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Autore: acciosnape    18/02/2014    5 recensioni
Ricordava la figura maschile dal completo scuro, gessato, elegantissimo e probabilmente anche costosissimo seduta al fianco sinistro del letto, dove riposava un giovane Sherlock stremato dai sedativi e le mille domande che si pose e che vennero esaudite non appena la figura si alzò e si presentò.
[ Mystrade ispirata ad un roleplay. ]
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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File 00, Prologue.

“Ricordava il suo nome.”


Ricordava molto bene la notte in cui lo conobbe e l'intera estate del 2001, la promozione a Detective Ispettore e quell'umidità che gli faceva mancare il respiro ogni notte.

Ricordava la telefonata delle 02.00 e le parole della collega Sally Donovan, ancora semplicissima poliziotta dai capelli ricci, faccia da schiaffi e voglia apparente di svolgere il suo turno di notte: “
Lo strambo è stato ricoverato al Royal Marsden qualche minuto fa, ero di turno, lo abbiamo trovato in Hyde Park.” e, Cristo Santo, non aveva mai sopportato sentir chiamare così il ragazzo riccioluto che si ritrovava a ficcanasare nei suoi casi – molte volte salvandogli il culo –. Il suo nome era Sherlock, Sherlock Holmes; ed era la persona più intelligente mai incontrata finora.

Ricordava la corsa in macchina per raggiungere il Royal Marsden dalla sua casa di Harrington Road e addirittura la stupidissima tuta grigia indossata per non entrare in un ospedale in piena notte in pigiama ed essere scambiato per un paziente.

Ricordava il ragazzo gentile della reception, al quale fece vedere il distintivo chiedendo di Sherlock Holmes e la stanza numero 48, dove era ricoverato al reparto rianimazione e i pensieri che gli divorarono il cervello: quale stronzata avesse mai potuto compiere per finire in quel reparto, se qualcuno avesse avvisato i genitori.

Ricordava la figura maschile dal completo gessato, elegantissimo e probabilmente anche costosissimo seduta al fianco sinistro del letto nel quale riposava un giovane Sherlock stremato dai sedativi e le mille domande, che vennero esaudite non appena la figura si alzò e si presentò.

Ricordava il suo nome; sì, perché difficilmente si scorda un nome così particolare come quello di Mycroft Holmes, fratello maggiore di Sherlock, ma così diverso da lui: poco meno di 185 cm; più in carne, capelli scuri ma più tendenti al castano, occhi blu leggermente più piccoli rispetto a quelli del minore, niente zigomi pronunciati, ma in compenso aveva un naso adunco che non gli stava nemmeno poi così male nell'insieme del suo viso e una bocca che le due volte arricciatasi a formare un sorriso, assunse una forma piuttosto inquietante. A differenza di Sherlock, la sua voce era piuttosto calma, fredda e melliflua. Così come il suo portamento, che lo colpì.

Ricordava la parola "overdose" che gli rimbombava in tutti gli angoli del cervello, dovendosi sedere sulla stessa sedia occupata da Mycroft poco prima; per la stanchezza e per lo shock dovuto alla notizia che un ragazzo di quell'età si trovasse in una stanza del reparto rianimazione per un motivo del genere, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi dell'uso di sostanze da parte del ragazzo.

Ricordava gli occhi del maggiore degli Holmes mentre studiava i suoi movimenti e il suo modo di parlare. Si lasciò studiare come un libro aperto, troppo stanco per dirgli di smetterla; suo fratello lo faceva spesso e in fin dei conti, era abituato. Provò anche lui ma non riuscì a dedurre niente, chiedendosi soltanto perché accidenti indossasse un completo così elegante dentro una struttura ospedaliera.

Ricordava quando il groppo in gola fu spazzato via dalle parole che Mycroft pronunciò: « Non è in pericolo di vita. » e il sospiro profondo che lasciò la sua bocca, seguito da un'imprecazione o due.

Ricordava Mycroft battere il suo ombrello nero sul il pavimento, sconcertato dalle parole poco pulite che uscirono dalla bocca del Detective e di come abbandonò la stanza con estrema eleganza; e di come rimase a fissare la porta per alcuni istanti con l'espressione tra lo stupito e l'inquieto per via della persona appena conosciuta.

Ricordò le poche visite a Sherlock nei giorni seguenti e di come venne cacciato via in tutti i modi possibili, perché Sherlock non aveva bisogno di nessuno; fino a quando non uscì definitivamente dall'ospedale cominciando a trovarselo nuovamente sulle sue scene del crimine.

Ricordava la sensazione di essere sempre osservato quando camminava per strada, pensando a coincidenze; le telecamere erano sempre state agli angoli delle strade, ma con la stessa frequenza si chiese che lavoro svolgesse Mycroft Holmes, che non vide più dopo quella notte in ospedale.

Ricordava la berlina scura e la bella ragazza in nero, qualche primavera più tardi ad attendere qualcuno all'uscita di Scotland Yard; scoprendo essere lui quel qualcuno e rifletté seriamente su tutti gli sbagli fatti in vita sua, pensando di essere stato prelevato da qualche banda mafiosa e che lo avrebbero fatto fuori da lì a poco; strinse le labbra, fino a quando la ragazza non gli porse una lettera, seduti fianco a fianco nella spaziosa macchina nera.

Ricordava il messaggio, ovviamente:
Tieni d'occhio Sherlock.

e la grafia precisa e curata della firma che riportava il nome di Mycroft Holmes. Nessun recapito; solo quelle parole ed un nome. Chi mai avrebbe dovuto avvisare, se fosse successo qualcosa? Fissando e tastando la carta pregiata del biglietto, pensò che avrebbe dovuto chiedere qualche spiegazione alla ragazza, e soprattutto perché alle 18.30 di quel mercoledì sera, si trovò su una dannata macchina nera, e non sulla District Line. I continui "bip bip" dei tasti del telefono della signorina in nero accompagnarono i suoi già incasinati pensieri. Optando per infilare la busta in tasca, salutò Anthea, che oltre a scrivere sul suo Blackberry riuscì anche a presentarsi e andò a prendere la metropolitana.
Per quella sera, nella sua testa si insinuò solamente quel biglietto, scritto da Mycroft.

Ricordava gli anni seguenti, passati nel medesimo modo.
Casa-lavoro. Lavoro-casa. Fino a quando non fu lui ad andare da Sherlock a chiedere aiuto per le sue indagini e fino a quando quest'ultimo non si trasferì al 221b di Baker Street con un coinquilino: John Watson, biondo; occhi blu contornati da occhiaie che raccontavano i peggiori momenti passati in guerra, un naso particolare e una zoppia accompagnata da un bastone.

Ricordava, tra le tante retate antidroga a sorpresa, quella in cui trovarono la valigia rosa al 221b e quello che accadde dopo: la chiamata urgente di Watson; la corsa in macchina della polizia fino all'Istituto para-universitario Roland-Kerr, il racconto di Sherlock di un cecchino anonimo e infine una macchina nera, Anthea e Mycroft, chiedendosi se quest'ultimo si fosse ricordato di lui.

Ricordava il caso del "Dinamitardo", cominciato da un'esplosione; il telefono identico a quello del caso di “Uno studio in Rosa” contenente un unico messaggio in segreteria: cinque “bip” d'avvertimento ed una fotografia. Sherlock Holmes, perché sì, il dinamitardo voleva lui, riuscì a risalire al caso mai risolto di Carl Powers, risolvendolo, salvando la vita di una donna rapita ed usata dal Dinamitardo come "voce" per gli indizi; il secondo caso, presentato con una fotografia di una macchina sul cellulare rosa ed una chiamata su un cellulare di New Scotland Yard di una voce "presa in prestito" da un ragazzo. Con un biglietto da visita di Janus Cars e un campione di sangue del signor Monkford, Sherlock riuscì a salvare anche la seconda voce “presa in prestito”; il terzo, purtroppo, non finì bene. Con la morte di Connie Prince, nota presentatrice televisiva, si presentò anche la morte della "voce" del Dinamitardo: una donna anziana cieca, fatta saltare in aria solamente perché aveva iniziato a descrivere il suo aguzzino; il quarto si svolse alla Hickman Gallery; Sherlock riuscì a salvare in extremis un bambino; la "voce" era proprio quella di un bambino. Non aveva davvero scrupoli questa... persona; al quinto ed ultimo "gioco", decise di mostrarsi a Sherlock, usando come l'ultima voce John Watson. James Moriarty, Jim, l'informatico del Bart's, come aveva voluto far credere a quasi tutti.
L'ispettore mandò una squadra di artificieri alla piscina, in modo da disinnescare le bombe piazzate nella giacca di Watson.
Di quel Consulente Criminale, non si seppe più nulla.

Ricordava il primo tradimento di Karen con un direttore di un magazzino, Peter Dave e della loro breve separazione, in cui tornò a casa dei suoi genitori lasciando momentaneamente la sua alla moglie, e del suo perdono, perché era innamorato di lei nonostante tutto. Gli piaceva pensare che le cose sarebbero tornate come all'inizio, di quello che era il loro matrimonio perfetto.

Ricordava quel Natale passato al 221b di Baker Street, annunciando ai presenti di essere tornato con la moglie, e il momento in cui Sherlock gli fece crollare nuovamente il mondo addosso, dicendogli che questa volta si trattava di un insegnante di ginnastica. Holmes non si sbagliava. Preferì far finta di niente, arrestando direttamente l'insegnante Louis Boyle per molestie sessuali verso un'alunna minorenne, facendosi un piccolo regalo di Natale.

Ricordava quella volta a Valencia, tentata riappacificazione con Karen ed al messaggio sul cellulare privato: “
Baskerville. Mio fratello è coinvolto in qualcosa. Indaga. MH.”
Il megalomane risalì anche al suo numero privato, ma tramite Sherlock, scoprì finalmente di cosa si occupasse: aveva accesso a tutto e questo gli bastò a capire che ricorrere al proprio lavoro fu perfettamente inutile con Mycroft. Gli tornarono alla mente anche tutti gli anni in cui si sentiva spesso osservato.
Un piccolo paese della Gran Bretagna aveva un simpatico mastino assassino, fino a che non scoprì ciò che stava facendo Sherlock, lasciandosi sfuggire che era lì per conto di Mycroft. Non ci fu nessun mastino assassino, le persone che avevano avuto a che fare con questa bestia, erano state esposte ad una sostanza allucinogena che trovatasi nella nebbia.

Ricordava il periodo seguente molto bene. Come dimenticarsene? Cominciò con il sistema eluso della Torre di Londra, della Banca d'Inghilterra e perfino quello della prigione di Pentonville. Tutto in un unico, dannatissimo giorno. Il dannatissimo giorno in cui conobbe di persona James Moriarty, seduto con Gioielli della Corona addosso si fece arrestare come se nulla fosse; compresi i processi che vi furono, decretando «James Moriarty, Non colpevole.».

Ricordava il rapimento dei figli dell'Ambasciatore degli Stati Uniti dall'Istituto St. Aldates e il ritrovamento nella fabbrica di Addlestone, di come la bambina gridò alla vista di Sherlock e dei dubbi che Philip Anderson e Sally Donovan avevano su Sherlock. E dei suoi dubbi.

Ricordava le parole di John in centrale.
Sherlock Holmes era morto, buttandosi dal tetto del St. Bartholomew's Hospital per salvare lui, John, e la loro padrona di casa. Necessitò di aria e di una maledetta sigaretta, se non di una stecca intera; la sua mente si rifiutò di credere alle parole dell'amico.

Ricordava il rifiuto di interrogare John Watson, costatogli l'allontanamento da Scotland Yard a tempo indeterminato. Sherlock era una delle persone più importanti della sua vita, come avrebbe potuto interrogarlo su quella faccenda? Non avrebbe mai potuto farlo.

Ricordava il feretro, qualche parola della cerimonia e il cimitero dove li attendeva la tomba in marmo nero, con intagliato sopra il nome "Sherlock Holmes" a caratteri dorati.
Fu tutto così surreale... e fece male. Sherlock si era buttato realmente da quel tetto. Lasciò un piccolo mazzo di fiori colorati non appena la bara fu ricoperta di terra e si allontanò salutando i presenti e John, ricordandogli la sua presenza per qualsiasi evenienza. Rimase per diversi minuti in silenzio nella sua automobile, con solo il rumore del suo battito cardiaco a rimbombargli nelle orecchie. Girò lievemente il capo verso il finestrino sinistro, notando una grande macchina nera dai finestrini scuri.
Mycroft.
Non si era dimenticato di lui. Ora era solo, non aveva più il fratello di cui tanto si preoccupava, a cui chiese perfino all'Ispettore di tenerlo d'occhio. Si accorse della sua mano infilata nella tasca del soprabito di quell'orrendo completo nero, alla ricerca del telefono cellulare; nella memoria, vi era ancora il messaggio di qualche tempo prima, compreso il suo numero di telefono. "Cosa credi di fare? Non essere ridicolo, Cristo." pensò.
Un Holmes, peggio di Sherlock.
A detta degli altri.
Ad uno come Mycroft Holmes, emozioni di questo genere, non toccavano nemmeno.
A detta degli altri.
Un Holmes, ma di fatto, umano anche lui. Posò il telefono nel vano porta oggetti sotto al cruscotto, mettendo in moto la sua vecchia Peugeot 3008 nera.

Ricordava i giorni seguenti al funerale; la volta in cui chiuse la telefonata con la moglie, appena arrivata a Berlino per lavoro. Chiuse gli occhi, fece un respiro e li riaprì, andando nell'archivio dei messaggi. Una fitta allo stomaco lo sorprese, leggendo l'anteprima dell'ultimo messaggio inviatogli da Sherlock e mandò giù il nodo in gola a fatica, cercando il messaggio di suo interesse. Scendendo ancora di un nome o due, trovò l'interessato. Rifletté, mentre i suoi polpastrelli componevano una frase di senso compiuto, né formale, né informale. “
Mi auguro possa riprendersi in fretta
Lo rilesse una, due, tre volte... alla quarta inviò. Conosceva molto bene la sensazione di perdere un familiare. Ovviamente, la risposta non arrivò mai.

Ricordava la chiamata del suo Capo il giorno seguente e il permesso di rientrare al lavoro; i fascicoli dei casi irrisolti che non fecero che aumentare in quel periodo, il troppo lavoro arretrato e le scartoffie con cui si obbligò a rientrare a casa; le poche serate al pub con John, il quale non vide sorridere da... da Sherlock.
E i due anni passati nel medesimo modo.

Ricordava il giorno in cui Sherlock Holmes ripiombò nelle vite di tutti e quando gli si presentò davanti, tamponandosi il lato sinistro della bocca. John gli diede il "bentornato". Il Consulente Investigativo gli regalò un tentato sorriso, cercando di farselo buono ma l'Ispettore lo guardò soltanto con gli occhi sgranati, decidendo quale delle mille emozioni tirare in ballo, accendendosi una sigaretta coprendolo d'insulti e prendendolo per la sua sciarpa, ricambiando il sorriso. Che diavolo era successo? Si era rotto la testa su un cazzo di marciapiede, era dentro una bara. Sottoterra. Chiese di Mycroft, non pensando nemmeno e non essendo nemmeno sicuro di essere stato lui a chiederlo. Sherlock lo guardò attentamente. Ah, Dio. Gli era mancato essere studiato così. Rispose che era stato aiutato da lui in quei due anni. Inarcò entrambe le sopracciglia, facendo un'espressione quantomeno sorpresa e decise di allontanarsi senza nemmeno salutare chi credeva morto fino a poche ore prima. Si preoccupò, per due fottuti anni, di una persona che aiutò a fingere la morte del fratello. "Complimenti, sei il Detective migliore del mondo." Ci era voluto poco per riassestare la sua vita con Sherlock felicemente tra i piedi. Fecero ritorno anche gli ordini del fratello, con qualche parola in più nel testo.

E così, Gregory Lestrade ricordava molto bene il momento esatto in cui Mycroft Holmes entrò prepotentemente nella sua vita.




Note: dunque. Un saluto a chiunque passerà di qua per leggere questa mia prima fan fiction ~ È basata su una role di twitter, iniziata da me medesima nell'ottobre 2013 (e sta ancora andando avanti tutt'ora). Mi ci sono affezionata davvero molto a questi due personaggi e man mano sto imparando a conoscerli e a capirli. Contate che prima non capivo nemmeno il senso della coppia! Btw, volevo ringraziare in modo particolare la mia migliore amica Elisabetta, che mi ha spronata a pubblicare la fan fiction e, ovviamente le altre due bravissime roleplayers, Gloria ed Elisa (♥), senza le quali tutto ciò non sarebbe mai nato. :)
Non mi resta che lasciarvi alla storia, augurandomi che sia di vostro gradimento!

   
 
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