo sguardo di Carolina non sia affatto sensuale, è altrettanto penetrante, se
non di più.
«Ambrosi, sputa il
rospo. Come cazzo hai fatto?»
La voce di Salvo, uno
dei miei amici di facoltà, mi distoglie dai miei pensieri. Aggrotto la fronte e
scrollo le spalle. «A fare cosa?» chiedo banalmente guardandolo.
«A prendere 27 con il Lazzini!» urla leggermente scandalizzato che
non abbia colto il motivo della sua domanda.
«Oh..» farfuglio guardandomi le scarpe. «Ho preso delle
ripetizioni» aggiungo tagliando corto.
«Avrai speso un
capitale allora» commenta ridacchiando. Gli lancio un’occhiata di
disappunto inarcando un sopracciglio. «Nient’affatto» ribatto stizzito.
«Anzi, me ne sono
servite meno del previsto» dico vantandomi; d’altronde, era la
verità, anche Carolina si era sorpresa della mia capacità di apprendimento.
«E chi è questo prof
che ha compiuto simili miracoli?» domanda appoggiandosi al muro e
incrociando le braccia al petto.
«Carolina Bertini» riferisco rimanendo sul vago e ridendo sotto i baffi pensando che aveva
sì compiuto un miracolo, ma che non aveva nulla a che fare con la
microeconomia.
Salvo spalanca la
bocca e ridacchia. «Ti sei fatto aiutare da Betty la fea?» domanda usando il soprannome di
Caro, attribuitole da uno della nostra compagnia che, durante le precedenti
vacanze estive trascorse in Venezuela, aveva visto una soap opera con
protagonista una secchiona sfigata di nome Betty.
Io annuisco e mi
appoggio a mia volta al muro bianco del corridoio.
«Ti prego, dimmi che
non te la sei fatta per convincerla ad aiutarti» esclama facendo una
smorfia di disgusto al solo pensiero.
Mi stacco dal muro e
sgrano gli occhi diventando rosso in viso. «Dio mio! No, ovvio! Non
arrivo a questi livelli. L’ho pagata.. -guardo la sua espressione leggermente
dubbiosa data la reazione esagerata che ho appena avuto e deglutisco- l’ho
pagata 100 euro al mese» continuo moderando il tono.
Salvo annuisce con
poca convinzione. «E come ti ci sei trovato a fare queste ripetizioni?»
«Quest’estate dopo la
quarta bocciatura, sono venuto dal Lazzini a farmi
spiegare dove sbagliavo. Ovviamente lo stronzo non mi ha detto nulla, ad
eccezion fatta per il solito “deve studiare di più”, ed io stavo quasi per
mandarlo a fanculo, quando mi propone di fare delle
ripetizioni con qualcuno e mi ha fatto il nome di Carolina che, tra l’altro,
era lì per convalidare Macroeconomia» inizio a raccontare
sinteticamente quanto successo.
«Lei ha provato a
replicare, ma il prof ormai sembrava aver deciso e ci siamo promessi che ne
avremmo parlato per non contraddire il Lazzini. Alla
fine, ci siamo visti sul serio e ci siamo accordati sul prezzo. D’altronde,
anche a lei faceva comodo avere dei soldi in più» concludo sperando che
Salvo non mi chieda altro.
«Ho capito» dice, apre la bocca per aggiungere altro quando sento chiamare il nome
dell’assistente del Lazzini ed entro nella stanza.
«Ambrosi, siamo
finalmente riusciti a convalidare Economia politica» osserva divertito il Lazzini guardandomi da
sopra i suoi occhiali.
«Già..» mormoro leggermente infastidito intanto che porgo il libretto.
Lo guardo riempire la
riga e apporre la sua firma, e dentro di me esulto per quella minuscola
vittoria. Finalmente avrei salutato quello schifo inaudito di materia.
Firmo anche io il
verbale dell’esame che mi porge l’assistente e stringo la mano ad entrambi
rivolgendo un sorriso di cortesia ed infine esco dalla stanza dopo aver
ringraziato il professore per la sua “disponibilità”.
All’uscita dalla
stanza, Salvo tenta di fermarmi ancora una volta ma sfuggo alludendo a delle
commissioni che dovevo fare per conto del mio coinquilino Tommaso, dopodiché lo
saluto di fretta e mi avvio a passo svelto verso l’uscita.
Mentre mi sistemo alla
guida nel mio scooter, rifletto sulla reazione di Salvo. Trovo che sia stata spropositata
e fuori luogo, neanche se stessimo parlando della figlia illegittima di
Marzullo.
Nemmeno aveva idea del
rapporto che si era creato fra me e Carolina e già n’era schifato. Sarà questa
l’accoglienza che mi riserveranno i miei amici quando lo sapranno?
Mi sorprendo di
pensare di volerla presentare agli altri, non avevo mai riflettuto prima su
quella possibilità. Forse non è il caso per il momento.
Già, è meglio
addolcire prima la pillola, introducendola pian piano.
Oddio, ma è davvero
così brutta?
Scuoto la testa a quel
pensiero intanto che accendo il motorino e vedo Alessandra passare nel
parcheggio.
Mi saluta con la mano
rivolgendomi un sorriso leggermente malizioso e senza mancare di fare
ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi. Noto solo ora che indossa una gonna di
jeans cortissima mettendo in bella mostra le sue splendide gambe.
Davvero uno schianto
di ragazza, peccato che sono impegnato.
Scrollo le spalle e
sorrido anche io malizioso; d’altra parte, non esiste alcun impegno, mica sono
sposato con la Bertini.
«Vuoi un passaggio, Ale?» domando prendendo già il secondo
casco, sicuro che accetterà. Era lì unicamente per ottenere quel passaggio.
Lei sorride di nuovo
maliziosamente e annuisce. «Certo»
Afferra il casco e lo
infila facendo attenzione affinché non le scompigli eccessivamente
l’acconciatura e si adagia dietro salendo in un’unica agile mossa.
Non ho bisogno di
domandarle dove abiti. È la figlia di uno dei clienti di mio padre, oltre ad
essere una bella ragazza, è anche un ottimo partito.
Mi mordo le labbra
pensando che Carolina non rientra in nessuna delle due casistiche.
Mio Dio, cosa diavolo
pensavo quando me la sono scopata?
Nel frattempo,
Alessandra mi cinge la vita infilando ingegnosamente le sue mani sotto la mia
maglietta di cotone e accarezzando i miei addominali. Le lancio un’occhiata
tramite lo specchietto retrovisore inarcando sottilmente un sopracciglio.
Davvero audace, la ragazza.
Giunto all’angolo, curvo
e sento le labbra baciare un lembo scoperto delle mie spalle. Ma ci sta
provando così spudoratamente già sul motorino?
Faccio finta di nulla
e continuo a guidare, ma istintivamente accelero mentre sorpasso le automobili.
So perfettamente che mi chiederà di entrare a casa sua e dalla mia reazione so
anche quale sarà la mia risposta.
Giungo a destinazione
e freno senza scostarmi dal posto di guida, tanto sarà lei a fare la prima
mossa.
«Vuoi salire?» domanda, difatti, ravvivandosi distrattamente i capelli.
Sorrido e arriccio le
labbra fingendo di doverci riflettere per farla stare un po’ sulle spine.
«Certo. Ho sempre
voluto vedere la casa dell’avvocato Spadoni» rispondo abbozzando un
sorriso.
Non siamo nemmeno
entrati in casa che si avventa sul mio collo trascinandomi per il colletto
della mia polo verso la sua camera da letto.
Mi scaraventa sul
letto e sale verso di me muovendosi come una gatta mentre mi sfila i pantaloni.
In meno di cinque
minuti, ci troviamo nudi a stuzzicarci a vicenda. Guardo il suo corpo e
l’eccitazione s’impossessa del mio basso ventre.
Mentre spingo dentro
di lei, uno strano senso di colpa mi corrode lo stomaco.
Cazzo ho fatto? Non
avrei dovuto tradire la fiducia di Carolina in questo modo.
Il corpo sudato di
Alessandra struscia ancora contro il mio ed io chiudo forte gli occhi sentendo
le sue mani palparmi in modo quasi volgare.
Carolina non è affatto
volgare o spudorata, lei mi accarezza strofinando le sue guance contro il mio
collo..
Scaccio quel pensiero
e le consento d’infilarmi per l’ennesima volta la lingua in bocca e do
un’ultima spinta.
Un senso di disgusto
mi piomba addosso, dandomi il voltastomaco.
Mi rivesto velocemente
evitando lo sguardo di Alessandra che si accende addirittura una sigaretta
rimanendo nuda sul letto.
L’ennesimo
atteggiamento da zoccola, cosa dovevo aspettarmi? Mi sfrego un braccio come se
volessi grattare via lo sporco di quel coito infame appena consumato.
«È stato piacevole.
Quando vuoi, sai dove trovarmi» sussurra sensuale mentre alzo la
zip dei miei pantaloni.
Sorrido anche io
dicendo che è stato piacevole anche per me ed esco velocemente da quella casa.
Risalgo sullo scooter
e non smetto di pensare che sono stato un verme a trombarmi Alessandra. Avrei
dovuto, perlomeno, lasciarla prima.
Cazzo, Daniele! Stai
pensando già pensando di lasciarla? Ovvio, non è il caso di continuare con
questa farsa.
A me lei non piace,
altrimenti non mi sarei trombato la prima che mi è capitata sotto tiro, no?
Arrivo a casa, lancio
le chiavi del motorino sul piattino d’ingresso ed entro in camera mia senza
nemmeno salutare Tommaso che se ne sta rinchiuso nella sua stanza a studiare
qualche follia astrofisica.
Ero convinto che avrei
potuto riflettere su quanto avevo appena deciso ma, come al solito, i problemi
bussano alla porta infilandosi nella tua vita senza chiedere permesso e
soprattutto senza darti il tempo necessario per pensare ad una possibile soluzione.
Trovo, infatti, la mia
ormai inconsapevole ex seduta alla scrivania che si gira nella mia direzione
sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori. Sì, devo concederglielo: Carolina ha
un bel sorriso.
Si alza dalla sedia e
mi viene incontro buttandomi le braccia al collo e stampandomi un bacio
rumoroso sulla guancia.
«Sei stato bravissimo!» trilla entusiasta ed io sospiro rassegnato. Sono la più grande merda
dell’universo. Non ci sono dubbi.
Continua ad elogiarmi mentre
io deglutisco per sciogliere il grappolo che mi si è formato in gola.
Ancora ignara della
mia decisione, prova a baciarmi ma mi allontano; sento il suo sguardo confuso
posarsi su di me.
«Cosa c’è, Dani?» chiede leggermente agitata, quasi avesse intuito che la mia risposta non
sarà affatto piacevole.
«Mi sono fatto la
Spadoni» confesso abbassando gli occhi.
«Quando?» domanda mostrando una strana calma.
«Stamattina»
Lei inspira
profondamente e chiude gli occhi scuotendo la testa. «Avrei dovuto immaginarlo»
Alzo lo sguardo verso
di lei e aggrotto la fronte confuso. «Cosa dovevi
immaginare?»
Ride sarcastica
piegando la testa. «Che appena avessi dato politica, mi
avresti mollata. Francamente credevo che mi stimassi un minimo da evitare di
cornificarmi, ma è evidente che a te non frega un cazzo di me!» urla arrabbiata con la voce tremante.
Non aveva mai usato
parolacce prima d’ora, nella sua voce non percepisco rabbia, piuttosto
delusione.
Punto il mio sguardo
nel suo e noto i suoi occhi leggermente lucidi.
Capisco che le ho
fatto più male di quello che credevo e mi sento mancare davanti a quella
visione. Perché sono così idiota?
Scuoto la testa e la
vedo afferrare la borsa, decisa ad uscire dalla camera, provo a bloccarla. «Caro, ti prego.. Come puoi pensare che io sia potuto arrivare a questo
punto? Io non ti avrei presa in giro così..»
Lei mi guarda e si
libera dalla mia presa. «Vai a morire» mi dice assumendo un’espressione gelida in viso.
Mi volta le spalle ed
esce dalla mia camera senza aggiungere una parola di più.
Arrivata a metà
corridoio, ritorna indietro e, piazzandosi di fronte a me, mi tira un sonoro
schiaffo.
Rimango basito,
incapace di reagire, e incasso il colpo senza replicare.
È ciò che merito per
il mio comportamento, non posso biasimarla.
Si gira nuovamente e
si avvia lungo il corridoio senza voltarsi; la sento soffocare un singhiozzo,
intanto che abbassa la maniglia della porta d’ingresso, e stringo la mascella
mormorando un tardivo ed insignificante “mi
dispiace”.
*
Carolina’s PoV
Arrivo a casa e ringrazio
tutti i santi che mia mamma abbia deciso di uscire per andare a trovare una sua
amica portando con sé la mia sorellina più piccola, non sarei riuscita a
parlare con loro in questo momento.
Entro in camera mia e
sbatto la porta con tutte le mie forze, scaraventando la borsa contro il muro
che si apre rovesciando tutto il contenuto.
Sento le lacrime
rigarmi copiose le guance, i singhiozzi m’impediscono di respirare.
«Bastardo!» urlo con la voce rotta e dando un pugno alla porta.
Come ho potuto essere
così stupida? Come ho potuto pensare che mi volesse davvero?
Mi appoggio di schiena
alla porta e scivolo lentamente verso il basso fino a toccare per terra.
Ingoio le lacrime,
prendendo la testa fra le mani, e faccio ampi respiri per calmarmi.
Non posso farmi
piegare dal primo stronzo che incontro, devo reagire da persona matura e non comportandomi
come un’idiota tredicenne alla prima cotta.
Non n’ero affatto
innamorata, era stato solo l’impulso del momento.
Era l’estate a
guidarmi, a portare cattivi consigli, ma ormai la bella stagione sta volgendo
al termine.
Non posso più
trastullarmi in inutili svaghi, avrei troncato io stessa questa relazione.
Perché stare male? Oh, sì, questione di orgoglio ferito.
Intravedo il mio
riflesso allo specchio e scuoto la testa. Ma chi voglio prendere in giro?
Quello stronzo mi
piaceva, mi faceva sentire dannatamente bene.
Mi ero nutrita dei suoi
sorrisi, avevo vissuto nei suoi grandi occhi grigi, facendomi cullare dai suoi
abbracci, dai suoi baci.
Come ho fatto a non
accorgermi che mi prendeva solo in giro?
Essere innamorati
rende davvero così ciechi al punto da convincerci di vedere amore nell’altro
quando in realtà è solo finzione?
Forse se fossi stata
bella quanto la Spadoni, non sarebbe stato così facile lasciarmi; non lo
avrebbe mai fatto, ne ho la certezza.
Mi alzo in piedi e
raccolgo la borsa raccattando i vari oggetti sparsi sul pavimento.
Sento di nuovo le
lacrime pungermi gli occhi e le ricaccio indietro.
Basta auto
commiserarsi.
Si è fatto la Spadoni?
Fatti suoi, ci stesse pure con quella vacca da quattro soldi.
È più bella di me? Solo
perché è più magra e veste firmata dalla testa ai piedi grazie ai soldi di
papà?
Anche io posso
diventare magra e vestire alla moda.
Anche io posso essere “bella”
e sarò anche meglio di quelle ochette viziate con la testa vuota piena di
idiozie.
Sorrido soddisfatta
fissando bene a mente i miei nuovi obiettivi. È la mia personale sfida e so che
posso vincerla.
A quel punto, sarà
difficile lasciarmi.
Sempre se riusciranno
mai a conquistarmi.
Angolo autrice:
Salve, salvino :D
Ben ritrovati in questa mia storiella! Se stai leggendo questo, significa che sei arrivato/a fino in fondo quindi per me sei già un lettore/lettrice fantastico/a :D
Sì, mi rendo conto che non ha un prologo la mia storia! Diciamo pure che questo è il "capitolo 0" e che sostituisce il prologo *ammicca*
Comunque spero che vi abbia un minimo incuriosito e che vogliate saperne di più :)
Io ce la metterò tutta per accontentarvi! c:
Un bacio e a presto!
PS: Non so quando aggiornerò di nuovo :( periodo di esami u.u sicuramente dopo il 27, i miei aggiornamenti saranno più svelti! Grazie mille per aver letto ancora questa storia *_*