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Autore: Amor31    18/02/2014    1 recensioni
Perché Trent è stato soprannominato "Elvis"?
Qual è la vera ragione di questa scelta?
Scopriamolo a distanza di qualche anno, in compagnia di un frugoletto chiamato Ethan.
*Secondo anniversario su EFP: d'obbligo festeggiare con un bell'OTP*
Genere: Fluff, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale, A tutto reality - L'isola
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Elvis

Il suono della chitarra non era limpido come al solito.
Eppure fino alla sera prima non aveva avuto alcun problema. Anzi, lui e il piccolo Ethan avevano cantato fino a tardi, probabilmente beccandosi anche parecchi insulti dai condomini del piano superiore.
-C’è qualcosa che non va-, mormorò a denti stretti Trent, appollaiato su una sedia che aveva appositamente sistemato in salotto. Pizzicò le corde della sua adorata chitarra una alla volta, studiando attentamente l’onda sonora prodotta, e scosse la testa, mentre una smorfia gli faceva arricciare le labbra. Qual era il punto?
Girò un paio di volte le chiavi meccaniche e provò a riaccordare lo strumento, poi fece vibrare di nuovo le corde: niente da fare. Sembrava impossibile ritrovare il suono a cui ormai era abituato.
-Vuoi vedere che Gwen…-.
Lo scatto della porta d’ingresso gli fece capire che la moglie stava rientrando dalla passeggiata pomeridiana con Ethan. Si decise allora a poggiare la chitarra e aspettò in silenzio che i due facessero capolino sulla soglia della stanza, lasciandosi sfuggire uno di quei sorrisi che sapeva facessero impazzire la donna amata.
-Siamo a casa!-, sentì dire dallo stretto corridoio. -Ethan, pulisci bene le scarpe, sono tutte bagnate!-.
-Papà, papà!-.
Un frugoletto di quattro anni entrò nel salotto come un ciclone in miniatura. Corse verso il padre togliendosi impetuosamente il berretto di lana verde che la nonna materna gli aveva cucito a maglia e si lanciò tra le braccia del genitore, che lo strinse a sé depositandogli un bacio sulla guancia e facendolo sedere sulle proprie ginocchia.
-Allora-, disse Trent, -faceva freddo fuori?-.
-Non tanto. Al parco c’erano tante persone con i cani!-.
-Ah, davvero?-.
-Sì. Ce n’era uno con il muso grande e gli occhi rossi. Papà, quello metteva proprio paura!-.
-Ci credo-, annuì con aria seriosa Trent, senza però smettere di sorridere con gli occhi. -E dimmi, quanto era grande?-.
-Tanto così!-.
Il piccolo Ethan allargò le braccia il più che poté, cercando di dare al padre un’idea di quanto fosse gigante il pericoloso animale in cui si era imbattuto. Doveva essere stato davvero colpito, per agitarsi così tanto nell’esporre la sua piccola avventura.
-E la mamma che cosa ha fatto?-, domandò ancora Trent.
-Mi ha riportato a casa. Secondo me aveva paura anche lei-.
Il chitarrista gli scompigliò i folti capelli neri e finalmente lo lasciò andare. Per tutta risposta, Ethan si affrettò a prendere il trenino che il padre gli aveva regalato per Natale e ad imitare lo stridio delle rotaie.
-Ciao, Trent-, lo salutò Gwen, entrando nella stanza. -A quanto pare il tuo modellino ha avuto successo…-, disse, notando il figlio giocare entusiasta sul tappeto persiano recentemente acquistato.
-Gli è piaciuto così tanto da aver già staccato una ruota-, rise il ragazzo. -E indovina un po’ quante ne sono rimaste ora?-.
-Non dirmelo…-.
I verdi occhi di Trent brillarono d’entusiasmo e Gwen sospirò, arrendendosi ancora una volta all’ossessione del marito.
-Di’ un po’, non è stato un caso se hai comprato proprio un trenino…-.
-Eh, già-.
Si alzò dalla sedia e abbracciò la moglie, che, mettendosi in punta di piedi, gli lasciò un piccolo bacio sulla fronte: -Spero che il nove diventi un numero speciale anche per lui-, le spiegò, sussurrandole all’orecchio.
-Non ne dubito-, replicò Gwen. -È nostro figlio, no?-.
Guardarono per qualche secondo ancora il piccolo Ethan, senza smettere di cullarsi vicendevolmente. Poi si sciolsero da quel tenero abbraccio, tornando ciascuno al proprio dovere.
-Gwen-, la richiamò Trent, prima che uscisse dal salotto.
-Sì?-.
-Hai per caso toccato la mia chitarra?-.
-Sai che non mi azzardo a metterci mano-, gli rispose la moglie. -Perché? Qualcosa non va?-.
-Non è accordata. Non come la voglio io, almeno-.
-Sicuro che Ethan non abbia giochicchiato con le chiavi meccaniche? Ieri sera eravate in vena di sperimentare nuove canzoni, dopotutto, e può darsi che, prima di andare a dormire, abbia combinato qualche guaio-.
Trent ponderò bene quell’ipotesi e, inspirando a fondo per mantenersi calmo, si avvicinò al bambino, tutto preso dal suo tour immaginario con il modellino alla mano.
-Ethan-, iniziò, sedendosi accanto a lui sul tappeto, -hai usato la chitarra di papà?-.
-Sì-, rispose candidamente il piccolo.
-Quante volte ti ho detto di…?-.
-L’ho rotta?-, lo interruppe, gli occhioni già pronti a scatenare un bel pianto.
-No, tranquillo-, lo rassicurò con tono dolce il padre. -Però il suono non è più quello di prima, capisci? Mi puoi dire quali meccanismi hai mosso?-.
Ethan annuì con un vago cenno della testa e Trent, rimessosi in piedi, andò a prendere la chitarra, sottoponendola subito dopo all’analisi del figlio.
-Ho toccato questi due tasti-, spiegò semplicemente il bimbo. -Ho fatto così-.
Girò per quattro volte le due chiavi interessate e poi fissò il genitore, aspettando un suo giudizio. Trent avrebbe giurato di sentire il cuoricino di Ethan battere all’impazzata, tanta era la paura di aver combinato un brutto pasticcio e di essere rimproverato di conseguenza.
-Vediamo se…-.
Per la terza volta il chitarrista pizzicò le corde. E finalmente, non senza un’espressione di profondo stupore, riconobbe l’onda sonora che aveva ispirato praticamente tutte le sue canzoni.
-Funziona?-, domandò Ethan. Era effettivamente percepibile una certa dose d’ansia nella sua voce.
-Funziona-, confermò il padre, sorridendogli e abbracciandolo come poco prima. -E bravo il mio piccolo musicista in erba!-.
-Ora possiamo cantare una canzone insieme?-.
-Solo se il treno è tornato in stazione e tutti i passeggeri sono arrivati a destinazione-, gli disse Trent, indicando il modellino che Ethan si stava ancora rigirando tra le mani.
-Sì, sì, adesso vanno tutti a casa. Aspettami qui, papà!-, esclamò il bambino, uscendo dal salotto e preoccupandosi di andare a riporre il giocattolo.
Il chitarrista si passò una mano tra i capelli e sospirò, felice come non mai: poteva dire di aver ottenuto tutto dalla vita. Era riuscito a conciliare la routine pubblica con quella privata, aveva sposato la donna dei suoi sogni dopo una lunga convivenza e, ciliegina sulla torta, era diventato il padre entusiasta di un bimbo che rappresentava alla perfezione tutto ciò che lui e Gwen erano insieme. Cosa poteva chiedere ancora?
-Allora, papà, quale canzone hai scelto?-, chiese in un soffio Ethan, catapultandosi nella stanza e attendendo che il genitore estraesse dal suo repertorio uno spartito.
-Sono indeciso… Che ne dici di dedicarne una alla mamma?-.
-Che bello!-, batté le mani, elettrizzato. -Però devi suonarne una che conosce anche lei-.
-Oh, non preoccuparti-, gli diede un buffetto sulla guancia. -La mamma sa cantarle tutte-.
-Vado a chiamarla subito!-.
Ethan abbandonò di nuovo la stanza e corse da Gwen. Aprì senza alcun preavviso la porta della camera da letto e la trovò intenta a cambiarsi.
-Mamma, puoi venire in salotto? Io e papà abbiamo una sorpresa per te-.
-Una sorpresa?-, ripeté la donna, infilandosi una gonna particolarmente comoda.
-A-ah-.
-Non è che per caso avete allestito uno di quei castelli con tende e sedie, vero?-.
-No, questa volta no. Però posso sempre costruire una capanna come gli Indiani, così stasera ceniamo lì invece che in cucina!-, trillò il bambino.
-Meglio di no-, sospirò Gwen, recuperando un maglione dall’armadio e spiegandolo sul letto.
-Mamma, devi sbrigarti!-, la richiamò ancora Ethan, strattonandola per la gonna. -Dai, papà ti sta aspettando!-.
-Arrivo, arrivo!-, replicò la madre, indossando in fretta il maglione scelto e sistemandosi rapidamente i capelli davanti allo specchio.
Il figlio la precedé, facendole strada e guidandola in salotto come se senza il suo aiuto non fosse possibile tornare da Trent; di tanto in tanto il bimbo saltellava, giusto per richiamare l’attenzione di Gwen ed incitarla a fare presto.
-Allora-, disse Gwen, mettendo piede nella stanza e appoggiandosi alla porta, tenendo le braccia incrociate sul petto, -cos’è che dovete farmi vedere?-.
-Non vedere, ma ascoltare-, precisò Ethan, posizionandosi accanto al padre, di nuovo seduto sulla sua sedia preferita.
-Il frugoletto ha avuto l’idea di dedicarti una canzone-, spiegò Trent, facendo l’occhiolino al figlio. -E allora mi sono detto: perché non suonare un brano importante?-.
La moglie sollevò un sopracciglio, incuriosita: -Sentiamo, allora-.
Il chitarrista fece vibrare le corde e saggiò l’accordo di partenza; poi s’interruppe e chiese: -Sai chi e perché mi chiamava Elvis ai tempi di Total Drama?-.
Gwen spalancò gli occhi, perplessa: -Trent, sono passati quasi quindici anni! Ancora pensi a…?-.
-Limitati a rispondere-, la bloccò lui.
-Sono sicura che il primo ad affibbiarti questo soprannome sia stato Duncan-, disse la donna, senza pensarci due volte. -Ma no, non ho idea del perché. Ho sempre pensato che si riferisse alla tua capacità di suonare la chitarra-.
-La risposta è esatta, ma incompleta-, le sorrise il marito. -Non è solo per questo-.
-E allora cosa?-.
-Ascolta-.
 


 
***




 
Un leggero vento leniva la terribile afa estiva a cui i campeggiatori erano continuamente esposti. Eppure, nonostante fosse luglio inoltrato, se ne stavano tutti intorno ad un bel fuoco acceso di nascosto – o almeno lontano dalle telecamere. Stavano arrostendo dei marshmellows che Duncan si era preoccupato di rubare dalla dispensa di Chef: era incredibile come quella malefatta ai danni del burbero cuoco del reality li avesse resi tutti improvvisamente amici.
-Ricapitolando: il festaiolo ha perso la testa per la surfista-, stava dicendo proprio il punk. -Non male, anche se c’è di meglio…-.
-Ehi, bada a come parli di Bridgette!-, scattò immediatamente Geoff, facendo cadere per terra il marshmellow fumante che aveva appena ritirato dal fuoco.
-Vedi di non agitarti tanto. Ho solo espresso il mio parere-.
-Stavolta sono d’accordo con Duncan-, s’inserì Cody. -C’è un’altra ragazza molto più attraente-.
-Izzy è carina, no?-, gli diede una gomitata Owen, in cerca di appoggio. Ma solo Noah sembrò notare le parole del ragazzone.
-Ah, Lindsay…-, mormorò con aria sognante Tyler, prendendo un marshmellow e ingurgitandolo senza pensarci troppo, con l’unico risultato di bruciarsi la lingua e correre verso il fiume per bere dell’acqua fresca.
-Idiota-, lo canzonò Duncan, vedendolo dileguarsi in lontananza. -Non saprei decidere chi sia più stupido tra lui e la ragazza che si è scelto-.
-Ma perché nessuno parla di LeShawna e Heather? Sono due bombe!-, esclamò Harold.
-Sì, l’una più dell’altra!-, sbottò il punk, ridendo così tanto da tenersi la pancia con entrambe le braccia.
-Non sei affatto divertente-, lo rimbrottò il compagno, lanciandogli un’occhiataccia che non sarebbe mai riuscita ad intimorire un presunto duro come Duncan.
-Comunque gli unici che non si sono ancora espressi sono DJ e Trent-, fece notare Geoff. -Sarei proprio curioso di sentire cosa avete da dire in merito-.
-In questo momento le ragazze sono il mio ultimo pensiero-, rispose semplicemente il primo, sorridendo apertamente ai compagni. -Ma sono sicuro che qualcun altro non deluderà le nostre aspettative-.
DJ guardò eloquentemente Trent, che gli sedeva di fronte. Pur non nascondendo un sorriso di gioia, il ragazzo imbracciò la chitarra da cui non osava mai separarsi e iniziò a suonare.
 
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But I can’t help falling in love with you
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If I can’t help falling in love with you
 
-Dai, amico, non tenerci sulle spine!-, lo incitò Geoff. -Nessuno di noi si è fatto scrupolo di parlare apertamente, quindi sarebbe giusto che anche tu fossi chiaro-.
-Ragazzi, avete davvero bisogno che vi dica a chi è indirizzata questa canzone?-, domandò il chitarrista, gli occhi illuminati da una scintilla di gioia e ancor più brillanti del solito. -E poi, non importa conoscere il suo nome; mi basta sapere che queste note le arriveranno dritte al cuore-.
 
Like a river flows surely to the sea
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-Ascolta, Elvis: non so e non voglio sapere che tipo di ragazze frequenti di solito, ma posso assicurarti che certe sdolcinatezze non funzionano. Bisogna essere cattivi con chi ci interessa, altrimenti le donne prendono a calpestarti come uno zerbino. E sì che tu potresti anche adattarti alla parte, con quella faccia…-, lo punzecchiò Duncan, prendendo l’ennesimo marshmellow della serata e facendosi colare lo zucchero lungo il mento.
-Grazie tante per il complimento-, borbottò Trent di rimando. -Ne riparleremo quando io avrò conquistato la ragazza di cui mi sono innamorato e tu sarai ancora solo come un cane-.
-Ah ah ah, buona questa-, replicò con ironia il punk, facendo schioccare le dita. -Caro il mio Elvis da quattro soldi, ti consiglio di consolarti continuando a strimpellare quella maledettissima chitarra. Almeno lei non potrà mai lasciarti-.
Il ragazzo non rispose: sarebbe stato inutile perdere altro tempo chiacchierando amabilmente con quell’idiota di Duncan. Così si limitò a finire la canzone, sorridendo al pensiero di veder arrossire Gwen sentendosi dedicare quel brano.
 

 
***
 




-Perché non me lo avevi mai raccontato prima?-, domandò sua moglie, una volta ascoltato il retroscena che per anni aveva ignorato.
-Non lo so. Forse perché avevo davvero paura di sembrarti troppo smielato-, spiegò rapidamente Trent, grattandosi a disagio la nuca. Era un gesto che compiva spesso, soprattutto quando pensava che gli occhi di Gwen lo avrebbero trafitto con una certa ambiguità.
-Papà, cantiamo o no?-, protestò vivacemente Ethan, scrollando il genitore per un braccio.
-Ma certo, piccolo mio-.
 
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-Mamma, ti piace?-, domandò il bambino, dondolandosi sul posto al ritmo della musica.
-Non potrebbe essere altrimenti-, sorrise la madre, avvicinandosi e prendendolo in braccio, malgrado fosse abbastanza grande da non sentire il bisogno di quella dolce stretta.
Trent alzò lo sguardo dalle corde della chitarra e incrociò gli occhi di Gwen: averla lì davanti a lui, con il loro amato Ethan che teneva la guancia premuta contro il petto della donna per ascoltare il battito del suo cuore, era la cosa più bella e ispirante che potesse chiedere.
Ma il colpo definitivo fu ascoltare sua moglie accordare la propria voce e intonare l’ultima strofa insieme a lui. Trent impazziva d’entusiasmo quando la donna si univa al coro.
 
Like a river flows surely to the sea 
Darling so it goes
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-Dopotutto, Duncan ha scelto il soprannome giusto-, disse Gwen. -Non aveva messo in conto che, un giorno, saresti davvero diventato il mio Elvis-.
   
 
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