Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: _val_    18/02/2014    1 recensioni
Lei, una ragazza che non ha più un sogno. Lui, un attore. Due mondi diversi che si incontrano, e danno vita alla forza.
L'incontro avviene per caso, ma scatta quella scintilla che molti chiamano "colpo di fulmine". E anche se Cass non ha mai creduto agli amori improvvisi, sta per ricredersi. Ma le ferite sul suo cuore sono profonde. Eppure Jamie riesce a curarle, rivelandosi la migliore medicina per Cass.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella era senz'altro la tristezza. L'ospedale, i tendini di una caviglia salvati in corner, ma, più di ogni altra cosa, il referto del medico. Quelle parole mi rimbombavano nella testa: "Signorina, mi spiace, ma lei non potrà più ballare."
L'aveva detto senza espressione, come se nemmeno gli fregasse. Ma cazzo, a me si che fregava! Avevo visto la mia vita distruggersi. Il mio unico sogno si era infranto, era in frantumi. Pezzi così piccoli che non avrei mai potuto rimettere insieme. Io, una ballerina di danza classica, ridotta a non poter ballare mai più. Cioè, dico, M A I   P I Ù. E i medici mi ronzavano intorno come api, credendo che le medicine fossero tutto ciò di cui avevo bisogno. Erano stati talmente bravi da farlo credere anche alla mia famiglia. Tutti provavano a tranquillizzarmi, erano tutti lì a dirmi che la cosa più importante era che stessi bene. Di sicuro fisicamente tanto male non stavo. Ma il problema restava nel mio cuore. A vent'anni l'unica cosa che sapevo fare bene era ballare. Fino a non molto tempo prima avrei detto che sapevo anche amare. Ma ormai quel verbo era uscito dal mio dizionario, esattamente come il nome di colui che aveva ridotto il mio cuore in spazzatura.
-Cass, oggi esci da qui. Non sei contenta?- la voce della mia migliore amica mi destò dal torpore in cui mi ero rinchiusa.
-Contentissima.- dissi accennando un sorriso. E in fondo era vero. Io volevo uscire da lì, quel posto mi faceva schifo, con quelle minestre senza sale e il pane peggiore di tutta Londra. Se non altro avrei mangiato cibo vero ed avrei dormito senza ritrovarmi la schiena a pezzi per il materasso schifoso.
-Ma vorresti ballare, giusto?
Mi limitai ad annuire.
-Vedrai, passerà.- mi rassicurò Avril -sei una ragazza forte, Cassandra.- feci una smorfia nel sentire il mio nome per intero.
-Spero che tu abbia ragione.- le sorrisi e scalciai via le coperte per sedermi con le gambe penzoloni al lato del letto. Mi alzai con cautela, cercando di non poggiare il piede malato. "Fuori, tra poco sarò fuori." era il pensiero che mi assillava la mente. Era tutto ciò a cui pensavo. Non ne potevo più dell'odore di malattia. Odiavo gli ospedali, e ancor di più starci rinchiusa dentro. Mi sciacquai per quanto possibile nel bagno che avevo nella stanza e mi infilai jeans, maglia e anfibi. Ormai non avevo più nemmeno una fasciatura chissà quanto voluminosa. Ho sempre avuto una guarigione molto veloce.
-Cass, scusami, ho appuntamento con Alex. Si è fatto tardi, devo andare. Scusascusascusascusascusa!
-Ma non preoccuparti!- risposi -so arrivarci da sola a casa!- sorrisi e la guardai uscire dalla porta della stanza. Raccattai le mie ultime cose ed uscii anch’io dalla mia stanza. Firmai le carte e, finalmente, potei mettere piede fuori. Camminai in direzione di casa, sentendo il vento sulla pelle. Camminavo piano, ma decisa. Ma come sempre, non so come, inciampai e caddi a terra, lunga a terra. Stavo per imprecare in qualche lingua sconosciuta, ma mi trattenni. Provai a rialzarmi, ma la caviglia cedette. Sentii una mano afferrarmi prima che cadessi nuovamente.
-G...grazie- bisbigliai.
Provai a muovere un passo ma niente, quella stupidissima caviglia non voleva saperne di non cedere.
-Ferma, ferma. Mica vuoi cadere di nuovo? Fatta male eh?- il ragazzo che mi aveva presa al volo mi sorrise. Era biondo, biondissimo, con i capelli un po' lunghi ad incorniciargli il viso con degli stupendi occhi azzurro-turchesi.
-Non ora. Sai com'è, sono uscita da nemmeno un'ora dall'ospedale perché mi sono spezzata i tendini del piede. Mi sa che non è stata una bella idea camminare.-non sapevo nemmeno perché gli stessi raccontando i cavoli miei. Ma mi faceva star meglio.
-Decisamente non è stata una buona idea!- confermò lui, ancora sorridendo.
-Comunque, io sono Cassandra, ma per tutti sono Cass, che è decisamente meglio.-
-Jamie. Jamie Campbell Bower.- snocciolò il suo nome e mi resi conto che lui era… era un attore!
-L'attore?- chiesi, sembrando una ritardata. Che poi lo ero se mi comportavo in quel modo.
-Lui, in carne ed ossa!- ridacchiò. -Ascolta, visto che secondo me da sola a casa tua non ci arrivi, ti accompagno io. Ma sempre a piedi. Sono senza macchina.- me lo disse con una naturalezza che mi spiazzò.  
-Ok. E grazie davvero.- non rispose. Sorrise soltanto e mi fece passare un braccio intorno ai fianchi, poi prese il mio e se lo mise dietro il collo. Stavo per protestare, ma da un lato non potevo camminare, e dall'altro quel contatto, per quanto potesse essere strano, mi piaceva. Sentivo una strana elettricità scorrermi nel sangue. Mi chiesi se la sentiva anche lui. Molto probabilmente no. In quel momento ero talmente rincoglionita che forse non avevo nemmeno realizzato che quello con cui camminavo era Jamie Campbell Bower. Cass, accendi il cervello, JAMIE CAMPBELL BOWER! E fu proprio lui a interrompere i miei pensieri.
-Cos'è tutto questo silenzio?-
-Pensavo.- risposi.
-A cosa?- lo guardai storto, ma poi risposi.
-Al fatto che credo che il mio cervello non abbia realizzato che sto camminando con te.
-Guarda che sono una persona come te eh, niente di più. Un ragazzo di venticinque anni, non un dio.
"Potresti esserlo benissimo" pensai. Ma sorrisi soltanto.
-Allora, raccontami di te, e dimmi dove andare!-
Tra un racconto e l'altro della mia vita, un'indicazione per raggiungere casa, e dei suoi commenti, arrivammo sani e salvi. Evitai di parlare di danza, e fui grata che non avesse tirato in ballo la mia caviglia. Eravamo davanti la porta di casa quando ci salutammo.
-Mi lasci il tuo numero?- azzardò. -mi piacerebbe rivederti.- fece anche un occhiolino. Il mio cuore si sciolse come un gelato sotto il sole d'agosto. Sentii la bocca allargarsi in un sorriso e gli lasciai il mio numero di telefono, che lui scrisse battendo veloce sui tasti del suo iPhone.
-Alla prossima, allora.- lo congedai.
-Alla prossima, Cass. E spero non sia tra troppo tempo.- Sorrise ed io sorrisi di rimando, arrossendo. Entrai in casa zoppicando e con il sorriso stampato sulla faccia. Vivevo con Avril, ma lei non era in casa in quel momento. Mi sedetti sul divano, con un sorriso immenso stampato sulla faccia e il cuore che ancora faceva capriole nel petto. Non sapevo come definirmi, ma forse, dico forse eh, la parola adatta era 'felice'.

 
***
-Caaaassss, sono a casaaa!- gli urli di Avril erano inconfondibili.
-Sono qua!- dissi con un tono di voce più normale del suo e alzando un braccio così che potesse vedermi meglio. Si avvicinò trotterellando al divano sul quale ero ancora seduta.
-Allora, come sta la caviglia?- chiese sorridente.
-Non nel migliore dei modi. Sono inciampata, caduta, la caviglia mi cedeva, ma indovina chi non mi ha fatto cadere di nuovo di muso a terra? Jamie Campbell Bower!- Le raccontai tutto prima che iniziasse a fare domande.
-No ma... Quel gran figo?! Dai, non ti credo!- la direttezza di Avril mi sconcertava ogni volta.
-Oh, credimi invece. Mi ha anche chiesto il numero, e io gliel'ho dato!-
-Oh. Mio. Dio.- fu l'unico commento di Av, prima che squillasse il mio iPhone. Non avevo salvato il numero, così pensai fosse Jamie, e risposi subito.
-Cass?- fu la voce all'altro capo del telefono.
-Sono io! Jamie?-
-Si. Avevo paura mi avessi dato un numero falso!- confessò, sinceramente sollevato.
-Ma quanta fiducia che mi dai!- ribattei ridendo. Il sorriso di Avril si allargava sempre più.
-Fai una cosa- continuò Jamie -salva il mio numero, ok?-
-Certo capo!- scherzai. Lui rise.
-Poi volevo chiederti come sta la tua caviglia.-
-Mhhh, meglio!- risposi contenta.
-E un'altra cosa, l'ultima, promesso!- ridacchiai. -domani vogliamo fare colazione insieme?- la domanda mi spiazzò. Mi resi conto che Avril aveva capito, e dal suo sguardo mi minacciava di uccidermi se avessi rifiutato l'invito.
-Certo, perchè no!-
-Perfetto. Passo a prenderti a casa alle nove domani mattina.-disse.- Con la macchina-aggiunse ridendo.
-Bene. A domani, mio salvatore!- rise.
-A domani, ragazza da salvare.-
Stavo ancora sorridendo come un'ebete per la chiamata,mi sembrava di conoscerlo da una vita, quando Avril iniziò ad inondarmi di domande.
-Racconta. Tutto. Ora.- disse lenta.
-Mi ha invitata a fare colazione con lui domani.- risposi continuando a sorridere. Mancava poco e mi sarei messa a saltare in giro per la stanza come una sottospecie di canguro, ma mi contenni per non peggiorare la situazione della mia caviglia.
-Smettila di sorridere come un non so cosa. Piuttosto, che metti domani?-
-Cazzo.- fu la mia unica risposta. -Non lo so, porca puzzola!- subito dopo scoppiai a ridere per l'assurdità che avevo detto.
-Porca puzzola?!- chiese perplessa Avril prima di scoppiare a ridere. La zittii con una cuscinata e tentammo di tornare serie.
-Adesso tu ti alzi, vieni con me in camera tua, e scegli cosa mettere. Sai com'è, conoscendoti, domani non ti sbrigheresti prima di un paio d'ore, e se Jamie ti desse per dispersa non gli darei tutti i torti!-
-Ok, ok. Non c'è bisogno della predica! Andiamo.- dissi alzandomi. Arrivammo in camera. Avril era avanti a me, e quando vide che il borsone che usavo per danza era aperto e ben in vista sul letto, corse a nascondercelo sotto. Le sorrisi, grata che l'avesse nascosto, perché davvero non avrei retto. Feci tornare i miei pensieri su Jamie: se pensavo a lui, la danza era lontana, come se non mi appartenesse. E per il momento era meglio così. Di soffrire non mi andava. Volevo essere felice, considerando che la mattina dopo avrei avuto un appuntamento con un ragazzo non solo simpatico, ma bellissimo, e mi conveniva rendermi quantomeno presentabile.
-Che ne dici di questo?- mi domandò Avril, mostrandomi un jeans chiaro, nonché uno dei miei preferiti. La sua testa era ancora immersa nell'armadio alla ricerca di chissà cosa.
-Dico che è il mio preferito, quindi è perfetto!- le risposi. Cacciò la testa dall’armadio e mi sorrise. Mi lanciò una maglietta con una scritta: “life is unfair, that’s why we have dreams”. La presi al volo. Conoscendola sarebbe potuta andarmi davvero molto, ma molto male. Piegai i panni e li poggiai sulla scrivania.

 
***
Dopo aver cenato con Avril una pizza, stando appollaiata sul divano, fui lieta di potermi mettere a dormire. Scivolai sotto le coperte e tentai di non pensare a nulla. Ci volle un po’ prima che riuscissi ad addormentarmi, ma dormii ininterrottamente fino alla mattina dopo.
 
 
  
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