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Autore: Ruka_odinson    18/02/2014    0 recensioni
Ho scritto questa storia prima dell'uscita della 3 stagione di Sherlock, quindi abbiamo un John Watson post Reichenbach Falls...
E' la prima volta che mi avventuro nella stesura di qualcosa su Sherlock, quindi.. siate buoni!
Scritta e ispirata dall'ascolto di "Dark Paradise" di Lana del Rey.
Sono passati pochi mesi dagli eventi del St Bart's, e John si trova a dover affrontare la sua nuova vita.
Ma lui non è pronto.
E forse non lo sarà mai.
Io credo in te Sherlock.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Visi esangui, angeli caduti

 


 


<< John, è da quasi una settimana che non esci di casa. Mrs. Hudson stava cominciando a preoccuparsi e mi ha chiamato...Come stai? >>
La voce solitamente tranquilla del commissario Lestrade. 
Greg, lo chiamavo così da tempo ormai, arrivó ovattata e incerta alle mie orecchie stanche.
Stanche di sentire una voce che non fosse la tua.
Stanche di sentire i soliti discorsi.
Stanche di sentire parole di consolazione che appena sembravano raggiungermi, quando stavano per iniziare in qualche modo a toccarmi... Andavano via,
scomparivano,
come un leggero acquazzone estivo.
Gli incubi non mi abbandonavano da quel maledettissimo giorno.
Da quel giorno in cui ti ho perso.
Quel giorno in cui rientrato a Baker Street, da solo, 
fui costretto a cercare di dare un senso a quello che era accaduto.
Ma io credo in te Sherlock.
Due occhi scuri mi fissarono con apprensione, ma la mancanza di sonno, oltre alla totale apatia in cui ero cascato, non giovava affatto al mio grado di attenzione,
ne tantomeno al mio desiderio di fare conversazione.
Greg sospiró preoccupato.
Ma io continuai a non rispondere, o meglio, a non recepire le sue parole.
<< John sono passati mesi ormai, non penso che tutto questo...ti faccia bene... >>
Disse Greg allargando le braccia e spaziando con gli occhi nella stanza, che aveva ormai pressochè le sembianze di un mausoleo.
Tutto era rimasto immutato e avvolto solo da un leggero strato di polvere che volteggiava nell'aria.
I fori dei proiettili nel muro e nella tappezzeria di Mrs. Hudson erano rimasti li.
Insieme a quell'inquietante sorriso giallo.
Ricordo di una delle tante volte in cui ho pensato di perderti.
Le poltrone e il divano, disposte nella solita maniera sembravano mantenere ancora il segno di chi era solito coricarcisi su.
Ogni tanto mi sembra di vederti ancora lì, perso nei tuo pensieri, nei tuoi ragionamenti, in quel luogo dove non sarei mai riuscito a raggiungerti Sherlock.
La custodia elegante del tuo violino è rimasta vicino alla finestra, come fosse in attesa.
In attesa dell'unica persona al mondo che avrebbe potuto fare onore a quel magnifico strumento.
Una melodia, un ricordo mi colpì come un proiettile.
Quella dolceamara melodia che eri solito suonare per quella donna.
Quella volta ho creduto davvero di impazzire Sherlock, non scherzo.
Chi era lei per essere riuscita ad infrangere quelle barriere che io non ero mai riuscito ad abbassare?
Perché dovevi ridurti così per una donna del genere?
Perché Sherlock?
Non lo sopportavo.
Il mio sguardo si fece ancora più cupo del solito.
Avresti mai composto una melodia anche per me Sherlock?
Sospirai cacciando via quel pensiero angosciante e voltai lo sguardo verso il caminetto.
Anche il teschio era lì al suo posto.
E nelle lunghe giornate di solitudine, spesso era l'unico a cui avevo regalato un sorriso.
Avevi ragione Sherlock...
Come sempre dopotutto... 
Non è ironico? Riesco a farti i complimenti anche da morto!
Quel teschio si è rivelato un buon amico...
Un ottimo ascoltatore sicuramente.
Lui non avrebbe mai giudicato, mai replicato, non avrebbe mai tentato di consolarmi.
Continuai ad ignorare Greg, e per evitare di mostrare involontariamente il tumulto dei miei pensieri, mi misi a fissare con decisione la tazza di tea fumante che si trovava di fronte a me.
Alzai perplesso un sopracciglio.
Chi l'aveva preparato? 
Io? 
Greg?
O era stata Mrs. Hudson?
Non ricordavo di averla vista salire al piano di sopra.
Ma in fondo che importanza poteva avere?
L'unico tea di cui mi era mai importato era quello che preparavo per te tutte le sere...
Che io sia dannato se mi importava di quel maledetto tea!
Strinsi la mano più forte intorno al manico della tazza trattenendo un improvviso moto di rabbia.
In quel periodo, avevo alternato momenti di totale apatia, intervallati da crisi di rabbia cieca, di iperattività, e quando andava peggio, di panico.
Per un uomo che aveva vissuto la guerra tutto ciò è ridicolo, ne sono consapevole, ma continuavo e continuavo a rivedere quella scena milioni e milioni di volte di fronte ai miei occhi.
Come se quel mio cervello...
Quella mia mente, che tanto spesso mi invidiavi Sherlock.
Oh si, come invidiavi la mia mente semplice...
A quel pensiero non potei trattenermi da deformare il viso in un ghigno.
Quella dannata mente avesse invece improvvisamente deciso, come per una sorta di... Di punizione forse,
di attivarsi e di diventare lucida ed efficiente.
Nonostante ciò Sherlock, non ero ancora riuscito a capire nulla...
Perché?
Guerre e morte popolavano le mie notti.
Visi esangui, angeli caduti, sangue.
Tanto sangue, il tuo sangue Sherlock.
Quando questo succedeva, rimanevo intere ore in piedi a vegliare di fronte a quella stanza.
La tua stanza.
Senza il coraggio di metterci piede, per la folle paura che in quella stanza potesse ancora esserci anche solo una particella del tuo odore, del tuo essere.
Scosso dai singhiozzi, senza ormai nemmeno la consolazione di bagnarmi il viso di lacrime rimanevo li, 
muto.
Perché doveva succedere?
Perché?
Perché Sherlock, perché? 
Ricacciai il nodo che mi era salito alla gola, sperando che non risultasse troppo evidente a Greg.
L'ultima cosa che volevo, era diventare ulteriore motivo di preoccupazione per chicchessia.
È per questo che voglio rimanere solo.
Parlare non mi fa bene.
Ricordare non mi fa bene.
Sentire la responsabilità della sofferenza altrui non mi fa bene.
Era troppo presto.
In realtà probabilmente sarebbe sempre stato troppo presto per parlarne, ma ció con giustificava tutta l'apprensione che mi si era radunata intorno.
Pure quell'idiota di Anderson aveva tentato di tirarmi fuori di casa con strane scuse e imbarazzanti inviti a cena.
Non ne ho bisogno.
Decisamente no.
Con Molly non ho avuto più cuore di parlare dopo il giorno del funerale.
Povera ragazza.
<< Ho parlato con Mycroft... >>
A quel nome alzai gli occhi verso il mio interlocutore.
Era riuscito a catturare la mia attenzione.
<< Dice che si occuperà delle spese dell'appartamento se tu, beh si se tu, deciderai di lasciarlo, insomma, non devi... >>
Improvvisamente sbattei un pugno sul tavolo, facendo tintinnare i cucchiaini lasciati all'interno delle tazze.
<< Non è quello... >>
Iniziai scandendo le parole rabbioso. 
<< Che avrebbe voluto lui. >>
Risposi quasi con un ringhio.
<< John... >>
Provó a controbattere Greg.
<< E non è quello che voglio io! >>
Conclusi, inchiodando i miei occhi con decisione ai suoi.
Devono capire.
Devono lasciarmi stare.
O per lo meno se non riescono a capire, devono,
Santo cielo devono rispettare ,
la mia decisone.
Mi rendo conto che questo mia atteggiamento sia probabilmente inutile ed infantile.
Controproducente di sicuro.
Ma so di non stare sbagliando.
Io credo in te Sherlock.
Quindi io non posso.
Non posso abbandonarti.
Non come tu hai fatto con me.
Greg distolse lo sguardo dai miei occhi che si erano fatti freddi come una lastra di marmo.
<< Va bene John, sappi... Sappi solo che è una... Un'opzione... >>
Concluse Greg rassegnato.
Rialzó per un attimo lo sguardo su di me, le spalle basse, il viso tirato.
Non è bello subire lo sguardo della compassione sai Sherlock?
Finimmo le nostre tazze di tea in un imbarazzante silenzio, interrotto solo dal rumore della strada e dal trafficare di Mrs. Hudson al piano di sotto.
Accompagnai Greg alla porta, con la promessa che mi sarei fatto vivo nei prossimi giorni e che avrei provato ad uscire.
Ah... Com'è facile mentire quando si è in preda al dolore!
Tornai al mio posto di fronte alla tazza di tea vuota.
Osservai il fondello come in cerca di qualche risposta.
Ah sono certo che per te sarebbe stata una deduzione così semplice...
Dopotutto, cosa c'era di così difficile da capire?
La verità era una e sola.
Tu sei morto.
Io sono solo.
Di nuovo.
Fissai le piccole pieghe della pelle nera che foderava la poltrona di fronte a me.
La tua dannata poltrona.
Ho pensato tante di quelle volte di gettarla nel fuoco del caminetto...
Talmente tante che non ho osato spostarla di un millimetro.
Sospirai portando una mano a coprirmi gli occhi.
Greg era uscito di casa poche ora fa, ma a me sembravano minuti.
Avvertivo ancora chiaramente la sua presenza "estranea" in quello che era diventato il mio microcosmo personale.
Mi alzai dalla poltrona e mi massaggiai distrattamente la spalla destra.
Non ho mai desiderato tanto che quella pallottola centrasse il bersaglio.
  
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